beirut: eterotopie e percorsi geografici sulle linee di demarcazione

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beirut: eterotopie e percorsi geografici sulle linee di demarcazione
BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Serie XIII, vol. VIII (2015), pp. 599-616
SIMONA LOI
BEIRUT: ETEROTOPIE E PERCORSI GEOGRAFICI
SULLE LINEE DI DEMARCAZIONE (1840-1990)
L’eterotopia. – La parola eterotopia si compone di due vocaboli greci (éteros,
altro, e tópos, luogo) e designa qualsiasi luogo che presenti un’alterità rispetto
allo spazio circostante. Si tratta di spazi che hanno la caratteristica di essere in
relazione con tutti gli altri luoghi, ma in un modo tale che arriva a creare dei
cortocircuiti spaziali perché interrompono, neutralizzano o sovvertono i rapporti
tra le dimensioni contigue (1).
Va al filosofo francese Michel Foucault il merito di aver forgiato tale concetto che, sebbene assorba la medesima fuggevolezza delle immagini cugine dell’utopia e della distopia (l’antiutopia o utopia negativa), si palesa quale spazio
reale e concreto. Le eterotopie, perciò, si differenziano nettamente dalle utopie
(dal greco ou tópos, letteralmente «non luogo») che non esistono nella realtà,
ma solo nella finzione dell’immaginazione. L’autore, infatti, scrive che esistono
dei «contro-luoghi, specie di utopie effettivamente realizzate nelle quali i luoghi
reali, tutti gli altri luoghi che si trovano all’interno della cultura vengono al contempo rappresentati, contestati e sovvertiti; una sorta di luoghi che si trovano al
di fuori di ogni luogo, per quanto possano essere effettivamente localizzabili»
(Foucault, 2010, p. 12).
Lo studio delle eterotopie si basa su una scienza precipua che Foucault denomina eterotopologia, contraddistinta da diversi assiomi di base. Si parte dall’assunto che non vi siano collettività umane che non abbiano costruito le proprie eterotopie, che il filosofo definisce di crisi e della deviazione; il secondo
principio afferma che, nel corso della storia, una società può far funzionare diversamente un’eterotopia preesistente (il cimitero), cancellarla e predisporne altre che in precedenza non esistevano. Il terzo assioma assume valenze più ge-
(1) Eterotopia per eccellenza è lo specchio: possiede la caratteristica di farci apparire dove non
siamo riproducendoci, quali immagini, sulla sua superficie. Noi, così, ci vediamo in un luogo pur essendo situati in un altro spazio. Un altro esempio pregnante potrebbe essere il cimitero che ci mette
in contatto con chi, in realtà, non è più presente là dove noi andiamo a fargli visita.
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nerali: «l’eterotopia ha il potere di giustapporre, in un unico luogo reale, diversi
spazi, diversi luoghi che sono tra loro incompatibili» (Foucault, 2010, p. 16), come il cinema, il teatro, il giardino e la sua rappresentazione nel tappeto. Come
quarto principio si evidenzia una connessione temporale, attraverso il concetto
di eterocronia: l’eterotopia opera in una condizione di assoluta rottura col tempo tradizionale (musei e biblioteche, ma anche fiere e villaggi delle vacanze). Il
quinto caposaldo del ragionamento foucaultiano evidenzia come le eterotopie
funzionino attraverso un sistema di apertura e di chiusura che le isola dallo spazio circostante (carceri, caserme, cliniche, hammam
¯ musulmano, saune scandi˙
nave) e allo stesso tempo le mette in comunicazione.
Rileva, infine, il suo essere un luogo che contesta tutti gli altri spazi. Tale opposizione può avvenire in due modi distinti: attraverso la creazione di un’illusione che denuncia il resto della realtà circostante quale illusione essa stessa (per
esempio la nave); oppure forgiando altri luoghi reali tanto perfetti, puliti, ordinati, meticolosamente organizzati da far apparire lo spazio circostante come caotico,
sozzo e disordinato, come avveniva nelle colonie o nelle società puritane.
L’eterotopia, configurandosi in tal modo quale rappresentativo spazio di rottura
e contestazione, parrebbe contenere in sé potenzialità atte a descrivere l’alterità che
si palesa in numerosi spazi di Beirut, antecedenti, contemporanei e successivi al
periodo della guerra civile (1975-1990). Tali luoghi sono da ricercarsi lungo le linee
di demarcazione (hutut
¯ singolare ˘hatt al-tamass)
¯ al-tamass;
¯ che per quindici anni
˘ ˙ ˙
˙˙
hanno diviso la città in due monconi urbani, l’Est e l’Ovest, in lotta tra loro.
Creazione della linea di demarcazione (1840-1975). – «Ma la città non dice
il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle
vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, delle antenne dei
parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi,
seghettature, intagli, svirgole» (Calvino, 1993, p. 11).
A seguito dei violenti scontri verificatisi tra drusi e cristiani maroniti nel 1841
sui rilievi interni del Monte Libano (2), le autorità ottomane, col beneplacito occidentale, istituirono il primo gennaio del 1843 un caimacamato (3) maronita e
uno druso (Salibi, 2004, pp. 62-64).
