capitolo 8 - Facoltà di Scienze Politiche
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capitolo 8 - Facoltà di Scienze Politiche
CAPITOLO 8 COMMERCIO INTERNAZIONALE E SVILUPPO ECONOMICO 8.1 INTRODUZIONE In questo capitolo studieremo il nesso tra commercio internazionale e sviluppo economico. Come discusso nel secondo capitolo, a partire dagli anni settanta si è sviluppato un fervido dibattito attorno all’impatto che diverse politiche commerciali possono avere sullo sviluppo economico dei PVS. Il dibattito si è articolato lungo due filoni di ricerca: un primo gruppo di studiosi affermava l’importanza del protezionismo, almeno in alcune fasi dello sviluppo economico; altri studiosi sostenevano, invece, l’importanza del libero scambio e corroboravano le loro posizioni teoriche facendo riferimento all’esperienza del Giappone prima e delle tigri asiatiche poi. Nei paragrafi seguenti discuteremo inizialmente gli argomenti in favore del libero scambio per poi soffermarci, in maggior dettaglio, sugli argomenti sviluppati per giustificare politiche protezionistiche. 8.2 ARGOMENTI IN FAVORE DEL LIBERO SCAMBIO Le politiche commerciali possono essere schematicamente classificate in tre categorie: orientate all’esportazione (outward oriented), orientate alla produzione interna (inward oriented) e neutrali. Outward Oriented: Regime di politica commerciale che discrimina in favore delle esportazioni di beni prodotti localmente; Inward Oriented: Regime di politica commerciale che discrimina in favore delle attività produttive che competono con il settore delle importazioni; Politica Commerciale Neutrale: Regime di politica commerciale che non discrimina tra settore delle importazioni e settore delle esportazioni. Alla luce di questa classificazione possiamo definire le politiche di “liberalizzazione commerciale” come orientate a trasformare il regime di politiche commerciali da inward oriented a neutrale o, in ultima istanza, ad outward oriented. Un argomento solitamente utilizzato in favore del libero scambio si basa sull’idea che trasformando un’economia da ‘inward oriented’ ad ‘outward oriented’ (o neutrale) i flussi di commercio internazionale che si generano, creano incrementi nella produttività ed, in ultima istanza, crescita economica. Le argomentazioni in supporto di tale idea sono essenzialmente quattro: 1. Il libero scambio promuove una migliore allocazione delle risorse; 2. Il libero scambio genera maggiore competizione ed induce alla specializzazione della produzione; 3. Il libero scambio rende l’economia locale più attraente per gli investimenti stranieri; 4. Il libero scambio crea un ambiente favorevole ai trasferimenti tecnologici. Naturalmente questi quattro argomenti sono connessi tra di loro: Il fatto che le imprese nazionali confrontino la pressione competitiva di un mercato internazionale le indurrà a elevare gli standard di produzione allocando in maniera più efficiente le risorse. Questi cambiamenti produttivi dovrebbero generare un aumento della produttività marginale. Tali cambiamenti dovrebbero rendere il paese più attraente agli occhi degli investitori internazionali, e di conseguenza 148 dovrebbero attrarre maggiori investimenti. Un elevato flusso d’investimenti stranieri genererà, in teoria, spillover tecnologici. I due canali principali attraverso cui questa spirale positiva si propaga sono un aumento delle importazioni ed un aumento delle esportazioni. a) Esportazioni: rafforzano gli incentivi ad adottare nuove tecnologie aumentano i ritorni dall’innovazione causati dal più ampio mercato disponibile (mercato nazionale più mercato internazionale). Le principali fonti di guadagno associate all’espansione delle esportazioni sono: (1) un guadagno immediato associato all’aumento della produzione e dei consumi generata dai nuovi mercati disponibili; (2) un guadagno immediato associato all’aumento della fetta di mercato disponibile; (3) guadagni dinamici generato e continui associati all’incremento produttivo dall’upgrading tecnologico. b) Importazioni: I guadagni associati all’aumento delle importazioni sono fondamentalmente generati da: (1) importazioni tecnologia (technology embodied imports); (2) contenenti nuova importazioni di un’ampia gamma di input per la produzione. In entrambi i casi il guadagno è generato da trasferimenti tecnologici. 8.3 TECNICHE PER ELIMINARE PREESISTENTI BARRIERE TARIFFARIE Le tecniche che un governo orientato al libero scambio può adottare per rimuovere le esistenti barriere tariffarie, sono diverse e generano diversi effetti sull’economia. Il primo passo in tale direzione è quello di calcolare il livello effettivo di protezione. Questo è definito come l’incremento percentuale nel valore aggiunto per unità prodotta in un’attività economica resa possibile dall’adozione di tariffe sull’importazione, rispetto ad una situazione ipotetica in cui le tariffe sono nulle ed il tasso di cambio è lo stesso. Nella realtà è molto difficile ipotizzare una situazione in cui è possibile eliminare la protezione tariffaria di un determinato mercato istantaneamente. In molti casi, 149 infatti, è necessario adottare politiche di tariff dismantling che lentamente riducano la protezione tariffaria, senza così incorrere nell’opposizione delle lobby di potere favorevoli al protezionismo. In questo caso un politica di second best è necessaria: Concertina Method: Consideriamo un mercato caratterizzato da una complessa struttura di tariffe. L’obiettivo finale del policy maker è quello di eliminare ogni forma di protezione tariffaria. La procedura ottimale dipenderà dal tipo di limitazioni imposte dall’ambiente esterno. Assumiamo, come visto in precedenza, che il policy maker non possa azzerare simultaneamente tutte le tariffe. Il problema da affrontare sarà decidere quale tariffa ridurre prima e quale dopo. Riducendo prima la tariffa più bassa, si ridurrebbe la distorsione di quel settore rispetto ai settori non protetti (nel nostro caso i settori orientati all’esportazione). Ma un secondo effetto non desiderato sarebbe quello di aumentare la distorsione rispetto agli altri settori protetti. Chiaramente questa strategia non è la migliore. Rappresentazione grafica del metodo di Concertina. Tariff dismantling: Concertino method first step Initial level of protection 60 60 Level of protection 50 40 30 20 10 40 30 20 10 0 Sector 1 Sector 2 Sector 3 Sector 