Popoli dell`Italia antica

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Popoli dell`Italia antica
Popoli dell'Italia antica
Col nome di popoli dell'Italia antica o, comunemente popolazioni italiche s'intendono le comunità che
abitarono la penisola italiana prima dell'ascesa di Roma.
Queste popolazioni non sono proprio tutte collegate linguisticamente o geneticamente in modo stretto.
Alcune di loro parlavano lingue italiche (per cui di esse si può effettivamente parlare come di popolazioni
italiche), altre erano genti colonizzatrici di lingua greca, mentre altre appartenevano ad altri rami indoeuropei,
oppure non erano affatto indoeuropei. La classificazione di un certo numero di queste etnie è sconosciuta o
non chiarita. A causa della forte influenza che gli etruschi ebbero su tutti gli antichi popoli italici, spesso si
parla di "civiltà etrusco-italica". Il celebre studioso italiano G. Devoto ha affermato la tesi che le varietà
indoeuropee che confluirono in Italia sono "infinite".
La posizione geografica dell'Italia, distesa nel mar Mediterraneo, ne favorisce i rapporti con le regioni
circostanti e contemporaneamente la sua natura prevalentemente montuosa tende a separare e isolare le
popolazioni nelle varie regioni geografiche.
Le culture protostoriche dell'età del ferro
L'Italia era già abitata dalla preistoria da popolazioni neolitiche. Contemporaneamente alla diffusione
della lavorazione dei metalli, migrarono in Italia nuove popolazioni organizzate in società patriarcali e
guerriere parlanti lingue indoeuropee. Le migrazioni di popolazioni indoeuropee in Italia, provenienti
principalmente da nord delle Alpi, si possono suddividere in linea di massima in quattro ondate
Una ondata migratoria indoeuropea si ebbe probabilmente intorno alla metà del III millennio a.C., ad
opera di popolazioni che importarono la lavorazione del rame. Caratteristiche di questo periodo sono le
statue stele (o statue menhir) nelle quali sono spesso scolpite armi e simboli solari, apparentemente segni
distintivi indoeuropei..
Una seconda ondata fra la fine del III e gli inizi del II millennio a.C. portò alla diffusione dell e
popolazioni del bicchiere campaniforme e del bronzo nella pianura padana, in Toscana e nelle zone costiere
di Sardegna e Sicilia.
Alla metà del II millennio a.C., una terza ondata associata alla civiltà delle terramare (e forse ai Latino falisci) introdusse l'uso del ferro e dell'incinerazione dei defunti.
Fra la fine del II millennio e la prima metà del I millennio a.C. avvenne la quarta ondata, quella dei
campi di urne che si diffondono in larga parte della penisola, dalle Alpi alla Sicilia orientale. I n Italia della
cultura dei campi di urne si possono riconoscere almeno due filoni, quello Proto-Villanoviano (Proto-Italico)
nel Nord-Est e in parte del Centro e del Sud e quello Canegratese - Golasecchiano (Proto-Celtico) diffusosi
nel Nord-Ovest.
A partire dal 900 a.C. circa la cultura protovillanoviana si suddivise a sua volta in differenti facies
regionali che daranno origine alle "nazioni italiche"; fra le più importanti vi sono la cultura Atestina (Proto Veneti), Laziale (Latini), Villanoviana (forse Etruschi), Sicula (Siculi) etc.. Per quanto riguarda invece la
cultura di Golasecca è stato proposto che sia da collegare alla popolazione proto -celtica dei Leponti o
Leponzi.
Per una certa affinità etnico-linguistica, si è soliti considerare sia i Latino-falisci che gli Osco-Umbri
come appartenenti allo stesso ramo "italico" della migrazione indoeuropea. Questi due gruppi di popolazioni
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diffusero le lingue italiche come l'osco, i dialetti sabellici, l'umbro, il latino, il siculo ecc. Secondo alcune fonti,
gli Etruschi, provenienti verosimilmente dall'Asia Minore, sarebbero invece giunti intorno al 900 a.C.
nell'odierna Toscana, già abitata dagli Umbri, quando i Protolatini già abitavano la penisola.
Le popolazioni indoeuropee (o arie) giunte nella penisola si sarebbero sovrapposte a quelle più
antiche, di origine neolitica, oppure si mescolarono ad esse, dando origine ai gruppi Osco -Umbri, ai Latini e
loro affini, ai Siculi in Sicilia.
Le antiche popolazioni dell'Italia nel loro complesso si possono classificare in:
• Preindoeuropee o di origine dubbia (di queste popolazioni alcune sono preindoeuropee, di altre si
hanno informazioni scarse o nulle riguardo alla loro lingua e religione) :
Etruschi, Liguri, Euganei, Reti, Piceni settentrionali, Camuni, Elimi, Sicani, Sardi (divisi in Iolei e Balari,
quest'ultimi forse indoeuropei), Corsi.
• Indoeuropei italici (Latino-Falisci e Osco-Umbri) (Di queste popolazioni si hanno abbondanti
informazioni riguardo alla natura indoeuropea della loro lingua e religione) :
Latini (compresi i Falisci), Siculi, Ausoni-Aurunci, Opici, Enotri, Itali, Sabini, Piceni, Umbri, Sanniti
(Carricini, Pentri, Caudini e Irpini), Osci, Lucani (tra i quali gli Ursentini), Bruzi, Sabelli adriatici (Marsi,
Peligni, Marrucini, Frentani, Pretuzi, Vestini), Sabelli tirrenici (Ernici, Equi, Volsci).
• Altri indoeuropei:
Gli illirici Iapigi o Apuli (suddivisi in Messapi, Peucezi e Dauni), i Veneti (probabilmente affini ai
Protolatini, quindi Italici), i Rutuli (anch'essi di origine ignota), i Celti (Boi, Cenomani, Senoni, Orobi, Leponti,
Carni, ecc.), i coloni Greci della Magna Grecia (Italioti), Sicelioti.
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Dialetti italici
Con il nome Italia, inizialmente veniva indicata solo la Calabria; nel III sec. a.C. l’Italia coi ncideva con
la parte a sud dei fiumi Magra e Rubicone; nel 49 a.C., divenuta romana anche la Gallia Cisalpina, fu
considerata Italia anche il Nord, mentre Sicilia e Sardegna furono unite all’ltalia solo nel III sec. d.C. con la
riforma di Diocleziano.
