le popolazioni preromane del nord italia

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le popolazioni preromane del nord italia
Latinitas or Europa: from present to past, from past to present
LE POPOLAZIONI PREROMANE
DEL NORD ITALIA
iNDICE
INTRODUZIONE
1.
LE ORIGINI DELLE POPOLAZIONI PROTOSTORICHE;
LE POPOLAZIONI DELL’ITALIA SETTENTRIONALE
2.
I VENETI;
3.
GLI EUGANEI;
4.
I RETI;
5.
I PEDEMONTANI;
6.
L’INFLUENZA CELTICA IN ITALIA;
7.
LA CIVILTÀ DI GOLASECCA;
8.
LIGURI: LE ORIGINI;
9.
I LIGURI;
10.
I SALASSI
ALTRE IMPORTANTI POPOLAZIONI PROTOSTORICHE STANZIATE IN ITALIA
11.
GLI UMBRO-SABELLI
12.
LA GENS LUCANA
Fig. 1 - La mappa riporta tutte le popolazioni celtiche che hanno abitato la penisola italica nel periodo
immediatamente antecedente l’espansione romana ed in quello ad essa contemporaneo.
INTRODUZIONE
1. LE ORIGINI DELLE POPOLAZIONI PROTOSTORICHE
Con il nome Italia, inizialmente veniva indicata solo la Calabria; nel III sec. a.C. l’Italia coincideva
con la parte a sud dei umi Magra e Rubicone; nel 49 a.C., divenuta romana anche la Gallia Cisalpina, fu
considerata Italia anche il Nord, mentre Sicilia e Sardegna furono unite all’ltalia solo nel III sec. d.C. con
la riforma di Diocleziano. La preistoria si protrasse in Italia più a lungo che nelle zone orientali. I primi
documenti di civiltà in possesso degli storici risalgono al II millennio a. C.
La vera e propria età storica vi ebbe inizio soltanto nell’VIII sec. a.C., ai tempi della colonizzazione
greca in Italia meridionale e della oritura della civiltà etrusca. Tra l’VIII e il IV sec. a.C. si stanziarono
in Italia anche popolazioni indoeuropee, ricordate come Italici.
Le colonie greche, intomo al Vl sec. a.C., scatenarono feroci lotte per la supremazia e furono poi oggetto
delle mire egemoniche dell’Atene di Pericle. La civiltà etrusca fu indipendente per quattro secoli e sviluppò una cultura di elevato livello, anche rielaborando gli apporti della Grecia e dell’Oriente. La loro
espansione li portò a scontrarsi con i Greci e con i Romani a sud e con i Galli a nord. Con progressive
annessioni di città, I’Etruria venne incorporata nei possedimenti romani. Le prime comunità umane in
Italia risalgono al tardo Paleolitico. Gradualmente si passò dalla caccia e dalla raccolta alla coltivazione
del terreno e quindi a forme stabili di insediamento. Nella seconda metà del III millennio a.C. si cominciò
a lavorare il rame.
Agli inizi del II millennio a.C. si formarono alcune civiltà al nord, intorno ai laghi lombardi verso
la metà del II millennio si diffuse la civiltà detta delle “terramare”, dai depositi di terre grasse rinvenuti
archeologicamente (terra marna, terra grassa), nelle zone di Modena e Piacenza.
La civiltà più progredita, la villanoviana, comparve alla ne del II millennio a.C.; dalla zona di
Bologna si spinse verso sud no al Piceno, costruendo villaggi di capanne. Dal XIV sec. a.C. si era diffusa
una popolazione di pastori semi nomadi, lungo la dorsale dell’Appennino centrale, da cui il nome di civiltà
“appenninica”.
Iniziò poi la penetrazione di popolazioni indoeuropee dell’Europa centro-orientale che spinsero
a sud le popolazioni già esistenti. Gli Italici si insediarono nella parte centro-sud della penisola, costringendo i siculi a emigrare in Sicilia.
Con il nome Italici i romani indicarono poi le popolazioni non latine assoggettate nella penisola
con una serie di guerre che caratterizzarono la fase più antica della loro storia. Durante le guerre puniche
gli Italici si federarono con Roma e, dopo la vittoria, parte di essi ebbe riconosciuta la cittadinanza. Se noi
consideriamo l’Italia preromana, durante l’VIII sec. a.C., prescindendo dalle colonizzazioni greca e fenicia
- punica, tralasciando i Sardi, popolazione rigorosamente insulare ed isolata, troviamo nella Penisola
cinque ceppi:
Ø
Italici propriamente detti, ossia il gruppo latino - osco - umbro - sabellico (sabino e sannita);
Ø
i Galli cisalpini;
Ø
gli Etruschi;
Ø
i Liguri che costituivano una popolazione insediata non solo nella Liguria attuale e nel Piemonte
meridionale, ma anche in vaste aree della Provenza e (sembra) dell’Aquitania;
Ø
i Veneti.
In questo periodo, mentre l’Italia meridionale veniva colonizzata dai Greci, si sviluppava al centronord la civiltà etrusca. Nel mondo peninsulare si inseriscono così le migrazioni e gli stanziamenti dei greci
e degli Etruschi; nelle isole tirreniche si avranno gli stanziamenti fenici; l’Italia settentrionale più tardi
verrà aperta alla immigrazione di popolazoini celtiche transalpine. Però, viste nel loro complesso, queste
aree, nella matura età del ferro, sono lontane dal poter essere considerate un mondo unitario, sotto
qualsiasi angolo visuale. Dati i risultati delle più recenti ricerche storiche, si può ritenere completamente
fuori dubbio che, dal punto di vista etnograco, la penisola fosse abitata da popolazioni che non solo
non erano in grado di comprendersi fra loro per la diversità del linguaggio, ma erano escluse da ogni
possibilità di vera collaborazione e di scambi fruttuosi, perché gli abitanti si trovavano a livelli così diversi
nello sviluppo economico e intelletuale e, quindi, nella stessa vita sociale, da non essere in molti casi
realizzabile un rapporto di scambio, perché mancava la possibilità di intesa su comuni interessi.
