“Assaggia” il libro

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“Assaggia” il libro
Domanda al vento che passa
DOMANDA AL VENTO CHE PASSA
malocchio e guaritori tradizionali
L’occhio secco
- Credevano che qualcuno desse il malocchio?
- Eccome. Dicevano che striuna i mattetti, strega i bambini piccoli, che
piangono.
- Come facevano a sapere che aveva il malocchio?
- Perché piangeva sempre. Quando piange sempre u l’è striunò.
- Lo facevano benedire dal parroco. Diceva delle preghiere speciali
- Lo portavano da quelle donne che sanno toglierlo
- Mia nonna diceva che era morto un bambino. Piangeva sempre, si è
riempito di sfogo, ed è morto.
Dicevano che aveva il malocchio.
- Quando incontravano un bambino piccolo con la mamma dicevano:
“Dio lo benedica”?
- Sì, per non fargli del male. Si è sempre usato.
- Mia nonna raccontava sempre che ha allevato un bambino, che non
era neanche il suo. Questo bimbo stava bene. È passata una di queste
persone che aveva fama di dare il malocchio, il bimbo si è ammalato e
poi è morto.
- La gente credeva a tutte queste cose.
- Siamo andati con mia mamma a casa di una signora; a mia figlia ha
voluto dare da bere un cucchiaino di caffè. Quando siamo arrivati a
casa la bambina sembrava matta. E subito ho pensato: “Quella donna
le ha fatto qualcosa”. Poi pensa, rifletti, ho capito che la colpa era del
caffè, piccola così aveva causato l’agitazione della bambina. [SV - Ria]
Nelle culture popolari uno dei principali pericoli, da cui era convinzione dovere proteggere se stessi, i figli, gli animali e le proprie
sostanze, era il malocchio. Una credenza che dall’antichità è pervenuta sino a oggi, trovando terreno fertile anche nell’ambito della
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sottocultura urbana. A dire il vero non solo quella. Un politico di
livello nazionale in quota rosa ha dichiarato di non abbandonare
mai il corno che si porta appresso, per difendersi dall’occhio secco.
Alla base di questa forma ostile di “energia magica”, che colpisce la salute e i beni delle persone, c’è la convinzione del potere
insito nell’occhio e veicolato attraverso lo sguardo. Tale credenza
è alimentata dalla disuguaglianza sociale e acuita in presenza di
condizioni economiche disagiate. Nel possessore suscita sentimenti contrastanti il confronto con chi ha meno di lui: sentimenti
di colpa per la sua fortuna e al contempo paura che tali beni – dalla salute al raccolto, dai figli al bestiame – gli vengano sottratti. In
qualche misura il malocchio è una proiezione psicologica sull’altro
di un sentimento condiviso, quello dell’invidia.
L’aspirazione negata per qualcosa che si desidera, ma non si
detiene, suscita rancore per il privilegio di alcuni e scatena il desiderio di sottrarre al fortunato il bene di cui dispone, in modo da
ripristinare l’uguaglianza sociale. Il malocchio svolgerebbe dunque in negativo la funzione che in positivo è demandata al dono
rituale. La negatività può essere sconfitta dalla positività di altri,
ad esempio i santi o i guaritori. In un ambito culturale che attribuisce all’invidia e alla disuguaglianza la causa della malattia e della
morte, le società rurali per non disgregarsi, escogitano un proprio
sistema difensivo, come se la salute potesse essere tolta o restituita,
quale bene collettivo e fruibile:
A differenza dell’invidia dei ricchi, che nasce dalla brama di beni superflui
e mira al male degli altri (tanto che già in Cicerone invidia è sinonimo
di odio), l’invidia dei poveri nasce da bisogni reali non soddisfatti, da
privazioni subite, da ingiustizie perpetrate, da paure di una precaria sufficienza di vita e di lavoro. L’una è invidia raffinata e nascosta, perfida e
tormentosa, l’altra è naturale e manifesta, è l’azione negativa del vedere
di traverso (invidere) che mira a fare valere nell’interno del gruppo e, comunque, riafferma per contrasto la regola comunitaria positiva di un’equa
distribuzione dei beni.