La preistoria si protrasse in Italia più a lungo che nelle zone orientali. I primi documenti di civiltà in
possesso degli storici risalgono al II millennio a. C. La vera e propria età storica vi ebbe inizio soltanto
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nell’VIII sec. a.C., ai tempi della colonizzazione greca in Italia meridionale e della fioritura della civiltà
etrusca.
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Popolazioni italiche
Tra l’VIII e il IV sec. a.C. si stanziarono in Italia anche popolazioni indoeuropee, ricordate come Italici.
Le colonie greche, intomo al Vl sec. a.C., scatenarono feroci lotte per la supremazia.
La civiltà etrusca fu indipendente per quattro secoli e sviluppò una cultura di elevato livello, anche
rielaborando gli apporti della Grecia e dell’Oriente. La loro espansione li portò a scontrarsi con i Greci e con i
Romani a sud e con i Galli a nord. Con progressive annessioni di città, I’Etruria venne incorporata nei
possedimenti romani.
Le prime comunità umane in Italia risalgono al tardo Paleolitico. Gradualmente si passò dalla caccia e
dalla raccolta alla coltivazione del terreno e quindi a forme stabili di insediamento. Nella seconda metà del III
millennio a.C. si cominciò a lavorare il rame.
Agli inizi del II millennio a.C. si formarono alcune civiltà al nord, intorno ai laghi lombardi; verso la metà
del II millennio si diffuse la civiltà detta delle “terramare”, dai depositi di terre grasse rinvenuti
archeologicamente (terra marna, terra grassa), nelle zone di Modena e Piacenza. La civiltà più progredita, la
villanoviana, comparve alla fine del II millennio a.C.; dalla zona di Bologna si spinse verso sud fino al Piceno,
costruendo villaggi di capanne.
Dal XIV sec. a.C. si era diffusa una popolazione di pastori semi nomadi, lungo la dorsale
dell’Appennino centrale, da cui il nome di civiltà “appenninica”. Iniziò poi la penetrazio ne di popolazioni
indoeuropee dell’Europa centro-orientale che spinsero a sud le popolazioni già esistenti. Gli Italici si
insediarono nella parte centro-sud della penisola, costringendo i siculi a emigrare in Sicilia. Con il nome Italici
i romani indicarono poi le popolazioni non latine, assoggettate nella penisola con una serie di guerre che
caratterizzarono la fase più antica della loro storia.
Durante le guerre puniche gli Italici si federarono con Roma e, dopo la vittoria, parte di essi ebbe
riconosciuta la cittadinanza. Se noi consideriamo l’Italia preromana, durante l’VIII sec. a.C., prescindendo
dalle colonizzazioni greca e fenicia - punica, tralasciando i Sardi, popolazione rigorosamente insulare ed
isolata, troviamo nella penisola cinque ceppi:
Ø Italici propriamente detti, ossia il gruppo latino - osco - umbro - sabellico (sabino e sannita);
Ø i Galli cisalpini;
Ø gli Etruschi;
Ø i Liguri che costituivano una popolazione insediata non solo nella Liguria attuale e nel Piemonte
meridionale, ma anche in vaste aree della Provenza e (sembra) dell’Aquitania;
Ø i Veneti.
In questo periodo, mentre l’Italia meridionale veniva colonizzata dai Greci, si sviluppava al centronord
la civiltà etrusca. Nel mondo peninsulare si inseriscono così le migrazioni e gli stanziamenti dei greci e degli
Etruschi; nelle isole tirreniche si avranno gli stanziamenti fenici; l’Italia settentrionale più tardi verrà aperta
alla immigrazione di popolazoini celtiche transalpine. Però, viste nel loro complesso, queste aree, nel la
matura età del ferro, sono lontane dal poter essere considerate un mondo unitario, sotto qualsiasi angolo
visuale. Dati i risultati delle più recenti ricerche storiche, si può ritenere completamente fuori dubbio che, dal
punto di vista etnografico, la penisola fosse abitata da popolazioni che non solo non erano in grado di
comprendersi fra loro per la diversità del linguaggio, ma erano escluse da ogni possibilità di vera
collaborazione e di scambi fruttuosi, perché gli abitanti si trovavano a livelli cos ì diversi nello sviluppo
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economico e intelletuale e, quindi, nella stessa vita sociale, da non essere in molti casi realizzabile un
rapporto di scambio, perché mancava la possibilità di intesa su comuni interessi.
La realtà dell’Italia protostorica è la totale mancanza di spirito unitario, l’assenza di legami fra le
singole comunità che formavano la geografia etnografica della penisola, legami che mancano tanto nei
rapporti tra loro, quanto nei rapporti con le supposte “metropoli” o luoghi di provenienza. Il rapporto che fu
caratteristico della colonizzazione greca clasisca tra la comunità “coloniale” e la madrepatria, manca in Italia,
poiché i nuovi arrivati non avevano alle loro spalle un ambiente così forte e prestigioso da poter reclamare
una supremazia anche a distanza. D’altra parte, il caso della confederazione latina e la possibilità di una
confederazione apula nella penisola, rientrano ancora negli esempi di vincoli fra popolazioni viventi in un
ambito strettamente regionale: esempi cioè che non contraddicono la caratteristica fondamemntale della
condizione di quell’ambiente umano, cioè il completo isolamento e la scarsa possibilità /e volontà) di
comunicazione fra gli abitanti di aree finitime.
I Veneti
Sembra che i Veneti si siano distinti dagli altri Indoeuropei in qualche punto dell’Europa centrale. Da
qui, questa popolazione sarebbe migrata in tre direzioni diverse, scindendosi in tre gruppi: uno di essi
avrebbe occupato il nord - est della penisola italiana o se vogliamo la parte orientale della Gallia cisalpina-,
uno si sarebbe diretto ad ovest, verso la Gallia, mescolandosi con le popolazioni celtiche, ed un terzo si
sarebbe diretto ad est fondendosi con i Baltici e con gli Slavi. La migrazione di questo terzo gruppo sarebbe
attestata dalla presenza di una serie di toponimi molto simili nella Gallia di nord ovest ed in quella che è
l’attuale Polonia,.
