Estratto dal libro "Domanda al vento che passa"

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Estratto dal libro "Domanda al vento che passa"
Domanda al vento che passa
Stregare, affatturare. Quel nuocere che il volgo ignorante, un dì credeva
che le streghe, con vista invidiosa e nociva, facessero ai bambini. Per similitudine dicesi di qualunque altra cosa, che dal troppo osservarla con vista
compiacente e invidiosa sembri guastarsi. E ancora, consumarsi, struggersi, dimagrare, smagrire.51
Quando le cure empiriche, di solito adottate con successo, non danno
alcun esito, non si riesce a determinare una precisa localizzazione del
male e i sintomi persistono o addirittura si aggravano molto velocemente, provocando uno stato generale di deperimento psicofisico, non rimane altra soluzione che rivolgersi al guaritore e alle sue pratiche magiche.
I soggetti più colpiti
I soggetti più colpiti dal malocchio e dalla fattura sono i bambini,
particolarmente a rischio i neonati non battezzati, in un meccanismo angoscioso che lega insicurezza fisica a instabilità spirituale:
il richiamo alla “carne battezzata” è frequente nelle formule pronunciate dai guaritori. La stessa data di nascita, quando si verifica
in una notte “magica” come san Giovanni Battista, Natale, la notte
di vigilia del primo maggio, è tale da suscitare allarme e richiedere
immediate controindicazioni:
Mia nonna era una levatrice abusiva. Io sono nato la domenica, in una
notte di tempesta, la vigilia di San Giovanni Battista, una notte magica.
Allora la nonna per togliermi il malocchio, mi ha preso appena nato e mi
ha portato fuori dalla porta, pioveva a dirotto, e poi mi ha ricondotto in
casa, per togliermi il malocchio. Se non avesse agito così, diceva che io avrei
potuto dare la stregoneria, avrei potuto dare il malocchio. Questo è successo
a me, me lo ha raccontato mia mamma. [SP - Nic]
Le precauzioni a cui sottoporre la partoriente e il nascituro erano innumerevoli, a partire da una stretta reclusione in casa, senza incontrare estranei, in modo da proteg51 Casaccia (1871) 2003.
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gersi con l’isolamento da eventuali persone male intenzionate. Le precauzioni da adottare erano talmente numerose
da generare in queste donne una sorta di paralisi dell’agire:
Una donna mi raccontava che quando nasceva il figlio,bisognava le mettessero
subito la camicia dell’uomo al collo, perché la proteggesse dal diavolo.[IM - Tri3]
Mi ricordo che all’Ave Maria i bambini dovevano portarli in casa, perché
se no le strìe li strìavàn, le streghe li stregavano. Oppure si proteggevano
in una giacca da uomo. Parlavano tempo avanti del malocchio, ma forse ai
nostri tempi cominciava a passare. [GE - Ros]
L’uso di uscire con bambini piccoli solo se avvolti nella giacca, o
con un berretto in testa, del padre aveva il duplice scopo d’ingannare le streghe e trasmettere ai piccoli per mezzo della magia di
contatto la forza di un uomo adulto.
La paura era del resto un sentimento coltivato fin da bambini, assorbito con il latte materno nelle lunghe veglie invernali,
durante le quali i racconti accendevano la fantasia dei più piccoli e ingeneravano spaventi che si sarebbero ricordati per il resto
della vita. Una motivazione risiedeva nei pericoli a cui in effetti i piccoli erano sottoposti nella vita in campagna. Le necessità
dei continui impegni e la stanchezza per il lavoro molto faticoso
a cui erano sottoposti, non permettevano ai genitori di prestare
ai loro figli un’attenzione continua. Era pertanto necessario apprendessero in fretta cosa era permesso e cosa no, distogliendoli
dal girovagare la sera in ore buie a causa dell’assenza d’illuminazione, col fissare ai rintocchi dell’Avemaria il limite temporale oltre il quale avrebbero rischiato di imbattersi nelle streghe:
Una volta si faceva la veglia, le raccontavano tanto grosse, che alla fine
non avevano più il coraggio di uscire di casa. Spaventavano i bambini
anche con i morti: “Se non stai bravo, vedrai i morti”. Sempre terrorizzati.
[IM - Apr2]
Dicevano che c’erano per mettere paura, che la sera passavano. A cria
come na brazua, grida come una strega. [GE - Tri]
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La sintomatologia di chi è colpito dal malocchio si contraddistingue per il pianto prolungato, la febbre alta, il rifiuto di cibo,
l’irrequietezza spinta fino alla frenesia.
