relazione della iv a linguistico su auschwitz
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relazione della iv a linguistico su auschwitz
RELAZIONE DELLA IV A LINGUISTICO SU AUSCHWITZ Il quarto giorno del viaggio d’istruzione nella Mitteleuropa, il 21 Aprile 2013, le classi IV A e IV B Linguistico e IV A e IV B Programmatori dell’ITCG di Palazzo San Gervasio si sono recate presso i campi di concentramento e di sterminio di Auschwitz e Birkenau. Arrivato alle ore 9.00 ad Auschwitz, il gruppo, diviso in ragazzi e ragazze, inizia la visita guidata. Quello di Auschwitz è stato un campo di concentramento dal Giugno 1940 al Gennaio 1945; a partire dal 1942 fu anche campo di sterminio. Questo è uno dei tre campi principali del complesso concentrazionario nei pressi di Auschwitz, in polacco Oświęcim, i restanti due sono il campo di sterminio di Birkenau, fondato nel Marzo 1941 e il campo di lavoro di Monowitz, fondato nell’Ottobre 1942. Creato inizialmente per detenuti polacchi (i primi deportati furono 728 prigionieri politici), esso sorge sul territorio delle caserme dell’esercito polacco. Passando per il cancello d’ingresso di Auschwitz, recante in alto la scritta “Arbeit macht frei”, i prigionieri credevano che, con un duro lavoro, un giorno sarebbero stati liberi. E, invece, proprio attraverso quel cancello entravano e uscivano due volte al giorno, mattina e sera, sistematicamente ogni giorno, per affrontare la giornata lavorativa di circa 11 ore. Le marce erano accompagnate da vivaci melodie suonate dall’orchestra di campo, composta da quei prigionieri che sapevano suonare. Inizialmente il campo comprendeva 20 blocchi, divenuti in seguito 28, costruiti sfruttando la manodopera dei prigionieri. Questi ultimi giungevano ad Auschwitz da varie nazioni europee (Italia, Spagna, Grecia, Polonia, Germania ecc.) per mezzo di treni merci: ogni vagone poteva trasportare circa 80 persone. I viaggi duravano da pochi giorni a qualche settimana e le condizioni di vita erano talmente precarie, da causare anche la morte di tante persone. Una volta giunti nel campo, i deportati venivano smistati in due file: una per donne e bambini e l’altra per gli uomini. A questo punto, il personale medico delle SS decideva chi di loro fosse abile al lavoro, dunque persone giovani e sane, mentre anziani, bambini, madri con figli e diversamente abili venivano inviati direttamente nelle camere a gas. Per i rimanenti seguiva la procedura di registrazione, per diventare ufficialmente prigionieri. Lo scopo di tale procedura era quello di ridurre quegli uomini, da loro ritenuti di “razza inferiore”, a dei numeri, a delle categorie e dunque umiliarli. A tal proposito essi venivano fotografati e numerati ma, a causa della scarsa alimentazione e del duro e intensivo lavoro a cui erano sottoposti, i prigionieri cambiavano radicalmente aspetto dopo qualche tempo, quasi non corrispondendo più alle foto scattate al loro arrivo. Quindi veniva tatuato loro un numero di riconoscimento sull’avambraccio o sul petto. Per quanto riguarda le categorie di persone, esse erano molteplici: ebrei, polacchi, zingari, prigionieri politici, prigionieri di guerra sovietici, omosessuali, Testimoni di Geova ecc. Ogni categoria era identificata da un simbolo (gli omosessuali portavano un triangolo rosa, gli ebrei una stella a sei punte, gli zingari un triangolo marrone e i prigionieri politici un triangolo rosso) e dagli indumenti (gli ebrei indossavano un pigiama a righe, i prigionieri di guerra una divisa, ecc.). Primo Levi Se questo è un uomo Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case, Voi che trovate tornando a sera Il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo Che lavora nel fango Che non conosce pace Che lotta per mezzo pane Che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, Senza capelli e senza nome Senza più forza di ricordare Vuoti gli occhi e freddo il grembo Come una rana d'inverno. Meditate che questo è stato: Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi; Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, La malattia vi impedisca, I vostri nati torcano il viso da voi. La maggior parte delle baracche è oggi adibita a museo; i blocchi visitati sono i seguenti: 4, 5, 6 e 11. Nel quarto blocco sono presenti diverse mappe che illustrano la collocazione dei campi di concentramento in Europa, le nazioni da cui provenivano i prigionieri e la durata dei viaggi. Inoltre, sono esposte un’urna contenente parte delle ceneri di oltre 1.100.000 vittime e