I Veneti occidentali si sarebbero insediati sull’estuario della Loira, divenendo una popolazione
integrata con le circostanti tribù galliche, ma che manteneva propri caratteri distintivi. Cesare entrò in
contatto con loro durante la conquista della Gallia, e nel De Bello Gallico ha descritto questi Veneti
occidentali o Vendi come una popolazione fiera, combattiva, gelosa delle proprie tradizioni, ed ottimi marinai.
Nella sua opera Cesare segnala anche che per ormeggiare le navi essi usavano, invece di una pietra legata
ad una fune come era di uso comune a quel tempo, un ferro di forma apposita; precursore dell’ancora. Nei
secoli, essi hanno mantenuto caratteristiche che li hanno distinti dagli altri Galli prima, dagli altri Francesi poi.
Celti e Veneti si sono variamente incontrati e mescolati sia sulla sponda atlantica della Gallia sia nell’area
compresa tra l’arco alpino, il Mincio ed il Po. Erano fin dall’inizio con ogni probabilità popolazioni molto affini,
rimaste fedeli per così dire al “tipo base” dell’uomo indoeuropeo e che non avevano dif ficoltà ad integrarsi;
ma sulla presenza celtica in quella che fu la Venezia Giulia, dalle foci dell’Isonzo al Carso triestino, ai territori
carsica e delle Prealpi Giulie dall’Isontino fino all’Istria è caratterizzata dalla presenza di alcune tipiche
fortificazioni protostoriche fatte di muri a secco (simili a dei piccoli nuraghi) che sono dette castellieri. Stando
alle ricerche più recenti, i castellieri sarebbero appunto di origine celtica, e se questo è vero, allora la
presenza celtica in regione non si limita come finora si è perlopiù ritenuto, alla sola area carnica, ma si
spinge ben addentro nel territorio considerato istroveneto. Molto materiale di origine celtica è inoltre emerso
nel sito del santuario preromano di Zuglio, l’antica Julium Carnicum; si tratta prevalentemente dei resti di
armi, in particolare di lane di spada, che sembrano spezzate deliberatamente. Si ritiene che i guerrieri
sopravvissuti ad una campagna bellica usassero sacrificare agli dei la propria spada a titolo di ex voto.
Alcune delle spade ritrovate sono di fattura romana, e si pensa che venissero offerte anche le spade di preda
bellica, oppure che si trattasse di armi appartenute a Galli Carni che militavano come mercenari nell’esercito
romano.
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Gli Euganei
Anticamente, la valle compresa tra il Monte Rosso e il Monte delle Lonzina era notevolmente più
profonda di quanto lo sia adesso ed ospitava un’ampia palude. Si può risalire a questi dati dagli scavi svolti
nella zona, dal Museo Civico di Padova nel 1905, dai quali è emerso che le primitive popolazioni per rendere
l’ambiente idoneo allo stanziamento hanno creato la base per costruire le capanne con gettate di legname
nei punti più bassi, da ciò si può anche intuire che l’acquitrino non fosse molto profondo in quanto dagl i scavi
non sono state rinvenute tracce di palafitte. Il periodo che ha interessato questi stanziamenti è
presumibilmente l’eneolitico (3000 a.C. - 2000 a.C.). Le popolazioni utilizzavano vasi in terracotta, armi litiche
(selce scheggiata) e l’ambra come ornamento, sembra inoltre che si iniziasse, se pur in maniera limitata, a
lavorare il bronzo. Il reperto più importante emerso dagli scavi archeologici è stato una sottile assicella
rettangolare di legno alla cui estremità era aggiunta, mediante incastro, u n’appendice di forma ovoidale. Si
ipotizza che questo oggetto possa essere servito come idolo con sembianze umane. Il che sta a signi ficare
che queste antiche popolazioni incominciavano già a praticare un primissimo culto idolatra. Le caratteristiche
di questa popolazione, stanziata ai piedi delle valli abitate dai Reti, andarono in gran parte perdute per
andarono fondendosi con gli Indoeuropei. Fu così costituita la nuova comunità etnica e culturale dei
Paleoveneti, la popolazione che ebbe il suo centro nella località di Este e la sua maggiore espressione nella
civiltà atestina.
I Reti
Se si può supporre che, nel periodo protostorico, attorno ai rilievi alpini e collinari occidentali,
vivessero ancora popolazioni discendenti da una comune derivazione ligure, è altrettanto probabile che le
zone di montagna a oriente del lago di Como fossero completamente occupate dalle estreme propinaggini di
un’unità etnica a cui si dà il nome di Reti. Questa popolazione occupava tutto il territorio alpino dall’alta valle
del Reno, dell’odierna Austria, delle valli dell’Inn, dell’Isarco, e dell’Adige lungo tutto il corso di questo fiume,
sino allo sbocco in pianura nella regione di Verona, comprendendo anche le aree lombarde della Valtellina,
quelle miste del lago di Garda e anche l’area di Padova. I Reti furono certamente una popolazione giunta allo
stadio pastorale dopo essersi fermata a lungo in quella dei raccoglitori di cibo con prevalenza della caccia;
l’uso di offrire a una divinità femminile locale (Reitia) le corna dei cervi con iscrizioni votive, costituisce la
prova indiscutibile dell’importanza che avevano i prodotti della caccia nell’economia local e.
I Pedemontani
Cercare le radici della civiltà porta inevitabilmente a confrontarsi con le caratteristiche geogra fiche
della terra su cui si sviluppano. Gli antichi abitanti del Piemonte dovettero confrontarsi con paesaggi assai
diversi, adattandosi con l’evolversi della civiltà stessa. Prima cacciatori dell’antica età della pietra, poi
contadini sedentari del Neolitico, infine grandi tribù durante l’età dei metalli. Le colline del centro-sud, ricche
di aree boscose, furono sede dei primi insediamenti documentati: cacciatori di 150-100.000 anni fa,
nell’Astigiano e nella zona di Torino, quando ancora il Po non c’era. Questi primi abitanti furono soppiantati,
attorno al 5000 a.C., da gruppi di contadini, nacquero villaggi (Alba) e iniziano i primi comme rci. Il Piemonte,
simile a quello odierno, affonda le sue radici attorno al 1000 a.C., quando le diverse zone e tribù vengono in
contatto stabilmente e attraverso la regione iniziano a transitare le merci tra nord e sud Europa.
Fra tutte queste etnie celtiche e celtoliguri ci furono anche altre tribù che si stabilirono a nord del fiume
Po come gli Insubri, Cenomani e a sud i Boi, Senoni, Lingoni.