L’occhio malefico attraverso cui passa e agisce l’invidia provoca vari
effetti di malocchio e mette in moto una serie di difese contro di esso. La
bassa magia cerimoniale è costituita da questo meccanismo sociale di azioni e contro-azioni. Nella cultura contadina il rapporto diretto con la natu-
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ra, entità benefica e malefica, comunque imprevedibile, rendeva necessario
tale meccanismo per assicurare il buon raccolto …1
Il solo dato economico o un determinato contesto sociale non
bastano a spiegare un fenomeno, che è interclassista, e a cui concorrono molteplici cause, tra cui non è secondaria una personalità
disturbata, fragile psichicamente e soggetta a stati ansiogeni.
In un saggio, edito nel 1946 sulle patologie connesse al soprannaturale, un medico e psicologo francese, Georges Dumas,
che esercitava la sua attività al Centro ospedaliero per malattie
psichiatriche Sant’Anna di Parigi, s’interroga sulle obiezioni di
un collega che relega certi comportamenti alle classi più modeste
della società:
Pierre Janet ha avanzato un’obiezione molto grave quando ho portato
all’attenzione della Società di Psicologia di Parigi, alcuni fatti relativi a
questa inchiesta: “Voi avete curato a Sant’Anna – mi ha detto in sostanza
– malati che appartengono alle classi popolari. Non pensate che l’ignoranza e la superstizione siano alla base del ruolo rilevante attribuito dai
vostri malati psichici al Soprannaturale? È verosimile che avreste avuto
risultati diversi se aveste effettuato le vostre analisi in cliniche private, su
malati appartenenti alle classi colte”.
A queste osservazioni, Dumas così controbatte: … i malati delle
classi colte, di cui pubblico le osservazioni concedono spazio al Soprannaturale nel loro delirio per le stesse ragioni e per gli stessi meccanismi
dei malati illetterati e spesso con una adesione che sfida ogni concorrenza.
Dopo avere elencato una lunga lista di pazienti borghesi e aristocratici, specchio di una pluralità di soggetti corrispondente a
una diversità sociale, il medico conclude:
Tuttavia si può riconoscere che in alcuni ambienti popolari, superstizioni
figlie dell’ignoranza e l’ignoranza stessa possono favorire l’accettazione da
parte del malato di temi deliranti particolarmente assurdi, ma in tutte le
classi sociali le stesse psicosi si aprono al soprannaturale e lo segnano della loro
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Bronzini 1989: 189.
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impronta, che ne deriva dalle credenze dell’ambiente o che esse inventano.2
Alla stregua delle considerazioni del medico francese si può ragionevolmente riconoscere che là dove il valore del bene in pericolo,
come nel caso dell’unica mucca della stalla o della salute del capofamiglia, è fondamentale per la sussistenza famigliare, l’attenzione
per salvaguardarlo divenga assillante.
Il malocchio è uno di quei mali che derivano da un agente
responsabile, cioè colui che nuoce a cose e persone “guardandole”,
per un fluido negativo che promana dal suo occhio.
Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim (1486 - 1535)
scrive: È una forza che partendo dallo spirito del fascinatore, entra negli occhi del fascinato e giunge fino al di lui cuore. Lo spirito è adunque
lo strumento della fascinazione. L’occhio trascende la semplice funzione di organo ricettivo, per vedersi attribuire nell’immaginario
popolare un’energia smisurata, e talvolta devastante, dello sguardo.
A questo fenomeno è riconducibile ogni genere di calamità: perdita del raccolto, malattia, impotenza sessuale, morte.