Colpite quasi in egual misura le donne, a loro volta soggetto debole: uno dei sintomi più frequenti, che faceva pensare al
malocchio, era una persistente debolezza, accompagnata da uno
stato di grave depressione, il manifestarsi di fenomeni isterici. La depressione, compresa nella sfera della “malinconia” era
del resto in passato dalla Chiesa considerata un peccato, l’accidia. L’intervento di un esorcista, fosse il prete o il guaritore, era
dunque comprensibile. La depressione post-partum presentava
una serie di sintomi che inducevano a ritenere la donna colpita
da malocchio o fattura, con l’esigenza conseguente di fare scattare i meccanismi di difesa contemplati in questi casi. Talvolta si
attribuivano al malocchio anche le pene di cuore, quando il matrimonio combinato dalla famiglia le obbligava per motivi d’interesse a rinunciare al pretendente desiderato e ad accasarsi con un
uomo sgradito. Puerpera e neonato erano sottoposti a un’infinita
e defatigante serie d’interdetti, prescrizioni, gesti rituali, a cui attenersi scrupolosamente, per non mettere a rischio la loro vita:
- Mia nonna, quando sono nata ha tenuto sempre accesa una candela,
perché non ero stata battezzata, fino a quando sono andata in chiesa.
- Andavano a benejie, a farsi benedire. Quando è nato Massimo,
vent’anni fa, esco con questo bambino in carrozzella a Triora. Queste
usanze non le conoscevo. Incontro Antò di Montalto, mi vede con questo bambino piccolo, mi dice: “Oh Erica, lo hai già fatto benedire questo
figliolo, e tu ci sei già andata dal prete?”, “Io no, perché?”. “Ma non lo
sai che non puoi uscire?”. Era del 1917, però mi ha fatto questo discorso
nel 1985, vent’anni fa. Aveva ancora quella mentalità. [IM - Cre]
Nel caso che per una dimenticanza avessero compiuto uno sbaglio, ad esempio passare sotto le stanghe di un carro, esponendo il
nuovo nato – secondo la credenza popolare – al pericolo di morire
soffocato dal cordone ombelicale attorcigliato, era sempre contemplato un contro rituale, che, mediante un secondo passaggio,
ma questa volta in senso inverso, riportava le lancette indietro e
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rimetteva le cose a posto. Ne ho lungamente trattato in Si comincia
da una figlia.52
La prima precauzione da mettere in atto, e la più ovvia, consisteva nell’evitare di imbattersi in chi aveva una cattiva fama. Per
non essere colpiti dal potere negativo, trasmesso per mezzo di uno
sguardo, del contatto o del flusso nocivo emanato, ci si teneva a
debita distanza dall’abitazione del portatore di maleficio, di solito
di genere femminile; per non passare davanti alla sua porta, si allungava la strada; se per disgrazia lo s’incontrava, ci si affrettava a
cambiare direzione. Se accadeva in compagnia di un figlio piccolo,
lo si prendeva subito in braccio, per proteggerlo:
Dicevano che c’erano gli striùn, stregoni, che istriunevan, affatturavano. I
sintomi erano che il bambino piangeva. Non è tanto, ce n’era uno a Piani
di Bagnone. Mi ricordo una volta mio padre mi ha preso in braccio, perché
abbiamo incontrato uno di loro.
Si faceva il piatto di acqua con l’olio, se svaniva non c’era niente, se rimaneva, aveva il malocchio. Mi ricordo una che è andata da un guaritore,
quello di Mocrone, e l’ha guarita. [LU - Fil]
Si versava l’acqua di intrugli bolliti o il sale agli incroci delle strade o davanti alla porta della presunta fattucchiera. Di fronte al
pericolo si faceva ricorso al più classico degli amuleti, il gesto delle corna con cui si opponeva a un’energia negativa il vigore della
sessualità maschile, rappresentata appunto dall’indice e il mignolo
distesi, mentre il medio e l’anulare, trattenuti dal pollice, sono ripiegati. Allo stesso universo simbolico appartiene la precauzione
di palparsi i testicoli da parte degli uomini, a cui corrispondeva per
le donne contadine l’uso di toccarsi il sedere:
Quando s’incrociava una persona dalla quale si temeva il malocchio, s’incrociavano le dita. Quela lì dà il malocc, quella lì dà il malocchio. Invece
a Genova dicono: Fani fitu tuchéte u pané, fai presto toccati il sedere
Se si passava vicino, si facevano le corna. La zia di Pèrin, mi diceva :
Mia, che gh’è a Rusin-a, attento che c’è la Rosina Questa persona non lo
sapeva, però lo dicevano: “guarda che dà il malocchio”. [LU - Gro2]