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Verso il IV secolo a.c. i Celti portarono, penetrando da oriente, forme culturali tipiche della seconda età
del ferro; essi entrarono in contatto con i Liguri, ora fondendosi ora conflittualmente. Tracce indirette indicano
che i Liguri occupavano quasi tutto il territorio piemontese ma, in seguito all’invasione gallica, i Liguri si
attestarono al di là della Dora Baltea ed a sud del Po. A nord sopravvissero così nuclei Liguri, mentre a sud
si infiltrarono nuclei Celti. Solo l’espansione gallica del secolo successivo conferisce al Piemonte una
maggiore omogeneità. Le attività montane favorirono i contatti con l’opposto versante alpino che
determinarono un sistema unitario nelle espressioni culturali. Nella pianura furono l’agricoltura e i fiumi che
svolsero un’importante funzione che determinò una più intensa concentrazione di insediamenti e una
maggiore vita culturale anche se i centri celto-liguri, pur se di rilievo, non erano che modesti e di carattere
difensivo e tutto il territorio piemontese appariva senza insediamenti con il carattere di città.
Il viaggiatore e geografo greco autore del famoso “Periplo di S ilace” (522-485 a.C.) attesta la presenza
di indigeni di lingua celtica insediati in Italia dell’Est già dal VI secolo. Questo trattato descrive le tribù
celtiche presenti sulla costa appena sotto gli insediamenti dei Veneti in una data che, considerando l e date
note della vita di Silace, deve aggirarsi attorno al 490 a.C. Da alcuni cenni imprecisi di storici classici come
Livio e Polibio si ha notizia del fatto che in Italia esistevano genti di stirpe celtica già molto prima delle grandi
migrazioni del V° e del IV° secolo a.C. Ciò è confermato anche da alcune tombe sparse e altri reperti della
prima Età del Ferro ritrovati sparsi un po’ ovunque in tutto l’arco alpino italiano, ma soprattutto è sottolineato
dalle ultime interpretazioni dei dati sulla cultura di Golasecca, certamente protoceltica e contemporanea a
quella di Hallstatt.
La civiltà di Golasecca
La civiltà di Golasecca è ritenuta la più antica traccia di popolazioni celtiche sul territorio italiano e
copre un periodo che va dal IX al IV secolo a.C. (la prima età del Ferro), e rappresenta dunque uno dei primi
ceppi celtici europei. Recentissimi ritrovamenti di alcune iscrizioni leponzie (lingua anche dei Golasecchiani e
degli Insubri, e non solo dei Leponzi) hanno definitivamente messo in luce l’origine celtica di Golasecca. La
tradizione storica riteneva che la cultura golasecchiana fosse assolutamente autoctona e che furono proprio i
Celti, 388 a.C., a causarne il decadimento e la scomparsa.
La cultura di Golasecca si sviluppò in un’area piuttosto contenuta, e delimitata a nord dallo spartiacque
alpino, a sud dal fiume Po a sud, ad est il fiume Serio, ad ovest dal fiume Sesia. Inizialmente concentrati in
zona pedemontana e poi dilagati in tutta l’area dei laghi, qui si svilupparono numerosi aggl omerati abitativi di
una cultura originale. Sulle colline delle Corneliane, al Monsorino e al Galliasco, nel territorio del comune di
Golasecca (VA), nei primi dell’800 furono ritrovati i primi reperti, che inizialmente vennero frettolosamente
interpretati come testimonianze di una battaglia tra Annibale e Scipione nel corso la Seconda guerra punica;
solo nel 1865 Gabriel de Mortillet corresse tale interpretazione, attribuendo i manufatti ad una civiltà
autonoma preromana. Le principali aree dei ritrovamenti della cultura di Golasecca sono situate lungo le
sponde lombarda e piemontese del Ticino e nei dintorni di Como e di Bellinzona, ma l’area interessata al suo
sviluppo coprono parte della Lombardia occidentale, del Piemonte, del Canton Ticino e della Val Mesolcina
nei Grigioni. Tutte le informazioni che abbiamo sui Golasecchiani derivano dalla grande quantità di tombe
ritrovate nella zona di Sesto Calende, Golasecca e Castelletto Ticino. In esse sono stati ritrovate urne chiuse
da una ciotola, da un ritaglio di cuoio o da un pezzo di legno entro cui erano riposte le ceneri dei defunti
cremati in pire erette nei pressi delle sepolture e costituite da legni di quercia, olmo, frassino e faggio. Le
indagini osteologiche hanno rivelato che le ossa da porre nella tomba venivano selezionate dal rogo funebre
per motivi probabimente rituali. La necropoli di Monsorino (la più nota) è databile tra la metà del VII e la metà
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VI secolo a.C.: le tombe più antiche erano a pozzetto o a fossa foderata di ciottoli, mentre quel le più recenti a
cassa di pietra. Nel sepolcro venivano posti diversi oggetti, espressione della posizione sociale e della
ricchezza del defunto. I cromlech, tumuli di terra circolari del diametro variabile fra i 3 e i 10 metri,
raggruppavano più di una tomba forse in base alla famiglia, al lignaggio o al ruolo sociale. Il cromlech era un
recinto esterno costituito da un cerchio di pietre spesso preceduto da un corridoio di accesso.
