PHILIP K. DICK

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PHILIP K. DICK
CINEMA D’AUTORE
MARCO GUIZZI
[email protected]
Philip K. Dick, come suggerisce Paul
Williams, celebre giornalista statunitense
nonché gestore del patrimonio letterario
dello scrittore, non è ancora un autore
realmente famoso, non è di pubblico dominio, ma la sua
fama altalena tra un culto
di fondo, diffuso e
radicato un po’ in
tutto il mondo, e
saltuarie riproposizioni e passeggeri exploit
di notorietà.
È il caso degli
ultimi tempi,
dato che
recentemente
il cinema
sembra aver
riscoperto
D i c k , con due
film tratti da
suoi racconti e
affacciatisi nelle
sale nel giro di
pochi mesi: Impostor
di Fleder, con Gary
Sinise, e Minority Report
di Spielberg, con Tom Cruise.
Proprio il cinema, al giorno d’oggi,
si fa maggiore fruitore mediatico delle idee
dickiane, e il modo in cui esse vengono
affrontate ed elaborate da sceneggiatori,
produttori e registi ci permette di capire
BLADE RUNNER, TOTAL
RECALL, IMPOSTOR,
SCREAMERS, MINORITY
REPORT: CINQUE PELLICOLE
TRATTE DALL’OPERA DI
P. K. DICK. E ANCORA UNA
VOLTA: “IL LIBRO È PIÙ
BELLO DEL FILM”...
qualcosa in più sia sull’influenza che lo scrittore ha avuto sull’immaginario collettivo
che ci riguarda, sia pure su cosa significhi
per il cinema, per lo meno per quello
hollywoodiano, far propria la
parola scritta, reinventandola
in immagini e movimento.
Se, infatti, solo cinque
sono ad oggi i film
di fantascienza
ufficialmente
tratti da Dick
(oltre a quelli
già citati ci
sono: Atto di
Forza, di
Verhoeven,
con Schwarz e n e g g e r,
Screamers di
Duguay, con
Peter Weller
e il più celebre
Blade Runner
di Ridley Scott,
con Harrison Ford),
tematiche profondamente e tipicamente
dickiane ritornano in un
gran numero di pellicole, in
cui si parla di labilità della memoria
e del possibile ruolo che essa ha nell’identificare la personalità umana, della coscienza
della macchina, della compresenza fuori e
d e n t ro l ’ a n i m a d i u n i v e r s i p a r a l l e l i e
Philip K. Dick, prolifico scrittore di fantascienza e non solo, non è molto conosciuto, ma dalle
sue opere sono stati tratti film di cui tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta.
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"REALITY IS THAT
WHICH, WHEN YOU
STOP BELIEVING IN IT,
DOESN'T GO AWAY.”
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dell’interrogativo su cosa sia o non sia
umano. Trattando di film come Dark City,
Gattaca, eXistenZ, Plesantville, Punto di
Non Ritorno, Intelligenza Artificiale o addirittura Fight Club, il nome di Dick non sarebbe
citato a sproposito. Per non parlare di altri
due film di successo, come The Truman
Show e Matrix: il primo quasi un adattamento
non dichiarato del romanzo L’uomo del
giorno dopo, dove il contesto della società
mediatica si sostituisce a quello di un
mondo militarizzato; il secondo, per stessa
ammissione dei suoi autori, un sunto di certi
topoi dickiani.
Eppure, nonostante questo quadro di continue influenze e citazioni, la particolarità più
profonda degli scritti di Dick, le riflessioni
più stimolanti, vengono completamente
ignorate dal cinema. Esso si appropria solo
dei temi più superficiali dell’autore per colorire trame di pura azione o, nel migliore dei
casi, rivela interessanti interrogativi, saltando,
però, a pie’ pari, quelle che erano le originalissime risposte che l’autore americano
dava alle proprie inquietudini. Dick è
stato, infatti, uno dei più
st r a o r d i n a r i s c r i t t o r i
americani del
Novecento, uno
dei pochi capaci
di portare la propria opera sui più alti
lidi della riflessione
umana partendo da
una materia poco
considerata come la fantascienza. Che non
è quella stereotipata nell’immaginario
popolare, fatta di
omini verdi,
viaggi spaziali o
ingarbugliamenti
temporali,
bensì quasi
un pretesto dove i
limiti del tutto fuggevoli e soggettivi del genere
gli permettevano di riflettere su temi di
volta in volta politici, sociologici, spirituali.
