Tesina di Giochi matematici
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Tesina di Giochi matematici
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PALERMO SISSIS Tesina di Giochi matematici Docente: Professore Perez Specializzandi Dott.ssa Sortino Claudia Ing. Renda Massimo A.A. 2000/2001 INDICE PREFAZIONE: Un po’ di storia… • • • • • • Pitagora e i Pitagorici …………..……………………………………………….. p.3 I Pitagorici e le grandezze incommensurabili …………..…………………… p.4 Caso particolare: 2 …………..………………………………………………… p.6 Una curiosità… …………..………………………………………………………. p.7 … e se iteriamo tale procedimento?.. …………..…………….…………..…. p.8 … ma esiste un modo per sciogliere tale paradosso! …………..……………. p.9 CAPITOLO 1.: Il segmento impossibile • • • Il gioco e la nostra SOLUZIONE al GIOCO …………..……………………. p.10 TEOREMA (Rend-Sort) …………..…………………………………………… p.12 Un osservazione importante …………..……………………………………….. p.14 CAPITOLO 2: Il problema dell’ago di Buffon • • • • Un po’ di storia.. …………..……………………………………………….……… p.15 La soluzione del problema …………..…………………………………….……... p.16 Alcuni valori di π calcolati con il metodo di Buffon …………..……….…….. p.17 Una conclusione possibile …………..…………………………………………… p.18 CAPITOLO 3: Commenti conclusivi • • L’intuizione e la logica …………..………………………………………………… p.19 Il modello <<gioco>> per le situazioni didattiche …………..………….………. P.20 BIBLIOGRAFIA …………..…………………………………………………………….… p.22 2 PREFAZIONE Un po’ di storia… Pitagora e i Pitagorici La figura di Pitagora (V secolo a.C.) ci appare avvolta nella leggenda. Nessun documento del suo tempo, che lo riguardi direttamente, è giunto fino a noi. Così come sono andate perdute le sue numerose biografie, una delle quali dovuta ad Aristotele, scritte nei secoli immediatamente successivi alla sua scomparsa. Dobbiamo risalire fino a Proco per avere su di lui delle testimonianze precise (ma secondo la critica moderna non del tutto affidabili). Nato a Samo, visitò l’Egitto e la Babilonia e, forse si spinse fino a Persepoli per finire in India. Durante questi viaggi apprese molte nozioni matematiche, astronomiche e filosofiche di quelle progredite civiltà. Si dice che sia stato discepolo di Talete. In età matura si portò nell’Italia meridionale, a Crotone, dove divenne il capo di una setta segreta e misteriosa, con interessi scientifici, politici e religiosi: una associazione a carattere strettamente comunitario, nel senso che tutte le sue conclusioni o scoperte venivano attribuite all’intera comunità, nessuno dei suoi membri aveva il diritto di rivendicarle come proprie. Per cui sarebbe più giusto attribuire ai Pitagorici, anziché a Pitagora, la paternità dei risultati raggiunti. I Pitagorici credevano nella metempsicosi (trasmigrazione delle anime dei defunti nei corpi di viventi, uomini o animali) e ritenevano che solo con lo studio della matematica e della filosofia si potesse pervenire ad un sufficiente livello di vita morale. Scrive Proclo: << Pitagora trasformò lo studio della geometria e ne fece un insegnamento più razionale, risalendo ai principi generali e studiando i teoremi astrattamente e con la pura intelligenza; è a lui che si deve la scoperta dei numeri irrazionali e la costruzione delle figure cosmiche >>. Le figure cosmiche erano i cinque poliedri regolari: il tetraedro, il cubo o esaedro, l’ottaedro, il dodecaedro e l’icosaedro. Erano chiamate cosmiche poiché, secondo un ipotesi cosmologica citata da Platone, la Natura sarebbe costituita da elementi, cioè da particelle piccolissime: tetraedri per il fuoco, ottaedri per l’aria, icosaedri per l’acqua e cubi per l’<<elemento>> terra. Il dodecaedro serviva come