Si ritiene che i Golasecchiani avessero una struttura sociale gerarchica e divisa in villaggi, in
vicinanza dei quali si trovava anche la necropoli. Vivevano d’agricoltura e allevamento, tessevano i loro abiti
e producevano carne e formaggio. Per conservare il cibo si utilizzava il sale, che proveniva da Hallstatt, a 50
Km da Salisburgo (Austria). Nei siti Golasecchiani sono stati ritrovate suppellettili etrusche e greche, e ciò
rappresenta testimonianza del fatto che i Celti Golasecchiani erano dediti anche al commercio fungendo da
intermediari fra popoli mediterranei e i Celti del nord. Gli insediamenti sorgevano infatti in un’area chiave per i
rapporti tra Europa continentale e mediterranea, lungo i percorsi per i passi del San Bernardino, del Gottardo
e del Sempione. I Golasecchiani scambiavano olio, cereali, vino e carne sala ta con stagno, corallo e ambra:
tuttavia non ci è dato sapere se si trattasse di baratto o commercio. Nelle tombe sono stati rinvenuti anche
dazi o doni fatti ai capi locali dai commercianti stranieri. La produzione artigianale è testimoniata dal
vasellame modellato a mano o con il tornio lento nelle epoche più basse, e dagli oggetti di metallo eseguiti a
fusione o per laminatura, le cui decorazioni era
I Liguri
Allorché si costituiva il primo germe delle futura etnia dei Liguri, essi naturalmente non sapevano di
chiamarsi così. Ma, del resto, neanche dopo lo avrebbero saputo, perché questo nome venne loro attribuito
dai Greci prima (Liguses) e poi dai Romani (Ligures), formandolo probabilmente da una base linguistica
preindoeuropea “liga”, “luogo paludoso”, “acquitrino”, ancora viva nel francese “lie” e nel provenzale “lia”: e
questo perché il primo incontro fra i mercanti greci e gli indigeni sarebbe avvenuto proprio sulle coste
paludose delle foci del Rodano. La storia dei Liguri parte da molto lontano. L’Italia Settentrionale al tempo
dell’ultima grande glaciazione, quella di Wurm, era dovunque dominata dai ghiacci o inospital i distese gelate.
Dappertutto, tranne che lungo l’arco dell’attuale costa ligure, quasi un istmo fra penisola italica ed area
francoumani. Nel periodo di cui parliamo, esisteva un contatto diretto fra le coste atlantiche e la Liguria attuale,
abitata da una popolazione di cacciatori, la cui società era spiritualmente molto sviluppata: sia nelle grotte
atlantiche che ai Balzi Rossi sono stati trovati elementi (ad esempio, tacche incise su strumenti, ossa o
pareti) che fanno pensare addirittura ad un sistema di calcolo del tempo, delle stagioni e delle costellazioni. Il
dominio dei cacciatori durò per migliaia di anni e l’ultima sua fase, che contrassegna le estreme
manifestazioni della civiltà franco-cantabrica collegata all’uomo di Cro-Magnon, viene definita
“Epigravettiano” (dalla località di La Gravette, in Dordogna): una fase culturale che in Liguria durò più a
lungo, pervenendo, con diversi aspetti regionali, sino alle soglie del Neolitico.
Circa 18.000 anni fa il distacco dell’area ligure dalla vicina area francese viene ad approfondirsi. Finiti i
rigori e la presenza del ghiaccio, la valle del Rodano viene allargata e quindi resa impraticabile. Dove e rano i
ghiacci si distende una serie interminabile di paludi e questo provoca una rottura irrimediabile fra la zona
atlantica e quella italica. Coloro che rimasero nell’area ligure lasciarono le loro tracce un po’ dappertutto, fino
alla Toscana settentrionale.
L’apporto etnico successivo sarà quello dei popoli mediterranei ovvero dei portatori della civiltà
neolitica e quindi dell’agricoltura e della ceramica. Per quanto riguarda la Liguria, l’unica area in cui ci sono
prove archeologiche del manifestarsi della nuova cultura neolitica è quella di Finale Ligure, un’area
abbastanza ampia nell’attuale provincia di Savona. Nelle grotte di Finale la civiltà agricola lascia le prime
tracce del lavoro dei campi e della ceramica. Ma gli scheletri ritrovati hanno ca ratteristiche che ricordano le
precedenti popolazioni dei cacciatori, il che significa che avvenne un incontro tutto sommato pacifico
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Il Neolitico non incise profondamente in quell’antica società, almeno fino a che non si sottentrò nella
successiva età dei metalli. Si pensava in un primo tempo che la Liguria fosse una regione povera di minerali,
poi si è scoperto che nell’entroterra fra Chiavari e Sestri Levante esisteva una miniera di rame, a Libiola,
sfruttata sin da epoca remotissima: analisi al carbonio 14 hanno dimostrato che vi si estraeva il metallo già
4500 anni fa. E la futura città di Chiavari nascerà come primo centro abitato sulle coste della Liguria proprio
grazie alla presenza di questa miniera, dal momento che il rame vi veniva esportato tram ite un approdo
marittimo. Analizzando il territorio ligure si capisce anche il carattere della popolazione. La gente ligure è
stata sempre ritenuta chiusa, inospitale, difficile. I Romani la ritenevano “dura e agreste”. Tuttavia questa
regione ha subito anche infiltrazioni lente e pacifiche di altre genti. All’inizio dell’età del Bronzo, dalle Alpi
settentrionali si riversarono popolazioni che possiamo riconnettere con il mondo dei “campi d’urne”, vale a
dire col crogiolo delle popolazioni indoeuropee che in parte popoleranno l’Italia. I Latini traggono origini da lì
e così i Veneti e tante altre popolazioni italiche. In quest’epoca è ancora dif ficile distinguere i popoli italiani
da quelli celtici.
Le sorti storiche della popolazione ligure furono certamente diverse per i vari gruppi etnici distinti dalle
diverse denominazioni, poiché in alcune località sono rimasti nomi che hanno un carattere non indoeuropeo,
mentre in altre si possono distinguere due stratificazioni linguistiche, una preindoeuropea e l’altra
indoeuropea. A settenrione degli Appennini sono tuttora in uso i termini propri della vita pastorale e di quella
agricola, mentre appartengono a un’altra fase dello sviluppo del linguaggio tutti i termini inerenti ad altre
forme di vita e di tecnica. Anche sulle rive del mare, la regione ligure rimase lungamente isolata dal resto del
mondo, con minimi contatti con il mezzogiorno della penisola e con le isole mediterranee. L’utilizzazione della
costa e delle sue frastagliature come approdo a scopo mercantile, e quindi lo sviluppo dei maggiori centri
costieri e portuali, tra cui Genova, non risalgono certamente a un periodo molto antico. La Liguria storica,
quella conosciuta come tale dai Romani, aveva indubbiamente sulla costa e nei suoi porti i suoi cent ri più
importanti, e proprio qui era più evidente la fusione fra i Paleoliguri e gli Indoeuropei, da cui nacque quella
nuova civiltà ligure che ripete soltanto in parte le caratteristiche della maniera di vivere testimoniata da oltre
quarantamila figurazioni graffite sulle pareti e sulle lastre rocciose nella zona di monte Bego, dalle stele
antropomorfe della Val di Magra e, forse, dalle incisioni rupestri della valle Camonica e dalle numerose
testimonianze dell’uso di contrassegnare i sepolcreti con stele, sopravvissuto lungamente nell’alta valle
dell’Adige e nella zona di Bologna. Le tracce di popolazioni ritenute liguri a nord degli Appennini o nella zona
toscana settentrionale sono state così visibilmente alterate dalle successive espansioni di altre pop olazioni - i
Celti in Piemonte e in Lombardia, in età più recente, e gli Etruschi in periodo protostorico - che è difficile
definire i limiti dell’originaria area d’occupazione e rilevare le più antiche caratteristiche delle popolazioni
liguri. Per quanto riguarda invece l’Italia settentrionale e l’alta e media pianura padana, si deve ritenere che
la regione rimase in condizioni di vita estremamente arretrate sino a quando non si stabilirono regolari
comunicazioni con i paesi transalpini.