4 0 Sector 5 Sector 1 Different sectors Sector 2 50 40 30 20 10 0 Sector 1 Sector 2 Sector 3 Different sectors Figura 1 150 Sector 3 Different sectors Second Step 60 Level of protection Level of protection 50 Sector 4 Sector 5 Sector 4 Sector 5 Una strategia migliore è quella proposta dal Concertina Method. In questo caso si dovrebbe ridurre prima la tariffa più alta portandola al livello della seconda più alta. Consecutivamente le due tariffe più alte dovrebbero essere abbassate al livello della terza più alta. Questa strategia va portata avanti fino all’azzeramento di tutte la tariffe nel mercato considerato. Il metodo di Concertina è una strategia ottimale di riduzione tariffaria dato che non genera distorsioni collaterali durante il processo di eliminazioni delle restrizioni al libero commercio. Riduzione across-the-board: Ora prendiamo in considerazione il caso in cui tutte le tariffe debbano essere ridotte in maniera graduale. Un tale tipo di riduzione può essere attuata per dare alle imprese il tempo di adattarsi gradualmente alla nuova politica commerciale (di libero scambio), raggiungendo gli standard di efficienza internazionale in maniera graduale. Una possibile strategia che assicuri una costante ma graduale riduzione del livello di protezione tariffario è la così detta riduzione across-the-board. Tale strategia garantisce costanti miglioramenti nell’allocazione delle risorse e nelle decisioni di consumo. La strategia è di facile applicazione in quanto comporta una costante (ad esempio annuale) riduzione del livello tariffario di tutti i settori considerati. Una volta raggiunto un predefinito livello soglia la tariffa viene azzerata in maniera repentina. Esempio: consideriamo una situazione iniziale in cui abbiamo il settore non protetto delle esportazioni X, e due ulteriori settori protetti A e B, che producono beni in competizione con le importazioni. Le tariffe in questi due settori sono inizialmente al livello di 30% e 50%. Le distorsioni derivanti dalla errata allocazione delle risorse e dei consumi possono essere calcolati osservando i gap tariffari tra i diversi settori. Esiste un gap del 50% tra il settore non protetto ed il settore maggiormente protetto, un gap del 30% tra il settore non protetto ed il secondo settore protetto, ed in fine un gap del 20% tra i due settori protetti. Se i tre gap sono ridotti simultaneamente l’economia registrerà un miglioramento. Una 151 qualsiasi politica di riduzione delle tariffe simultanea non genererà alcuna forma di distorsione. Al contrario se la riduzione non avviene across-the-board alcune distorsioni potrebbero verificarsi e la situazione potrebbe complessivamente peggiorare. Consideriamo il caso in cui un policy maker poco attento decida di dimezzare la tariffa più bassa portandola dal 30% al 15%, ma riduca la tariffa più alta solo del 10% (portandola al 45%). In tale circostanza il primo gap sarà ridotto dal 50% al 45%, il secondo gap passa dal 30% al 15%, ma il terzo gap crescerà passando dal 20% al 30%. In tali circostanze non è possibile affermare con certezza che la riduzione tariffaria ha generato un welfare improvement. Costi collaterali associati alla eliminazione delle tariffarie: sarebbe ingenuo assumere che le due strategie di eliminazione delle tariffe ora discusse possano effettivamente essere attuate senza generare potenziali distorsioni. Senza ombra di dubbio una transizione verso il free trade comporta severe perdite nelle entrate dello stato. È lecito aspettarsi che tali perdite siano compensate (almeno parzialmente) con l’imposizione di diverse forme di tassazione dei cittadini. Inoltre l’eliminazione delle barriere tariffarie può generane degli indesiderati effetti di ridistribuzione dei redditi. I cambiamenti devono essere effettuati in maniera graduale o, se effettuati in maniera repentina, è auspicabile che l’economia sia in condizioni di piena occupazione e con un elevato tasso di crescita economica, onde evitare seri danni a fette della popolazione. 8.4 ARGOMENTI IN FAVORE DEL PROTEZIONISMO Politiche protezionistiche possono essere economicamente giustificate se le condizioni necessarie per godere dei benefici del free trade sono assenti. Diverse forme di violazione d'altronde richiederanno diversi tipi di soluzioni. È altresì vero che nella stragrande maggioranza dei casi le politiche protezionistiche vengono attuate in seguito ad istanze di natura non-economica (ad esempio la necessità di avere una industria nazionale dell’acciaio che possa essere utilizzata 152 per scopi bellici in caso di guerra). Tali istanze, per quanto non immediatamente economiche, sono perfettamente legittime. Un attento calcolo dei costi e dei benefici associati al protezionismo dovrebbe tenere conto dei vantaggi politici associati al protezionismo e pesarli contro gli svantaggi puramente economici. Gli argomenti in favore del protezionismo possono essere generalmente classificati in due macro categorie: argomenti statici ed argomenti dinamici. Un argomento statico è solitamente valido in ogni istante in quanto basato su condizioni sempre valide. Tali argomentazioni giustificano l’adozione permanente di barriere tariffarie. Al contrario una argomentazione dinamica in favore del protezionismo si basa su condizioni particolari che si verificano in un particolare momento storico. Tali argomentazioni, dunque, possono solo giustificare l’adozione temporanea di protezioni commerciali, che saranno sollevate una volta superato il particolare momento storico. Il cuore di tali argomentazioni è l’idea stessa del comportamento strategico. Considereremo nella nostra analisi prima gli argomenti statici in favore del protezionismo, focalizzando l’attenzione sulla teoria della domestic divergence. In seguito considereremo gli argomenti dinamici, soffermandoci principalmente sulla teoria dell’industria nascente, la teoria degli obiettivi occupazionali, la teoria delle politiche commerciali strategiche ed infine gli argomenti di politica economica in supporto del protezionismo. 