Si differenzia dalla fattura, la cosiddetta “magia nera”, per
la non volontarietà che lo contraddistingue, sebbene il sentimento che lo suscita non sia esente da colpe. Se la fattura necessita di un complesso armamentario di gesti, formule magiche, ingredienti e pozioni, in grado di colpire la vittima anche a notevole distanza, il malocchio si esercita a stretto contatto, principalmente con lo strumento dello sguardo.
Mi hanno chiamata, perché lo zio stava male. Allora ho lasciato a casa
una sorella, un’altra mia sorella e un’amica. Dopo mezz’ora, vengono a
cercarmi: “Torna subito, la bimba grida senza sosta, non sappiamo cosa
fare”. Al mattino era stata a casa mia questa persona. Io arrivo là; quando
accadeva, me ne accorgevo subito. La bimba piangeva, piangeva, vedevi
che le venivano le lacrime. Quando veniva questa persona, lei gridava,
non piangeva, gridava. Aveva sette, otto mesi.
“Scappate tutte”. Mia suocera si è offesa: “Ma come, ci mandi via?”.
“Uscite tutte”. Non potevo farne uscire solo una. “Uscite tutte, devo farle
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Dumas 1946: 10.
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una cosa che la calma”. Sono uscite tutte, le ho fatto il piatto.3 La bambina
si è addormentata. Poi ho richiamato mia suocera, scontrosa, le ho spiegato:
“Abbiate pazienza, non potevo dire fermatevi voi e le altre mandarle via”.
“Oh, cosa le ha fatto?”. “Niente”. La bimba si era addormentata.
Ma tutte le volte che veniva questa persona, succedeva. Non diceva
niente alla bambina.
- Guardava mia figlia, subito si ammalava.
- C’era anche chi lo faceva apposta
- Dicevano che aveva il sangue più forte. Anche l’invidia. La donna che ha curato mia figlia, mi ha detto: A figiöa nu pö mangiâ, perché a g’ha a mamma che a l’è troppu invidiâ, la figlia non può mangiare, perché la mamma è troppo “invidiata”. Non tutti sono così, capita a chi ha la vista più forte. Io
ero amica con tutte, anche con questa persona che frequentava
casa mia, però, me ne accorgevo quando lei arrivava. [GE - Mon]
Il capro espiatorio
Chi è portatore della vista cattiva è accuratamente evitato: su di
lui è scaricata la responsabilità delle disgrazie individuali e della
comunità, divenendo a tutti gli effetti un capro espiatorio.
Ogni paese aveva, in relazione all’isolamento e all’arretratezza,
i suoi emarginati, i suoi “diversi”. Tra costoro non mancava mai chi
era temuto per la sua capacità di dare il malocchio, accusa accompagnata sovente da altre, tra cui quella di furto:
C’era una donna che viveva da sola ed era accusata di rubare. Tutti le
stavano lontani, quando passava, si scansavano. [IM - Cos]
Era una vecchietta, abitava qui vicino. Non gli ha fatto niente, povera
donna, gli ha detto soltanto: Che bellu piccin, che bel piccino Da quella
notte il bambino ha smesso di dormire. E io quando la vedevo, cercavo
sempre di schivarla. È la verità. Io mi ricordo che se portavo il bambino
vicino a questa donna, durante la notte non dormiva più. [GE - Bot]
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Per il piatto, si veda oltre, dove si tratta della sperlengöia.
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a strisciare fino alla sua trincea, che poi era un camminamento nella
neve dove stavano rintanati. La notte prima del combattimento gli
davano la “strega”, una razione di acquavite per farsi coraggio.
Quando gli hanno tagliato la gamba sopra il ginocchio, gli hanno dato
una mezza bottiglia di cognac e una striscia di cuoio da mettersi in
bocca per non rompersi i denti. Poi gli hanno fatto la rieducazione e
insegnato il mestiere di calzolaio.
Lussu scrive che quando arrivavano gli austriaci la prima cosa che
si sentiva era il tanfo di alcool, perché arrivava l’odore di grappa, li
ubriacavano tutti da una parte e dall’altra.