ˇ
(2) Monte Libano (Gabal
Lubnan)
di uno dei sei governatorati in cui è attualmente di¯ è il nome
˛
˘ ¯ al-Nabatiyya, al-Samal.
ˇ ¯ Ogni governatorato è
viso il Libano. Gli altri sono: Bayrut,
¯ al-Biqa¯ , al-Ganub,
˙
diviso in province o distretti.
(3) Dalla parola araba qa’immaqam
¯
¯ (caimacàm) che designa il capo di una circoscrizione amministrativa all’interno dell’impero ottomano. Sulla nascita del caimacamato, si veda anche Traboulsi
(2012, pp. 24-40 sulla storia e pp. 261-262 per delle precisazioni terminologiche). Kassir lo definisce
come «Ottoman system of sectarian power-sharing (from the Franco-Turkish term caimacamat)»
(Kassir, 2010, p. 586). Si consulti anche l’Enciclopedia Treccani on line, nella parte curata da Carlo
Alfonso Nallino: http://www.treccani.it/enciclopedia/caimacam_(Enciclopedia-Italiana)/.
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Del confine tra le due nuove divisioni amministrative sappiamo che: «En effet, la première ligne de démarcation que le Liban a connue est celle qui sépare
le caïmacamat druze du caïmacamat maronite. Bien évidemment, cette ligne,
qui suit déjà – à peu de choses près – le tracé de la route de Damas, était censée
séparer les deux communautés rivales dans le contrôle de l’espace rural. Loin de
constituer une solution pour mettre fin aux combats et aux massacres, cette division est apparue, aux yeux de nombre de commentateurs, comme une institutionnalisation de la guerre civile, celle-ci ne pouvant cesser qu’avec l’abolition
de cette ligne de démarcation» (Beyhum, 1993a, p. 277).
Le due comunità erano mosse dall’intento istintivo della difesa del sé e della
propria appartenenza identitaria intensificando, così, i caratteri di dominio e separazione territoriale. Nel Monte Libano, le comunità drusa e maronita avevano
iniziato a confrontarsi a seguito di infinite dispute territoriali; ben lungi dall’essere, questa, la causa fondante delle divisioni, sarebbero state le nuove forme politiche di organizzazione spaziale ed economica, introdotte dagli ottomani e dagli occidentali, a creare, esacerbando le tensioni preesistenti, nuovi rapporti comunitari (Salibi, 2004, pp. 47-52).
Entrambi i lati di tale primigenia linea di demarcazione non presentavano
un’assoluta omogeneità nella composizione demografica: un gran numero di cristiani maroniti si trovava, a titolo d’esempio, nella cittadina di Dayr al-Qamar
ˇ ¯ o, viceversa, drusi nel
(oggi tradizionale bastione druso, nei monti dello Suf)
Matn (distretto a maggioranza maronita). Fu l’ufficializzazione istituzionale e politica dei confini amministrativi a generare entità separate l’una dall’altra. Fallito
l’intento di ridurre gli scontri interconfessionali, questi proseguirono sino agli
anni Sessanta dell’Ottocento e videro persino l’intervento degli inglesi, dalla parte dei drusi e dei francesi, in difesa della comunità maronita, nonché dei russi
ortodossi in difesa dei drusi, dei cattolicissimi austriaci, dei prussiani e anche degli italiani (ibidem, p. 55).
Si giunse, nel 1861 e fino al 1915, alla creazione di un mutasarrifato (un’ulteriore suddivisione amministrativa ottomana, in arabo mutasarrifiyya) del Monte
˙
Libano, che godeva di maggiore autonomia e inglobava diverse province in più
rispetto ai soli due caimacamati: il territorio di Zahla a est, parti della zona di
˙
Hirmil e della costa mediterranea (Traboulsi, 2012, pp. 41-43; fig. 1).
In un periodo in cui il Libano si vedeva mutare, sotto la spinta di un recente
riformismo ottomano (le Tanzımat)
¯ ¯ iniziato pochi decenni addietro (1839-1856)
˙
e in seguito a una più spiccata influenza occidentale, ebbe inizio la costruzione
della rue de Damas, primo tratto di una (in)immaginata linea di demarcazione
ventura: «The beginning of the 1860s represented a turning point, when public
works and private enterprise combined to redirect the course of urbanism in
Beirut. The initial impetus was given by the start of construction on the Damascus road in January 1859» (Kassir, 2010, p. 135).
Il collasso della Sublime Porta con la fine della Grande Guerra e l’istituzione
del mandato francese sul Libano (e sulla Siria) nel 1920 e sino al 1943 determi-
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Fig. 1 – Mutasarrifato del Monte Libano (1861-1915)
Fonte: Traboulsi (2012, p. 53)
narono il passaggio dalla città ottomana alla ville française. La creazione del
Grande Libano, quale entità territoriale divelta dalla Siria, fregiò Beirut del titolo
di capitale della neonata Repubblica libanese e la vecchia linea di demarcazione
dei monti cominciava a spostarsi nella capitale, affiorando nella diversità funzionale che oppose, in seguito, città e montagna (Davie, 1994, p. 5; fig. 2).
