Io, contro le menzogne di Stato - Italo Toni e Graziella De Palo

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Io, contro le menzogne di Stato - Italo Toni e Graziella De Palo
I giornalisti scomparsi in Libano. Tre anni conditi di silenzi, bugie. Ora la madre di
Graziella De Palo si ribella:"Non mi rassegno, voglio tener vivo il ricordo di un'indecenza. Solo Pertini ci ha aiutato".
Appello a Craxi: "Chiedo la stessa comprensione dimostrata verso le madri di Plaza
de Majo". "Santovito dica il vero",
"Io, contro le menzogne di Stato"
"Sono sola e mi batto da sola per sapere la verità. Chiedo al Presidente del Consiglio che le nostre
autorità si occupino di mia figlia Graziella e di Italo Toni con lo stesso spirito, la stessa comprensione che manifestano verso le madri di Plaza de Majo e la loro angoscia. Protesto contro le menzogne di Stato, i silenzi ostinati, le mancate risposte che hanno fatto scempio di me e della mia famiglia”. Renata De Palo, minuta, pacata, una dignità che reprime palesemente dolore e lacrime, affronta la vicenda che l'ha sconvolta, lei madre "loca" italiana, come italiani sono i due "desaparecidos" Italo e Graziella.
Ciò che è seguito alla scomparsa a Beirut, nel settembre del 1980, dei due giornalisti non è degno di
uno Stato di diritto come il nostro. A due famiglie, già straziate dal dolore della sparizione di un figlio, è stato inflitto un calvario disumano e senza scusanti. I genitori e il fratello di Graziella, da tre
anni, bussano a ogni porta, non lasciano intentata nessuna via, e quel poco che si è fatto va attribuito
alla loro inesauribile tenacia. Chi invece doveva preoccuparsi della sorte di due cittadini italiani
svaniti nel nulla in un paese straniero, chi doveva promuovere con costanza la ricerca della verità,
chi doveva insistere con fermezza per avere risposte precise non lo ha fatto, anche se poteva contare
sulle amichevoli relazioni che esistono con il Libano e con l'Olp, di cui i due giornalisti erano ospiti. Due famiglie sono state tenute nella sofferenza, dando e togliendo loro le speranze, alimentando
un'incertezza insostenibile con una girandola di bugie e di incongruenze di cui oggi qualcuno deve
render conto.
Così la signora De Palo si è rivolta al "Messaggero" per un appello a Bettino Craxi. Un memento
più che un'implorazione. "Voglio tener vivo il ricordo di un'indecenza e non mi rassegno finché non
saprò la verità sulla sorte di mia figlia".
Un pubblico appello oggi, dopo tre anni. Signora De
Palo, come mai ha aspettato tanto?
"In una prima fase, quando ci dissero che erano in corso trattative per la liberazione di Graziella e
Italo, il riserbo era d'obbligo. Poi cominciò l'altalena di conferme e smentite. “Sua figlia sta bene,
non è in prigione ma in una casa, sorvegliata da donne arabe”, mi disse il primo febbraio 1981 il
colonnello Stefano Giovannone, rappresentante del Sismi a Beirut. Mia figlia aveva con sé solo vestiti estivi. “Non si preoccupi - mi rispose - so che le hanno dato un sacco a pelo e indumenti pesanti. So anche che ha raccontato di screzi col padre sul viaggio in Libano”. Era vero. Una prova che
mia figlia viveva. Ma una settimana dopo, lo stesso Giovannone ci dichiarò invece di non escludere
affatto che Graziella e Italo fossero stati uccisi subito, il giorno del rapimento. Stesso voltafaccia
alla presidenza del Consiglio. "Sono vivi, stanno bene, sappiamo dove". E poi: "Non abbiamo notizie né prove precise". Cominciammo a capire che qualcosa non quadrava. Erano intanto trascorsi
più di 200 giorni".
II momento opportuno per informare perlomeno la stampa, tenuta all'oscuro ancora
per parecchi mesi.
"Non eravamo in cerca di scandali, ma di nostra figlia. Arafat mi disse a Pasqua dell'81 che Graziella e Italo erano vivi. A giugno, il suo braccio destro, Abu Ayad, affermò che solo Graziella era ancora viva, ma non siamo mai riusciti a saper altro. Nessuno, neppure i nostri giornalisti nelle interviste
col capo palestinese che gli hanno chiesto ragione di questo incredibile silenzio. Eppure l'Italia ha
ricevuto Arafat, si è prodigata in Libano per i suoi uomini e il nostro presidente non cessa di perorare la causa di quel popolo sventurato. Esigere una risposta non à un insulto. Perché nessuno la pretende?"
Forse perché siamo più noi che loro a dover nascondere qualcosa.
"Intanto ci dicano quel che sanno e ce lo dicano pure le autorità libanesi, che incredibilmente non
sentono la necessità di rispondere alle richieste della nostra magistratura. Con chi trattava la polizia
di Beirut per la liberazione di Graziella e Italo? Chi erano gli intermediari? Dopo, forse, sarà meno
facile continuare a mentire per gli italiani coinvolti nella vicenda. Colgo l'occasione per fare appello
alla coscienza del generale Santovito. So che sta tanto male. Ma se non vuole essere il solo a pagare, dica il perché della sua ormai palese bugia".
L'ex-capo del Sismi ha già fornito una spiegazione al magistrato. Dice di aver mentito
per non inquinare il clima politico in previsione della visita di Arafat in Italia.
"Quando Santovito ci ricevette il 30 marzo '81 per informarci che non era stato assodato nulla, gli
chiesi: "Mi dica la verità, sono morti, erano tra quei cadaveri all'ospedale americano controllati il 6
ottobre dall'ambasciatore?". E lui: "Stia tranquilla. Nessun cadavere. Ho controllato io, cella per cella, non cerano donne". Invece quel viaggio a Beirut, agli inizi di ottobre, non lo aveva fatto. Ci andò
un mese dopo. Lo imploro, dica oggi il perché della sua bugia. Se davvero era per non gettare ombre sui palestinesi, allora significa che sa quel che era meglio non far sapere".
Forse la magistratura ha già potuto chiarire...
"A noi sembra che l'inchiesta sia ferma. Occorreva tra l'altro cercare a Beirut conferme su alcuni
fatti. Ma il viaggio di ufficiali di polizia giudiziaria è stato più volte rimandato, vuoi per la situazione laggiù, vuoi per la dichiarata impossibilità di appoggiarsi alle nostre forze in Libano. Un esempio
dei tanti intoppi per cui sono passati i mesi, gli anni, e la paziente attesa è servita solo a far scadere
le nostre richieste. Ma ora abbiamo deciso di agire il più pubblicamente passibile, sempre che i
mezzi di informazione ce lo consentano".
Che vuol dire?
"Facciamo un enorme fatica, specie con la televisione. In tre anni ci sono stati solo brevissimi servizi, due al Tg1, due al Tg3 e uno al Tg2. In questo paese l'unica persona che si è veramente occupato
di noi è stato il presidente Pertini. Ci ha ricevuti cinque volte, mentre ancora non siamo riusciti a
incontrare il segretario generale alla Farnesina, Francesco Malfatti, che ha seguito la vicenda dal
principio. Speriamo ora che Bettino Craxi sia sensibile al nostro appello e impedisca che ulteriori
dilazioni servano da alibi a chi fin dall'inizio ha tentato di mettere una museruola alla verità".
Rina Goren
Il Messaggero, 30 12 1983