Diceva che alle volte aspettavano rinforzi, magari avevano preso una
montagna e a quel punto i rinforzi non arrivavano, dovevano cedere
e ritirarsi. E poi li mandavano a riconquistare la stessa montagna per
la quale si erano già inutilmente sacrificate tante vite.
Lussu scrive che i nostri strateghi avevano studiato sugli stessi libri.
Lui aveva combattuto anche con la baionetta, c’era rimasto del sangue
rappreso sopra. Usciva di sera alle volte, per farlo stare in casa – avevo
il libro delle elementari, gli leggevo quel pezzo lì, si metteva lì a sentire, non usciva più. Aveva il cappello di alpino, guai a chi glielo toccava.
Chi gli ha chiesto per primo di andare a segnare?
È venuto qualcuno che era di Scurtabò, che aveva il bambino piccolo
malato, e gli ha chiesto di segnare. Lui ha detto: “Io non ho mai segnato”. Gli han risposto: “Tu sei stato ferito da arma nemica, hai la virtù”.
E allora lui ha detto: “Se mai che ce l’ho questa virtù, a segnare ci metto
poco”. Lui ci passava un po’ la mano sopra, poi faceva dei segni di croce,
diceva qualche parola. Curava mal di pancia, sfoghi di pelle, dermatiti, quello dei bambini (u lattussu: crosta lattea), donne che avevano
male al seno, che erano state anche dal medico, e poi stavano meglio.
Lui non voleva niente, gli regalavano dei sigari.
Quando venivano delle febbriciattole, ci passava le mani sopra e le
guariva. Avevano questo potere quelli che avevano avuto delle ferite
in guerra; i settimini sapevano indovinare il futuro. [SP - Scu]
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Vi sono alcuni guaritori che hanno saputo conquistare, nei paesi
dove hanno “esercitato”, un notevole prestigio, tanto che la loro
fama ha superato gli angusti ambiti del villaggio di residenza, per
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spingersi nelle vallate vicine e persino conquistare in rari casi una
notorietà mediatica. Talora operano tuttora. Le persone cui ci riferiamo hanno nella loro vita svolto un lavoro analogo a quello
del resto della comunità di appartenenza – contadini, artigiani,
mestieri consoni alla società rurale di appartenenza –, destinando
alla loro attività di cura solo la parte di tempo eccedente la loro
normale e quotidiana occupazione.
È evidente che alla base dell’apprezzamento delle loro capacità
c’è l’ottenimento di un numero consistente di successi nell’esercizio della loro “professione”. È stato scientificamente dimostrato
l’effetto positivo del placebo in medicina; quale importanza abbia
il potere della suggestione nel conseguire un esito favorevole sui
malesseri lamentati dal paziente; come una predisposizione ottimistica del nostro cervello, ad attendersi effetti benefici dai trattamenti terapeutici cui si è sottoposti, abbia un riscontro nei progressi
constatati di guarigione. L’origine psico-somatica di molte malattie
ha in qualche misura rivalutato l’azione della medicina popolare, attenta a curare non i sintomi, ma l’origine del male.
Sull’altro piatto della bilancia è da considerare che l’insuccesso
nell’applicazione di un processo di guarigione tradizionale è sempre
rimandato alla responsabilità del paziente, il quale non avrebbe avuto
“fede” nel potere divino di cui si avvale la cura paesana. Il bisogno
di essere rassicurati e confortati dalle proprie debolezze, innesca un
meccanismo psicologico che tende a scartare gli errori commessi dalla
persona cui ci siamo rivolti per chiedere aiuto, per concentrarci invece sugli esiti positivi del suo dire e del suo agire. Inoltre il ricorso al
guaritore era un tempo legato, non solo a un convincimento dettato
dalla propria cultura, ma da un’esigenza stringente di tipo economico,
data l’impossibilità di sostenere le spese mediche. Attualmente chi
ricorre al guaritore, si rivolge anche al proprio medico e ne segue le
prescrizioni, pertanto stabilire in seguito chi ha curato cosa è assai più
problematico.
