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Recensione/Antropologia culturale Domanda al vento che passa. Malocchio e guaritori tradizionali di Paolo Giardelli Ed. Pentagora, Savona-Milano 2012, pp. 192, euro 17 Il malocchio, la fattura, la iettatura hanno bersagliato le comunità dell’antico mondo contadino, provocando sofferenze angosciose ed esperienze dilanianti in moltissime famiglie disagiate e spesso emarginate. Ad alleviare e combattere queste piaghe individuali e sociali erano soprattutto i guaritori popolari e i sacerdoti cattolici. I sacerdoti praticavano gli esorcismi, cioè speciali preghiere propiziatorie prescritte da un apposito rituale della Liturgia, per eliminare il malocchio e la fattura, che erano considerati opere del demonio. I guaritori invece usavano nell’opera di guarigione formule sacre occulte, spesso abbinate a pratiche esoteriche singolari, apprese dalla tradizione e trasmesse gelosamente di padre in figlio. I risultati di guarigione erano spesso positivi, talvolta insperati e sorprendenti. Attualmente, nella nostra società dominata da una tecnica sempre più sofisticata, il malocchio, la fattura e la iettatura hanno perduto moltissimo del loro potere di influsso malefico, vero o presunto, ma restano tuttora vivi e operanti presso le fasce popolari più vicine culturalmente all’antico mondo contadino e, per quanto riguarda la Liguria, in alcuni paesini del territorio montano. Un quadro preciso e approfondito del malocchio, della fattura e della iettatura in Liguria e in altre parti d’Italia è tracciato con rigore scientifico da Paolo Giardelli nel suo ultimo, illuminante libro Domanda al vento che passa, che è corredato da un’ampia bibliografia e dall’elenco completo degli informatori interpellati direttamente dall’Autore. Giardelli è antropologo noto in Italia e all’estero per le sue rigorose e appassionanti ricerche e per filmati di successo. In particolare si è segnalato per le sue originali analisi delle società rurali e delle tradizioni che influiscono sui saperi e sui comportamenti degli uomini nell’incessante fluire del tempo. Indagando sull’essenza del malocchio, Giardelli rileva che si tratta di un “fenomeno interclassista” uno di quei mali che derivano da un agente responsabile, da colui che nuoce a cose e persone “guardandole”, per un “fluido negativo che promana dal suo occhio”. Nell’esposizione minuziosa delle possibili cause l’antropologo richiama l’attenzione sull’invidia, come elemento scatenante, vizio capitale alla base di tutte le disgrazie dell’uomo. Elencando poi le diverse tipologie di iettatori i forestieri, i mendicanti, gli artisti di strada, i disertori, gli ambulanti...-, l’antropologo osserva che “anche i sacerdoti si trovano esposti ad accuse di iettatura per la loro condizione di celibi, la solitudine, l’abito talare” e “la loro relazione col soprannaturale”. I malesseri più gravi, provocati dal malocchio e dalla fattura, sono di carattere soprattutto psicosomatico: “spossatezza, mal di testa, mancanza di appetito, depressione, vomito, senso generalizzato di malessere”. Nella difesa contro il malocchio un ruolo rilevante di protezione era assegnato (e lo è tuttora) al corallo, il cui potere è rafforzato dal suo “simbolismo fallico”. 56 guarigioni a volte incredibili, come testimonia, ad esempio, Sandro Oddo, profondo conoscitore delle persone, delle consuetudini e delle credenze della Valle Argentina. Una guaritrice eccezionale è stata Caterina (a cui l’Autore dedica un lungo capitolo), che ha avuto un’infanzia durissima, trascorsa in estrema povertà. La sua vita successiva è stata costellata di sofferenze indicibili e di forme allucinatorie ricorrenti e angoscianti. Diventata guaritrice, Caterina ha operato efficacemente con le erbe officinali, delle quali era una profonda conoscitrice, con l’uso di diverse formule propiziatorie e con l’impiego del pentolino e del piatto. Questa donna straordinaria, nata in una disagiata frazione di Triora, famoso per il processo alle streghe che vi si svolse alla fine del sec. XVII, è apparsa occasionalmente, per la sua fama, anche in televisione, ma ha continuato a svolgere per moltissimi anni, nell’oscurità più assoluta, la sua missione umanitaria, beneficando “il prossimo con l’aiuto della fede e del sapere degli antenati, senza nulla chiedere in cambio”. La gratuità infatti era un segno distintivo dei