La realtà dell’Italia protostorica è la totale mancanza di spirito unitario, l’assenza di legami
fra le singole comunità che formavano la geografia etnografica della penisola, legami che mancano tanto nei rapporti tra loro, quanto nei rapporti con le supposte “metropoli” o luoghi di
provenienza. Il rapporto che fu caratteristico della colonizzazione greca clasisca tra la comunità
“coloniale” e la madrepatria, manca in Italia, poiché i nuovi arrivati non avevano alle loro spalle
un ambiente così forte e prestigioso da poter reclamare una supremazia anche a distanza. D’altra
parte, il caso della confederazione latina e la possibilità di una confederazione apula nella penisola, rientrano ancora negli esempi di vincoli fra popolazioni viventi in un ambito strettamente
regionale: esempi cioè che non contraddicono la caratteristica fondamemntale della condizione di
quell’ambiente umano, cioè il completo isolamento e la scarsa possibilità /e volontà) di comunicazione fra gli abitanti di aree finitime.
LE POPOLAZIONI DELL’ITALIA SETTENTRIONALE
2. I VENETI
Sembra che i Veneti si siano distinti dagli altri Indoeuropei in qualche punto dell’Europa centrale.
Da qui, questa popolazione sarebbe migrata in tre direzioni diverse, scindendosi in tre gruppi: uno di
essi avrebbe occupato il nord - est della penisola italiana o se vogliamo la parte orientale della Gallia
cisalpina-, uno si sarebbe diretto ad ovest, verso la Gallia, mescolandosi con le popolazioni celtiche, ed
un terzo si sarebbe diretto ad est fondendosi con i Baltici e con gli Slavi. La migrazione di questo terzo
gruppo sarebbe attestata dalla presenza di una serie di toponimi molto simili nella Gallia di nord ovest
ed in quella che è l’attuale Polonia, ad esempio Brest e Brest - Litovsk. I Veneti occidentali si sarebbero
insediati sull’estuario della Loira, divenendo una popolazione integrata con le circostanti tribù galliche,
ma che manteneva propri caratteri distintivi. Cesare entrò in contatto con loro durante la conquista
della Gallia, e nel De Bello Gallico ha descritto questi Veneti occidentali o Vendi come una popolazione
era, combattiva, gelosa delle proprie tradizioni, ed ottimi marinai. Nel trattato segnala anche che per
ormeggiare le navi essi usavano, invece di una pietra legata ad una fune come era di uso comune a
quel tempo, un ferro di forma apposita; furono quindi gli ‘inventori’ dell’ancora. Nei secoli, essi hanno
mantenuto caratteristiche che li hanno distinti dagli altri Galli prima, dagli altri Francesi poi, segnalandosi per l’amore delle tradizioni ed all’epoca della rivoluzione del 1789 per l’opposizione intransigente ai
rivoluzionari. La regione dei Vendi che ancora adesso in francese si chiama Vendee, noi la conosciamo
come Vandea. Non è difcile vedervi un parallelo con il nostro Veneto “bianco” considerato la regione più
cattolica d’Italia, quasi il segno di un “carattere nazionale” che si è mantenuto attraverso tremila anni di
vicissitudini sull’estuario della Loira come in riva all’Adriatico. Celti e Veneti si sono variamente incontrati
e mescolati sia sulla sponda atlantica della Gallia sia nell’area compresa tra l’arco alpino, il Mincio ed il Po.
Erano n dall’inizio con ogni probabilità popolazioni molto afni, rimaste fedeli per così dire al “tipo base”
dell’uomo indoeuropeo e che non avevano difcoltà ad integrarsi; ma sulla presenza celtica in quella che
fu la Venezia Giulia, dalle foci dell’Isonzo al Carso triestino, ai territori passati alla Jugoslavia dopo il
secondo conitto mondiale, è oggi possibile dire qualcosa di più. L’area carsica e delle Prealpi Giulie dall’Isontino no all’Istria è caratterizzata dalla presenza di alcune tipiche forticazioni protostoriche fatte
di muri a secco (simili a dei piccoli nuraghi) che sono dette castellieri. Stando alle ricerche più recenti, i
castellieri sarebbero appunto di origine celtica, e se questo è vero, allora la presenza celtica in regione
non si limita come nora si è perlopiù ritenuto, alla sola area carnica, ma si spinge ben addentro nel
territorio considerato istroveneto. Molto materiale di origine celtica è inoltre emerso nel sito del santuario
preromano di Zuglio, l’antica Julium Carnicum; si tratta prevalentemente dei resti di armi, in particolare
di lane di spada, che sembrano spezzate deliberatamente. Si ritiene che i guerrieri sopravvissuti ad una
campagna bellica usassero sacricare agli dei la propria spada a titolo di ex voto. Alcune delle spade
ritrovate sono di fattura romana, e si pensa che venissero offerte anche le spade di preda bellica, oppure
che si trattasse di armi appartenute a Galli Carni che militavano come mercenari nell’esercito romano.