Se molte delle malattie trattate “tradizionalmente” derivano da distonie del sistema neuro-vegetativo, va onestamente riconosciuto che
vi sono casi nei quali è assai più difficile trovare una spiegazione razionale, basata esclusivamente sul processo psicologico della suggestione:
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è il caso di bambini molto piccoli o del bestiame ammalato, curati non
di rado con il solo uso del pensiero e la preghiera a distanza.
Nei racconti di coloro che si sono sottoposti alle cure del terapeuta tradizionale, colpisce l’immediatezza della reazione alla
malattia. Quasi sempre la guarigione, in caso di esito positivo,
segue a brevissimo lasso di tempo dalle pratiche rituali adottate.
Talvolta coincide con la visita al “levatore di sorte”; addirittura la
precede, quando, a trarne subitaneo giovamento, è sufficiente vi sia
un parente in cammino per incontrarlo, con un capo di vestiario
del paziente; oppure chi opera ha diagnosticato il disturbo, prima
ancora di venirne richiesto:
Mio papà un giorno scende la scala e tutto di colpo gli viene un terribile
mal di pancia. Era partito da in cima alla scala senza avere niente, è
arrivato in fondo che stava malissimo. Tornando un passo indietro, aveva
bevuto alla fontana lì di sotto, e c’era una persona. Poi è andato in casa,
ha sceso la scale e gli è cominciato il dolore di ventre. Mio papà si buttava
con la schiena per terra e i piedi in aria, dai dolori che aveva. Mia mamma – a quei tempi pensavano subito a una cosa del genere – ha mandato
mio fratello da una donna, la moglie di uno che vendeva piatti, Piattin di
Montebruno. Ha chiamato mio fratello Silvio, che era il maggiore, e gli ha
detto vai con questo, non so se gli ha dato un ciuffo di capelli o una maglia,
vai da questa donna. Non era ancora arrivato che mio papà si è calmato e
ha detto alla moglie: “Preparami una tazza di caffelatte, ho fame”.
E poi mio fratello è arrivato da questa persona. Gli ha detto: “Eh, se
non venivi, era già morto”.
Adesso son cose. Però nel mio sentimento il malocchio esiste sempre. C’è
ancora. Ci sarà finché c’è il mondo. Magari una persona non lo sa neppure,
magari è un colpo d’invidia. [GE - Ron]
C’era la Graziella che soffriva la vista di una persona. Perché lì è la vista di
una persona, non è che uno vuol arrecare male davvero a questa bambina.
Chi ha il sangue più forte, soffre di più. Era piccina, la imboccavo. E non voleva mangiare. Arriva a casa mio marito, e non ha ancora cenato. Mamma
mi dice: “Girala un po’ a reversa, a rovescio. Che a volte, invece di metterla
bene, mettendola girata, vedrai che mangia”. Non c’era verso. Mio marito è
partito, è andato ai Due Ponti da questa donna, che era anziana, abitava
sola. Abbiamo calcolato che quando è arrivato - la signora avrà fatto qualcosa - la bambina si è messa a mangiare. Quando mio marito è tornato
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indietro, la bambina aveva già cenato e si era addormentata.[GE - Mon]
Lo danno quelli che hanno la vista più forte. Dicono che non bisogna mai
fissare i bambini piccoli, parlare, ma non fissarli mai, perché da quell’occhio
così fisso a quel modo le persone più deboli possono essere colpite.