numerose foto scattate dai nazisti, prima o durante la deportazione, e illegalmente dai prigionieri. Sicuramente il momento più raccapricciante è stato la visione di quasi 2 tonnellate di capelli. L’Armata Rossa trovò 7 tonnellate di capelli in sacchi da inviare a fabbriche tedesche per produrre calzini, cappelli e altri indumenti. Nel quinto blocco sono ubicate le prove materiali dei crimini commessi che le SS non sono riuscite ad eliminare: valigie con indirizzi, nomi e cognomi delle vittime, 80.000 scarpe di persone adulte e 20.000 di bambini, occhiali, abiti religiosi, protesi e corpetti, utensili da cucina e oggetti di uso personale come spazzolini, spazzole, creme e lucidi da scarpe. Nel sesto blocco ci sono testimonianze tangibili dei sopravvissuti, i quali, tramite dipinti, hanno illustrato la sofferenza di quei giorni strazianti, che hanno segnato in modo indelebile la loro vita: la baracca mostra tante foto di donne, il cui peso variava tra 25 e 30 kg. Nel campo morirono in tutto 131.000 donne. Nel blocco 11 è stato possibile visitare la cella 18, la “cella di fame”, in cui fu rinchiuso Padre Massimiliano Maria Kolbe per due settimane, poiché aveva salvato un prigioniero; la cella 20, una stanza buia e priva di finestre, in cui venivano rinchiuse circa 20-30 persone; e la cella 22, contenente quattro piccoli Bunker (90 x 90 cm) nei quali venivano rinchiusi quattro uomini, obbligati a trascorrere una notte intera come punizione. Il blocco 10 fungeva da “laboratorio” per il dottor Mengele, che eseguiva esperimenti su donne e bambini, specialmente su gemelli. I blocchi 19, 20, 21 e 28 costituivano l’area ospedaliera per i prigionieri. I medici non curavano i detenuti, bensì effettuavano esperimenti e falsificavano le documentazioni. Non molto distante da questi blocchi era situato il cortile della fucilazione; i prigionieri venivano fatti spogliare nei bagni e portati nel cortile. Molti, in preda all’esasperazione, si precipitavano sul filo spinato, che era sotto la tensione della corrente elettrica. Il primo direttore del campo Karl Fritzsch affermava: «Voi non siete venuti in un sanatorio, ma in un lager tedesco. Qui esiste solo l'entrata e non c'è altra via d'uscita che il camino del forno crematorio. Se a qualcuno questo non piace, può andare subito a buttarsi sul filo spinato ad alta tensione. Siete venuti qui per morire: gli ebrei, non hanno diritto a sopravvivere più di due settimane, i preti un mese e gli altri tre mesi». Nelle vicinanze del luogo delle decapitazioni vi è uno spiazzo in cui si svolgevano gli appelli; l’appello più lungo della storia durò ben 20 ore. La camera a gas era una delle altre cause delle morti di massa e poteva contenere 2.000 persone. Dai camini venivano lanciati dai 5 ai 7 kg di granuli di Zyklon che sprigionavano gas altamente nocivo. I corpi delle vittime venivano portati nei forni crematori adiacenti alla camera a gas e bruciati in gruppi di tre o quattro per volta. Il forno crematorio 1 bruciava 340 corpi al giorno ma, essendo questo insufficiente, fu costruito un secondo forno crematorio che bruciava 1440 corpi al giorno. Le ceneri venivano riversate nei fiumi Vistola e Soła. I forni oggi presenti sono stati ricostruiti in quanto distrutti dai tedeschi per eliminare le prove del loro crimine. Delle 8.000 – 9.000 SS che lavoravano nel campo, solo il 15% si presentò ai tribunali e nell’Aprile del 1947, due anni dopo la fine della guerra, il comandante del campo fu impiccato pubblicamente. A circa 3 km dal campo di Auschwitz è situato quello di Birkenau, per la cui costruzione i tedeschi fecero evacuare la zona. L’immagine impressa nella mente di tutti è il portone della morte più famoso del mondo, attraversato dai binari sui quali è posto un vagone, originale, simbolo delle vittime. Il Sito comprende 300 baracche: alcune in muratura (destinate alle donne), altre in legno, ricostruite in seguito. Oltre alle baracche, i prigionieri costruivano anche dei canali di scolo, a causa dell’umidità del territorio. Ciascuna baracca conteneva più di 400 persone che vivevano in condizioni disagiate, dovute alla presenza di topi, infiltrazioni d’acqua e temperature insostenibili sia in inverno sia in estate. Sono inoltre visibili delle vecchie latrine, di cui i prigionieri usufruivano solo due volte al giorno, pubblicamente e in orari prestabiliti. Alla fine del Gennaio 1945 il campo fu liberato dalle truppe sovietiche e ciò pose fine a quell’atroce sterminio. Così le ragazze della IV A linguistico esprimono