3. GLI EUGANEI
Anticamente, la valle compresa tra il Monte Rosso e il Monte delle Lonzina era notevolmente più
profonda di quanto lo sia adesso ed ospitava un’ampia palude. Si può risalire a questi dati dagli scavi
svolti nella zona, dal Museo Civico di Padova nel 1905, dai quali è emerso che le primitive popolazioni per
rendere l’ambiente idoneo allo stanziamento hanno creato la base per costruire le capanne con gettate
di legname nei punti più bassi, da ciò si può anche intuire che l’acquitrino non fosse molto profondo
in quanto dagli scavi non sono state rinvenute tracce di palatte. Il periodo che ha interessato questi
stanziamenti è presumibilmente l’eneolitico (3000 a.C. - 2000 a.C.). Le popolazioni utilizzavano vasi in
terracotta, armi litiche (selce scheggiata) e l’ambra come ornamento, sembra inoltre che si iniziasse, se
pur in maniera limitata, a lavorare il bronzo. Il reperto più importante emerso dagli scavi archeologici
è stato una sottile assicella rettangolare di legno alla cui estremità era aggiunta, mediante incastro,
un’appendice di forma ovoidale. Si ipotizza che questo oggetto possa essere servito come idolo con sembianze umane. Il che sta a signicare che queste antiche popolazioni incominciavano già a praticare un
primissimo culto idolatra. Le caratteristiche di questa popolazione, stanziata ai piedi delle valli abitate dai
Reti, andarono in gran parte perdute per l’inusso degli intensi rapporti con le popolazioni indoeuropee,
attraverso i quali gli Euganei, e parte dei Reti, andarono fondendosi con gli Indoeuropei. Fu così costituita
la nuova comunità etnica e culturale dei Paleoveneti, la popolazione che ebbe il suo centro nella località
di Este e la sua maggiore espressione nella civiltà atestina.
4. I RETI
Se si può supporre che, nel periodo protostorico, attorno ai rilievi alpini e collinari occidentali,
vivessero ancora popolazioni discendenti da una comune derivazione ligure, è altrettanto probabile che
le zone di montagna a oriente del lago di Como fossero completamente occupate dalle estreme propi-
naggini di un’unità etnica a cui si dà il nome di Reti. Questa popolazione occupava tutto il territorio alpino
dall’alta valle del Reno, dell’odierna Austria, delle valli dell’Inn, dell’Isarco, e dell’Adige lungo tutto il corso
di questo ume, sino allo sbocco in pianura nella regione di Verona, comprendendo anche le aree lombarde della Valtellina, quelle miste del lago di Garda e anche l’area di Padova. I Reti furono certamente
una popolazione giunta allo stadio pastorale dopo essersi fermata a lungo in quella dei raccoglitori di
cibo con prevalenza della caccia; l’uso di offrire a una divinità femminile locale (Reitia) le corna dei cervi
con iscrizioni votive, costituisce la prova indiscutibile dell’importanza che avevano i prodotti della caccia
nell’economia locale.
5. I PEDEMONTANI
Cercare le radici della civiltà porta inevitabilmente a confrontarsi con le caratteristiche geograche della
terra su cui si sviluppano. Gli antichi abitanti del Piemonte dovettero confrontarsi con paesaggi assai
diversi, adattandosi con l’evolversi della civiltà stessa. Prima cacciatori dell’antica età della pietra, poi
contadini sedentari del Neolitico, inne grandi tribù durante l’età dei metalli.
Le colline del centro-sud, ricche di aree boscose, furono sede dei primi insediamenti documentati: cacciatori di 150-100.000 anni fa, nell’Astigiano e nella zona di Torino, quando ancora il Po non c’era.
Questi primi abitanti furono soppiantati, attorno al 5000 a.C., da gruppi di contadini, nacquero villaggi
(Alba) e iniziano i primi commerci.
Il Piemonte, simile a quello odierno, affonda le sue radici attorno al 1000 a.C., quando le diverse zone
e tribù vengono in contatto stabilmente e attraverso la regione iniziano a transitare le merci tra nord e
sud Europa.
Vi erano popolazioni ad aggregazione tribale; fra queste alcune tribù si distinsero maggiormente i
Salassi, che occupavano l’alto canavese e la Valle d’Aosta; i Sallui nel vercellese, i Vertamacori nel novarese, i Taurini nella provincia di Torino, i Statielli nella zona di Acqui Terme e nelle valli Bormida, dell’Orba
e forse nella Valle Belbo; i Bagienni fra Mondovì e il cuneese; i Dertonines a Tortona e nella zona della
Valle Srivia; gli Epuriati nella valle del Tanaro tra Asti e Alba; gli Epanteri tra Brà e Carmagnola; i Caburriati fra il Pellice ed il Po; i Lancenses e gli Ocelenses nelle valli delle tre Sture; i Laevi fra Chivasso e
Trino ed i Vittimuli alle falde orientali della Serra d’Ivrea. Fra tutte queste etnie celtiche e celtoliguri ci
furono anche altre tribù che si stabilirono a nord del ume Po come gli Insubri, Cenomani e a sud i Boi,
Senoni, Lingoni.
Verso il IV secolo a.c. i Celti portarono, penetrando da oriente, forme culturali tipiche della seconda età
del ferro; essi entrarono in contatto con i Liguri, ora fondendosi ora conittualmente. Tracce indirette
indicano che i Liguri occupavano quasi tutto il territorio piemontese ma, in seguito all’invasione gallica,
i Liguri si attestarono al di là della Dora Baltea ed a sud del Po. A nord sopravvissero così nuclei Liguri,
mentre a sud si inltrarono nuclei Celti. Solo l’espansione gallica del secolo successivo conferisce al
Piemonte una maggiore omogeneità.