Se hanno la vista forte, ai fanti, bambini, fanno male subito. Noi altri abbiamo avuto un nipote cui è successo. Pareva dovesse morire ormai, poi hanno preso una maglia, una fotografia,
sono andati da quello stregone a Chiavari, dopo un giorno o due
ha cominciato ad essere più vivace, mentre prima era sempre inerte, non si muoveva mai. Ora avrà una sessantina d’anni. [SP - Mon]
Una volta l’ho trovata sulla piazza: “Dì, Caterina, ho mica i vermi ?”,
“Te li ho già segnati, lì per la strada, te li ho già segnati”. [IM - Tag]
Numerose testimonianze concordano nell’evidenziare poteri paragnomici da parte di alcuni guaritori. Gli ammalati o i loro parenti rimangono sorpresi dalle loro doti di capacità percettiva e
di comunicazione, di solito spiegabili come semplici coincidenze
o fortunate intuizioni, ma non sempre riconducibili a un ambito
strettamente razionale.
Mio figlio ogni sera alla stessa ora cominciava a piangere disperatamente.
Poiché lo stato della sua malattia peggiorava, mio marito è andato
a San Lorenzo al mare, dove c’era una guaritrice. Questa donna aveva
una benda verde in testa, sembrava proprio una strega. Mio marito le ha
portato la maglia della pelle del bimbo. Mio marito era accompagnato dal
cognato. Quando hanno bussato alla porta, la donna gli ha detto subito:
“Lei è il padrino del bambino”. Era la verità, ma nessuno l’aveva informata e sono rimasti stupiti.
Quando mio marito è tornato a casa, ignorava che doveva mettere
indosso al bambino la canottiera portata alla guaritrice. Così non c’è stato
nessun miglioramento e il bimbo ha continuato a stare male. Allora sono
ritornati dalla maga e lei ha rifatto i suoi riti e poi si è raccomandata:
“Mettila indosso al bimbo e vedrai che guarisce”. Appena a casa l’hanno
fatta indossare al bimbo, che era stato colpito dal malocchio. Immediatamente ha smesso di piangere ed è guarito.
Io sono corazzato contro il malocchio. A me non possono fare niente. In
passato ce n’erano di più che potevano fare male. Chi sa guarire ha anche
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il potere di nuocere. Una volta ne ho seguito uno con la vespa, che si era
infilato in un vicolo chiuso. Sono entrato, ho girato tutto intorno con la
moto. Era scomparso! Sono in grado di sparire! [IM - Tri4]
C’era un prete a Borrasi in tempo di guerra. A me era morta una sorella di
sette anni di meningite, e mia mamma ha mandato una persona da questo
prete. Quando siamo arrivati laggiù, ci ha detto: “Io lo sapevo che eravate
in cammino, avete perso anche la strada”. [GE - Ron]
Una volta sono andato a Genova da questo stregùn, dalle parti di S. Paolo. Aveva un pendolino e il corpo umano (una carta con il corpo umano).
Mi ha detto: “Non so come fai a essere ancora viva, con tutto quello che
hai passato. Hai avuto due parti”, “No, uno”. Mi ha detto: “L’aborto, l’ho
avuto io?”. Io ho avuto un aborto. Ha detto: “Avete un uomo, beve e fuma,
ve ne fa passare di tutti i colori”. E mio marito era lì. C’era tanta di quella
gente, era pieno così.[SP - Mon]
Usa ancora adesso portare ai guaritori la maglia della pelle del malato. Ce
n’era uno ad Acqui, un altro a Molare, l’erborista di Novi.
C’è andata una persona, quando mio marito stava male, un mio cugino gli ha portato la maglia. Prima gli ha chiesto: “Come si chiama?”
e mio marito si chiamava Luigi, ma lo chiamavano Nanni. Abituato a
chiamarlo così in casa, questo parente ha risposto si chiama: “Giovanni”.
Lui ha toccato la maglia, ha detto: “Quest’uomo non si chiama Giovanni”.