modella dell’universo. I Pitagorici seppero inscrivere i poliedri regolari in una sfera. Inoltre essi furono i primi ad inscrivere il pentagono regolare in un cerchio e quindi gli fu possibile costruire il dodecaedro regolare con facce pentagonali. Diviso il cerchi ih cinque parti 3 uguali e congiunti i punti di divisione alternativamente, ottennero la stella a cinque punte, che fu simbolo della scuola pitagorica. Nei cinque vertici posero le cinque lettere della parola che, in greco, significa salute; considerata dai Pitagorici come il massimo bene degli uomini. Il famoso teorema sul triangolo rettangolo, che porta il nome di Pitagora, era, a quanto sembra, già noto ai Babilonesi. In effetti, dalla testimonianza di Proclo << gli storici dell’antichità attribuiscono questo teorema a Pitagora ed asseriscono che egli sacrificò un bue per questa invenzione>>. Ma ciò appare poco attendibile se si tiene conto che per chi crede nella metempsicosi, l’uccidere un animale è una cosa immorale (proprio per ciò i Pitagorici erano vegetariani). È molto più probabile che i Pitagorici siano riusciti a dimostrare razionalmente, in via generale, quanto altri avevano stabilito con metodi sperimentali e riferendosi solo ad un certo numero di casi particolari. I Pitagorici e le grandezze incommensurabili. I Pitagorici furono i primi matematici che rilevarono l’esistenza di grandezze incommensurabili. Con la scoperta del teorema di Pitagora, applicato al triangolo rettangolo e isoscele, essi furono costretti ad ammettere l’esistenza di grandezze omogenee, sprovviste di un sottomultiplo comune. I ragionamenti che seguirono furono di questo tipo: dato un quadrato ABCD e tracciata la diagonale si dimostra il seguente Teorema. Il lato e la diagonale di un quadrato sono incommensurabili. 4 DIM. Premettiamo che, per il teorema di Pitagora applicato al triangolo rettangolo isoscele ACD, il quadrato costruito su AC e equivalente alla somma dei due quadrati uguali costruiti su AD e DC. Ragionando per assurdo e ammettendo AC e AD siano segmenti commensurabili si avrà che essi hanno un sottomultiplo comune, contenuto m volte in AC ed n volte in AD. Ciò consentirebbe di suddividere ciascun lato dei quadrati costruiti su AD e DC in n parti uguali e ciascun lato del quadrato costruito su AC in m parti, uguali fra loro ed uguali alle precedenti. Congiungendo i punti di divisione, così ottenuti, con segmenti paralleli ai lati, i quadrati di lati AD e DC verrebbero scomposti, ciascuno, in n2 quadratini, uguali fra loro ed uguali agli m2 quadratini nei quali rimarrebbe scomposto il quadrato di lato AC. Per quando detto, il numero dei quadratini che ricoprono il quadrato di lato AC dovrebbe essere doppio del numero dei quadratini che ricoprono il quadrato di lato AD. Dovrebbe, cioè, valere la seguente uguaglianza fra numeri interi: m2 =2 n2 . Ma la precedente uguaglianza è assurda. Infatti, m2 o non contiene il fattore 2 o lo contiene con esponente pari, mentre 2n2 contiene il fattore 2 necessariamente con esponente dispari. Non a caso si è detto che i Pitagorici furono costretti ad ammettere queste conclusioni. Infatti tale scoperta, invece di rallegrarli, li sconcertò e li sconvolse. Per capire tutto ciò si pensi che i Pitagorici ritenevano che i corpi fossero costituiti di corpuscoli tutti uguali fra loro e disposti in forme geometriche. Tale convinzione, trasportata nel campo della geometria, faceva loro pensare che anche i punti avessero un estensione (sia pur piccolissima). Da ciò essi deducevano che un segmento doveva ritenersi formato da un numero finito di punti. Pertanto il rapporto di due segmenti doveva