Le attività montane favorirono i contatti con l’opposto versante alpino che determinarono un sistema
unitario nelle espressioni culturali. Nella pianura furono l’agricoltura e i umi che svolsero un’importante
funzione che determinò una più intensa concentrazione di insediamenti e una maggiore vita culturale
anche se i centri celto-liguri, pur se di rilievo, non erano che modesti e di carattere difensivo e tutto il
territorio piemontese appariva senza insediamenti con il carattere di città.
6. L’INFLUENZA CELTICA IN ITALIA
Il famoso “Periplo di Silace” (viaggiatore e geografo greco 522-485 a.C.) attesta la presenza di indigeni di
lingua celtica insediati in Italia dell’Est già dal VI secolo. Questo trattato descrive le tribù celtiche presenti
sulla costa appena sotto gli insediamenti dei Veneti in una data che, considerando le date note della vita
di Silace, deve aggirarsi attorno al 490 a.C.
Da alcuni cenni imprecisi di storici classici come Livio e Polibio si ha notizia del fatto che in Italia esistevano genti di stirpe celtica già molto prima delle grandi migrazioni del V° e del IV° secolo a.C. Ciò è
confermato anche da alcune tombe sparse e altri reperti della prima Età del Ferro ritrovati sparsi un po’
ovunque in tutto l’arco alpino italiano, ma soprattutto è sottolineato dalle ultime interpretazioni dei dati
sulla cultura di Golasecca, certamente protoceltica e contemporanea a quella di Hallstatt.
7. LA CIVILTÀ DI GOLASECCA
La civiltà di Golasecca è ritenuta la più antica traccia di popolazioni celtiche sul territorio italiano e copre
un periodo che va dal IX al IV secolo a.C. (la prima età del Ferro), e rappresenta dunque uno dei primi
ceppi celtici europei. Recentissimi ritrovamenti di alcune iscrizioni leponzie (lingua anche dei Golasecchiani e degli Insubri, e non solo dei Leponzi) hanno denitivamente messo in luce l’origine celtica di
Golasecca.
La tradizione storica riteneva che la cultura golasecchiana fosse assolutamente autoctona e che furono
proprio i Celti, 388 a.C., a causarne il decadimento e la scomparsa.
Fig. 2 - L’immagine
riporta
un’iscrizione
leponzia, ritrovata in
Piemonte
La cultura di Golasecca si sviluppò in un’area piuttosto contenuta, e delimitata:
Ø
a nord dallo spartiacque alpino;
Ø
a sud dal ume Po a sud;
Ø
ad est il ume Serio;
Ø
ad ovest dal ume Sesia.
Inizialmente concentrati in zona pedemontana e poi dilagati in tutta l’area dei laghi, qui si svilupparono
numerosi agglomerati abitativi di una cultura originale.
Sulle colline delle Corneliane, al Monsorino e al Galliasco, nel territorio del comune di Golasecca (VA), nei
primi dell’800 furono ritrovati i primi reperti, che inizialmente vennero frettolosamente interpretati come
testimonianze di una battaglia tra Annibale e Scipione nel corso la Seconda guerra punica: l’abate
G.B. Giani (1788-1857), archeologo e studioso locale che per primo riportò alla luce i reperti Golasecchiani, si lasciò fuorviare dall’interpretazione di
Fig. 3 - L’immagine rappresenta una tipica
ne ‘700 di Carlo Amoretti, e solo nel 1865 Gabriel
tomba golasecchiana
de Mortillet corresse tale interpretazione, attribuendo i manufatti ad una civiltà autonoma preromana.
Le principali aree dei ritrovamenti della cultura di
Golasecca sono situate lungo le sponde lombarda e
piemontese del Ticino e nei dintorni di Como e di Bellinzona, ma l’area interessata al suo sviluppo coprono
parte della Lombardia occidentale, del Piemonte, del
Canton Ticino e della Val Mesolcina nei Grigioni.
Tutte le informazioni che abbiamo sui Golasecchiani
derivano dalla grande quantità di tombe ritrovate
nella zona di Sesto Calende, Golasecca e Castelletto
Ticino.
In esse sono stati ritrovate urne chiuse da una ciotola, da un ritaglio di cuoio o da un pezzo di legno
entro cui erano riposte le ceneri dei defunti cremati
in pire erette nei pressi delle sepolture e costituite
da legni di quercia, olmo, frassino e faggio (come
dimostra l’analisi dei carboni). Le indagini osteologiche hanno rivelato che le ossa da porre nella tomba
venivano selezionate dal rogo funebre per motivi probabimente rituali. La necropoli di Monsorino (la più
nota) è databile tra la metà del VII e la metà VI secolo a.C.: le tombe più antiche erano a pozzetto
o a fossa foderata di ciottoli, mentre quelle più recenti a cassa di pietra. Nel sepolcro venivano posti
diversi oggetti, espressione della posizione sociale e della ricchezza del defunto. I cromlech, tumuli di
terra circolari del diametro variabile fra i 3 e i 10 metri, raggruppavano più di una tomba forse in base
alla famiglia, al lignaggio o al ruolo sociale. Il cromlech era un recinto esterno costituito da un cerchio di
pietre spesso preceduto da un corridoio di accesso.
Figg. 4 e 5 - Le due immagini riportano due diversi
tipi di cromlech
Si ritiene che i Golasecchiani avessero una struttura sociale gerarchica e divisa in villaggi, in vicinanza
dei quali si trovava anche la necropoli.