Poi è stato un po’ lì, ha detto: “Ha tanto male, ha tanto male, ha tutte le
ghiandole malate. Ne avrà per poco”. Infatti è morto. [GE - Iso]
Ernesto De Martino cita le capacità paranormali degli sciamani
tungusi, la loro capacità di lettura del pensiero e di comunicare a
distanza, sottolineando che non sempre è così semplice trovare
una spiegazione razionale:
Per esempio, uno sciamano accusò un giovane presente alla seduta di avere
mangiato il rene di un animale sacrificale. Non era possibile il sospetto che
lo sciamano sapesse chi aveva fatto la cosa (in questo caso particolare ritengo che egli non poteva averlo visto, poiché era occupato in altre faccende)
… Lo sciamano ordinò al giovane di rimettere il rene, che fu immediatamente vomitato nel tamburo.92
92 Shirokogoroff 1935: 331.
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si ricorreva a circonlocuzioni del tipo: colui che segna, colui che dice,
in riferimento alle pratiche rituali esercitate.
L’uomo di Glori
Glori è una piccola frazione di mezza costa della Valle Argentina, con i suoi volti in pietra e la muratura a vista delle case, i cui
abitanti sono tuttora tenacemente attaccati alle proprie tradizioni,
gelosamente custodite. Da alcuni anni il paese è stato scoperto da
turisti stranieri che hanno acquistato numerose case, dove soggiornare nei periodi di ferie.
L’uomo di Glori apparteneva a una famiglia di guaritori. Prima
di lui avevano già esercitato questa attività suo padre Giobatta e
sua nonna Teresa, alla quale si deve la trasmissione del sapere. I
nomi indicati sono di fantasia. L’uomo di Glori era Pietro, ma già
il padre andava in giro per le vallate, mentre la nonna svolgeva
la sua attività nei dintorni. Il figlio e il nipote si sono spinti più
lontano, là dove i loro servigi erano richiesti. Due zie di Pietro si
erano trasferite in Riviera, dove esercitavano il mestiere di cartomanti. Pertanto una famiglia che operava in questo particolare
ambito “magico”.
A Glori si ricorda la guarigione da parte di nonna Teresa di
una donna, mancata una decina di anni fa, sofferente di crisi depressive. Pare che una domenica Teresa, la guaritrice, si sia presentata a casa di questa persona per curarla, dicendole di andare a
comprare una pentola nuova di terra.
Ha fatto uccidere il coniglio più grasso che avevano, ha prelevato il fegato ancora caldo del coniglio e lo ha buttato nella pentola di terra, che era stata messa sul fuoco. Il fegato ovviamente
si è messo a scoppiettare a contatto con la pentola calda e lei ha
sentenziato che erano le bàggiue, le streghe, che se ne andavano
dal corpo dell’ammalata. Ha detto però che il resto del rito doveva
compierlo a casa sua, a Glori, si è fatta incartare il coniglio e se lo
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è portato via. Cosa sia successo dopo non è dato sapere …
Un episodio accaduto negli Anni Venti, perché la Bianca, che
era la paziente, era all’epoca dei fatti una ragazza, avendo avuto un
figlio nato nel 1924. L’episodio sarebbe avvenuto proprio in questo
anno, quando era in attesa del parto, e soffriva di depressione.
Il racconto denota una certa malizia nei confronti della guaritrice
alla quale si vorrebbe imputare tra le righe di avere agito con scaltrezza per mangiarsi a sbafo il coniglio, all’epoca una vera manna.
A quanto si dice questa famiglia di guaritori non ha mai riscosso
grande successo in paese, mentre le prestazioni magico – terapeutiche dei suoi componenti di spicco, erano richieste e apprezzate
al di fuori della comunità di origine.
Il rito magico del fegato è ricordato anche altrove. La seguente testimonianza proviene da Apricale e mostra l’arretratezza culturale
di cui a lungo ha sofferto la nostra montagna, trattandosi anche
in questo caso di avvenimenti risalenti al secolo XX. Poiché anche
la guaritrice Caterina ricorda, come diremo più avanti, un analogo
esorcismo, svoltosi sempre ad Apricale, può darsi vi fosse in questo borgo qualche “levatrice di malocchio” specializzata proprio in
questa pratica.