La linea di demarcazione venne, in seguito, opportunamente individuato in
due diverse strade: «La ligne de démarcation de Beyrouth suit topographiquement deux rues de Beyrouth: celle de Damas dans la partie municipe de la ville,
celle de l’ancienne route de Saïda dans la partie banlieusarde. […] Il n’est donc
pas faux de dire que cette division de la guerre trouve son pendant dans l’avantguerre» (Beyhum, 1993b, p. 45).
Nella sua analisi, il sociologo libanese è ben conscio dei pericoli che comporta siffatta suddivisione amministrativa dei distretti elettorali e che tali demarcazioni ufficiali avrebbero avuto come conseguenza la creazione di quartieri a
maggioranza musulmana e altri a spiccato carattere cristiano. Nella periferia delˇ ¯ venne scissa in due
la città, invece, rileva il dato che l’entità unitaria di Siyyah
˙
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Fig. 2 – Grande Libano e
Mutasarrifato
Fonte: Traboulsi (2012, p. 43)
distinte municipalità: una abitata prevalentemente da cristiani (con i quartieri
ˇ ¯ e ˛Ayn al-Rummana
contigui di Siyyah
¯ a prevalenza maronita), l’altra da sciiti
˙
˙
(quartiere di Gubayrı,
¯ confinante con i campi palestinesi; fig. 3).
In secondo luogo si precisa che, considerate da un punto di vista demografico, «ces lignes ne sont pas, avant-guerre, des lieux de démarcation absolue: 4 à
10% de la population d’Achrafieh, “Est”, était musulmane, près de 30 à 40% de
la population de l’Ouest était chrétienne» (ibidem, p. 46) (4).
Infine, il ventennio che precedette la guerra civile si caratterizzò per importanti e profondi cambiamenti a livello sociale ed economico: le continue proteste e manifestazioni di studenti e lavoratori, l’estremizzazione di antiche rivalità
politiche, l’afflusso di armi in un paese che vantava il titolo di «Svizzera del Me-
(4) Il sociologo riporta l’esempio delle vie che caratterizzano i dintorni dell’Arcivescovado gre˛
co-cattolico situato nel quartiere musulmano occidentale di Ra’s al-Nab a, che vedono dominare l’elemento cristiano. Di contro, nel settore orientale della città a prevalenza cristiana, spicca il quartiere
musulmano di Baydun,
¯ con l’omonima moschea.
604 Simona Loi
Fig. 3 – Linea di demarcazione
Fonte: Kassir (2010, p. 512)
dio Oriente», per i giri d’affari, la bella vita e il lusso di cui godeva parte della
popolazione (Salibi, 2005, pp. 39-55). Ci si dimenticava così della povertà e della segregazione dei campi palestinesi, con il conseguente formarsi di milizie armate al loro interno, nonché delle periferie-ghetto degradate, nei sobborghi meridionali a maggioranza sciita, a ridosso dei campi profughi.
La linea di demarcazione durante la guerra (1975-1990). – «Lo specchio ora
accresce il valore delle cose, ora lo nega. Non tutto quel che sembra valere sopra lo specchio resiste se specchiato. Le due città gemelle non sono uguali, perché nulla di ciò che esiste o avviene a Valdrada è simmetrico: a ogni viso e gesto rispondono dallo specchio un viso o un gesto inverso punto per punto. Le
due Valdrade vivono l’una per l’altra, guardandosi negli occhi di continuo, ma
non si amano» (Calvino, 1993, p. 52).
Non è difficile rintracciare, ancora oggi, il percorso della (vecchia) linea di
demarcazione. Le strade che la compongono recano ancora i segni degli scontri:
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Fig. 4 – Linea di demarcazione, downtown
Fonte: foto dell’autrice (2011)
edifici crivellati, neri e sventrati, carcasse spettrali attraversate dai venti che soffiano dai fori ampi delle pareti e coi balconi invasi dalle erbacce (figg. 4-5).
˛
Ayn al-Rummana,
¯ quartiere cristiano nella periferia est a ridosso della linea di
demarcazione, fu testimone dei due episodi che segnarono l’inizio della guerra. La
domenica del 13 aprile 1975 si sparò sui fedeli, durante la cerimonia di consacraˇ
zione di una nuova chiesa maronita, a cui partecipava anche Pierre al-Gumayyl,
il
leader del partito cristiano della destra nazionalista delle Falangi. Una delle sue
guardie del corpo e due falangisti caddero vittima dell’attacco poi attribuito ai
gruppi armati palestinesi, sostenuti dal Movimento Nazionale, fronte politico a
maggioranza musulmana e progressista, che seguiva una linea politica radicalmente avversa al partito falangista.
La reazione fu immediata: lo stesso giorno, in quello stesso quartiere, un auˇ ¯¯
tobus carico di passeggeri palestinesi proveniente dal campo palestinese di Satıla
˛
(all’ovest) e diretto verso quello di Tall al-Za tar (periferia est) fu preso d’assalto
dai miliziani falangisti. Il triste bilancio fu di ventisette palestinesi uccisi. Si ha testimonianza del fatto che l’unico a rimanere illeso fu l’autista di quell’autobus
˛
che, negli anni successivi, diventerà per tutti al-bosta Ayn er-Rummene (in dialetto libanese) assurgendo, così, nell’immaginario collettivo, a simbolo dell’inizio
della guerra civile (fig. 7).