Vivevano d’agricoltura e allevamento, tessevano i loro abiti e producevano carne e formaggio. Per conservare il cibo si utilizzava il sale, che proveniva da Hallstatt, a 50 Km da Salisburgo (Austria). Nei
siti Golasecchiani sono stati ritrovate suppellettili etrusche e greche,
e ciò rappresenta testimonianza del fatto che i Celti Golasecchiani
erano dediti anche al commercio fungendo da intermediari fra popoli
mediterranei e i Celti del nord. Gli insediamenti sorgevano infatti in
un’area chiave per i rapporti tra Europa continentale e mediterranea,
lungo i percorsi per i passi del San Bernardino, del Gottardo e del
Sempione. I Golasecchiani scambiavano olio, cereali, vino e carne
salata con stagno, corallo e ambra: tuttavia non ci è dato sapere
se si trattasse di baratto o commercio. Nelle tombe sono stati rinvenuti anche dazi o doni fatti ai capi locali dai commercianti stranieri.
La produzione artigianale è testimoniata dal vasellame modellato a
mano o con il tornio lento nelle epoche più basse, e dagli oggetti di
metallo eseguiti a fusione o per laminatura, le cui decorazioni erano
di inuenza etrusca.
Fig. 6 - Il vaso riprodotto nell’immagine è di tipica produzione golasecchiana
8. LIGURI: LE ORIGINI
Allorché si costituiva il primo germe delle futura etnia dei Liguri, essi naturalmente non sapevano di chiamarsi così. Ma, del resto, neanche dopo lo avrebbero saputo, perché questo nome venne loro attribuito
dai Greci prima (Liguses) e poi dai Romani (Ligures), formandolo probabilmente da una base linguistica
preindoeuropea “liga”, “luogo paludoso”, “acquitrino”, ancora viva nel francese “lie” e nel provenzale
“lia”: e questo perché il primo incontro fra i mercanti greci e gli indigeni sarebbe avvenuto proprio sulle
coste paludose delle foci del Rodano.
La storia dei Liguri parte da molto lontano. L’Italia Settentrionale al tempo dell’ultima grande glaciazione,
quella di Wurm, era dovunque dominata dai ghiacci o inospitali distese gelate. Dappertutto, tranne che
lungo l’arco dell’attuale costa ligure, quasi un istmo fra penisola italica ed area franco-cantabrica, in cui
il clima era quasi primaverile: in ogni caso sopportabile per ora, fauna ed esseri umani. Nel periodo
di cui parliamo, esisteva un contatto diretto fra le coste atlantiche e la Liguria attuale, abitata da una
popolazione di cacciatori, la cui società era spiritualmente molto sviluppata: sia nelle grotte atlantiche
che ai Balzi Rossi sono stati trovati elementi (ad esempio, tacche incise su strumenti, ossa o pareti) che
fanno pensare addirittura ad un sistema di calcolo del tempo, delle stagioni e delle costellazioni.
Il dominio dei cacciatori durò per migliaia di anni e l’ultima sua fase, che contrassegna le estreme
manifestazioni della civiltà franco-cantabrica collegata all’uomo di Cro-Magnon, viene denita “Epigravettiano” (dalla località di La Gravette, in Dordogna): una fase culturale che in Liguria durò più a lungo,
pervenendo, con diversi aspetti regionali, sino
alle soglie del Neolitico.
Circa 18.000 anni fa il distacco dell’area ligure
dalla vicina area francese viene ad approfondirsi. Finiti i rigori e la presenza del ghiaccio, la
valle del Rodano viene allargata e quindi resa
impraticabile. Dove erano i ghiacci si distende
una serie interminabile di paludi e questo provoca una rottura irrimediabile fra la zona atlantica e quella italica. Coloro che rimasero nell’area
ligure lasciarono le loro tracce un po’ dappertutto, no alla Toscana settentrionale.
L’apporto etnico successivo sarà quello dei popoli
mediterranei ovvero dei portatori della civiltà
neolitica e quindi dell’agricoltura e della ceramica. Per quanto riguarda la Liguria, l’unica area
in cui ci sono prove archeologiche del manifestarsi della nuova cultura neolitica è quella di
Finale Ligure, un’area abbastanza ampia nelFig. 7 - Il Golfo ligure in un’antica stampa
l’attuale provincia di Savona. Nelle grotte di
Finale la civiltà agricola lascia le prime tracce
del lavoro dei campi e della ceramica. Ma gli scheletri ritrovati hanno caratteristiche che ricordano le
precedenti popolazioni dei cacciatori, il che signica che avvenne un incontro tutto sommato pacico
fra la civiltà dei cacciatori e quella degli agricoltori. Il Neolitico non incise profondamente in quell’antica
società, almeno no a che non si sottentrò nella successiva età dei metalli.
Si pensava in un primo tempo che la Liguria fosse una regione povera di minerali, poi si è scoperto che
nell’entroterra fra Chiavari e Sestri Levante esisteva una miniera di rame, a Libiola, sfruttata sin da epoca
remotissima: analisi al carbonio 14 hanno dimostrato che vi si estraeva il metallo già 4500 anni fa. E
la futura città di Chiavari nascerà come primo centro abitato sulle coste della Liguria proprio grazie alla
presenza di questa miniera, dal momento che il rame vi veniva esportato tramite un approdo marittimo.
Analizzando il territorio ligure si capisce anche il carattere della popolazione. La gente ligure è stata
sempre ritenuta chiusa, inospitale, difcile. I Romani la ritenevano “dura e agreste”. Tuttavia questa
regione ha subito anche inltrazioni lente e
paciche di altre genti.
All’inizio dell’età del Bronzo, dalle Alpi settentrionali si riversarono popolazioni che
possiamo riconnettere con il mondo dei
“campi d’urne”, vale a dire col crogiolo delle
popolazioni indoeuropee che in parte popoleranno l’Italia. I Latini traggono origini da
lì e così i Veneti e tante altre popolazioni
italiche. In quest’epoca è ancora difcile
distinguere i popoli italiani da quelli celtici.
