Giuseppe Arcimboldo (Milano, 1526 – Milano, 1593) L`Ortolano Olio
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Giuseppe Arcimboldo (Milano, 1526 – Milano, 1593) L`Ortolano Olio
Giuseppe Arcimboldo (Milano, 1526 – Milano, 1593) L’Ortolano Olio su tavola, 35,8 x 24,2 cm Cremona, Museo Civico Ala Ponzone Il celebre dipinto, noto come L’Ortolano, entrò a far parte delle collezioni del museo di Cremona con il nucleo originale dell’eredità del marchese Giuseppe Sigismondo Ala Ponzone nel 1842 e ne costituisce una delle maggiori attrattive. La composizione a capriccio, o rabisch, era già stata codificata in ambito manieristico lombardo dal pittore e trattatista milanese Giovan Paolo Lomazzo che, nel suo Trattato della pittura del 1584, citava Giuseppe Arcimboldo proprio come uno specialista del genere. Lomazzo si riferiva in particolare alle teste reversibili: una sorta di metamorfosi ovidiana, che con una rotazione di 180° mutava completamente il contenuto e il significato dei dipinti. Nel nostro caso la tazza di ortaggi si trasforma in un ritratto ilare e giocoso del custode degli orti, una sorta di irriverente Priapo preposto alla fecondità e alle forze rigeneratrici della natura, cui sembra alludere l’ambigua disposizione di una cipolla, una rapa e una radice a evocare la sessualità maschile. Il recipiente in forma di tazza che contiene i vegetali diviene, a seguito della rotazione, una specie di caschetto; le abbondanti foglie fluenti barba e capelli, due funghi formano le labbra carnose, una noce e una nocciola gli occhi, la cipolla e la rapa le guance carnose, e la radice prominente il naso-fallo, secondo l’analogia descritta nel trattato di fisiognomica di Giovan Battista Della Porta (De humana physiognomonia, 1586) per il quale nasus correspondet praeputio. Dagli antichi inventari sappiamo che capricci analoghi figuravano anche nelle collezioni imperiali: come un vaso di fiori, descritto nella collezione di Massimiliano II, che una volta capovolto diventava un volto ridicolo; o il ritratto di Johann Ulrich Zasius realizzato con scritte, documenti, lettere, contratti e memorie. L’inventario del gabinetto di curiosità del castello di Praga menzionava dipinti di Arcimboldo del tutto simili all’Ortolano di Cremona, come una testa composta di vegetali e una fatta di rape, ma la loro descrizione troppo sommaria non permette di identificarli con l’esemplare in questione. Diversamente da quanto ritenuto in passato, le tracce grafiche sulla tazza non sono interpretabili come i resti di una firma, bensì di un pentimento intervenuto in fase pittorica a correggere il disegno delle foglie, inizialmente debordanti sul recipiente ma che avrebbero forse reso meno comprensibile la sua trasformazione in copricapo. Pertanto sembra plausibile l’idea che il pittore sia pervenuto gradualmente alla concezione di una testa reversibile e non senza successive modifiche in corso d’opera ancor oggi parzialmente visibili. Per quanto riguarda la datazione dell’Ortolano la critica più recente ritiene possa trattarsi di un dipinto realizzato poco dopo il suo rientro a Milano dalla corte asburgica di Praga (1587), e probabilmente con leggero anticipo rispetto al ritratto di Rodolfo II come Vertumno del 1590. La precisione tecnica e la conduzione pittorica vi appare infatti in linea col naturalismo sperimentale delle notissime serie degli Elementi e delle Stagioni eseguite alla corte cesarea di Rodolfo, ma non ancora con l’algido rigore formale quale appunto distingue il ritratto fitomorfo dell’imperatore realizzato appunto in quell’anno. Mario Marubbi Conservatore Pinacoteca Ala Ponzone, Cremona