I Salassi
Sull’origine dei Salassi le ipotesi sono diverse: una afferma che i Salassi fossero una tribù celtica
stanziata in una zona dell’Europa Centrale e parte della cultura di Hallstatt , che per un aumento della
popolazione locale, si staccò dal sito originario seguendo l’antica via del sale e valicando i passi alpini giunse
ad insediarsi nel Mediterraneo. Successivamente si insediarono nell’attuale Valle d’Aosta e Canavese,
sovrapponendosi ai gruppi etnici che già popolavano quelle terre. Un’altra ipotesi attribuisc e l’origine dei
Salassi come discendenti del mitico Ercole, al cui seguito Cordelo figlio di Statielo, discendente dalla stirpe di
Saturno si sarebbe insediato nella Valle a capo dei Salassi, antico popolo della Gallia Transpadana, dove
fondò appunto la leggendaria città di Cordela, dal nome del suo fondatore. Secondo la documentazione di
molti storici, si può affermare che il popolo Salasso dominava tutto l’alto Canavese e la Valle d’Aosta, dove
transitavano già altre tribù Celtiche. Nel processo di romanizzazione del territorio, il primo scontro con i
Salassi avvenne nel 143 a.C. sotto il consolato di Appio Claudio, ma i romani subirono una grande scon fitta
con la perdita di 5000 uomini. Lo scontro che si svolse secondo la tradizione, tra Verolengo e Brand izzo e
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lascia chiaramente intuire fino a dove si spingeva il territorio Salasso. Purtroppo seguirono altre battaglie e
non a favore dei Salassi, i quali spinti dalla penetrazione romana si rifugiarono nelle valli e alture montane
anche se dalla battaglia con Appio Claudio la Valle d’Aosta rimase ancora per più di un secolo in mano ai
Salassi. Il fatto che i Salassi si siano dimostrati dei nemici irriducibili, pronti alla riscossa dopo ogni scon fitta
subita, va ad onore e vanto di un popolo fiero e indomito, che fu piegato solo con l’inganno e il tradimento.
Per comprendere quali fossero le loro caratteristiche fisiche e sociali ed il territorio nel quale vivevano,
dobbiamo prendere come riferimento quello che ci riportano gli storici. Questo ci racconta Stra bone sul loro
territorio: “Attraverso il territorio dei Salassi, ci sono rupi e dirupi smisurati, che ora incombono sulla strada,
ora si spalancano al di sotto, di che anche un piccolo passo falso è il pericolo è inevitabile, perché la caduta
avviene su precipizi di profondità abissale. Lì poi la strada è, in certi tratti, cosi’ stretta da causare le vertigini
a coloro che la percorrono a piedi e alle stesse bestie da soma che non vi siano avvezze: quelle del posto,
invece, trasportano i loro carichi con sicurezza.” Ecco cosa ci dice Diodoro Siculo sulla vita nel loro territorio:
“I Salassi abitano una terra aspra e del tutto povera, conducono una vita dura. Essendo infatti il territorio
selvoso, alcuni di essi portano possenti e pesanti scuri, tagliano la l egna per tutta la giornata, lavorano la
terra, spaccano pietre, causa l’eccessiva asprezza del terreno: non sollevano infatti nessuna zolla senza
pietrame. E, tuttavia, pur incontrando una tal sofferenza nelle loro attività, riescono a domare la natura con la
loro costanza e sopportando molte fatiche, colgono a stento rari frutti. A condividere siffatta fatica hanno
come compagne le donne, abituate a lavorare alla pari degli uomini. Compiono poi frequenti battute di caccia
nelle quali, mettendo mano su molte fiere, compensano la povertà che viene dai frutti. Poiché appunto,
vivono sui monti e sono abituati ad affrontare asperità incredibili, diventano forti e muscolosi nel corpo. In
questi luoghi le donne hanno la forza e l’audacia degli uomini, gli uomini di fiere. Hanno poi un armatura più
leggera di quella dei romani, li protegge infatti uno scudo oblungo, conforme all’uso gallico, e la tunica è
fermata da una cintura e si cingono di pelli di fiere e hanno una spada di media lunghezza. Sono forti e
audaci non solo per la guerra, ma anche nei confronti delle difficoltà che, nella vita, presentano asprezze.”