8.5 Argomenti statici in favore del protezionismo Divergenze Marginali: Consideriamo una situazione in cui ci sono ‘divergenze marginali’ tra la funzione di costo privata e quella pubblica. Tale circostanza può essere determinata dalla presenza di un maggior numero di variabili nella funzione di costo pubblica. Un esempio classico è la presenza di esternalità sociali nella funzione di costo pubblica che non rientrano in quella privata (ad esempio i benefici derivanti da misure di sicurezza nazionale sono difficilmente individuabili in una funzione di costo privata, ma certamente hanno un peso 153 notevole in una funzione di costo pubblica; un ulteriore esempio è dato dalla adozione di politiche per alleviare la povertà, tali politiche avranno un elevato impatto sociale ma l’impatto privato sarà minimo se non nullo nella maggioranza dei casi). Il grafico riportato qui sotto rappresenta una situazione in cui i costi marginali privati non coincidono con quelli pubblici. In tale circostanza la curva di offerta pubblica sarà al disotto di quella privata per ogni livello di prezzo (in altre parole ad ogni livello di prezzo la domanda pubblica sarà maggiore di quella privata). Il framework teorico è simile a quello discusso in precedenza: esistono solo due paesi α e β (per semplicità consideriamo α il nostro paese, e β il resto del mondo), ed un bene prodotto X: Price J E S N Q P L F K O A C Quantity of the importable B1 B Domestic demand curve Social domestic supply curve Domestic supply curve Foreign supply curve Figura 2 Se il mercato è in equilibrio, l’offerta interna del bene X sarà pari ad OA, mentre la domanda interna sarà OB. Dunque l’offerta esterna sarà AB (in altre parole AB è la quantità del bene X importata). Si noti che in questo esempio la curva d’offerta del resto del mondo e parallela all’asse delle ascisse, il che significa che 154 il livello di domanda del nostro paese non ha alcun effetto sul prezzo internazionale del bene X. La presenza di una divergenza marginale tra costi pubblici e privati genera, come anticipato, una diversa curva di offerta pubblica. In base alla nuova curva di offerta, il livello ottimo di produzione interna sarà OC (dove OC>OA). Se assumiamo che non ci siano divergenze marginali dal lato della domanda, e che il prezzo delle importazioni (OP) indica il costo privato e sociale delle importazioni, seguirà che un qualsiasi intervento mirato ad aumentare il livello di produzione domestica, non dovrebbe alterare il livello dei consumi. Questo obiettivo può essere raggiunto elargendo un sussidio alla produzione pari a PS per ciascuna unità prodotta. In tale modo il più elevato prezzo ricevuto dai produttori locali per ciascuna unità di bene li indurrà a produrre OC. Ora il costo privato marginale di produrre una unità aggiuntiva del bene X sarà pari a CL (in virtù del sussidio elargendo alla produzione), il costo totale del sussidio sarà pari a PSJL, ed il prezzo per i consumatori sarà rimasto invariato (OP). Le seguenti conclusioni possono essere tratte: Il costo sociale di produzione dell’extra output prodotto localmente è uguale all’area sotto la curva di offerta sociale Æ AKLC; il costo di importazione della quantità AC è pari all’area sotto la curva di offerta internazionaleÆ ACLN. Segue che il guadagno sociale sarà pari a KNL. Altri effetti sono la perdita pari a PSJL sofferta dai taxpayer, ed il guadagno pari a PSJN da parte dei produttori locali (surplus dei produttori). By-Product-Distortion: Lo stesso livello di protezione può ovviamente essere ottenuto introducendo una tariffa al posto del sussidio discusso in precedenza. Adottando una tariffa pari al rapporto SP/OP il prezzo interno del bene X aumenterà fino a raggiungere il livello OS. In questo, ci sarà comunque un guadagno sociale pari a KNL, ma ci sarà anche una perdita generata dal lato della domanda pari a EFQ. Tale perdita, imposta sui consumatori nel tentativo di perseguire un obiettivo di utilità pubblica è detta by-product-distortion. Risulta immediato che, in tali circostanze, un sussidio è preferibile ad una tassa. 155 Consumption divergence: Se la divergenza marginale è tra ottimo livello di consumo privato e sociale (quindi la distorsione è dal lato della domanda e non dell’offerta, come visto in precedenza), ciò significa che avremo due curve di domanda: una curva di domanda individuale, ed una curva di domanda sociale. Per comprendere intuitivamente cosa possa generare tale divergenza marginale, si consideri il caso in cui gli agenti economici considerati singolarmente, e la società nel suo complesso, percepiscano il costo di determinati beni in maniera differente. Price J E S N Q P L O A C F Quantity of the importable B1 B Domestic demand curve Social domestic demand curve Domestic supply curve Foreign supply curve Figura 3 Ad esempio nel caso del consumo di beni che incorporano risorse naturali non rinnovabili, è lecito aspettarsi che la curva di domanda sociale tenga in considerazione il fatto che alti livelli di consumo di tale bene possono generare una riduzione del benessere delle generazioni future (riducendo la quantità di tale bene lasciata a loro disposizione). Se il consumatore individualmente non prende in considerazione questo costo addizionale (ad esempio per mancanza di informazioni corrette, o più semplicemente perché non manifesta altruismo 156 intergenerazionale) ci sarà una divergenza marginale tra il livello di consumo ottimo, calcolato individualmente e collettivamente. La curva di domanda sociale giacerà al disotto della rispettiva curva di domanda individuale (ovviamente nella realtà ci si può trovare in una situazione specularmente opposta, in cui la curva di domanda sociale giace al disopra di quella individuale), ed il livello ottimo di consumo sarà pari a OB1. Se assumiamo che non ci siano divergenze marginali dal lato della produzione, la produzione del bene X non dovrebbe essere alterata da una politica commerciale, e dovrebbe essere lasciata al livello di non intervento pari ad OA. In questo caso può essere dimostrato che la politica di first-best per risolvere il conflitto tra consumo pubblico ed individuale sarà una tassa sul consumo pari al rapporto PS/OP. Tale tassa dovrebbe essere applicata sia sui beni importati che su quelli prodotti localmente, onde evitare alcuna forma di protezione (non desiderata) in favore dei produttori locali. Se al posto di una tassa applicassimo una tariffa per ridurre il livello di consumo locale, genereremmo una by-product-distortion. Consideriamo ad esempio gli effetti dell’adozione di una tariffa pari al rapporto PS/OP. In tal caso ci sarà un aumento della produzione interna da OA ad OC ed il livello di importazioni diminuirà fino a raggiungere