Ce n’era di malocchi. Ad Apricale facevano bollire non so cosa, poi andavano a mezzanotte, che nessuno vedesse, agli “scrusciai”, agli incroci, a
gettare l’acqua per levarsi il malocchio. Preparavano dei decotti, non so
cosa mettessero a bollire.
Dare il malocchio si dice afaiturà. Questa storia è successa a mia sorella
Ada, con Carlotta, buon’anima. Io ho assistito a tutto.
Quando Ada era molto malata. La mamma le aveva provate tutte. All’ultimo dicevano che Carlotta toglieva il malocchio.
Non so neanche raccontarla bene, perché all’ultimo mi era venuta una
paura, ragazzi…, mi era venuta una paura che alla sera, quando calavano le tenebre, poi avevo spavento a uscire.
Hanno quelle ore. Alle undici questa donna, Carlotta, arriva. Io avrò
avuto dieci anni. Aveva dato ordine di comprare un fegato. Alle undici è
arrivata, ha dato ordine di chiudere tutte le porte, ha cominciato a dire
delle cose che non si capiva niente. C’era mio papà, mia mamma, mia sorella e c’ero io. Non mi ricordo se gli spilli li ha messi prima o dopo. Una
puzza per questo fegato che è durata tre o quattro giorni. Il fegato lo ha
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messo a cuocere sulla stufa. Mentre cuoceva: nanani nananà, bum, uno
spillo; nanani nananà, bum, uno spillo; nanani nananà, bum uno spillo;
nanani nananà, uno spillo. Ci avrà messo cento spilli o anche di più. Questo è successo a noi, però non l’ho più chiara, come è andata a finire dalla
stufa. Mi sembra che poi abbia tirato via degli spilli, che uscisse ancora
sangue, ha detto: “Vedrai, questo è sangue”. Ci siamo stati fino all’una,
le due del mattino. Non mi ricordo che fine abbia fatto il fegato. Che poi
dopo, questa Carlotta, una signora anziana, quando è finito tutto mi dice:
“Adesso vai giù ad aprire la porta di casa”. Porco cane avevo una paura …
sono andato … la mia ombra … avevo paura …, penso che una volta tutte
queste storie, ti mettevano in condizione di crederci.
Non mi ricordo che fine ha fatto il fegato. So che questa donna borbottava, ma non si capiva. [IM - Apr2]
La vicenda di Pietro, conosciuto come l’uomo di Glori, la ascolto da Gian Luca Ozenda, la cui famiglia vive da generazioni nel
paese della valle Argentina. Su Pietro a quanto pare aleggiava un
giudizio controverso, condiviso da molti “colleghi”, i quali possedevano una personalità forte, le loro debolezze, talvolta avevano
doti indubbie, in altri casi si “arrangiavano”. Mi è capitato personalmente, nelle comunità dove qualche curatore opera tuttora, di
riscontrare accanto alla riconoscenza di alcuni, che vi hanno fatto
ricorso con soddisfazione, la diffidenza malevola espressa da altri.
A muovere questo atteggiamento non è la ragione della scienza
medica, quanto piuttosto un inconscio timore per il potere a loro
attribuito, sebbene all’occorrenza anche i più critici nel negarlo,
non esitano a ricorrervi. Nascevano così dicerie, storielle, aneddoti,
il cui scopo principale era quello di mettere in cattiva luce il soggetto implicato. Alla genesi di questi episodi di discredito e alla
loro divulgazione non era probabilmente estraneo il sentimento
dell’invidia, per un sapere da cui si è esclusi, essendo il guaritore
personaggio misterioso e geloso dei propri segreti. Chi vi ricorreva da fuori era estraneo a queste dinamiche innescate da rivalità
e screzi tutti interni alla comunità di appartenenza, compiva un
viaggio della speranza ed era disponibile a riporre ogni fiducia in
chi lo poteva aiutare. È significativo che nel suo paese, a Glori,
fosse chiamato u baggiurûn, lo stregone, quindi con un appellativo
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