risultare uguale al rapporto dei numeri interi che esprimevano quante volte il punto era contenuto in ciascuno dei due segmenti. In altre parole, essi pensavano che il punto fosse il sottomultiplo comune a tutti i segmenti; cioè che tutti i segmenti fossero commensurabili tra loro. Poiché la Scuola Pitagorica aveva il carattere di setta scientifica, politica e religiosa, non stupisce come i Pitagorici dessero un significato mistico alle loro interpretazioni della realtà fisica e geometrica e che vedessero, in esse, l’anello di congiunzione tra l’umano e il divino. 5 Pertanto la scoperta degli incommensurabili è sembrata ai Pitagorici blasfema e sconcertante. Ne è riprova il fatto che fu proibito ai membri della setta di rivelare ad altri la nuova verità, sotto la minaccia di esser considerati sacrileghi ed invisi agli dèi. Tanto è vero che, secondo la leggenda, il pitagorico Ippaso da Metaponto perì in mare proprio perché aveva rivelato la cosa ad estranei. Caso particolare: 2 Riprendendo il teorema precedentemente menzionato, osserviamo che nel caso particolare in cui il lato del quadrato misuri 1 si otterrà, applicando il teorema di Pitagora, che la diagonale misurerà: AD = ( AD) 2 + ( DC ) 2 = 1+ 1 = 2 6 Una curiosità… C’è da chiedersi se i pitagorici si posero mai il problema di “capovolgere” la situazione precedente: ottenere un razionale da due irrazionali… Infatti, basta abbassare l’altezza DH del triangolo rettangolo isoscele ottenuto con i lati e la diagonale del quadrato: In questo caso, infatti, il lato del quadrato diventerebbe l’ipotenusa del triangolo rettangolo isoscele avente per cateti l’altezza (DH) e la metà (HC) della diagonale AC del quadrato. OSSERVAZIONE 1. : Si dimostra facilmente che, in un triangolo rettangolo isoscele, facendo uso dei criteri di congruenza dei triangoli rettangoli, l’altezza relativa alla base del triangolo isoscele è anche bisettrice e mediana di tale lato. 7 Infatti sapendo per ipotesi che il triangolo isoscele ACD è anche rettangolo in D, abbassando l’altezza DH si ottengono due triangoli (ADH e DHC) che risulteranno ancora essere rettangoli in H e congruenti tra loro. Essendo congruenti, avremo AH = HC e l’angolo ADH = HDC = 45° (essendo per ipotesi l’angolo ADC = 90°). Da ciò si ottiene che DH = AH = HC = AC/2. Quindi, tornando ai dati iniziali avremo: 2 DH = HC = 2 e DC = 1 ⇒ 1= 2 2 2 2 . + 2 2 … e se iteriamo tale procedimento?.. Supponiamo di voler tracciare iterativamente, le altezze relative alle varie basi dei triangoli isosceli rettangoli ottenuti a partire da un triangolo rettangolo isoscele di lato AD = 2 e AC = 1. 2 Osserviamo che di volta in volta possiamo ottenere una particolare spezzata congiungendo “alcuni” “piedi” delle varie altezze tracciate: 8 Ci si può chiedere se iterando tale procedimento all’infinito, tale spezzata si andrà a sovrapporre al segmento base AC. Intuitivamente si potrebbe pensare che ciò accada ma …. …. si otterrebbe un paradosso…. si avrebbe che al limite “ 1= 2 ”……!!! … ma esiste un modo per sciogliere tale paradosso! A questo punto ci sembra importante fare osservare che la soluzione del seguente paradosso è da ricercare nello studio dell’insieme dei punti di contatto tra la spezzata ed il segmento base (di estremi 0 e 1) : il nostro lavoro ed in particolare la nostra dimostrazione del fatto che tale insieme non comprende alcun numero irrazionale ( perciò ha misura nulla!) scioglie tale paradosso! 