52 Giardelli 2005.
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Per difendersi dal malocchio, facevano le corna dietro le spalle. Anche per i
maiali. Chiamavano il guaritore, prendeva il piatto, ci mettevano il sale,
facevano cadere le gocce d’olio. Se l’olio restava a galla non c’era niente, ma
se l’olio andava a fondo aveva il malocchio. [SP - Val]
Ai bambini in particolare era raccomandato di stare lontano da
questo genere di personaggi e di scappare appena li avessero visti:
C’erano tanti che ci credevano. Guarda avevo questa bella vacca, me l’hanno mastregà, affatturata. Mi ricordo uno che era sposato a Cetta e stava a
Camporosso. Andavano da questo qui, metteva sale, acqua e olio per toglierlo.
C’era una donna, ad esempio quella dell’osteria, che diceva quella dà il
malocchio. I miei che mi ricordo no, ma c’è chi diceva ai bambini di stare
attenti a certe donne. [IM - Tri3]
Fin da piccoli i bambini erano educati al sentimento della paura,
che assorbivano durante le veglie invernali dai racconti degli anziani, popolati di streghe e fantasmi:
Avevamo una paura, ho paura ancora adesso, più qui che a Sanremo. A
Sanremo giravo la città alle quattro di notte; qui, mi è rimasta la paura
di quando facevamo le veglie nei casoni [essiccatoi delle castagne], e allora
raccontavano di queste bazure e noi uno spavento… [IM - Cre]
I comportamenti, una volta pervenuti all’età adulta, erano conseguenti all’imprinting ricevuto dalla più tenera età.
Come si cura
Una delle pratiche magiche più largamente diffuse contro il
malocchio, prevede l’impiego dell’olio. Il suo uso rituale a livello alto trova molteplici applicazioni: dalla consacrazione per
unzione dei re (un ex presidente del consiglio italiano è ironicamente definito dai detrattori “l’unto del Signore”) all’estrema
unzione dei defunti; dal sacramento della cresima all’ordinazione
dei sacerdoti, durante la quale il vescovo unge le mani con l’olio
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santo al prete consacrato; alla lampada votiva che arde accanto
al tabernacolo. A livello di bassa magia i suoi usi sono innumerevoli: strofinarlo sui polsi per le ghiandole ingrossate e il mal
di gola; estratto dagli ofidiosi degli olmi, colti la notte di San
Giovanni Battista, per curare le ferite; ricavato dallo scorpione, per curarne la puntura; frizionato sullo stomaco per liberarsi dei vermi; preso dalla lucerna per guarire febbri ed emorroidi.
L’essere l’olio di oliva un alimento pregiato e di alto valore nutritivo, unito alle doti sacrali di cui è investito, rendono comprensibile, alla stregua del sale, la credenza sulla sventura incombente
su chi lo avesse lasciato cadere a terra. Vi si rimediava col gettare
per tre volte sale dietro le spalle. Arrecava invece fortuna trovare
delle macchie d’olio sul vestito.
L’altro elemento è l’acqua, che presiede all’origine della vita; in
particolare l’acqua corrente di sorgente è, secondo alcune antiche
concezioni europee, in grado di lavare ogni maleficio. 53
Questo potere salvifico, insito nell’elemento primordiale, è visto
nella cultura popolare come antidoto al male:in chiesa trova espressione ogni volta che s’immerge la mano nell’acquasantiera per segnarsi.
Così in alcuni paesi del Salernitano si recitano le seguenti preghiere:
Acqua santa, làvame,
Spiridu sandu, sàlvame
sàlvame l’ànema mia
fin’a l’ùltim’angoìja.
Acqua santa, lavami,
Spirito Santo, salvami,
salva l’anima mia
fino all’ultimo momento, nell’agonia.
In questa variante della stessa preghiera colpisce l’espressione sàlvami stu visu, nell’accezione latina di visu nel senso di sguardo:54
Acqua sanda, làvami,
acqua sanda, salvami;
salvami stu visu,
chi mi puorti’mbaravisu.
53 54 Angelini 2012b: 123 ss.
Colitti 2005: 170-171.
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Acqua santa, lavami,
acqua santa, salvami;
salvami questo sguardo,
affinché mi porti in Paradiso.