il livello CB1. Il costo interno per produrre AC sarà pari ad ANJC mentre il costo di importazione di tale quantità in assenza di protezione tariffaria sarebbe stato pari ad ANLC. Quindi, adottando una politica tariffaria si incorre in una perdita pari a NJL (appunto il costo del byproduct-distortion). Anche in questo caso L’adozione di una politica tariffaria per correggere una distorsione marginale tra costi privati e sociali, genera degli effetti indesiderati chiamati by-product-distortion. Dunque una politica tariffarià sarà sicuramente una politica di second-best rispetto all’adozione di una tassa sui consumi (firstbest). Obiettivi non-economici: un obiettivo non-economico è di solito un obiettivo politico che altera le scelte economiche. Per raggiungere tale obiettivo, però, si 157 incorrerà in costi tutti economici. Dunque esiste un trade-off tra i costi economici ed i benefici non-economici. Con riferimento a quanto visto fino ad ora la presenza di benefici di natura non-economica genererà una divergenza marginale tra la curva d’offerta sociale e privata. La curva di offerta sociale rappresentata sopra suggerisce che il valore sociale di un aumento dell’output prodotto internamente ha un andamento prima crescente e poi decrescente. Ciò significa che i benefici non-economici non hanno un andamento costante per i diversi livelli di produzione locale. Il livello ottimo di produzione interna sarà pari ad OC e la politica commerciale più efficiente per ottenere tale obiettivo sarà quella di adottare un sussidio (o una tassa) come visto in precedenza. Price J N L P O A C Quantity of the importable Domestic social supply curve Foreign supply curve Domestic private supply curve Figura 4 La politica tariffaria ottima di second-best: Consideriamo ora il caso in cui non sia possibile adottare una politica commerciale di first-best (tassa o sussidio) per ridurre o eliminare le divergenze marginali tra domanda (o offerta) pubblica e 158 privata. In tali circostanze il policy-maker dovrà individuare il livello ottimo a cui fissare la tariffa per ottenere la politica commerciale di second-best più efficiente. Come visto in precedenza, consideriamo il caso di una divergenza marginale tra curva di offerta sociale e privata. La tariffa ottimale da adottare in tale circostanza sarà sicuramente positiva, ma non tale da eliminare completamente la divergenza marginale. Infatti la correzione dal lato della domanda deve essere soppesata rispetto alla distorsione che inevitabilmente si crea dal lato dell’offerta (byproduct-distortion). La linea nera tratteggiata riportata nella figura qui sotto, suggerisce appunto il processo di trading-off tra il guadagno sociale e la distorsione dal lato del consumo. Price J E S Y N Q Z P L F H W K O A C Quantity of the importable B1 B Domestic demand curve Social domestic supply curve Domestic supply curve Foreign supply curve Figura 5 8.6 ARGOMENTI DINAMICI IN FAVORE DEL PROTEZIONISMO Ora passiamo a considerare i principali argomenti dinamici utilizzati per giustificare l’adozione di politiche protezionistiche. Un’argomentazione è detta 159 dinamica se è strettamente legata al passaggio del tempo: l’evoluzione temporale delle circostanze economiche richiede l’adozione di politiche di volta in volta diverse. Passiamo ora a considerare alcuni esempi di argomentazioni dinamiche per giustificare un intervento di tipo protezionistico in materia di commercio internazionale. L’argomento dell’industria nascente: Questo è probabilmente l’argomentazione maggiormente utilizzata per giustificare l’introduzione di politiche protezionistiche per un determinato arco temporale. Per capire la logica di tale argomento si consideri una situazione in cui un paese A, ha un vantaggio comparato nella produzione di un determinato bene, ma il paese B ha un vantaggio temporale nel senso che il suo settore industriale preposto alla produzione di tale bene ha maggiore esperienza (eg. esiste da un maggior numero di anni). In virtù di tale svantaggio temporale il paese A non riesce a competere con il settore B nel breve periodo. In tale circostanza i fautori dell’argomento dell’industria nascente sostengono che il paese A debba adottare una politica protezionistica per un breve periodo di tempo in modo da dare la possibilità all’industria nascente di raggiungere un livello di ‘maturità’. Una volta raggiunto tale livello il paese A avrà colmato l’iniziale svantaggio temporale, e potrà sfruttare, nel lungo periodo, il suo vantaggio comparato. Due sono le condizioni essenziali per giustificare il periodo di protezionismo commerciale: 1. il valore scontato di tutti i profitti futuri deve essere superiore alla perdita in termini di welfare sofferta durante il periodo di protezionismo; 2. il settore privato deve essere incapace (o non disposto) di finanziare privatamente l’investimento nelle industrie nascenti. A questo punto possiamo notare che anche se queste due condizioni sono soddisfatte la migliore politica commerciale sarà quella di sussidiare l’industria nascente invece che imporre una tariffa sulle importazioni. Ciò è chiaro in virtù 160 del fatto che l’imposizione di una tariffa sulle importazioni ha degli effetti collaterali non desiderabili (tipo le restrizioni sui consumi analizzate nel capitolo precedente). Ora passiamo a considerare in maniera più puntuale la seconda condizione menzionata poco prima. Fondamentalmente due motivi possono giustificare un atteggiamento diverso da parte del settore pubblico e del settore privato: a) la presenza di un fallimento di mercato; b) la presenza di esternalità sociali. a) I fallimenti di mercato possono essere generati da una serie di circostanze. Ad esempio se il settore privato non ha piena informazione può essere incapace di scegliere una strategia di first-best. D'altronde in alcune circostanze il settore pubblico può avere accesso ad informazioni superiori rispetto al settore privato. Ulteriori fonti di fallimento di mercato sono collegate alla presenza di imperfezioni del settore privato. In alcuni paesi (specialmente in PVS) il settore finanziario privato non è disposto a finanziare le industrie nascenti anche se l’investimento è profittevole. Alla base di tale miopia vi può essere la volontà di non finanziare investimenti in capitale umano o l’incapacità di finanziare investimenti inizialmente molto costosi. b) Come visto in