9 CAPITOLO 1 Il ”segmento impossibile” di Sortino Claudia e Renda Massimo Il nostro lavoro prende spunto da un gioco escogitato dalla prof.ssa M.Cutrera il cui scopo è quello di individuare alcune rappresentazioni mentali che entrano in crisi quando si passa dal discreto al continuo, dal finito all’infinito e dal finito all’infinitesimale,… Il gioco descritto è il seguente: “Il segmento AB di lunghezza l è diviso in n segmenti uguali e su ciascuno di essi, preso come base, si è costruito un triangolo rettangolo isoscele, ottenendo una linea spezzata con il perimetro lungo p. Verificare che, quando n → ∞ , p non tende ad l, anche se la linea “tende a confondersi” con il segmento AB”. A tale problema abbiamo pensato di fornire la seguente soluzione nel caso n = 2, che, nel proporla ad una eventuale classe di alunni, ci permette di 1. individuare ed eventualmente richiamare alcuni concetti e alcune proprietà matematiche (proprietà dei triangoli, cardinalità degli insiemi, concetto di limite e limite di una funzione costante,…); 2. individuare delle rappresentazioni mentali che causano l’insorgere del paradosso (“segmento”, “retta”, “zero”, “lunghezza”,…); La nostra SOLUZIONE al GIOCO Costruiamo il segmento AB di lunghezza l e il triangolo rettangolo isoscele avente AB come base. Suddividiamo inizialmente il segmento AB in due parti congruenti e analogamente procediamo con i lati del suddetto triangolo. Unendo i punti medi otteniamo una prima spezzata di lunghezza p1 : 10 Premettiamo che: • con (k) • con in indichiamo i successivi passi di suddivisione del segmento AB. (2k) indichiamo il numero di segmenti che otteniamo sui lati, procedendo di volta volta nella suddivisione. • con (2*2k) indichiamo il numero di tratti delle varie spezzate ottenute passo passo. Quindi, per k=1 otteniamo 2k = 2 segmenti tali che, se indichiamo con A’, B’, C’ i vari punti medi della base e dei due lati, otteniamo A’C’=A’B’ essendo altezze dei triangoli rettangoli isosceli congruenti AA’C e CA’B ed inoltre AC’=C’C. Allora, p1 =(2*2k )AC’ = 22 AC’ = 4 AC’ l ma AC’ = perché cateto di un triangolo rettangolo isoscele 2 2 l 2l ⇒ p1 = (2*2k )*AC’ = 4* = . 2 2 2 per k=2 otteniamo 2k =22 segmenti tali che, se indichiamo con A’’,D’’,B’’,E’’,C’’,F’’,G’’,H’’ i vari punti medi delle basi AA’ e A’B e dei lati BB’,B’C,CC’,C’A,A’B’,A’C’. Si ha: AA’’ = A’’A’ = A’D’’ = D’’B = l /4 (per costruzione). l Allora AF’’=F’’A’’=…=G’’D’’=D’’B’’=B’’B= 4 2 l 2l ⇒ p2 = (2*2k )*AF’’ = 8* = . 4 2 2 Iterando il procedimento per k otteniamo 2k segmenti per ogni lato del triangolo isoscele rettangolo di base AB, l inizialmente considerato, e un lato della spezzata misurerà k . Allora, poiché la 2 2 spezzata risulterà avere (2*2k ) lati, abbiamo che l 2l ⇒ pk = (2*2k )* k = . 2 2 2 11 In conclusione, come si può facilmente notare, il perimetro delle varie spezzate ottenute congiungendo i punti delle suddivisioni successive di ordine 2, del segmento AB e dei lati del triangolo isoscele rettangolo, avente tale segmento come base, è costantemente uguale a p= 2l 2 e quindi non convergerà mai alla lunghezza l del segmento AB. Prendendo spunto da questo risultato abbiamo formalizzato e dimostrato alcune nostre intuizioni con il seguente teorema: TEOREMA (Rend-Sort) Sull’ordinario piano cartesiano si consideri un triangolo rettangolo isoscele i cui vertici di base, A e B, abbiano la stessa ordinata (yA = yB) ed entrambi ascissa intera (xA , xB º N). Si indichi con R l’insieme dei punti della retta di base del triangolo dato, e con Sk l’insieme dei vertici della spezzata, di passo k, ottenuta come nel precedente paragrafo («La nostra SOLUZIONE al GIOCO»). Si dimostra che nessun punto dell’insieme Ók = Sk R ha ascissa irrazionale. DIM: Sia xA = n e xB = m con n, m∈Ν . Osserviamo che la spezzata di passo k corrisponde ad una m− n suddivisione del segmento di estremi A e B in 2k segmenti ciascuno di ampiezza con k∈Ν . 