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Fig. 5 – Linea di demarcazione, rue de Saida (strada per Sidone)
Fonte: foto dell’autrice (2011)
I primi due anni di guerra furono cruciali: tra il 1975 e il 1976 si assistette alla
creazione della Green Line, il cui nome parrebbe fotografare, nel suo impatto visivo più immediato, la vegetazione che ricoprì le vie della linea di demarcazione.
Piante d’ailanto e di ricino andarono a sostituire gli alberi di lillà e le palme che,
una volta, decoravano il burgˇ (il brulicante centro di Beirut prima della guerra,
luogo di incontro e scambio tra le diverse comunità religiose ed etniche) e che
vennero tutti tagliati: «Beirut è ormai una città di sabbia. Al suolo, le pietre e l’asfalto, divelti nel corso dei combattimenti, sono ricoperti di un manto verde; è
questa la vera Green Line, cresciuta nutrendosi, durante i combattimenti, dell’acqua fuoriuscita dalle condutture distrutte» (Fregonese e Minca, 2004, pp. 116-117).
Una testimone della linea demarcazione ce la descrive come:
posti di blocco fatti con cumuli di terra e sacchi di sabbia. La terra formava quasi delle montagne, tanto erano alti i cumuli, e i sacchi di sabbia
servivano ai miliziani che vi si appostavano. Non vi erano più gli alberi di
un tempo, ma dalla terra avevano iniziato a proliferare le erbacce. Carcasse di autobus e di automobili erano gettate nell’insieme. Ciò specialmente
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Fig. 6 – Beirut e periferie
Fonte: Salibi (2005, p. 100)
nel centre-ville, dove si estendevano i mercati di Beirut: i cumuli di terra
erano interamente ricoperti d’erba [5].
Fu solo nell’autunno seguente che s’iniziò a parlare di guerra: prima vennero
usate espressioni come hawadit
¯ o ahdat,
¯ ossia «gli eventi» che percorsero le
˙
¯ una˙ dimensione
¯
strade della città, inglobandole in
che avrebbe presto militarizzato la vita quotidiana almeno fino al 1990.
Eterotopie di guerra. – «So in 1975 I’m seven years old and I’m in primary
school at the Dames de Nazareth. After 13 April I will never see my school
again, which is in a district named after it – al-Nasra. It is in one of the most explosive neighbourhoods of Beirut, right near tarik al-cham, rue de Damas, which has become the demarcation line between West Beirut, Gharbieh, and East
Beirut, Charkieh, where we live. The division of Beirut is now well established.
(5) Intervista dell’autrice con A., insegnante di arabo classico. Testimonianza raccolta presso la
sua abitazione nel quartiere di Hadat il 18 febbraio 2011.
˙
¯
608 Simona Loi
The entire downtown area (the Borj, Bab Idriss, the souks, place Debbas and
place de l’Étoile) has become a gigantic no-man’s land, completely destroyed,
where only militiamen and snipers venture» (Ziadé, 2012).
In una nuova città, fatta di quartieri trasformati in fortini militari, le linee dei
trasporti pubblici si fermavano in corrispondenza della linea di demarcazione:
«Mi ricordo che durante la guerra il bus della scuola non passava nel nostro quartiere. I suoi vicoli, vicini alla linea di demarcazione, erano considerati pericolosi.
Il bus si fermava tutte le mattine alle 6.30 e tutti i pomeriggi alle 15.30 davanti a
Ward. Il gelataio si trovava al limite della zona oltre la quale l’autista non osava
avventurarsi, e si era trasformato in una fermata del bus» (Abirached, 2010, p. 11).
In passato, invece, come si evince da diverse guide turistiche antecedenti al
conflitto, le linee degli autobus e dei tram pubblici attraversavano di continuo la
città da est a ovest e viceversa. Per esempio, prima della guerra, vi era l’autolinea
˛
n. 1 che da Ayn al-Rummana
¯ (est) portava sulla Corniche (ovest) fino al bagno
militare; l’autobus 2, invece, dall’estrema zona est di Dawra portava nella periferia
¯ ¯˛¯ı (Tourist’s Lebanon Companion, s.d., p.
occidentale, fino al quartiere di al-’Uza
40). Tra le linee del tram che portavano dall’est all’ovest, troviamo la linea 1 che
partiva dal fiume di Beirut fino al quartiere a maggioranza musulmana di al-Basta
˙
ˇ
e la linea 2 dal quartiere cristiano di Furn al-Subbak
¯ fino all’Università Americana
a Bliss (Les Guides Bleus, 1956, p. 52). Tutto ciò viene a cessare durante la guerra
quando gli accessi alle strade cominciavano, invece, a essere negati o concessi
solo previa richiesta della carta d’identità che attestasse le origini confessionali.
Mentre le aree centrali si svuotavano dei propri abitanti per riempirsi di miliziani
e cecchini, pochi varchi furono lasciati aperti.