precedenza, la presenza di esternalità sociali può generare una situazione in cui ci siano delle valutazioni divergenti tra pubblico e privato. Alcuni investimenti, se pur socialmente profittevoli, possono risultare svantaggiosi per il settore privato. Ad esempio si consideri il caso dei costi legati al training della forza lavoro: una singola impresa non ha alcun tipo di incentivo nel investire in training se non può assicurarsi l’utilizzo di tale forza lavoro. I lavoratori, d’altronde, una volta usufruito del training, potranno facilmente trovare altre imprese (che non hanno sofferto i costi legati al training) disposte a pagare salari più elevati. In tali circostanze nessun imprenditore avrà mai incentivi ad investire in training, ma avere una forza lavoro qualificata può essere un target socialmente utile, pertanto un policy- 161 maker attento a tali dinamiche potrà intervenire finanziando pubblicamente l’investimento in capitale umano. In conclusione l’argomento dell’industria nascente si basa su di uno schema logico fondato su due assunzioni fondamentali: 1. nel tempo i costo sociali di produzione decrescono; 2. alcuni dei benefici di tale riduzione non sono ottenibili dal settore privato (o perché sono esterni alle imprese, o perché le imprese sono incapaci di sfruttare le opportunità offerte). Un’importante nota finale ci serve per ricordare che anche nel caso che tale argomento sia accettato, il modo più efficiente per proteggere l’industria nascente non sarà attraverso una politica tariffaria ma bensì attraverso l’utilizzo di un sussidio (la dimostrazione di tale affermazione è stata sviluppata in precedenza). Creare occupazione: Un’altra argomentazione spesso usata per giustificare l’introduzione di politiche protezionistiche si basa sulla necessità di ridurre la disoccupazione attraverso il rilancio di alcuni settori industriali. Anche in questo caso sarà possibile dimostrare che l’introduzione di una tariffa non è la maniera più efficiente per ottenere tale risultato. Si consideri, ad esempio una economia di tipo keynesiana, caratterizzata da rigidità nel mercato del lavoro (vale a dire nel livello dei salari) e nel livello dei prezzi, e con un tasso di cambio fisso. L’imposizione di una tariffa sulle importazioni aumenterà il livello occupazionale nei settori che competono con le importazioni, ma avrà l’effetto opposto nel settore delle esportazioni. Al contrario una politica di svalutazione del tasso di cambio genererà un aumento dei prezzi delle importazioni e farà diminuire i prezzi delle esportazioni stimolando così la domanda per beni nazionali in entrambi i mercati. Quindi possiamo concludere che una svalutazione sarà più efficiente di una tariffa. Politiche commerciali strategiche: una politica commerciale basata su argomentazioni di tipo dinamico, è detta strategica se ha come obiettivo quello di 162 influenzare la risposta di un altro agente economico. Modificando le assunzioni alla base dei modelli di concorrenza perfetta visti in precedenza si possono sviluppare una serie di argomentazioni in favore del protezionismo, basate su politiche commerciali strategiche. In via intuitiva possiamo dire che le politiche strategiche si fondano sulla necessità di tenere conto della reazione delle imprese concorrenti per decidere la politica commerciale ottima. Si consideri un nuovo modello di equilibrio parziale caratterizzato dalla presenza di economie di scala e concorrenza imperfetta. In tali circostanze è possibile che il mercato sia un mercato di concorrenza duopolistica. QB C C1 RB R1 A RA QA Figura 7 Si assuma che esistono solo due imprese A e B (ciascuna rappresentante dei rispettivi paesi A e B) che producono il bene X per il resto del mondo (in altre parole il bene X non è consumato dai paesi produttori). Si assuma inoltre che il duopolio risultante sia alla Cournot, in cui la variabile fondamentale è il livello di produzione. Tale livello sarà fissato da ciascun produttore considerando dato il livello di produzione fissato dall’impresa concorrente. La curva di reazione dell’impresa A (RA sarà il luogo dei punti in cui l’output prodotto rappresenta la 163 risposta ottimale per ogni livello di produzione deciso da B. La curva RB è l’analoga curva per l’impresa B. Chiaramente l’equilibrio di Cournot sarà in C, dove le due curve di reazione si intersecano. Tale equilibrio (di concorrenza imperfetta) differisce da un equilibrio di concorrenza perfetta nella misura in cui i prezzi praticati in C eccedono i costi marginali (e pertanto i produttori ottengono dei profitti pari alla rendita duopolistica). Nessuna delle due imprese d’altronde avrà interesse ad aumentare il proprio livello di produzione, perché i vantaggi di tale manovra sono controbilanciati dalla necessaria riduzione dei prezzi. Se d'altronde, l’impresa A potesse indurre l’impresa B a ridurre il suo livello di produzione l’impresa A potrebbe aumentare il suo livello di produzione senza che questo abbia alcun effetto sui prezzi. Il problema è, a questo punto, come possa l’impresa A indurre l’impresa B a ridurre il proprio output (ovviamente mutatis mutandis, l’argomento sarà valido per il caso in cui l’impresa B cerchi di aumentare il proprio livello di produzione). Un qualsiasi annuncio da parte di A di aumentare il livello di produzione non sarà credibile dato che la quantità inizialmente fissata da A rappresenta la risposta ottima all’output fissato da B. Tale situazione può essere modificata solo da un intervento esterno. Si consideri, ad esempio una situazione in cui il policy-maker del paese A annunci la volontà di sussidiare la produzione o l’esportazione del bene X. In tale circostanza l’annuncio di un aumento di produzione da parte dell’impresa A sarà credibile e dunque l’impresa B risponderà riducendo l’output prodotto. Tale situazione è rappresentata graficamente nella figura riportata sopra: la politica commerciale strategica adottata dal paese A genera uno spostamento della curva di reazione ottima verso destra da RA ad R1A. Nel nuovo punto di equilibrio C1 l’impresa A avrà aumentato il proprio livello ottimo di produzione a spese dell’impresa B. Vale la pena notare che nel nuovo punto di equilibrio i consumatori del resto del mondo beneficeranno di una riduzione del prezzo del bene X e di un rispettivo aumento delle quantità offerte. Infatti in C le quantità del bene X prodotte