Scrive di loro Ammiano Marcellino: “Quasi tutti i galli sono di statura piuttosto alta,bianchi di carnagione e
fulvi di capelli,terribili per la fierezza dello sguardo, bramosi di risse e di un’insolenza eccessiva”. Così
l’audacia dei Salassi nei confronti dei romani viene sottolineata e non solo da Ammiano Marcellino, ma anche
da Dione Cassio e da Appiano. Continua Ammiano dicendo:”La voce della maggior p arte di costoro, è
terribile e minacciosa, siano essi tranquilli o adirati;tutti,poi,curano con perfetta e uguale diligenza l’igiene del
corpo. Ogni età è perfettamente idonea all’arte delle armi e il vecchio va al combattimento con coraggio
uguale a chi è nel fiore degli anni.” Per quanto riguarda la vita sociale, l’organizzazione e il costume doveva
essere quello comune nella società celtica. Vi era un rapporto decisamente paritario, uomo/donna all’interno
della società, infatti Cesare nel “De Bello Gallico” cita che, nel matrimonio quando un uomo prendeva una
donna in moglie, era obbligato a pagare lo stesso prezzo che la sposa aveva portato a lui e dopo aver messo
il patrimonio in comune, esso veniva amministrato da tutti e due i coniugi. Se uno dei due coniugi moriva,
l’altro riprendeva dal capitale messo in comune solo la sua parte, mentre il resto andava alla famiglia del
defunto. A differenza dell’uso romano, la donna dopo il matrimonio non entrava a far parte della famiglia del
marito con i propri beni, essa ne rimaneva la proprietaria. Il matrimonio era un contratto sociale e non
religioso, nel quale due persone erano libere di decidere di separarsi. Per quanto concerne l’abbigliamento,
gli autori antichi scrivevano che indossavano le bracce, dei pantaloni che ritroviamo anche presso altre
popolazioni dell’Europa Orientale. Questi come le vesti e le stoffe in genere erano in lino, canapa, lana,
colorati e decorati in modo vivace, a quadri o a striscie di dimensioni variabili. Un altro aspetto molto
importante, era quello religioso, che vedeva la sua più grande manifestazione nella natura e nei suoi ritmi. Un
popolo animista per eccellenza, proprio per la condotta di vita in armonia con l’elemento naturale, che ne
forgiava la mentalità e il modo di porsi nei confronti del mondo esterno. Essi avevano un pantheon religioso
molto articolato che potrebbe far sì, che si pensi a loro come politeisti, mentre invece la loro unicità nel
concetto del divino, veniva manifestata nelle diverse forme naturali e sovrannaturali. Ma purtroppo tutto
questo mondo semplice e profondo al tempo stesso era destinato a finire con l’avvento dell’Imperialismo
Romano; a rendere più comprensivo il concetto ecco cosa esprime Calcago, capo dei Caledoni a proposito di
Roma e dei Romani: “predatori del mondo intero, poiché non trovano più terre da devastare,
implacabilmente, si mettono ad esplorare il mare. Se i nemici sono ricchi sfogano la loro avidità, se poveri la
loro vanità: a saziarli non bastano ne l’Oriente ne l’Occidente. Soli tra tutti con uguale ardore bramano
ricchezze e miseria. Distruggere, trucidare, rubare: questo con falso nome chiamano impero, e quando fanno
il deserto, lo chiamano pace.”
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Gli Umbro-Sabelli
A sud delle regioni abitate dell’Appennino tosco-emiliano, si trovano larghe estensioni di terre, in parte
montane e in parte pianeggianti, le quali molto probabilmente comprendevano anche l’odierna Toscana,
prima che in quest’area si insediassero nuove popolazioni. Anche qui la situazione ha qualche analogia, nel la
protostoria e prima degli Etruschi e dei Greci, con quella del paese dei Liguri, poiché in questo caso, con
migliore documentazione, si trova un complesso di popolazioni che certamente hanno avuto qualche af finità
nelle loro origini e nel linguaggio, e vengono talvolta indicati come Umbri, o Umbri-Sabelli, o anche Italici
orientali. Che si tratti di un complesso di popoli di origine comune, e quindi fra loro “parenti”, sembrerebbe
sicuro, e del resto è confermato dalla tradizione classica: ma le informazioni sono così scarse che non è
neppure possibile dare un nome comune a tutti, come si è fatto nel caso dei vari gruppi che costituiscono il
complesso ligure e pedemontano.
La gens lucana
Come ceppo originario la gens lucana discendeva dall’antica popolazione italica dei sanniti che in
secoli più remoti occupava una vasta regione a Sud del Lazio comprendente vasti e generici territori che poi,
nel corso dei secoli, assumeranno una sempre più precisa identità toponomastica. In questo periodo delle
origin
quella greca, che aveva colonizzato soprattutto le coste dello Ionio, costituendo la Magna Grecia; in secondo
luogo da quella fenicia, proveniente dall’attuale Siria, che aveva colonizzato parte delle coste siciliane e
soprattutto quelle sarde; ed infine dal’indigena civiltà etrusca. E’ l’epoca in cui Roma non è ancora diventata
quella potenza economica e culturale che la renderà non solo famosa in tu tto il mondo ma anche matrice
originaria dei futuri destini delle attuali nazioni. E’ il periodo in cui i popoli sannitici erano probabilmente
accomunati da un identico culto religioso di origine italica e senz’altro da un’unica lingua, l’osco -umbro, che
si parlava, con varie sfumature dialettali, in tutto il Centro-Sud e le cui tracce fonetiche sono ancora oggi
presenti nei dialetti meridionali. L’oscoumbro era una lingua di origine indo -europea, giunta probabilmente in
Italia dai Balcani. Ed è secondo alcuni autori proprio da una popolazione di queste terre, e precisamente dai
Lyki provenienti dall’Anatolia, che ha avuto origine il primo, remoto ceppo lucano. La tesi più diffusa vuole,
comunque, che dei lucani propriamente detti la storia antica ne parlerà solo a partire dall’ VIII - VII sec. a.C.
quando, come già detto, avendo i Greci occupato le coste tirreniche ed ioniche cominceranno a porre come
modello, alla nascente popolazione lucana, la loro struttura socioeconomica, culturale e religiosa. La
presente tesi però non è l’unica e, per quanto sia la più diffusa, forse non è neanche la più accreditata. Un
altro indirizzo di pensiero non vede nella protostoria lucana unicamente, e in forma dominante, prima il
riferimento al modello greco e successivamente, tra il VI e il V sec. a.C., l’affermarsi della cultura
oscosannitica ma attribuisce alla lucanità tratti salienti e specifici delle popolazioni indigene già insediatesi
nella regione tra il il secondo e il primo millennio a.C.. Inoltre il grande momento di spartiacque, attribuito
all’anno 500 a.C., viene collegato, anche grazie a studi etnografici e di glottologia, non già in riferimento agli
osco-umbri ma agli etruschi. L’argomentazione è interessante e complessa e rimanda ad un approccio
sistemico della storia antica capace di avvalersi di più discipline e non solo dell’archeologia nonché,
soprattutto, di sganciarsi da una visione di dominanza filo-greca prima e romana poi. Questo tipo di
approccio comporta, naturalmente, anche innovativi contributi sull ’etimologia e la genesi del toponimo
Lucania arricchendo la discussione con altri spunti ed ipotesi. Prescindendo comunque dall’approfondimento
delle varie tesi, si sottolinea che quando si parla della Lucania databile almeno dal V - IV sec. in avanti il suo
territorio confinava a Nord con la regione propria del Sannio, con la quale aveva profonde radici comuni e
che oggi è identificabile nelle attuali province di Avellino, Benevento e del Molise; ad Est con la Daunia,
regione dell’Apulia, oggi identificabile con le province di Foggia e Bari; a Sud-Est con il territorio dei Messapi
(oggi Taranto e provincia); a Sud col popolo dei Bruzi (oggi Calabria) e ad Ovest coi popoli, oggi in provincia
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di Salerno, degli Enotri (in parte anch’essi, insieme al sotto-gruppo dei Choni, provenienti dalla Calabria) e
dei Campani più in generale. Il territorio dell’antica regione era quindi naturalmente più vasto dell’attuale, in
quanto comprendeva vaste zone della costa e dell’entroterra del Tirreno e dello Ionio.