Durante il periodo della cosiddetta «Guerra dei due anni» del 1975-1976 (6), il
controllo del territorio di Beirut da parte delle milizie venne ad assumere caratteristiche ben precise. La dimensione urbana presentava, al suo interno, delle
polarizzazioni create intorno a dei noccioli duri («aureole») di matrice ideologica,
descritti dallo studioso M.F. Davie. In tali nuclei interni erano situate le caserme,
gli uffici, gli edifici che formavano l’equipaggiamento urbano della milizia. L’aureola di territorio, che si estendeva su un raggio di circa cento metri da tali centri, veniva a costituirsi quale cintura protettiva, una prima linea di difesa che
proteggeva la cittadella interna, attraverso delle barricate di controllo e un sistema di dossi rallentatori della velocità. I quartieri compresi in tale superficie, evirati da ogni tipo di opposizione politico-ideologica, erano tappezzati da poster (7) e bandiere; le caserme, dipinte con i colori della milizia locale, recavano
le immagini dei loro comandanti e dei loro martiri. Gli uffici militari, in genere ai
primi piani degli edifici requisiti, erano protetti da sacchi di sabbia e cubi di cemento e ricoperti di graffiti e affissioni.
(6) Detta anche «guerra degli hotel». Per una più ampia trattazione di queste prime fasi di guerra,
si veda Fregonese (2009, pp. 313-316).
(7) Per un’analisi approfondita dei poster di guerra, si veda Maasri (2009).
Beirut: eterotopie e percorsi geografici 609
L’area controllata poteva raggiungere l’estensione di duecento o trecento metri, con pattugliamenti frequenti e una rigida sorveglianza: «L’auréole nous apparaît ainsi comme une partie du territoire que nous appelons “quartier milicien”,
équivalent à l’optimum de l’extension spatiale du message et du quadrillage
possible par chaque faction» (Davie, 1993b, p. 48).
Da ambo le parti, inoltre, permanevano interstizi che apparivano come territori amorfi perché privi di un’identità precisa, caratterizzati dal vuoto cromatico
e dall’assenza di messaggi visivi: si trattava delle vie e dei vicoli interni che connettevano i quartieri miliziani che si consideravano, dunque, comuni alle parti.
Ben lungi dall’essere pacificati e sicuri, tali spazi di connessione erano faglie di
frizione e sovrapposizione, in cui i combattenti si esibivano, mostrando la loro
unità e compattezza, dando sfoggio di sé durante parate, marce, funerali, anniversari e ricorrenze. Uno spazio che in un certo qual modo rimane pubblico e
duale, civile e militare al contempo.
Non si trattò di un conflitto combattuto all’esterno della città, nelle campagne
lontane, ma toccò gli apici delle violenze più efferate nel suo centro, divelto e
disintegrato. Divenne una guerra tra quartieri vicini, tra strade adiacenti, dove la
lotta quotidiana rientrava nel più ampio processo di polarizzazione confessionale e omogeneizzazione dei quartieri, e il centro commerciale della città perse la
sua peculiare funzione di luogo pubblico d’incontro e scambio tra le diverse comunità. La guerra si era oramai infiltrata nel cuore di Beirut e il consolidamento
del potere da parte delle milizie in lotta avveniva attraverso una logica di omologazione ideologica e settaria di territori che prima, invece, si caratterizzavano
per la loro composizione variegata.
The very first observation, at an elementary level, is that new place-names have appeared and have been adopted by general public, the media
and by researches and which were not in use in prewar days. The most
well-known are undoubtedly «East Beirut» and «West Beirut», two opposing
spatial units, conveniently separated by the «Green Line». «Beirut», the place-name, is no longer used without an indication of its position vis à vis
the Line [Davie, 1993a, p. 1].
Da questi brevi resoconti storici riportati – che non pretendono di essere
esaustivi, data la complessità delle vicende legate agli anni della guerra in Libano e l’intrico di attori, interni ed esterni, che vi operavano – emergono le valenze eterotopiche di spazi peculiari: i varchi e i quartieri interstiziali che potrebbero essere definiti quali «eterotopie di guerra», al-bosta (fig. 7) e vari edifici semidistrutti che sono sopravvissuti alla guerra.
Una serie di interviste con cittadini libanesi ha permesso di approfondire i peculiari meccanismi di attraversamento (ma‘bar) e loro dimensioni eterotopiche.
1. Era estremamente pericoloso percorrere le strade della zona di Hadat,
˙
¯
mai tranquilla. Si trascorrevano le giornate negli angoli protetti della casa: i
bombardamenti iniziavano presto, dalle cinque del pomeriggio, e prosegui-
610 Simona Loi
˛
Fig. 7 – Bosta Ayn er-Rummene
Fonte: foto dell’autrice (2011)
vano lungo l’intero arco della giornata, sino a notte e alle prime ore del
mattino successivo. Mio marito era un insegnante di arabo nella «regione
ˇ
ˇ
occidentale» di Suwayfat,
¯ presso la Scuola Statale di Suwayfat,
¯ sita sulla strada per Sidone. Costretto, per ragioni di circostanza, a tenere le lezioni, percorreva ogni giorno quella strada, giungendo a ovest attraverso il varco,
quando questo era transitabile. L’attraversamento avveniva attraverso qualche porta d’accesso, ma non si camminava, non si circolava lungo il quartiere […] La maggior parte della giornata trascorreva a casa. Chiudemmo tutte le finestre col cemento e come unica apertura non restò che la porta
principale: eravamo ridotti come galline in un pollaio, senza luce [8].