sono minori di quelle producibili in concorrenza perfetta, ciò avviene per mantenere i prezzi più elevati e garantire la più alta rendita duopolistica ai produttori A e B. 164 L’introduzione di un sussidio diminuisce il livello di distorsione del mercato, diminuendo de facto il potere duopolistico dei produttori. Tale argomento può essere generalizzato ad una situazione in cui c’è consumo domestico del bene prodotto: Sussidi alla produzione Æ il paese A potrà guadagnare in termini di welfare dato che gli effetti sulla produzione saranno gli stessi visti in precedenza, ed a questi andranno aggiunti gli effetti positivi dal lato del consumo domestico (i consumatori locali godranno di una riduzione dei prezzi generata dal minor potere duopolistico). Anche il paese B potrà godere di un miglioramento in termini di benessere complessivo se i guadagni generati dal lato dei consumatori più che compensano le perdite sofferte dal lato della produzione. Sussidi all’esportazione Æ In questo caso gli effetti globali sono meno chiari: un sussidio alle esportazioni incoraggerà i produttori del paese A a produrre più per il mercato estero (i.e. aumenteranno le esportazioni) che per il mercato interno. Ciò aumenterà il potere duopolistico del produttore nel paese A generando delle perdite dal lato dei consumatori. Tali perdite potranno essere maggiori uguali o minori dei guadagni dal lato della produzione. Da tale differenza dipenderà la situazione di benessere complessivo nel paese A. Anche nel paese B l’effetto complessivo sul benessere è ambiguo per le stesse ragioni discusse sopra. Alla luce di tale situazione sarà impossibile calcolare con certezza l’effetto globale di un sussidio alle esportazioni in entrambi i paesi. Protezione sulle importazioni per promuovere le esportazioni Æ Si consideri, ora, una situazione in cui i produttori A e B servano entrambe un terzo mercato ed inoltre esportino parte della produzione del bene X nei rispettivi mercati locali (i.e. A esporta in B e viceversa). Entrambi i produttori hanno la possibilità di sfruttare ulteriori economie di scala generate dalla presenza di costi marginali decrescenti. Un equilibrio di oligopolio alla Cournot sarà ancora possibile ed in tal caso il prezzo sarà superiore al costo marginale. Dato che anche i costi medi saranno superiori ai costi marginali non potremo affermare con certezza che entrambe le imprese hanno dei profitti positivi. Ora si assuma che il policy-maker 165 del paese A imponga un dazio proibitivo sulle importazioni. In tal caso B andrà incontro ad un aumento del costo unitario di produzione generato da una riduzione della quota di mercato. Il produttore del paese A, d’altro canto, godrà di una riduzione del costo marginale di produzione. Gli effetti complessivi nei rispettivi paesi saranno i seguenti: il prezzo del bene X nel paese A aumenterà quasi sicuramente in seguito all’aumento del potere duopolistico del produttore A; inoltre dato che l’impresa A sfrutterà più intensamente le economie di scala potrà produrre ed esportare il bene X a prezzi più bassi e, pertanto, aumenterà le sue esportazioni. I profitti saranno pertanto ridistribuiti dall’impresa B all’impresa A; i consumatori nel paese A soffriranno molto probabilmente una perdita in termini di benessere, mentre i consumatori nel paese B soffriranno certamente una riduzione di benessere dato che il produttore locale incorrerà in costi di produzione più elevati. Dunque sarà impossibile calcolare a priori il cambiamento in termini di benessere globale in entrambi i paesi, per i diversi gruppi di consumatori e per l’economia mondiale considerata nel suo complesso. Nondimeno il produttore del paese A avranno forti incentivi nel chiedere che tale politica protezionistica venga attuata dato che essa genererà enormi guadagni su tutti i mercati considerati. L’argomento solitamente addotto per giustificare tale tipo di protezione è che l’impresa nazionale potrebbe guadagnare enormemente in termini di competitività internazionale se solo il mercato interno fosse sicuro. Alcune critiche alle politiche commerciali strategiche: le politiche commerciali strategiche hanno offerto delle concrete spiegazioni (ed in alcuni casi giustificazioni) alla costante richiesta di protezione da parte di una vasta maggioranza di imprenditori. Dunque in tal senso rappresenta un importante passo in avanti nel comprendere le dinamiche reali che guidano le scelte politiche in materia di commercio internazionale. Ciò nonostante i risultati in termini di policy prescriptions non sono molto robusti, nel senso che sono fortemente dipendenti dalle assunzioni iniziali. Il più piccolo cambiamento di tali assunzioni può portare a delle conclusioni di politica commerciale molto diverse da quelle ottenute in 166 precedenza. Qui di seguito illustriamo due casi in cui dei cambiamenti assolutamente marginali conducono a conclusioni molto diverse. Equilibrio generale Æ Se consideriamo una versione di equilibrio generale del modello descritto pocanzi giungeremo a conclusioni differenti in termini di policy prescriptions rispetto a quelle ottenute in precedenza. Dixit e Grossman (1986) hanno offerto un’interessante generalizzazione del modello in cui diversi settori interagiscono simultaneamente nell’economia. Come visto in precedenza condizione essenziale affinché si verifichino dei guadagni legati all’adozione di politiche commerciali strategiche sono la presenza di ritorni di scala crescenti e l’assenza di perfetta competizione. Il settore tecnologico è senza ombra di dubbio uno dei settori che più si avvicina a tale descrizione: la presenza di elevati costi fissi (R&S) garantisce ritorni di scala crescenti, e la possibilità di ottenere temporanei monopoli (brevetti) fa si che il mercato non sia in competizione perfetta. Studiando attentamente le dinamiche in equilibrio generale di tale mercati, Dixit e Grossman giungono alla conclusione (intuitivamente molto efficace) che un paese potrebbe facilmente aumentare i suoi guadagni incrementando la spesa pubblica in educazione e pertanto non ricorrendo a politiche di restrizione sul commercio internazionale (aumentando, ad esempio, l’offerta di scienziati e personale tecnico). La natura del duopolio Æ L’analisi presentata fino a questo momento si basa sull’assunzione che il duopolio alla Cournot, in cui i produttori fissano la quantità da produrre in base alla quantità prodotta dall’impresa concorrente, sia l’unica forma di duopolio possibile. Una alternativa si ha quando i produttori utilizzano quale variabile dipendente il livello dei prezzi da fissare e non le quantità. Tale modello è detto duopolio alla Bertrand. In tale caso si può dimostrare (ma noi non lo dimostreremo) che passando da una situazione di concorrenza duopolistica alla Cournot ad una alla Bertrand, le conclusioni in termini di policy prescriptions saranno completamente diverse: nel caso di un duopolio alla Bertrand la politica commerciale più efficiente sarà una tassa sulle esportazioni invece che un sussidio alla produzione interna come visto in precedenza. Ora, dato che è molto 167 complesso distinguere nella realtà che tipo di strategia oligopolistica le imprese adottano, sarà molto difficile scegliere la politica commerciale più efficiente. 