2k m− n Quindi il j-esimo punto di suddivisione avrà ascissa pari a n + ( j –1 )· k ( j = 1, 2, …, 2k + 1) 2 m− n∉Ι ma n + ( j – 1)· k ( I = R\Q). 2 ESEMPIO: Sia xA = 0 e xB = 2. Osserviamo che con la spezzata di passo k otteniamo 2k segmenti ciascuno di ampiezza k∈Ν . Il j-esimo punto avrà, quindi, ascissa ( j – 1)· 2 2k con 2 ( j = 1, 2, …, 2k + 1) che non sarà mai un k 2 irrazionale. 12 OSSERVAZIONE 1: Se, più in generale, xA e xB sono entrambi razionali, il teorema continua a valere. DIM: Sia xA = n e xB = m, con n, m∈Q, n<m. Supponiamo per assurdo che il ( j+1)-esimo “vertice di base” della spezzata di passo k ( j =0, 1, 2, …, 2k ) abbia ascissa irrazionale i (esclusi xA e xB, che sappiamo essere razionali, restano da assegnare a j i valori 1, …, 2k –1 ). m− n m− n m− n m− n Allora si avrebbe che i – [n + ( j – 1)· k ] = cioè i = [n + ( j – 1)· k ] + da k 2 2 2 2k cui l’assurdo essendo razionale il secondo membro di quest’ultima uguaglianza. OSSERVAZIONE 2: Ancora, il teorema vale se le suddivisioni, più generalmente, sono di ordine di t con t ∈N \ {0,1}, m− n ∈ infatti il j- esimo “vertice di base” della spezzata di passo k avrà ascissa n + ( j –1)· k Q (n, t m ∈Q). COROLLARIO 1: L’insieme Ó = Ók (dove l’unione è estesa a tutti gli infiniti passi k) è numerabile. DIM: Infatti, per ogni k naturale, l’insieme á(Ó), delle ascisse dei punti di Ó, è contenuto in Q che è numerabile (si continuano, qui, a supporre xA e xB razionali). COROLLARIO 2: Se xA∈Q e xB∈I , allora á(Ó) sarà contenuto nell’ampliamento semplice Q(xB) qualunque sia l’ordine t ∈N\{0,1} di suddivisione del segmento base (se xB non è trascendente su Q, l’ampliamento è algebrico). 13 ..Un’ osservazione importante.. Ci sembra importante sottolineare come la non esistenza di un sottomultiplo comune tra 1 e 2 conduce all’idea di punto come ente geometrico privo di dimensioni misurabili (o a misura nulla). A tal proposito si inserisce il secondo capitolo tratto da uno studio del professore Aldo Scimone sul problema dell’ago di Buffon. Ci è sembrato interessante, infatti, trasferire tale idea di PUNTO (“ciò che non ha parti”) alla probabilità classica in cui rappresentando gli eventi come sottoinsiemi dello spazio degli esiti possibili, tali esiti costituiscono i punti (o eventi elementari). Ricordiamo che la probabilità classica è data da P= MISURA EVENTO ( FAVOREVOLE ) M1 = . MISURA SPAZIO ( ESITI POSSIBILI ) M 2 14 CAPITOLO 2 Il problema dell’ago di Buffon Un po’ di storia Nel 1733, Gorge Louis Leclerc, Conte di Buffon (1707- 1788), presentò alla Accademie des Sciences di Parigi una memoria del titolo Sur le jeu de franc-carreau in cui menzionava un problema di probabilità noto come “il problema dell’ago di Buffon”: un ago di lunghezza l viene lanciato a caso su un piano ricoperto da un reticolo uniforme di rette parallele distanti l’una dall’altra di d unità (l<d), e si cerca di determinare la probabilità che l’ago intersechi qualche retta del reticolo. Buffon diede una soluzione del problema utilizzando il calcolo integrale, ma il suo lavoro non venne pubblicato perché egli non era ancora membro dell’Accademie; comunque, esso lo aiutò ad essere ammesso all’Accademie l’anno successivo in qualità di membro corrispondente. Nel 1749 fu pubblicato il primo volume della sua Histoire Naturelle, e nel 1789 Buffon fu riconosciuto come il massimo naturalista del suo secolo. Il suo primo lavoro sul problema dell’ago venne pubblicato finalmente nel 1777 nello Essai d’Arithmétique Morale, incluso nel Supplément à l’Histoire