˙
˙
2. Mio nonno, Muhammad Gandur,
¯
¯ fondatore della fabbrica Gandur
˙
(prodotti dolciari), iniziò la sua attività nel 1856 nel mercato Abu
¯ Nasir,
¯ nel˙
la madınat
al-aswaq
¯
¯ (oggi downtown), vendendo candele e dolciumi vari.
ˇ ¯ (nello stesso terreno in cui, oggi,
La prima fabbrica venne fondata a Siyyah
˙
sorge il Beirut Mall). Nel terreno, prima, si svolgevano delle attività agricole
gestite dalla famiglia Halıl.
¯ Acquistammo noi, in seguito, il terreno per sole
˘
cento lire d’oro. La zona risultava vicina al centro della città e alla vecchia
strada che conduceva a Damasco: una collocazione ad alto valore strategico, oltre che a un prezzo conveniente. Durante la guerra civile la fabbrica
apriva e chiudeva a fasi alterne, continuando a impiegare, come sempre
aveva fatto, lavoratori cristiani e musulmani. Prima dello scoppio del conflitto non esistevano linee di demarcazione. Negli anni 1987-1989 cominciai
ˇ
a lavorare nello stabilimento di Suwayfat,
¯ zona che poi divenne parte del
ˇ¯
prolungamento della linea di demarcazione, opposta a Kafar Sıma.
Per rag-
(8) Intervista dell’autrice con A., già citata.
Beirut: eterotopie e percorsi geografici 611
giungerlo era necessario attraversare la linea. Vi erano due passaggi importanti: uno nella zona del Museo Nazionale, l’altro al porto, una selva gestita
dalle mafie. Si arrivava al museo e si entrava nel vicino ippodromo, protetti
dagli alberi e con i piedi avvolti in buste di nylon, per non sporcare le scarpe di terra. Una volta fuori, s’incontravano gli autisti cristiani, con i quali ci
ˇ¯
si era già messi d’accordo, che conducevano a Kafar Sıma
(nella zona est).
All’inverso accadeva con autisti musulmani, che dall’ippodromo conducevano nel settore ovest di Beirut. Mi recavo alla fabbrica tre o quattro volte a
settimana e spesso gli operai dormivano nello stabilimento, data la pericolosità che comportava muoversi e attraversare la linea [9].
3. Ogni volta che si sparava un colpo, tutto il hatt al-tamass
¯ si accende˘ ˙˙
va, si illuminava. Io camminavo rasente ai muri e cercavo di evitare di andare al lavoro nei periodi in cui i combattimenti erano più intensi. Studiavo
˛
nella scuola di Amliyya, lungo la linea che divide i due quartieri di Harat
¯
˙
al-Hurayk e Burgˇ al-Baragina,
in quella che oggi è la periferia sciita. Decisi,
¯ˇ
˙
in seguito, di andare a lavorare, la notte, presso una copisteria che stava
˛
«dall’altra parte», nel quartiere cristiano di Ayn al-Rummana.
L’attraversa¯
mento comportava il rischio di esporsi alla visuale dei cecchini [10].
La linea di demarcazione (da intendersi come una fascia ampia di quartieri)
rifletteva, nei diversi tratti, le appartenenze ideologiche che ospitava al suo interno. Dimenandosi tra la complessità urbana che la guerra creava, il hatt al-tamass
¯
˘ ˙˙
fluiva tra le due dimensioni orientale e occidentale, assumendo l’aspetto di una
linea continua di caserme, posizioni militari, fortini collegati tra loro da un intrico
di transenne, con passaggi che si aprivano verso l’interno.
Il ragionamento eterotopologico si applica ai suoi quartieri interstiziali, i quali non essendo controllati da nessuna milizia in particolare, si presentavano come terreno di sovrapposizioni di dimensioni contrapposte e inconciliabili quali
le ideologie dei partiti, che insistevano su uno stesso spazio. Siffatte giustapposizioni assumevano, da un punto di vista storico e geografico, la forma di schermaglie, parate militari, processioni e cortei funebri da ambo le parti, che cercavano di ostentare caratteristiche quali forza, numero, organizzazione e disciplina. Benché fossero territori rivendicati da entrambe le parti, non appartenevano
stabilmente a nessuna di esse. Da qui deriva la giustapposizione eterotopica.
Si trattava, inoltre, di spazi in cui i simboli dei numerosi partiti, i poster, i
graffiti, le sigle delle milizie, le immagini sacre, le affissioni, le bandiere e i ritratti dei leader religiosi e militari erano in competizione tra loro nel tentativo di
connotare ideologicamente quel territorio. Si rileva, così, ancora la sovrapposizione eterotopica, in questo caso dei marcatori territoriali.