8.7 LA POLITICA ECONOMICA DEL PROTEZIONISMO Direct unproductive profit-seeking activity (DUPs): tali forme di attività rappresentano un chiaro caso in cui il perseguimento degli interessi di uno specifico gruppo di individui non genera alcuna forma di guadagno sociale. Il canale attraverso il quale tali gruppi di potere ottengono vantaggi economici è quello della ridistribuzione del reddito. Possiamo qui distinguere due differenti forme di DUPs: un primo gruppo di DUPs più radicali che intendono influenzare le scelte di politica economica, e DUPs che intendono influenzare solo la ex post la ridistribuzione del reddito. Tali distinte strategie vengono rispettivamente dette policy endogenous DUPs e policy exogenous DUPs. Policy endogenous DUPs Æ L’azione di tali gruppi di potere è principalmente rivolta ad influenzare le scelte politiche in materia di commercio internazionale attraverso pressioni di natura politica ed economica. L’effetto distorsivo di tale azione sull’economia è duplice: da un lato impone un uso distorto delle risorse disponibili e dall’altro introduce nuove distorsioni nell’economia attraverso la pressione esercitata sui policy-maker. Policy exogenous DUPs Æ In questo caso l’azione di tali gruppi di pressione si limita a controllare il processo ridistributivo di benessere già creato e pertanto non influenza direttamente le scelte politiche in materia commerciale. Gli effetti di tale azione, d'altronde possono essere seriamente dannosi in quanto possono generare una sostanziale riduzione degli investimenti che vengono trasformati in rendite per tali gruppi di potere. In alcuni casi molto particolari l’azione di Policy exogenous DUPs può risultare complessivamente vantaggiosa per l’economia. Ovviamente ogni gruppo di potere ha interesse ad influenzare l’azione politica in proprio favore. Ciò d'altronde non significa necessariamente che il policy-maker 168 non abbia strumenti per difendersi da tali azioni. Ad esempio la disciplina dei ‘giochi ripetuti’ impone un severo ostacolo alla azione delle DUPs. Politiche tariffarie nei paesi industrializzati: due argomentazioni di solito disconosciute dalla letteratura classica sulle politiche protezionistiche, possono aiutare a comprendere perché nell’economia reale si osservano un gran numero di restrizioni al commercio internazionale: Effetti ridistributivi Æ un errore comunemente commesso è quello di considerare gli effetti della politica commerciale equamente divisi tra i vari gruppi d’interesse di una società. Ciò è solitamente non vero nel mondo reale: nella maggior parte dei casi i guadagni e le perdite saranno divisi in maniera diseguale tra i vari gruppi d’interesse. Può facilmente verificarsi una situazione in cui a fronte di un generale peggioramento della situazione economica, alcuni gruppi di individui guadagnino ingenti somme di denaro in seguito all’adozione di una certa politica commerciale. Chiaramente tali gruppi di individui avranno tutti gli interessi ad esercitare forti pressioni affinché tali politiche commerciali vengano attuate. Costi di aggiustamento Æ nella maggior parte dei casi in cui i costi di un dazio (o della sua abolizione) vengono considerati non si tiene conto dei costi di aggiustamento che si dovranno sostenere per passare da una politica commerciale ad un’altra. Se tali costi dovessero risultare particolarmente elevati potrebbero indurre il policy-maker a decidere di non adottare alcuna politica commerciale. Un ruolo essenziale in tale decisione lo gioca il tasso di preferenza intertemporale (tasso di sconto) della società. Democrazia diretta e protezionismo: si consideri ora il caso in cui la politica commerciale sia determinata non più da un policy-maker ma direttamente dal voto popolare. Ad esempio si consideri il caso in cui il governo promuova un referendum per decidere se introdurre o meno una tassa sulle importazioni di autovetture straniere. Per semplicità si assuma che tutti i fattori della produzione 169 siano specifici per ciascun settore e che tutti i produttori di autovetture beneficino dall’introduzione di un dazio di una somma pari a g € per anno e che tutti i consumatori perdano una somma pari a l € per anno. Dato che i consumatori sono in numero di gran lunga superiori a quello dei produttori il referendum non passerà e il dazio non sarà introdotto. Ora consideriamo un caso leggermente più complicato. Si assuma che l’azione di votare comporti un costo ai cittadini (uscire di casa, raggiungere la sezione elettorale, decidere per cosa votare . . . ) e che tale costo sia pari a c €. Se ad esempio i tre costi aggregati siano ordinati nella seguente maniera g>c>l (tale ordine di grandezze ci pare verosimile dato che non tutti acquisteranno una nuova vettura mentre tutti i votanti incorrerebbero nei costi collegati al voto), la situazione finale sarà decisamente diversa. Infatti gli elettori preferiranno non incorrere nel costo di andare a votare e pertanto si asterranno dal decidere. D’altra parte i produttori preferiranno sopportare il costo di votare pur di ottenere i ben più ampi benefici generati dall’introduzione di un dazio. Ciò sarà vero anche se il guadagno totale dei produttori sia ben inferiore alla perdita complessiva dei consumatori. Da questo semplice esempio possiamo intuitivamente ricavare alcune conclusioni di carattere più generale: 1. È generalmente vero che ciascun individuo preferirà non incorrere in alcun costo collaterale (ad esempio i costi derivanti dal manifestare sotto un acquazzone, o i costi connessi con lo scrivere una lettera di protesta al parlamento) invece che soffrire una piccola perdita individuale. Dunque una decisione del policy-maker che costi svariate centinaia di migliaia di euro alla collettività può essere approvata dal parlamento onde evitare costi collaterali. 