Il pensiero di Dick è vero e proprio pensiero
filosofico, che appare confuso solo perché
estremamente complesso, “folle” solo
perché radicale; influenzato da
Sant’Agostino e da Kant, ma anche capace
di spunti estremamente personali, tali da
rendere la lettura dei suoi innumerevoli
romanzi, seppure scritti tra gli anni 50 e
70, costantemente attuale.
Tutto ciò, si diceva, è stato ignorato dal
cinema, non si capisce se per mancanza di
coraggio o, più semplicemente, di autori
abbastanza capaci che abbiano voglia di
sporcarsi le mani, in modo inconsueto, con
la fantascienza (Kubrick è morto da anni,
per non parlare di Tarkovskij…). Le mie non
vi sembrino semplici lamentele di un fan
tradito da adattamenti poco fedeli: qui non
si parla di sfumature, ma di un universo
letterario, di un’intera cosmogonia del
pensiero negata. Non credo che, quindi,
In alto, un fotogramma del film Blade Runner che ritrare il replicante Pris. A destra, la macchina
di Tom Cruise in Minority Report. A sinistra, lo Spinner: un grattacielo del futuro.
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siano semplici coincidenze il fatto
che tutti gli adattamenti cinematografici di Dick riguardino dei
racconti brevi, dove, soprattutto
nella fantascienza, a dominare è la
singola idea, l’invenzione letteraria
che si identifica col racconto stesso.
E nemmeno mi stupisce che là dove
tali adattamenti si distaccano dalla
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pagina scritta comincino ad assomigliarsi tra loro
(Impostor e Minority Report a un certo punto si
trasformano in sofisticati remake de Il fuggitivo), e
che l’unico film tratto da un romanzo, vale a dire
Blade Runner, sia tanto riuscito quanto lontano
dall’originale scritto. Tanto che l’immagine che più
comunemente si ha di Dick è quella di uno scrittore
appassionato di paradossi, di sogni, magari un poco
invischiato con la new age o, a d d i r i t t u r a , c o m e
v i e n e p re s e n t a t o a l l ’ i n i z i o d e l g i à citato Impostor,
quella di un semplice “futurologo” (roba da farlo
rivoltare nella tomba…).
“Quello di Blade Runner”, nel migliore dei casi.
Per buona parte della propria vita, Dick cercò in
qualche modo di fuggire dal ghetto della fantascienza,
scrivendo anche molti romanzi “normali” e seguendo
i n o g n i f o r m a l e p ro p r i e c o m p l e s s e i s p i r a z i o n i ,
anelando una riconoscenza culturale che, per lo
meno in vita, gli fu sempre negata.
Oggi il cinema sembra voler perpetuare questa ingiustizia.
BIOGRAFIA
Philip Kindred Dick nasce a Chicago nel 1928. Negli anni 50 comincia la propria
frenetica attività di scrittore: ricordato per numerosi racconti e romanzi di
fantascienza, premiato nel 1961 col prestigioso premio Hugo, si impegnò comunque
anche nella letteratura “mainstream”, scrivendo ben undici romanzi non di genere,
pubblicati soltanto postumi. A partire dagli anni 60 fu dedito all’uso di anfetamine e
allucinogeni e, nel 1974, entrò in una breve crisi mistico-allucinatoria, effetto e
insieme ispirazione del proprio imponente impianto filosofico-narrativo, culminante,
negli ultimi anni di vita, ne L’Esegesi, zibaldone personale di più di 8.000 pagine di
autoanalisi, per lo più inedite. Morì a Los Angeles nel 1982, quasi in contemporanea con l’uscita nelle sale cinematografiche di Blade Runner, tratto dal suo
romanzo del 1969 Anche gli androidi sognano pecore elettriche?
In alto le locandine dei cinque film “ufficialmente” tratti da opere di P. K. Dick. Nelle altre immagini, due ritratti dello scrittore statunitense: da solo e in compagnia del regista Ridley Scott.
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