˛
˙
(9) Intervista dell’autrice con il manager Amir S. Gandur,
¯ condotta il 30 marzo 2011 nel suo ufficio presso la Siran Tower.
˛
(10) Intervista dell’autrice con Alı¯ Mismar,
¯ docente di Scenografia all’Accademia delle Belle Arti
di Beirut, condotta il 2 marzo 2011 presso il campus dell’Università Libanese.
612 Simona Loi
˛
Fig. 8 – Bosta Ayn er-Rummene con scuolabus
Fonte: Houssam Bokeili, My School Bus, 2010
Infine, i meccanismi di entrata e uscita dalla dimensione foucaultiana si evidenziano col fatto che vi doveva essere una motivazione specifica per entrare
nelle zone interstiziali, accessibili e impenetrabili al contempo.
Ragionando sempre sulla base del terzo principio (la capacità dell’eterotopia
di giustapporre, nello stesso spazio concreto, diversi luoghi incompatibili fra loro), inoltre, pare emergere la portata eterotopica del porto, dell’ippodromo, del
Ring (11) e del Museo Nazionale, ossia i varchi che consentivano l’osmosi tra le
due dimensioni antitetiche dell’est e dell’ovest (12). Tali passaggi, al contempo,
(11) Il Ring si riferisce a un anello stradale di collegamento tra est e ovest a Beirut che durante la
guerra era rischiosissimo attraversare a causa della presenza dei cecchini: «The bridge had been dubbed the “ring”, though no one really knew why. Perhaps because during the war years it had been
the scene of extremely violent fighting. It connected the eastern Christian side of Beirut to the western Muslim side of the capital. […] Every Saturday Moussa would take me to see Ghada, who lived
on the other side of the demarcation line. […] “Faster, Moussa, faster!” […] The pedal to the floor,
Moussa curses his car and exhorts it to go faster, as a jockey whips his mount nearing the finish line.
Spurred on by the impact of the projectile, the Plymouth takes off. The wind engulfs my face. “If I
can feel it, that means I’m still alive”. A third shot. But it’s too late. I open my eyes. A barricade topped by a red flag – we have arrived» (Najjar, 2006, pp. 23, 25, 27).
(12) Ancora oggi nel vocabolario di molti che vissero la guerra civile in Libano (da civili o da militari) rimangono espressioni come garbiyya
(riferito a Beirut Ovest) e ˇsarqiyya (Beirut Est). Da una
˙
ˇ
conversazione, del 19 luglio 2014, con l’anziano signor G., nel quartiere cristiano di al-Gummayza.
Beirut: eterotopie e percorsi geografici 613
determinavano quasi dei riti d’entrata e uscita di carattere molto peculiare (quinto
principio dell’eterotopologia), perché l’attraversamento avveniva solo in virtù di
una valida motivazione che giustificasse il rischio enorme, o per via di un obbligo, quale la necessità di recarsi al lavoro. In assenza di una giustificazione per
l’attraversamento questo poteva essere negato dai miliziani posti a controllo della
frontiera (imponendo lo stop o anche attraverso il rapimento) o dai cecchini appostati negli edifici più elevati, che uccidevano chi attraversava la linea.
Sono da considerarsi eterotopie/eterocronie anche quegli edifici che potrebbero essere definiti come «cicatrici urbane» e che ancora oggi interrompono la linearità del tessuto cittadino. Si tratta del Barakat Building (situato al limite tra
l’est e l’ovest, da cui i cecchini, grazie alla sua forma a balaustra, operavano senza poter essere individuati) in piazza Sodeco (altro punto di attraversamento);
della chiesa di San Vincenzo (dentro la quale son cresciuti alberi e si sono formati acquitrini, oggi sotto restauro); dell’ex cinema-centro commerciale The Dome (conosciuto anche come The Egg o The Bubble); dei due celeberrimi alberghi Holiday Inn e Burgˇ al-Murr; della chiesa siriaca di San Giorgio, ancora senza
˛
ˇ¯ al-Hurı,
il tetto; della Galleria Sam ¯an; del palazzo del commerciante Bisara
¯ ¯ del
˘
Grande Teatro a downtown e di molti altri spazi urbani post-bellici a Beirut. In
questi edifici si realizza «una sorta di accumulazione perpetua e indefinita del
tempo in un luogo che non si sposta» (Foucault, 2010, p. 17). Sono accomunati
dal fatto di essere (stati) tutti situati sulla linea di demarcazione e la ricerca della
loro eterotopicità sarà oggetto di un’ampia trattazione futura.
L’autobus, che trasportava i palestinesi e che venne assaltato nell’aprile del
1975, è da considerarsi un «artefatto» di guerra: si tratta(va) di un Fargo color bordeaux, con numero di targa 95303. Carico di polvere e ragnatele, esso appare come una carcassa crivellata di colpi e coperta di ruggine. Azzurro e verde davanti,
col volante magro e nero, ha una ruota bucata, flaccida a terra, come allora (fig. 7).