2. Se ciascun votante avesse esattamente la stessa dotazione di fattori iniziale e le stesse preferenze in termini di consumo, tutti i votanti incorrerebbero in una perdita e pertanto il dazio non sarebbe approvato. 170 3. Dato che i costi di protezione crescono al crescere del dazio, si può facilmente verificare la circostanza in cui l supera g e quindi il dazio venga rigettato. 4. In fine dobbiamo considerare l’effetto di comportamenti da free-riders dal lato della produzione. Infatti dato che tutti i produttori sanno che l’adozione del dazio genererà dei vantaggi superiori ai costi per ciascun produttore, essi potranno agire da free-riders e decidere di non incorrere nel costo di andare a votare dato che gli altri produttori andranno a votare. Se ciascun produttore agisse in tale maniera il dazio non sarebbe approvato. 8.8 IL DIBATTITO LIBERO SCAMBIO-PROTEZIONISMO E L’AMBIENTE In quest’ultima sezione considereremo gli effetti del dibattito libero scambioprotezionismo sulle politiche ambientali. Che il nesso tra politiche ambientali e politiche di commercio internazionale stia diventando sempre più forte, lo si può capire dall’impatto che le scelte di politica commerciali hanno sull’opinione pubblica. La questione ambientale ha certamente giocato un ruolo determinante nel recente fallimento a Seattle del Round del WTO. Infatti il World Trade Organization è considerato da molte ONG (Organizzazioni Non Governative) il vero ‘nemico dell’ambiente’ ed in linea con le politiche anti-ambientaliste portate avanti dal GATT (per questo soprannominato GATTzilla) (Bhagwati, 1993). D’altra parte i supporter del free-trade sostengono che il libero scambio abbia un impatto positivo sull’ambiente. Il dibattito è tutt’altro che concluso, non esiste infatti in letteratura una posizione dominante. Qui di seguito riportiamo alcune delle principali argomentazioni in favore e contrarie al free-trade come strumento per migliorare le politiche ambientali: Argomenti in favore del libero scambio: • Se non ci sono distorsioni sui prezzi una politica di free-trade favorisce la conservazione delle risorse naturali scarse. D’altra parte una politica 171 protezionistica favorirà un uso inefficiente delle risorse naturali. Un chiaro esempio di tale inefficienza si ha nel caso di un sussidio sulla produzione agricola. In tali circostanze l’agricoltore avrà grossi incentivi ad utilizzare le risorse naturali al massimo, utilizzando sostanze chimiche inquinanti quali fertilizzanti o pesticidi che hanno un impatto negativo sull’ambiente. • Il libero scambio (in base alla teoria classica del commercio internazionale) favorisce la specializzazione nella produzione. Tale specializzazione spinge verso un uso più efficiente delle risorse scarse (ovviamente anche naturali), e pertanto risulta più adatto a salvaguardare l’ambiente. • Il free-trade stimola lo scambio di nuove tecnologie che solitamente sono più environmentally-friendly. Inoltre in una situazione di libero scambio i governi nazionali hanno più facilmente accesso alle informazioni riguardanti i regolamenti in termini di protezione ambientale adottati da altri Stati. Ciò può in linea di principio favorire un collettivo miglioramento di tali regolamenti. • L’internazionalizzazione del processo produttivo e l’emergere di grandi imprese multinazionali può favorire un miglior utilizzo delle risorse ambientali dato che imprese multinazionali hanno solitamente accesso a più elevata tecnologia e più elevati investimenti in Ricerca & Sviluppo. • Una politica globale di free-trade induce i PVS (Paesi in Via di Sviluppo) non solo a specializzarsi nell’esportazione di materie prime ma anche a specializzarsi nella produzione ad alto contenuto di lavoro poco qualificato (a causa del vantaggio comparato generato dai bassi salari offerti in molti PVS) il che risulta sicuramente più environmentally-friendly. 172 • Il commercio internazionale ha avuto un impatto positivo sulla crescita economica e sul miglioramento degli standard di vita. Tali progressi portano ad una maggiore consapevolezza dei problemi legati allo sfruttamento dell’ambiente e pertanto a maggiori investimenti per proteggerlo. Argomenti contrari al libero scambio: • La crescita dell’attività economica genera necessariamente un aumento del livello dell’inquinamento e del consumo non-sostenibile dei beni naturali. Ciò avviene in quanto le moderne economie sono state incapaci di internalizzare le esternalità economiche collegate all’utilizzo errato delle risorse naturali nei prezzi di mercato. Tale inefficienza ha portato all’incapacità di risolvere i chiari fallimenti di mercato collegati all’utilizzo delle risorse naturali (si noti che tale argomento è applicabile a qualsiasi attività economica e non solo a quelle legate al commercio internazionale). • Il fatto che le compagnie multinazionali abbiano un atteggiamento environmentally-friendly è tutt’altro che chiaro. Nella natura delle compagnie multinazionali vi è la possibilità di spostare gli impianti produttivi nel paese che offre le maggiori possibilità di profitti. Ciò implica che una compagnia multinazionale potrà scegliere di localizzare la produzione in quei paesi con i più bassi standard di protezione dell’ambiente, per non incorrere in alti costi fissi. Inoltre essa potrà spostare gli impianti produttivi in altri paesi una volta esaurite le risorse naturali del primo paese scelto. • Elevati livelli di commercio internazionale implicano alti costi di trasporto, con conseguenti alti livelli di inquinamento (perché in Francia si beve acqua imbottigliata in Italia ed in Italia si beve acqua imbottigliata in Francia?). 173 • Un ultimo problema sorge nel caso in cui diversi paesi hanno diversi standard di protezione dell’ambiente. In tale caso infatti i paesi con regolamenti più stringenti potranno soffrire una concorrenza scorretta da parte di paesi con regolamenti più flessibili o meno attenti all’ambiente. Tale politica di ‘dumping’ può innescare un processo di selezione avversa a chiaro svantaggio delle nazioni più attente all’ambiente. 174