9. I LIGURI
Le sorti storiche della popolazione ligure
furono certamente diverse per i vari gruppi
etnici distinti dalle diverse denominazioni,
poiché in alcune località sono rimasti nomi
che hanno un carattere non indoeuropeo,
mentre in altre si possono distinguere due
straticazioni linguistiche, una preindoeuFig. 8 - Incisione ligure rappresentante una nereide che
ropea e l’altra indoeuropea.
A settenrione degli Appennini sono tuttora cavalca un mostro marino, risaliente al periodo successivo
in uso i termini propri della vita pastorale alla colonizzazione romana
e di quella agricola, mentre appartengono
a un’altra fase dello sviluppo del linguaggio tutti i termini inerenti ad altre forme di vita e di tecnica.
Anche sulle rive del mare, la regione ligure rimase lungamente isolata dal resto del mondo, con minimi
contatti con il mezzogiorno della penisola e con le isole mediterranee. L’utilizzazione della costa e delle
sue frastagliature come approdo a scopo mercantile, e quindi lo sviluppo dei maggiori centri costieri e
portuali, tra cui Genova, non rialgono certamente a un periodo molto antico.
La liguria storica, quella conosciuta come tale dai Romani, aveva indubbiamente sulla costa e nei suoi
porti i suoi centri più importanti, e proprio qui era più evidente la fusione fra i Paleoliguri e gli Indoeuropei, da cui nacque quella nuova civiltà ligure che ripete soltanto in parte le caratteristiche della maniera di
vivere testimoniata da oltre quarantamila gurazioni grafte sulle pareti e sulle lastre rocciose nella zona
di monte Bego, dalle stele antropomorfe della Val di Magra e, forse, dalle incisioni rupestri della valle
Camonica e dalle numerose testimonianze dell’uso di contrassegnare i sepolcreti con stele, sopravvissuto
lungamente nell’alta valle dell’Adige e nella zona di Bologna.
Le tracce di popolazioni ritenute liguri a nord degli Appennini o nella zona toscana settentrionale sono
state così visibilmente alterate dalle successive espansioni di altre popolazioni - i Celti in Piemonte e
in Lombardia, in età più recente, e gli Etruschi in periodo protostorico - che è difcile denire i limiti
dell’originaria area d’occupazione e rilevare le più antiche caratteristiche delle popolazioni liguri. Per
quanto riguarda invece l’Italia settentrionale e l’alta e media pianura padana, si deve ritenere che la
regione rimase in condizioni di vita estremamente arretrate sino a quando non si stabilirono regolari
comunicazioni con i paesi transalpini.
10. I SALASSI
Sull’origine dei Salassi le ipotesi sono diverse: una afferma che i Salassi fossero una tribù celtica stanziata in una zona dell’Europa Centrale e parte della cultura di Hallstatt , che per un aumento della popolazione locale, si staccò dal sito originario seguendo l’antica via del sale e valicando i passi alpini giunse
ad insediarsi nel Mediterraneo.Successivamente si insediarono nell’attuale Valle d’Aosta e Canavese,
sovrapponendosi ai gruppi etnici che già popolavano quelle terre.
Un’altra ipotesi è quella sostenuta da De Tillier, che attribuisce l’origine dei Salassi come discendenti
del mitico Ercole, al cui seguito Cordelo glio di Statielo, discendente dalla stirpe di Saturno si sarebbe
insediato nella Valle a capo dei Salassi, antico popolo della Gallia Transpadana, dove fondò appunto la
leggendaria città di Cordela, dal nome del suo fondatore. Ma purtroppo questa ipotesi non fu mai presa
in considerazione, se non, come leggenda che non rispecchiava nemmeno il mito di Ercole.Di questa
leggendaria Cordela De Tillier ritenne di poter stabilire approssimativamente la data di fondazione nel
1158 a.C.
Abbé Henry nella sua Histoire populaire, religieuse et civile de la Vallée d’Aoste, ha ipotizzato la venuta
dei Salassi intorno al 1200 a.C. e che Cordela potrebbe trovarsi nella zona di Jovençan ma piu’ probabilmente a Saint-Martin-de-Corléans,la cui nomenclatura denoterebbe una derivazione da Cordelus/
Cordelanus.
I risultati della ricerca archeologica sul sito di Saint-Martin-de-Corleans, fanno riferimento a periodi antecedenti e per quanto riguarda la mitica città Salassa, non ci sono per ora prove a suo favore, visto che
il sito in questione era un antico luogo di culto utilizzato in continum, nelle diverse epoche storiche.
L’ipotesi di un insediamento da parte di una popolazione arrivata in Valle d’Aosta e Canavese, dall’Europa
Centrale potrebbe essere non del tutto infondata, se si tiene in considerazione che Appiano Marcellino
narra che, nel corso delle guerre Illiriche, i generali romani Antistio Vetere e Messala Corvino nelle
marche danubiane del Norico, si scontrarono con la tribù dei Salassi.
Secondo la documentazione di molti storici, si può affermare che il popolo Salasso dominava tutto l’alto
Canavese e la Valle d’Aosta, dove transitavano già altre tribù Celtiche.
Nel processo di romanizzazione del territorio, il primo scontro con i Salassi avvenne nel 143 a.C. sotto il
consolato di Appio Claudio, ma i romani subirono una grande scontta con la perdita di 5000 uomini. Lo
scontro che si svolse secondo la tradizione, tra Verolengo e Brandizzo e lascia chiaramente intuire no a
dove si spingeva il territorio Salasso.