le loro impressioni e stati d’animo provati nel corso della visita. “Tutto è cominciato nel viaggio da Cracovia ad Auschwitz. Sapevo che sarebbe stata un’esperienza forte, un’esperienza che mi avrebbe segnato. Mi ha maggiormente turbato la vista di quella montagna di scarpe, molte erano piccole e appartenevano a bambini innocenti, vittime di quella crudeltà incomprensibile. E poi i loro vestiti e i loro giocattoli e ancora le foto di quelle persone…, i loro visi e i loro corpi consumati, scheletrici. È stato terribile”. “La visita ad Auschwitz è stata toccante. Non ci si rende veramente conto del disastro che è successo, fino a quando non si è lì. Ciò che è accaduto ormai si conosce da varie testimonianze, ma osservare le prove di quello scempio mi ha stretto il cuore. Di fronte a tale visione non si può che rimanere in un rispettoso silenzio. Come può la mente umana anche solo concepire un’idea del genere? Con quali occhi hanno visto “loro” l’ammasso di scarpe, vestiti, capelli, le bambole, l’innocenza, la paura? Sono sensazioni ancora così presenti che quasi se ne percepiva l’odore… Camminando poi per Birkenau ero immersa nei miei pensieri e mi rendevo sempre più conto che procedevo sulle stesse strade di quella povera gente. E iniziavo a chiedermi se quei miei passi stessero calpestando le orme dignitose di quelle persone e quasi mi sentivo in colpa… Poi pensandoci ho realizzato che probabilmente loro avrebbero preferito che la loro dignità non fosse calpestata, non le orme. Se la loro vita, dignità, personalità sono state annientate dalle persone, da un numero, un segno, un pigiama, ora saranno vivi per sempre in un posto migliore e anche nella nostra mente”. “Sin dall’inizio ero convinta che visitare Auschwitz sarebbe stata per me un’esperienza indimenticabile, che mi avrebbe segnato per sempre. E così è stato. Non ci sono parole che possano descrivere le emozioni provate visitando un posto che un tempo fu luogo di atroci violenze, infinite sofferenze, umiliazioni e delitti di ogni tipo. Passare per quel cancello che milioni di prigionieri attraversarono per andare a lavorare, visitare i forni crematori e vedere il muro della morte dove essi furono uccisi è stato per me quasi come rivivere per un attimo quel triste passato. Rabbia, odio, ribrezzo, rancore, vergogna, ma anche pietà, sofferenza, compassione, comprensione, angoscia e paura, un mix indicibile di emozioni affollavano il mio cuore alla vista di quello spettacolo agghiacciante”. “Passando per il cancello d’ingresso, per qualche istante ho provato a immaginare me come un’ebrea, una bambina, insomma una di quelle 131.000 donne deportate. Quel cancello che illudeva tutti, “il lavoro rende liberi”… Quel cancello che ho sempre visto sui libri, in TV …, ci sono passata sotto anch’io ed è stato un momento triste. Ora ho immaginato il campo pieno di gente, ho voluto sentire voci e distinguere quelle scene già viste nei documentari o nei film per non percepire tutto quello che mi circondava come un ”semplice museo” e non sentirmi solo una turista. Ho cercato di rivivere, anche se solo per un istante, la paura e il terrore provato dai deportati. E poi ho visto le loro foto, i loro sguardi, i loro volti forse ancora ignari di ciò che sarebbe accaduto. E ancora montagne di capelli e di valigie, con i loro nomi scritti sopra, scarpe, occhiali, pentole … non respiravo più, gli occhi mi si sono riempiti di lacrime, mi mancava l’aria e volevo uscire. Con un respiro profondo mi sono fatta coraggio pensando che saremmo usciti presto da quella stanza. Poi le camere a gas…, qui mi è parso di sentire le urla delle donne, ho immaginato tanta gente accalcata e poi il silenzio…. Pongo una sola domanda: perché? “Il giorno della visita al campo di concentramento di Auschwitz – Birkenau è stato abbastanza drammatico. Camminare in quei lugubri viali delimitati dal filo spinato ti fa sentire il dolore e la sofferenza che ancora pervadono tutto il campo”. “La visita ai campi di concentramento e di sterminio di Auschwitz e Birkenau ha suscitato in me delle emozioni molto forti. Ancora oggi, ripensando a ciò che ho visto, mi provoca delle forti emozioni. La visione di film o la lettura di libri e testimonianze su questo evento drammatico della storia segnano tutti, ma vedere dal vivo gli oggetti, i disegni e le foto appartenenti ai deportati…, le baracche in cui dormivano, le celle e anche i forni crematori è stata un’esperienza agghiacciante che sicuramente ha spinto tutti noi ad una profonda riflessione”.