Le popolazioni della Sicilia
Per quanto riguarda la Sicilia, nel versante occidentale dell’Isola si stabilirono i Sicani, di stirpe
mediterranea. Secondo Tucidide, era una popo­lazione di origine iberica, poiché nell’antica Spagna esisteva un
fiume di nome Sicano.
Probabilmente dopo una lunga migrazione si stanziarono dapprima nella Sicilia orientale, e
successivamente in quella centro-occiden-tale (dando il nome ai monti Sicani). Le fonti antiche favoleggiano del
terrore provato dai Sicani per le eruzioni dell’Etna, che li mosse a lasciare le terre della prima conquista. Più
verosimilmente furono sospinti verso l’interno dall’invasione di una nuova popolazione i Siculi.
I Sicani sono descritti come un popolo violento e guerriero, che praticava la schiavitù e cremava i cadaveri.
I loro centri maggiori sono da identificare in Erbesso e Halycia, di incertissima identificazione; in Càmico, capitale
del leggendario regno di Còcalo e fortificata da Dedalo, che volando raggiunse da Creta la Sicilia (Càmico
potrebbe identificarsi con Siculiana); in Iccara, distrutta dagli Ateniesi capitanati da Nicia nel 415 a.C. (forse
l’attuale Carini).
Nel versante occidentale dell’Isola si stabilirono i Sicani, di
stirpe mediterranea. Secondo Tucidide, era una popo-lazione di
origine iberica, poiché nell’antica Spagna esisteva un fiume di nome
Sicano.
Probabilmente dopo una lunga migrazione si stanziarono
dapprima nella Sicilia orientale, e successivamente in quella centroocciden-tale (dando il nome ai monti Sicani). Le fonti antiche
favoleggiano del terrore provato dai Sicani per le eruzioni dell’Etna,
che li mosse a lasciare le terre della prima conquista. Più verosimilmente furono sospinti verso l’interno
dall’invasione di una nuova popolazione i Siculi.
Dopo i Sicani erano arrivati i Siculi, anch’essi provenienti dall’Occidente. Dall’Italia, ‘dove abitavano, messi
in fuga dagli Opici, erano infatti passati in Sicilia su delle zattere, come si poteva pensare e come si raccontava
(anche queste .notizie apprese. quindi da Tucidide in via diretta o indiretta da fonte sicula). Passati dunque in
Sicilia .in gran numero, i Siculi ne occuparono e abitarono le zone più fertili, dopo aver vinto in battaglia i Sicani
che costrinsero a ritirarsi nelle regioni meridionali e occidentali. Divenuti il popolo più numeroso e più forte, la
Sicilia dal loro nome da Sicania si chiamò Sicilia.
Possiamo affermare con sicurezza che i Siculi furono certamente le popolazioni eneolitiche. Che si siano
attestati nella Sicilia orientale è dimostrato da precisi documenti, costituiti dalle ceramiche, dai bronzetti e dalle
iscrizioni che essi ci hanno lasciato in quella zona. I Siculi, di stirpe osco-ausonica, presentano inoltre elementi
comuni alla civiltà ligure, ma una religione propria, con il culto dei Palìci e quello di Adrano, che simboleggiano
fenomeni vulcanici.
Il dato fondamentale, che ci permette di affermare con sicurezza che i Siculi erano una popolazione
indoeuropea, è costituito dalle testimonianze linguistiche che essi ci hanno lasciato.
Sono di origine sicula vari toponimi
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- Messina denominata Zankle cioè falce;
- Catania, il cui nome deriva dal siculo Katane, che significa «scorticatoio, grattugia», dal terreno lavico su
cui sorge;
- Siracusa chiamata Sùraka, che indica «abbondanza d’acqua» per la vicinanza dei fiumi Anapo e Ciane,
del torrente Mammajabica e degli acquitrini detti Margi.
La civiltà dei Siculi si suole suddividere in quattro periodi:
1. dal 1270 al 1000 a.C., identificato nelle necropoli nord e nord-ovest di Pantàlica (Siracusa);
2. dal 1000 all’850 a.C., identificato nella necropoli di Cassibile (Siracusa), nei cui pressi è stato firmato
l’armistizio italiano con gli angloamericani nel set­tembre 1943, che segnò la fme della seconda guerra mondiale
per la Sicilia;
3. dall’850 al 730 a.C., identificato nella necropoli sud di Pantàlica, e nelle tombe più antiche del monte
Finocchito presso Noto (Siracusa);
4. dal 730 al v secolo aC., identificato nelle tombe più recenti del monte Finocchito (Siracusa), e nelle
necropoli di monte Bubbonìa (Caltanissetta), di Sant’Angelo Muxaro (Agrigento) e di Licodia Eubea (Catania).
Un’altra etnìa presente in sicilia erano gli Elimi. Tucidide presumeva che essi provenissero via mare
dall’Oriente, in particolare che fossero profughi Troiani che, in fuga dagli Achei in seguito alla caduta di Troia,
erano approdati in Sicilia, stabilendosi ai confini con i Sicani. Ad essi si unirono e coabitarono anche alcuni Focesi
che, al ritorno da Troia, dal mare in tempesta erano stati naufragati in Libia e di là si erano stabiliti poi in Sicilia.
Al di là delle ipotesi dello storiografo greco, oggi alcune figurazioni monetali e la toponomastica farebbero
propendere per una provenienza italica, forse ligure. Gli Èlimi si stabilirono nella zona occidentale dell’isola,
importando il culto di Venere e fondando i centri di Erice, Segesta ed Entella.
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