veri guaritori, che ottenevano il massimo della realizzazione personale ponendosi a totale servizio dei malati di ogni genere e di ogni età. Soprattutto per offrire un aiuto concreto e disinteressato a tutte le persone che erano colpite da malesseri strani, spesso considerati incomprensibili e inspiegabili, perché valutati comunemente, a livello popolare, di natura oscura e misteriosa dal punto di vista sia fisico che psicologico. Mario Brunelli L’antropologo torna più volte sulla convinzione, maturata dai nostri antenati del mondo contadino, di un contatto continuo, ininterrotto con il soprannaturale. Gli stessi guaritori infatti si ritenevano intermediari di un potere sacrale che “con un processo di sincretismo si fa discendere direttamente dal buon Dio”. Giardelli descrive quindi, con abbondanza di particolari, i complessi esorcismi compiuti dai sacerdoti per liberare dal potere del demonio le persone che erano state colpite dal malocchio. Successivamente analizza con meticolosa chiarezza le modalità di cura praticate dai diversi guaritori. Comunemente, nelle pratiche di guarigione erano usati: l’olio benedetto, l’acqua, il sale, i rametti di olivo portati a casa dopo la messa della Domenica delle Palme, i brevi, che erano “piccoli sacchetti contenenti immagini e altri elementi sacri e profani, portati al collo” e talvolta la maglietta della pelle del malato “richiesta dal guaritore, in base alla legge magica della contiguità, indispensabile ad operare la guarigione”. Molto praticata era anche l’iterazione simbolica del numero tre, mentre le formule di guarigione da recitare erano numerose e variavano da una località all’altra. Eccone un esempio eloquente: “Olio di lume, male comune, che fa chiaro a Gesù e Maria, se c’è del male, toglilo via”. Interessante da notare è che molte filastrocche non sono altro che “formule magiche decadute”. I guaritori, sottolinea Giardelli, operavano in segreto, “tenendo all’oscuro il prete che si sarebbe scandalizzato” e “il medico che si sarebbe arrabbiato”. Aiutato da una mole immensa di testimonianze vive, l’antropologo nella parte conclusiva del libro ‘scolpisce’ la personalità ricca e complessa di alcuni guaritori, ben conosciuti e apprezzati in alcune zone sia del Levante che del Ponente ligure. Si tratta di figure carismatiche, dotate di forte tempra caratteriale e spirituale, che hanno inciso positivamente sul tessuto socio-culturale delle loro comunità di appartenenza e hanno operato A centro pagina - Incisione del sec. XVII (Raccolta Bertarelli) tratta da Aidano Schmuckher, Folklore di Liguria, Vol. I (Genova 1989), p. 30. Nel volume dedicato a ‘Nascita-Matrimonio-Lavoro’ del noto cultore della tradizione ligure, la didascalia: “Si cura con metodi empirici e magici.” Con Giuseppe Delfino, Schmuckher scrisse Stregoneria, magia, credenze e superstizioni a Genova e in Liguria (Olschki, Firenze 1973). 57 Intervista all’antropologo Paolo Giardelli: il malocchio, ieri e oggi a cura di Giacomo Revelli Ogni saggio di Paolo Giardelli è un’occasione per meditare su ‘parole e cose’ lontane che ci riguardano molto da vicino. Venerdì 13 dicembre, alle ore 17, al Museo civico di Sanremo è stato presentato il suo libro, Domanda al vento che passa. Malocchio e guaritori tradizionali (Pentagora, 2012), di cui Mario Brunelli ha redatto la recensione. Per un approfondimento dei temi trattati, pubblichiamo questa intervista all’autore a cura di Giacomo Revelli, giornalista e scrittore. Imperia. Mercoledì 11 dicembre 2013 Cos’è questo libro? È una ricerca dell’animo umano, che rivela come la nostra società tecnologica sia ancora permeabile a quell’insieme di credenze che vengono sbrigativamente etichettate come superstizioni, mentre altro non sono che modi di esprimere la nostra angoscia esistenziale di fronte alla malattia e alla morte; l’incapacità di gestire le relazioni interpersonali; la fragilità dell’essere umano che cede alla cultura del sospetto (cosa c’è sotto?), quando non riesce a trovare una spiegazione razionale alle sventure che lo affliggono. Oggi è possibile distinguere il malocchio dall’invidia? Si può distinguere la magia nera, la fattura per provocare il male, dal malocchio. In quanto la prima è mossa dalla volontà di nuocere, mentre il malocchio no. Secondo un’antica tradizione di pensiero, non ancora tramontata, esistono persone dai cui occhi scaturisce un’energia