Giaceva abbandonato su un campo incolto, circondato dalle erbacce
ed esposto all’incuria, nel sud del Libano, nella regione di Nabatiyya. Pri˙
ma di vederlo avevo solo in mente di osservarlo, fotografarlo e studiarlo
per le mie serigrafie. Ma, quando mi si palesò dinanzi, pensai subito che
avrei dovuto fare qualcosa. Nel 1976 abbandonai il paese. Vi ritornai nel
1994 e la prima cosa che feci fu quella di recarmi nella mia vecchia scuola
(la Scuola del Patriarcato, al-madrasat al-batrakiyya [13] in arabo), facente
˙
capo al vescovato, presso il quartiere di Zuqaq
¯ al-Balat.
¯ Si trattava di un
˙
istituto cristiano, prestigioso e rinomato. Provengo da una famiglia musulmana, d’intellettuali, che non ponevano questioni religiose. Il mio primo
pensiero fu di farvi ritorno e scoprire se lo scuolabus, che prendevo ogni
giorno, fosse ancora lì, nel giardino della scuola. Lo trovai e lo fotografai
quasi incredulo. Piccolo, della
Ford. E la sua immagine cominciò a sovrap˛
porsi a quella di al-bosta Ayn er-Rummene, che ritrovai nel 2009. C’erano
(13) Dal settore di al-Batrakiyya nel distretto di Zuqaq
¯ al-Balat,
¯ chiamato così per la presenza
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˙
della sede del Patriarcato Greco Cattolico (melchita), e la sua scuola.
614 Simona Loi
Fig. 9 – Linea di demarcazione fuori
Beirut
Fonte: Kassir (2010, p. 513)
ora due autobus che percorrevano i meandri nella mia memoria, che si
confondevano e si frapponevano l’un l’altro [fig. 8].
A parlare è il fotografo e artista Houssam Bokeili (14) che racconta la sua
esperienza alla vista di al-bosta presso il centro culturale Umam (15), nel quartiere di Harat
(periferia sciita sud-orientale), ove l’autobus è tuttora con¯ al-Huraik
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˙
servato. Il fatto che l’autobus abbia trascorso anni nell’incuria dell’oblio ha fatto
sì che si sviluppasse una dimensione al contempo eterocronica (il tempo si è ac-
(14) Intervista dell’autrice con l’artista libanese. Nato a Beirut nel 1966, all’età di nove anni si trasferì in Svizzera. Conseguita la laurea presso la Scuola Superiore di Arti Applicate nella città di Vevey,
ottenne un secondo titolo presso l’École Boulle a Parigi e un diploma in Stereotomia, oltre ad affinare
le sue doti nelle arti della scultura e della lavorazione della pietra a Châtre. L’intervista risale al primo
maggio 2011, sullo sfondo delle sue opere nell’ambito dell’esposizione A bus and its replicas-Un bus
et ses doubles-bosta wa ashbahiha, che, inaugurata l’8 aprile 2011, ha attratto un inatteso numero di
visitatori, libanesi e stranieri. Si veda il link seguente: http://www.umam-dr.org/projectInfo.php?from
Tab=past Projects&projectId=143.
(15) Umam Documentation and Research è un’Organizzazione Non Governativa (ONG) dal
2005. Per delle informazioni dettagliate circa la sua attività in Libano, si veda il sito al link seguente:
http://umam-dr.org/aboutUs.php?location=aboutUs.
Beirut: eterotopie e percorsi geografici 615
cumulato all’infinito, nonostante ora appartenga alla contemporaneità di un luogo in cui può essere visitato e fotografato) ed eterotopica perché percorreva il
primo tratto della linea di demarcazione che si sarebbe sviluppata dopo l’attacco
dei falangisti. Percorreva perciò degli spazi liminari e antitetici.
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Per i quindici anni successivi ai fatti di Ayn al-Rummana,
¯ quelle linee di demarcazione sono state spazi di frizione, giustapposizione e contestazione, e sono
da considerarsi, a corollario di tutto lo schema foucaultiano proposto, esse stesse
eterotopiche (fig. 9). Questa loro dimensione – a metà strada tra conflitto e
osmosi, tra la regola e l’eccezione a essa, tra apertura e chiusura – influenza(va) e
contamina(va) ogni artefatto mobile (come al-bosta) o immobile, ivi locato.
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BEIRUT: HETEROTOPIAS AND GEOGRAPHICAL PATHS ALONG DEMARCATION
LINES (1840-1890). – For fifteen years, during the Lebanese Civil War (1975-1990), Beirut
has been split by the Green Line into two separate entities, the East and the West. The
article briefly investigates the origins of this division line, outlined since the MaroniteDruze clashes in the mountains (1840-1860) and the subsequent Ottoman administrative
repartition, and individuates some characteristics that allow us to use the Foucaultian
concept of heterotopia to describe some particular spaces along this borderline. As
reported by Beirut residents in their interviews, the port, the hippodrome and the
National Museum were areas where the crossing between the two urban dimensions,
albeit dangerous and intermittent, was possible, throughout certain specific «crossing
procedures». It is specifically in these access points and in the internal military neighbourhoods that the hetorotopias can be identified and studied.
Lebanese International University (Beirut e Sidone)
[email protected]