Paolo Giardelli
perficie è possibile vedere la chiazza d’olio). La differenza di comportamento
nei due piatti è interpretabile in termini di tensione superficiale, modificata
dalla presenza di tracce d’olio nel piatto trattato con il batuffolo di cotone.
Da questo esperimento si deduce che la disposizione delle gocce
sull’acqua dipende da quanto il piatto è stato accuratamente lavato. Se vale la buona fede, la “diagnosi” è affidata al caso.
Un secolo e mezzo fa, il farmacista di Varese Ligure, Clemente
Rossi aveva già intuito le osservazioni del CICAP e avanzato ulteriori obiezioni:
La caduta da una maggiore o minore altezza di quelle tre gocce d’olio sull’acqua, potrebbe esser la causa del loro allargarsi o no. Di vero per quelle gocce
cadute da maggiore altezza, che racchiudono una bollicina d’aria, l’allargamento è meno pronto che in quelle cadute dal basso. E la diversa temperatura
e la purezza dei due elementi non potrebbero avervi la loro influenza? 65
A Montaretto, nella Riviera di Levante, oltre al solito apparato e
l’immancabile foglia benedetta d’olivo, cambia la fase temporale
del rito, pur sempre imperniata sul numero magico tre:
In nome di Gesù e di Maria, u malöggiu vada via.
Si prende un piatto si mette sopra la testa, ci si mette l’acqua, poi si fa cadere l’olio con una foglia benedetta di olivo. Se c’è il malocchio, l’olio sparisce,
se non ce n’è, resta come è. Si fa sempre tre volte all’una, alle due, alle tre.
Io l’ho imparato da mia cognata a Genova, perché mio marito era di
Borgoratti. Me lo ha insegnato più di quarant’anni fa. Non era una giornata particolare. [SP - Mon]
In val Trebbia, nel caso il responso del piatto dia esito positivo,
cioè le gocce si allarghino nell’acqua, per scacciare la maledizione
è necessario che l’interessato beva qualche sorso di quella mistura
e poi rovesci l’acqua rimanente ai quattro angoli della stanza.
Per difendere i più piccoli da disgrazie e malattie che potevano
65 Rossi 1874: 77-78.
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essere “gettate” su di loro si usava porre nei vestiti dei più piccoli
un sacchettino, di preferenza di colore rosso, all’interno del quale
erano posti da tre a cinque grani di sale e, se possibile, qualche
foglia di ulivo benedetto la Domenica delle Palme.66
Il ricorso agli scapolari, messi nelle fasce, cuciti nel lato interno
delle maglie o appuntati con uno spillo al vestito, era molto diffuso
in passato, quando non esisteva assistenza sanitaria e la mortalità
infantile mieteva molte vittime:
Tanti ci credono anche ora a u précossu. I bambini non li facevano uscire
di sera senza qualcosa di benedetto al collo, o almeno con il cappello del
padre in testa. Il cappello del padre è considerato come una cosa benedetta.
Ce n’erano tante di credenze a quel modo lì un tempo …
Gli mettevano u brevetìn, un sacchettino al collo, dentro c’era un cristetto, una madonnina, del lumìn Cristu del venerdì santo, perché dicevano che gli davano il malocchio. Il brevetìn era a forma di cuore, lo
ricamavano con ago e filo, con un cordino per tenerlo al collo dei bambini.
Dentro ci mettevano quelle cose benedette.
Anche gli adulti. Una mia suocera e una mia zia, quando era sabato
santo andavano in chiesa a farsi dare un po’ di quella cera, ne pigliavano
un po’, da mettere dentro il giaccone, quando andavano a potare, a remundà, e salivano sui castagni, affinché non cadessero. Era un pezzettino
di cera, lo preparavano apposta i preti, lo fanno tuttora il sabato santo.
[GE - Pon]
Il sale era più efficace se consacrato dal sacerdote il giorno di
sant’Antonio Abate (17 gennaio), la palma e l’ulivo se benedetti
in periodo pasquale: Il neonato era legato stretto; prima gli si faceva
il segno della croce, poi si inseriva dentro le fasce un sacchettino con un
po’ di sale. Mettevano qualche immaginetta sotto il cuscino. [GE - Pen]
Ha avuto modo di osservarli in Lucania, tra gli altri, Carlo
Levi, durante il periodo fascista in cui era costretto al confino,
mentre, in qualità di medico, visitava gli ammalati. Ne descrisse
in seguito le caratteristiche – spesso semplici foglietti di carta o
piastrine di metallo, contenenti formule magiche – nel suo famoso
romanzo Cristo si è fermato ad Eboli:
