Media aborigeni. VOLONTARI PER LO

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Media aborigeni. VOLONTARI PER LO
Voci dal sud
Media aborigeni
di Daniela Bandelli
Dall’intrattenimento ai servizi educativi che insegnano ai bambini a leggere e scrivere, dai
notiziari allo sport, dai consigli per un’alimentazione sana agli spazi musicali… Questo e
molto altro nelle 160 realtà - tra radio comunitarie, tv, carta stampata e web - nate in
Australia per dare voce ai primi abitanti del continente: un gruppo “minore” solo nei numeri.
Danno le notizie con una prospettiva differente da quella cosiddetta mainstream, riflettendo gli
interessi della gente comune.
Incoraggiano gli adolescenti a
rischio a riscoprire saperi in parte
dimenticati nel corso delle generazioni. Lanciano artisti in
erba che l’industria musicale non si prende la briga di
andare a cercare nelle comunità più remote. Si tratta dei
media della popolazione aborigena d’Australia, una realtà
fatta soprattutto di radio comunitarie, ma anche di televisioni, carta stampata e web.
I telegrafi della prateria
La storia degli “indigenous media” viene fatta iniziare con
Radio Caama, che nel 1980 debutta trasmettendo da Alice
Springs. Nell’82 è la volta delle prime tv, Ernabella, nel
South Australia, e Yuendumu, nel Northern Territory. Da
allora, grazie anche a un piano governativo per la diffusione radiotelevisiva nelle comunità remote, ma soprattutto al lavoro delle associazioni a sostegno dei media
comunitari e a tanto volontariato, il settore si è sviluppato
fino alle circa 160 realtà oggi presenti in tutto il continente. A sintonizzarsi su queste emittenti sono giovani,
adulti, anziani, gente di città e chi abita in mezzo al
deserto. Sebbene i primi australiani restino il pubblico
principale, una ricerca della Griffith University coordinata
da Michael Meadows mostra che questi canali hanno i
propri fan anche nel resto della popolazione. Persone che
vogliono conoscere un punto di vista alternativo sui fatti
di cronaca che coinvolgono i vicini di casa aborigeni o
semplicemente ascoltare la loro musica, che spazia dal
country all’hip-hop.
Funzione fondamentale dei cosiddetti “telegrafi del bush”
è veicolare informazioni di pubblica utilità che non si tro16
vano altrove: dall’apertura dei servizi sociali all’annuncio
dei funerali, eventi purtroppo all’ordine del giorno tra le
famiglie indigene. Non perché gli aborigeni australiani
siano particolarmente in là con l’età. Ma perché, al contrario, la loro vita dura in media 18 anni in meno. Infarti,
malattie del fegato, diabete e lesioni intenzionali sono le
principali cause di morte per la fascia compresa tra i 35 e
i 54 anni di età, in cui il gap tra il tasso di mortalità di
indigeni e non indigeni si fa più evidente. Inoltre, tra i
primi, il tasso di suicidi sul totale dei decessi è quasi tre
volte più alto.
Giovani e tradizione
Tuttavia non è la cronaca nera a monopolizzare i palinsesti dei media aborigeni, che invece offrono programmi a
tutto campo: dall’intrattenimento ai servizi educativi che
insegnano ai bambini a leggere e scrivere, dai notiziari allo
sport, dai consigli per un’alimentazione sana agli spazi
musicali. Il tutto con un alto grado di interattività, che li
rende un punto di riferimento nella vita comunitaria e
canali utilizzati contemporaneamente per ricevere informazioni e trovare ascolto. Ciò avviene ad esempio in
Walkabout Talkabout, programma condotto da Lloyd
Wyles sulle frequenze di 4K1G, prima radio aborigena del
Queensland, nata nel ‘72 e da qualche anno accessibile in
tutto il mondo sul web. Da lunedì a venerdì dalle 13 alle
14 musica, notizie, interviste e telefonate si intervallano
offrendo agli ascoltatori la possibilità di esprimere i propri
pensieri e commentare i fatti del giorno.
Nei “messagestick del terzo millennio”, il confine tra chi
fornisce l’informazione e chi la riceve si fa permeabile.