Naturelle, dove rimase pressoché ignorato, fin quando venne scoperto nel 1869 dal matematico inglese Morgan W. Crofton, che avrà un ruolo centrale nella strutturazione della Geometria integrale (della quale, peraltro, il problema dell’ago rappresenta proprio il primissimo esempio) o Probabilità geometrica, in cui, per semplificare al massimo, il calcolo della probabilità di un certo evento ha una interpretazione geometrica, nel senso che l’insieme degli eventi possibili avrà come immagine una certa figura F dello spazio rappresentativo, mentre l’insieme degli eventi favorevoli avrà per immagine una figura F 1 contenuta in F , e di tali figure si dovrà effettuare la misura. 15 La soluzione del problema Come viene rilevato da K. Baclawski, M. Cerasoli e G. C. Rota a p. 164 del loro libro Introduzione alla Probabilità (UMI,1984), Il problema dell’ago di Buffon ha fatto tanto discutere i matematici dell’Ottocento sia per la difficoltà di renderlo rigoroso, sia perché comporta la presenza di π . Infatti esso dà una tecnica con la quale si potrebbe trovare probabilisticamente (come è stato fatto) un valore approssimato di π. […] La parte difficile di questo problema fu quella di rendere preciso il significato della frase <<lanciare a caso un ago su un piano>>. In realtà si avrebbe bisogno del concetto di variabile aleatoria continua…[…]. Per risolvere il problema, denotiamo con x la distanza del centro dell’ago dalla retta r più vicina, e con θ l’angolo della sua inclinazione rispetto alla direzione delle rette: r d l θ sin 2 θ x O t l Innanzitutto, l’angolo θ è compreso tra 0 e π, e l’ago intersecherà r se e solo se x < sinθ; 2 Consideriamo l’insieme dei punti di coordinate (θ,x) che soddisfano alle disuguaglianze: 0 < x < d/2 e 0 < θ < π e la curva y = l/2 sin θ: d/2 y = l/2 sinθ o π θ 16 A ciascun punto del rettangolo corrisponde una e una sola posizione (x, θ) dell’ago, e a ciascun punto interno alla regione limitata dell’asse θ e dalla sinusoide corrisponde una e una sola posizione (x,θ) dell’ago tale che esso intersecherà una delle rette parallele. Quindi, supponendo che x sia indipendente da θ e che tutti i valori di x e tutti quelli di θ siano ugualmente probabili, i casi “favorevoli” saranno i punti della regione ombreggiata, mentre quelli possibili saranno tutti i punti del rettangolo, per cui la probabilità cercata sarà data dal rapporto tra l’area della regione ombreggiata e quella del rettangolo: lp sin q dq 2 ∫0 p= pd 2 Essendo p ∫ sin q dq = − cos p + cos 0 = 2 0 si ha p= 2l pd Se l = d , la probabilità che l’ago colpisca una retta è: Alcuni valori di p 2 p = 0,636619... . calcolati con il metodo di Buffon Nel 1850 Wolf lanciò 5000 aghi con un rapporto l/d=0,8 e trovò 2532 intersezioni, per cui dall’uguaglianza 2532/5000=2/π*0,8 ricavò il valore approssimato π=3,1596; • Nel 1855 Smith d’Aberdeen lanciò 3204 aghi con un rapporto l/d=0,6 e ottenne 1218,5 intersezioni (calcolando pure i casi ambigui di intersezione); ne dedusse il valore approssimato π=3,1553; • Nel 1860 Augustus De Morgan lanciò 600 aghi con un rapporto l/d=1 e ottenne 382,5 intersezioni; ne dedusse il valore approssimato π=3,137; 17 • Nel 1864 il capitano Fox lanciò 1030 aghi con un rapporto l/d=0,75 e ottenne 489 intersezioni (calcolando pure i casi ambigui di intersezione); ne dedusse il valore approssimato π=3,1595; • Nel 1901 Lorezzini lanciò 3408 aghi con un rapporto l/d=0,83 e ottenne 1808 intersezioni (calcolando pure i casi ambigui di intersezione); ne dedusse il valore approssimato π=3,1415929; • Nel 1925 Reina lanciò 2520 aghi con un rapporto l/d=0,5419 e ottenne 859 intersezioni (calcolando