Purtroppo seguirono altre battaglie e non a favore dei Salassi, i quali spinti dalla penetrazione romana si
rifugiarono nelle valli e alture montane anche se dalla battaglia con Appio Claudio la Valle d’Aosta rimase
ancora per più di un secolo in mano ai Salassi.
Il fatto che i Salassi si siano dimostrati dei nemici irriducibili, pronti alla riscossa dopo ogni scontta
subita, va ad onore e vanto di un popolo ero e indomito, che fu piegato solo con l’inganno e il tradimento.
Per comprendere quali fossero le loro caratteristiche siche e sociali ed il territorio nel quale vivevano,
dobbiamo prendere come riferimento quello che ci riportano gli storici.
Questo ci racconta Strabone sul loro territorio: “Attraverso il territorio dei Salassi, ci sono rupi e dirupi
smisurati, che ora incombono sulla strada, ora si spalancano al di sotto, di che anche un piccolo passo
falso è il pericolo è inevitabile, perché la caduta avviene su precipizi di profondità abissale. Lì poi la strada
è, in certi tratti, cosi’ stretta da causare le vertigini a coloro che la percorrono a piedi e alle stesse bestie
da soma che non vi siano avvezze: quelle del posto, invece, trasportano i loro carichi con sicurezza.”
Ecco cosa ci dice Diodoro Siculo sulla vita nel loro territorio: “I Salassi abitano una terra aspra e del tutto
povera, conducono una vita dura. Essendo infatti il territorio selvoso, alcuni di essi portano possenti e
pesanti scuri, tagliano la legna per tutta la giornata, lavorano la terra, spaccano pietre, causa l’eccessiva
asprezza del terreno: non sollevano infatti nessuna zolla senza pietrame. E, tuttavia, pur incontrando
una tal sofferenza nelle loro attività, riescono a domare la natura con la loro costanza e sopportando
molte fatiche, colgono a stento rari frutti. A condividere siffatta fatica hanno come compagne le donne,
abituate a lavorare alla pari degli uomini. Compiono poi frequenti battute di caccia nelle quali, mettendo
mano su molte ere, compensano la povertà che viene dai frutti. Poiché appunto, vivono sui monti e
sono abituati ad affrontare asperità incredibili, diventano forti e muscolosi nel corpo. In questi luoghi le
donne hanno la forza e l’audacia degli uomini, gli uomini di ere. Hanno poi un armatura più leggera di
quella dei romani, li protegge infatti uno scudo oblungo, conforme all’uso gallico, e la tunica è fermata
da una cintura e si cingono di pelli di ere e hanno una spada di media lunghezza.
Sono forti e audaci non solo per la guerra, ma anche nei confronti delle difcoltà che, nella vita, presentano asprezze.”
Scrive di loro Ammiano Marcellino: “Quasi tutti i galli sono di statura piuttosto alta,bianchi di carnagione
e fulvi di capelli,terribili per la erezza dello sguardo, bramosi di risse e di un’insolenza eccessiva”. Così
l’audacia dei Salassi nei confronti dei romani viene sottolineata e non solo da Ammiano Marcellino, ma
anche da Dione Cassio e da Appiano.
Continua Ammiano dicendo:”La voce della maggior parte di costoro, è terribile e minacciosa, siano essi
tranquilli o adirati;tutti,poi,curano con perfetta e uguale diligenza l’igiene del corpo. Ogni età è perfettamente idonea all’arte delle armi e il vecchio va al combattimento con coraggio uguale a chi è nel ore
degli anni.”
Per quanto riguarda la vita sociale, l’organizzazione e il costume doveva essere quello comune nella
società celtica. Vi era un rapporto decisamente paritario, uomo/donna all’interno della società, infatti
Cesare nel “De Bello Gallico” cita che, nel matrimonio quando un uomo prendeva una donna in moglie,
era obbligato a pagare lo stesso prezzo che la sposa aveva portato a lui e dopo aver messo il patrimonio
in comune, esso veniva amministrato da tutti e due i coniugi. Se uno dei due coniugi moriva, l’altro
riprendeva dal capitale messo in comune solo la sua parte, mentre il resto andava alla famiglia del
defunto. A differenza dell’uso romano, la donna dopo il matrimonio non entrava a far parte della famiglia
del marito con i propri beni, essa ne rimaneva la proprietaria. Il matrimonio era un contratto sociale e
non religioso, nel quale due persone erano libere di decidere di separarsi.
Per quanto concerne l’abbigliamento, gli autori antichi scrivevano che indossavano le bracce, dei pantaloni che ritroviamo anche presso altre popolazioni dell’Europa Orientale. Questi come le vesti e le stoffe in
genere erano in lino, canapa, lana, colorati e decorati in modo vivace, a quadri o a striscie di dimensioni
variabili.
Un altro aspetto molto importante, era quello religioso, che vedeva la sua più grande manifestazione
nella natura e nei suoi ritmi. Un popolo animista per eccelenza, proprio per la condotta di vita in armonia
con l’elemento naturale, che ne forgiava la mentalità e il modo di porsi nei confronti del mondo esterno.
Essi avevano un pantheon religioso molto articolato che potrebbe far sì, che si pensi a loro come politeisti, mentre invece la loro unicità nel concetto del divino, veniva manifestata nelle diverse forme naturali
e sovrannaturali.