Tant’è che, come puntualizza Rita Cattoni, manager di
Ictv, primo network televisivo nazionale aborigeno, comunità e staff semplicemente coincidono. Consultando gli
anziani, lo staff di Ictv filma cerimonie, canti, danze e sto-
rie, produce documentari che tramandano le proprietà
delle piante medicinali, l’abilità di riconoscere le orme
degli animali nel bush o le tecniche di pittura. Conoscenze
che sono state messe a dura prova prima dalla depredazione delle terre, poi dalle politiche di assimilazione, dal
divieto di praticare la propria cultura, dall’allontanamento
forzato dei bambini dalle famiglie di origine, e infine dall’assistenzialismo che ha sconvolto i ruoli di genere.
Destinatari chiave di questi programmi sono i giovani, i
quali, in parte perché si ritrovano senza una cultura di
riferimento, corrono il rischio di rovinarsi sniffando benzina e di perdersi in circoli viziosi di violenza domestica,
affidi, criminalità e carcere. In più, trasmettendo nelle lingue locali, le emittenti comunitarie come Ictv, contribuiQui sotto: un aborigeno impegnato in una danza tradizionale; la
sede di una radio indigena; il bush australiano. Nella pagina
successiva: la redazione di una radio che trasmette in lingua
locale, contribuendo a tutelare un patrimonio che si sta perdendo:
delle 250 lingue originarie, oggi ne sopravvivono 145
Voci dal sud
scono alla battaglia per salvare un patrimonio che si sta
perdendo. Secondo un’indagine condotta nel 2005
dall’Australian Institute of Aboriginal and Torres Strait
Islander insieme alla Federation of Aboriginal and Torres
Strait Islander Languages, delle 250 lingue presenti in origine oggi ne sopravvivono 145. Di queste, 110 sono in
grave pericolo di estinzione perché parlate da piccoli
gruppi di persone sopra i 40 anni.
Informazione alternativa
Altra funzione fondamentale di questi media è fornire
un’informazione alternativa. Come? Evitando semplificazioni, cercando di andare oltre il fatto in se stesso, spiegandone le cause, parlando dei problemi collegati e individuando possibili soluzioni. In altre parole, cambiando prospettiva, abbandonando quella dei media generalisti che
spesso presentano la popolazione indigena come un problema.
Anche i criteri nella selezione delle notizie sono diversi.
Michael Stewart, giornalista del National indigenous radio
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I media aborigeni incoraggiano gli adolescenti a rischio a riscoprire saperi in parte
dimenticati; e lanciano artisti in erba che l’industria musicale ignora
service (Nirs), dove si produce un notiziario quotidiano a
copertura nazionale, spiega che la redazione sceglie di
non riportare i crimini minori perché spesso hanno rilevanza locale e non interessano gli ascoltatori di altre aree.
Infine la differenza può stare semplicemente nella scelta
del giornalista di intervistare un membro della comunità
in cui accade un fatto di cronaca, anziché limitarsi alla
sola dichiarazione di un giudice o di un poliziotto. Un
concetto, quello di dare voce alla componente indigena
della società, che viene insegnato alla squadra di
Indigenous Voice. Si tratta di un progetto avviato
dall’Università del Queensland nel 2009 con lo scopo di
attrarre studenti aborigeni nella scuola di giornalismo e
comunicazione, e insegnare loro le competenze necessarie
per inserirsi nel mondo dei media.
Considerare i gruppi minoritari fonti di informazione,
anziché dei senza voce, va di pari passo con quanto suggerisce la giornalista Diana Plater in un articolo sulla rivista Aboriginal Justice Issues: uscire dai cliché dell’aborigeno alcolizzato, vittima o criminale, per sostituirli con un
più reale quadro fatto di elettori, madri, padri, studenti e
avvocati. Insomma, persone con una propria individualità.
Che in quanto discendenti di un popolo indigeno hanno il
diritto, sancito dalla Dichiarazione Onu adottata nel 2007,
di comunicare nelle lingue d’origine attraverso i propri
media.
Per saperne di più
4K1G Radio http://www.4k1g.org/
Caama http://caama.com.au/
Ictv http://www.ictv.net.au/
Indigenous Voice http://www.indigenousvoice.com.au/
Koori Mail http://www.koorimail.com/
Nirs http://www.nirs.org.au/
Redazioni indigene delle due radiotelevisioni pubbliche:
Abc http://www.abc.net.au/indigenous/
http://www.abc.net.au/tv/messagestick/
Sbs http://www.sbs.com.au/yourlanguage/aboriginal
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