pure i casi ambigui di intersezione); ne dedusse il valore approssimato π=3,1795. Per fare in modo che non ci siano trucchi nel calcolare le cifre di π con questo metodo dell’ago di Buffon, N. Gridgeman ha proposto di utilizzare degli aghi di lunghezza adatta. Così, prendendo, per esempio, l=78,5398 cm e d=1 m , la probabilità data dalla formula di Buffon è: 2 * 0,785398 p lanciando solo due aghi, se uno colpisce il bordo di una stecca di legno, si ottiene il punteggio di l , per cui si ottiene l’approssimazione: 2 π= 4*0,785398 = 3,141592. In conclusione.. L’ago di Buffon conduce ad una probabilità irrazionale (addirittura π è trascendente)… questo significa che M1 ,M2 sono incommensurabili, e quindi non ammettono un sottomultiplo comune. Allora gli ESITI-PUNTI sono privi di dimensione (o a misura nulla)… dunque dovremmo pensare che ciascuno di essi è IMPOSSIBILE !! … nuovamente un paradosso??… 18 CAPITOLO 3 Commenti conclusivi L’intuizione e la logica È interessante osservare come la sostanza delle nostre intuizioni o percezione non è costituita da “cose” ma da relazioni che risultano intimamente connesse e identiche al concetto matematico di funzione. Sulla base di diverse prove si è potuto osservare come in qualche modo le percezioni implicano un processo di cambiamento, movimento ed in certi casi anche di completamento visivo. Capita spesso infatti, di percepire da una certa distanza, un’immagine apparentemente completa e delineata a partire da un insieme di punti o segmenti disposti in modo non consecutivo o casuale. È molto interessante il parallelismo che si istaura tra l’affermazione in matematica del concetto di funzione e il riconoscimento in psicologia di quello di relazione. Ad esempio Ashby, ha dimostrato come l’acquisizione di memoria sia in rapporto diretto con l’osservabilità di un sistema dato. Egli spiega come un osservatore che sia in possesso di tutta l’informazione necessaria non ha bisogno di riferirsi al passato (e quindi all’esistenza di una memoria nel passato) : gli basta lo stato attuale deel sistema per poterne spiegare il comportamento. Quindi, la memoria è un oggetto a cui l’osservatore ricorre per colmare la lacuna determinata dal fatto che il sistema è in parte inosservabile. Tanto minore è il numero delle variabili osservabili tanto più l’osservatore sarà costretto a considerare gli eventi passati come rilevanti per il comportamento del sistema. Secondo Ashby, si tratta di una reificazione: se consideriamo una partita a scacchi, in qualunque momento si può capire la situazione del gioco esaminando esclusivamente la configurazione attuale dei pezzi sulla scacchiera senza riferirci ad alcuna annotazione op memoria delle mosse passate. Riguardo allo studio della matematica è comunque importante sottolineare come l’intuizione da sola non può darci né il rigore né la certezza. Attraverso lo studio della matematica è impossibile non evidenziare la presenza di due opposte tendenze: l’una che predilige la logica e l’altra che si lascia guidare dall’intuizione, facendo spesso delle rapide ma precarie conquiste. 19 I primi sono detti analisti ed i secondi geometri e la natura stessa del loro spirito li rende logici o intuitivi anche quando affrontano un nuovo argomento, sia esso di analisi o di geometria o di altro genere. La logica del tutto pura non potrebbe creare del nuovo, d’altro canto l’intuizione non è necessariamente fondata sulla testimonianza dei sensi e quindi non può darci quel rigore che formalizza una certezza. Il modello <<gioco>> per le situazioni didattiche L’uso del gioco come sinonimo di <<situazione>> , è uno strumento interessante per poter modellizzare delle situazioni didattiche. Brousseau elenca i possibili significati del termine <<gioco>> per poter poi definire le possibili strategie e il modo di controllarle: 1) Attività fisica o mentale, puramente gratuita, generalmente fondata sulla convenzione o la finzione, che non ha nella coscienza di colui il quale vi si affida altro fine che essa stessa, altro scopo che il piacere che procura. 