66 Ricerca dell’ Istituto Comprensivo Val Trebbia.
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Visitando i malati, mi accadeva molto spesso di vedere, in generale appeso
al collo, con una cordicella, un fogliolino di carta, o una piccola piastrina di
metallo, con su scritta, o incisa, la formula triangolare:
A
AB
ABR
ABRA
ABRAC
ABRACA
ABRACAD
ABRACADA
ABRACADAB
ABRACADABR
ABRACADABRA
I contadini, dapprincipio, cercavano di nascondere questo amuleto, e quasi
si scusavano con me di portarlo: perché sapevano che i medici hanno l’abitudine di disprezzare queste superstizioni, e di tuonare contro di esse, in nome
della ragione e della scienza. E fanno benissimo, là dove la ragione e la scienza possono assumere lo stesso carattere magico della volgare magia: ma qui,
esse non sono ancora, e forse non saranno mai, divinità ascoltate e adorate.
Perciò io rispettavo gli “abracadabra”, ne onoravo l’antichità e l’oscura, misteriosa semplicità, preferivo essere loro alleato che loro nemico, e i
contadini me ne erano grati, e forse ne traevano davvero vantaggio. Del
resto, le pratiche magiche di quaggiù sono tutte innocue; e i contadini non
ci vedono nessuna contraddizione con la medicina ufficiale. L’abitudine
di dare a ogni malato, per ogni malattia, anche quando non è necessario,
una ricetta, è un’abitudine magica: tanto più se la ricetta era scritta, come
un tempo, in latino, o almeno con calligrafia incomprensibile. La maggior
parte delle ricette basterebbe a guarire i malati, se, senza essere spedite,
fossero appese al collo con una cordicella, come un abracadabra.
Di oggetti a virtù generica, oltre agli “abracadabra”, ce n’erano moltissimi e svariatissimi: segni cabalistici, astrologici, immagini di santi, Madonne di Viggiano, monete, denti di lupo, ossi di rospo, e così via: tutto un
armamentario tradizionale.67
Tradizione assai remota che rimanda alle bullae (contenenti di so67 Levi 1990: 209-210.
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lito un fallo in miniatura) che le madri dell’antica Roma mettevano al collo dei figli o ai sacchetti, riempiti con preghiere, grani
di sale e spicchi d’aglio, che gli Ebrei confezionavano per figli e
famigliari.
Fino a poco tempo fa, ma probabilmente l’uso sopravvive ancora, non erano soltanto i guaritori tradizionali a confezionarli, su
ordinazione dei genitori che li avrebbero fatti benedire al momento del battesimo, ma lo stesso clero: il breve infatti richiama i brevia, citati nei trattati di demonologia, che erano (sono) preparati
da sacerdoti e suore:68 Le suore davano dei cuoricini, poi facevano dei
sacchettini da mettere al collo del bambino. [GE - Iso] Il prete metteva un
sacchettino al collo, perché dicevano che proteggeva dal malocchio. Dentro c’era un crocetta di palma benedetta della Domenica delle Palme, un
po’ di sale e altre cose. [SV - Cas]
Nella confezione di questi “brevi” abbonda il repertorio di immaginette e oggetti devozionali che trae il suo potere dalla sacralizzazione cui è stato sottoposto durante qualche cerimonia religiosa
in particolari ricorrenze. Ma, accanto a questo, permane e spesso
coabita nello stesso sacchetto del breve, altro materiale del tutto
profano: erbe, ciuffi di pelo, pelli di serpente, e così via69:
L’ho sempre sentito dire che ai bambini mettevano qualcosa al collo, u brevetìn. Dicevano che dentro c’era un lumìn Cristu del Venerdì Santo. C’era
anche un’immaginetta del Cristo, ma anche un lumìn Cristu. Io credo che
fosse la cera non consumata della candela. [GE - Cal]
Io l’ho trovato a casa. Era un’immagine di un crocifisso con una scritta latina Iesus Christus sanctus, un po’ di frasi latine. Veniva piegato,
poi lo cucivano sui margini e quello veniva utilizzato. Invece a Vobbietta
mettevano dentro un sacchetto il sale, l’ulivo benedetto della Domenica
delle Palme, e poi immagini, a Vobbietta e Montessoro se è possibile, una
reliquia, un pezzettino di vestito (reliquia di contatto), tutto cucito dentro.
In casa mia ho la reliquia di San Giovanni Bosco. [GE - Iso]
68 69 Giardelli 2005: 163-168.
Altre testimonianze in Giardelli 2005.
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