Ma purtroppo tutto questo mondo semplice e profondo al tempo stesso era destinato a nire con l’avvento dell’Imperialismo Romano; a rendere più comprensivo il concetto ecco cosa esprime Calcago, capo
dei Caledoni a proposito di Roma e dei Romani: “predatori del mondo intero, poiché non trovano più
terre da devastare, implacabilmente, si mettono ad esplorare il mare. Se i nemici sono ricchi sfogano
la loro avidità, se poveri la loro vanità: a saziarli non bastano ne l’Oriente ne l’Occidente. Soli tra tutti
con uguale ardore bramano ricchezze e miseria. Distruggere, trucidare, rubare: questo con falso nome
chiamano impero, e quando fanno il deserto, lo chiamano pace.”
ALTRE IMPORTANTI POPOLAZIONI PROTOSTORICHE STANZIATE IN ITALIA
11. GLI UMBRO-SABELLI
A sud delle regioni abitate dell’appennino tosco-emiliano, si trovano larghe estensioni di terre, in parte
montane e in parte pianeggianti, le quali molto probabilmente comprendevano anche l’odierna Toscana,
prima che in quest’area si insediassero nuove popolazioni. Anche qui la situaizone ha qualche analogia,
nella protostoria e prima degli Etruschi e dei Greci, con quella del paese dei Liguri, poiché in questo caso,
con migliore documentazione, si trova un complesso di popolazioni che certamente hanno avuto qualche
afnità nelle loro origini e nel linguaggio, e vengono talvolta indicati come Umbri, o Umbri-Sabelli, o
anche Italici orientali. Che si tratti di un complesso di popoli di origine comune, e quindi fra loro “parenti”,
sembrerebbe sicuro, e del resto è confermato dalla tradizione classica: ma le informazioni sono così
scarse che non è neppure possibile dare un nome comune a tutti, come si è fatto nel caso dei vari gruppi
che costituiscono il complesso ligure e pedemontano.
12. LA GENS LUCANA
Come ceppo originario la gens lucana discendeva dall’antica popolazione italica dei sanniti che in secoli
più remoti occupava una vasta regione a Sud del Lazio comprendente vasti e generici territori che poi,
nel corso dei secoli, assumeranno una sempre più precisa identità toponomastica.
In questo periodo delle origini collocato storicamente tra l’ XI e l’VIII sec. a.C., le grandi civiltà erano
inuenzate in primo luogo da quella greca, che aveva colonizzato soprattutto le coste dello Ionio, costituendo la Magna Grecia; in secondo luogo da quella fenicia, proveniente dall’attuale Siria, che aveva
colonizzato parte delle coste siciliane e soprattutto quelle sarde; ed inne dal’indigena civiltà etrusca.
E’ l’epoca in cui Roma non è ancora diventata quella potenza economica e culturale che la renderà non
solo famosa in tutto il mondo ma anche matrice originaria dei futuri destini delle attuali nazioni.
E’ il periodo in cui i popoli sannitici erano probabilmente accomunati da un identico culto religioso di
origine italica e senz’altro da un’unica lingua, l’osco-umbro, che si parlava, con varie sfumature dialettali,
in tutto il Centro-Sud e le cui tracce fonetiche sono ancora oggi presenti nei dialetti meridionali. L’oscoumbro era una lingua di origine indo-europea, giunta probabilmente in Italia dai Balcani. Ed è secondo
alcuni autori proprio da una popolazione di queste terre, e precisamente dai Lyki provenienti dall’Anatolia, che ha avuto origine il primo, remoto ceppo lucano.
La tesi più diffusa vuole, comunque, che dei lucani propriamente detti la storia antica ne parlerà solo a
partire dall’ VIII - VII sec.a.C. quando, come già detto, avendo i Greci occupato le coste tirreniche ed
ioniche cominceranno a porre come modello, alla nascente popolazione lucana, la loro struttura socioeconomica, culturale e religiosa. La presente tesi però non è l’unica e, per quanto sia la più diffusa, forse
non è neanche la più accreditata.
Un altro indirizzo di pensiero non vede nella protostoria lucana unicamente, e in forma dominante, prima
il riferimento al modello greco e successivamente, tra il VI e il V sec. a.C., l’affermarsi della cultura oscosannitica ma attribuisce alla lucanità tratti salienti e specici delle popolazioni indigene già insediatesi
nella regione tra il il secondo e il primo millenio a.C..
Inoltre il grande momento di spartiacque, attribuito all’anno 500 a.C., viene collegato, anche grazie a
studi etnograci e di glottologia, non già in riferimento agli osco-umbri ma agli etruschi.
L’argomentazione è interessante e complessa e rimanda ad un approccio sistemico della storia antica
capace di avvalersi di più discipline e non solo dell’archeologia nonché, soprattutto, di sganciarsi da una
visione di dominanza lo-greca prima e romana poi.
Questo tipo di approccio comporta, naturalmente, anche innovativi contributi sull’etimologia e la genesi
del toponimo Lucania arricchendo la discussione con altri spunti ed ipotesi.
Prescindendo comunque dall’approfondimento delle varie tesi, si sottolinea che quando si parla della
Lucania databile almeno dal V- IV sec. in avanti il suo territorio connava a Nord con la regione propria
del Sannio, con la quale aveva profonde radici comuni e che oggi è identicabile nelle attuali province
di Avellino, Benevento e del Molise; ad Est con la Daunia, regione dell’Apulia, oggi identicabile con le
province di Foggia e Bari; a Sud-Est con il territorio dei Messapi (oggi Taranto e provincia); a Sud col
popolo dei Bruzi (oggi Calabria) e ad Ovest coi popoli, oggi in provincia di Salerno, degli Enotri (in parte
anch’essi, insieme al sotto-gruppo dei Choni, provenienti dalla Calabria) e dei Campani più in generale.
Il territorio dell’antica regione era quindi naturalmente più vasto dell’attuale, in quanto comprendeva
vaste zone della costa e dell’entroterra del Tirreno e dello Ionio.