2) Il gioco è l’organizzazione di questa attività sotto un sistema di regole definenti un successo e un insuccesso, un guadagno e una perdita. 3) È anche ciò che serve a giocare, gli strumenti del gioco, ed eventualmente uno degli stati del gioco determinato da un assemblaggio particolare degli strumenti del gioco. 4) Il gioco è <<la maniera in cui si gioca>>. In questo caso si tratterà di procedure, si preferiranno i termini di <<tattica>> o di <<strategia>>. 5) È l’insieme delle posizioni tra le quali il giocatore può scegliere in un dato stato di gioco. In una situazione didattica un individuo (in generale l’insegnante) ha intenzione di insegnare ad un altro individuo (in generale l’allievo) un determinato sapere. 20 Una situazione di apprendimento permette ad un soggetto di passare da uno stato di conoscenza ad un altro stato di conoscenza. L’uso di un gioco può risultare utile in una situazione a-didattica nella quale l’intenzione dell’insegnante non è esplicita nei confronti dell’allievo. L’allievo sa che il problema propostogli è stato scelto per fargli acquisire nuova conoscenza e, contemporaneamente, deve avere la consapevole sensazione che questa conoscenza è giustificata dalla logica interna della situazione creata, senza dover fare appello a delle ragioni didattiche. In una situazione a-didattica l’insegnante attraverso un insieme di condizioni che possono essere favorite dall’uso di un gioco, permette una devoluzione della situazione. La devoluzione consiste non solo nel presentare all’allievo il gioco al quale l’insegnante vuole che partecipi, ma anche nel fare in modo che l’allievo si senta responsabile, nel senso della conoscenza e non della colpevolezza, del risultato che egli deve cercare. La devoluzione fa appello alle motivazioni dell’allievo, il quale non soltanto deve accettare il gioco (sinonimo di situazione) proposto, ma deve ricercare le strategie migliori che gli permettono di vincere. In conclusione la devoluzione è l’atto attraverso il quale l’insegnante fa accettare all’allievo la responsabilità di una situazione di apprendimento (a-didattica) o di un problema e accetta lui stesso le conseguenze di questo transfert. MA anche in questo caso sussiste un paradosso… il paradosso della devoluzione.. Se l’insegnante dice ciò che vuole non può ottenerlo .. l’alunno può immaginare una risposta, ma questa risposta iniziale non è quella che si vuole insegnare… infatti questa procedura iniziale deve rilevarsi immediatamente insufficiente o inefficiente perché l’alunno sia costretto a fare degli accomodamenti, delle modifiche del suo sistema di conoscenza. L’ambiente a-didattico deve poter influenzare l’allievo nel senso che gli deve consentire di correggere la sua azione, di accettare o respingere un’ipotesi, di scegliere fra numerose soluzioni possibili. 21 Bibliografia e sitografia di riferimento 1. Cateni-Fortini, Il nuovo pensiero geometrico, vol.1, Le Monnier, edizione Febbraio 1998. 2. Aldo Sciamone, Il problema dell’ago di Buffon. 3. Henri Poincarè, Il valore della scienza, La Nuova Italia, edizione Febbraio 1994. 4. Filippo Spagnolo, Insegnare le matematiche nelle scuole secondarie, La Nuova Italia, edizione Novembre 1998. 22