negativa che provoca danni a persone, animali o cose, dove lo iettatore diriga il suo sguardo. Ma chi provoca il malocchio, anche se agisce involontariamente, non è innocente. Il sentimento che lo muove e aziona la sua negatività è appunto l’invidia. Il desiderio di possedere il bene di un altro. Come scrive San Tommaso d’Aquino l’invidia è il contrario della carità, mentre la seconda gode del bene del prossimo, l’invidia se ne addolora. Come riconoscere lo iettatore? Come si trasmette il malocchio, quali sono i soggetti più colpiti, come ci si protegge? Lo stereotipo del viso dello iettatore lo tratteggia con le sopracciglia folte, lo sguardo incavato, la bocca stretta, le orecchie appuntite, le orbite profonde, gli occhi sporgenti, le pupille magnetiche. I soggetti più colpiti sono i soggetti deboli, soprattutto i bambini. Chi era vittima di queste paure irrazionali, si proteggeva cercando di evitare chi pensava potesse nuocere, indossando amuleti, eccetera. Queste credenze non sono ancora scomparse e non sono riferibili a sole condizioni di degrado sociale e culturale. Si pensi alle sofferenze patite da Mia Martini, su cui gravava questa nomea negativa, ad esempio. Quali sono gli amuleti migliori? In passato si facevano indossare ai bambini i cosiddetti brevetti, dei sacchettini contenenti vari ingredienti come immaginette sacre, foglie d’olivo benedette alla Domenica delle Palme, medagliette di santi, eccetera, di solito confezionate da suore e acquistabili presso santuari. Ma altrettanti erano preparati da guaritori tradizionali, utilizzando anche altre cose, come la pelle di serpente. In ambito più strettamente religioso la croce, il segno della croce, il rosario, l’immagine di san Michele, ecc. Un amuleto molto potente è sempre stato il corallo e, come detto, la pelle di serpente. Poi gesti come fare le corna, le manufiche (il pollice tra l’indice e il medio), eccetera. 58 E il ruolo del guaritore? Al guaritore ci si rivolgeva perché il medico era lontano e costava, e perché paziente e guaritore condividevano la stessa cultura, ciò che non avviene con la medicina ufficiale. Tuttora per alcuni disturbi come il fuoco di Sant’ Antonio, pur ricorrendo anche al medico, ci si rivolge al guaritore. Il guaritore tradizionale agisce, come intermediario, discendendo il suo potere dall’Alto, perciò non si fa pagare, a differenza di tanti ciarlatani televisivi. Applica un sapere empirico, quello dell’uso delle erbe, tramandato di generazione in generazione, spesso unito ad una terapia magica che si traduce in formule verbali, pronunciate in modo quasi intelligibile, perché non siano rivelate ad altri. Può usare anche molti altri gesti: soffio, segno, imposizione della mano, eccetera Qual è questa ‘Domanda al vento che passa’? Il titolo del libro si riferisce ad un episodio accaduto ad un antropologo, che stava svolgendo una ricerca in Africa. Il lettore avrà modo di scoprirlo. In che zone hai condotto la tua ricerca? In tutta la Liguria, dalla Lunigiana al confine francese. La nostra è una regione molto conservatrice riguardo alle tradizioni popolari. All’interno del testo i riferimenti e collegamenti sono i più ampi dalla Sardegna al Friuli, dall’Africa al Tibet. Si parla anche di case e oggetti maledetti, non solo liguri. Vicende spesso incredibili. Puoi indicarci un rito, una tecnica facile da fare, per allontanare il malocchio? Come antropologo mi limito ad osservare e descrivere, non ad esercitare riti magici. Né consiglio ad alcuno di rivolgersi a guaritori o di praticare strane cerimonie. Tuttora molto diffuso e universalmente noto è quello di prendere un piatto fondo con acqua, aggiungere un poco di sale, porre il piatto sulla testa del paziente. Far cadere tre gocce d’olio da un ramo di olivo benedetto. Se spariscono c’è il malocchio. Si ripete per tre giorni fino a quando le gocce restano concentrate. Tutte le volte l’acqua della fondina, dopo un certo tempo, si getta in tre angoli diversi. (da http://imperia.mentelocale.it dell’11/12/2013, per gentile concessione del curatore Giacomo Revelli. Si ringrazia Laura Guglielmi, direttrice di Mentelocale.it, per la collaborazione.) Si segnala la disponibilità di un estratto di 13 pagine del libro sul sito della casa editrice www.pentagora.it. Il brano qui a fianco è la testimonianza con cui ha inizio il primo capitolo di Domanda al vento che passa (p. 9). 59