scheda tecnica Deepa Mehta Seema Biswas

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scheda tecnica Deepa Mehta Seema Biswas
WATER
Anno:
Durata:
Nazionalità:
2005
113 minuti
Canada, India
scheda tecnica
Regia:
Soggetto:
Sceneggiatura:
Fotografia:
Musiche:
Montaggio:
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Deepa Mehta
Pedro Almodóvar
Deepa Mehta
Giles Nuttgens
Mychael Danna
Colin Monie
Dilip Mehta
Dolly Ahluwallia
Soho VFX
Interpreti:
Seema Biswas (Shakuntala)
Lisa (Ray Kalyani)
John Abraham (Narayan)
Sarala (Chuyia)
Kulbhushan Kharbanda (Sadananda)
Waheeda Rehman (Bhagavati)
Raghuvir Yadav (Gulabi)
Vinay Pathak (Rabindra)
Rishma Malik (Snehalata)
Deepa Mehta (Deepa Mehta Saltzman)
Produzione:
Deepa Mehta Films, Flagship International, David Hamilton Productions,
Echo Lake Productions, Noble Nomad Pictures Ltd, Telefilm Canada
Warner Bros
Distribuzione:
Deepa Mehta
Filmografia:

Camilla [1994] - regia

Fire[1996] - regia

Water [2005]
sceneggiatura
– attrice,
regia,
Seema Biswas
Filmografia:

Bandit queen [1994] - attrice

Company [2002] - attrice

Water [2005] - attrice
Il film raccontato dai protagonisti
La parola a Deepa Mehta
È ancora presente in India il fenomeno delle vedove-bambine? E in che dimensioni?
Dati recenti ci dicono che finalmente questa piaga negativa è stata del tutto superata e a
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ancora 34 milione di vedove in India che vivono in condizioni incivili, ma tra queste
nessuna bambina.
Quale risposta ha avuto il suo film in India?
Questo film ha indubbiamente sollevato una grande attenzione verso il problema e ha
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Gandhi non sono state comprese del tutto. La stessa difficoltà di poterlo realizzare è dipesa
da questo motivo. Ma per fortuna Water non è stato ignorato e già a Kerala, alla sua prima
visione, ha avuto ottimi giudizi.
Il suo film è stato fortemente contestato dai fanatici indù al punto che lei ha dovuto muovere le
riprese in Sri Lanka. Il cinema - ancora una volta - entra in contrasto con l'oscurantismo...
E' l'arte ad entrare in contrasto diretto con l'oscurantismo dei fanatici religiosi e - soprattutto
- di chi ha un'idea unica e fissa. E' sempre stato così: basti pensare ai libri bruciati dai nazisti
e a tutti i crimini commessi in nome della religione. L'arte, invece, rappresenta la coscienza
delle persone.
Qual è il suo ruolo in tutto questo?
Un regista è un narratore. Non avverto alcun dovere di 'illuminare' le persone attraverso il
mio lavoro. La mia speranza è che il mio cinema contribuisca a fare conoscere a tante
persone situazioni che - altrimenti - avrebbero forse ignorato. Anni fa, prima di realizzare
Earth, ho letto una frase che mi ha profondamente toccato: "tutte le guerre sono combattute
sui corpi delle donne". E' vero. Per questo motivo ho deciso di concentrare il mio lavoro su
una narrazione al femminile. Le emozioni e i problemi degli esseri umani sono universali
indipendentemente dalla storia di ogni singolo paese. Spesso, però, anche la sopraffazione
nei confronti dei soggetti più deboli e delle minoranze è presente dappertutto.
In che senso?
Alla fine di molte proiezioni di Water in tutto il mondo mi viene, spesso, chiesto cosa si può
fare per le vedove indiane. La mia risposta è sempre la stessa:" l'India si occupa delle sue
vedove indù, voi occupatevi delle donne che vivono una sopraffazione nel vostro paese. "
La luce in questo film gioca un ruolo determinante...
E' vero: in tal senso devo molto al direttore della fotografia, Giles Nuttgens, un pazzo
inglese, che, però, ha il dono di capire l'importanza delle ombre. E' un uomo in grado di
capire il potere del buio.
Chi sono gli attori che apprezza di più?
Attualmente i miei preferiti sono Tony Leung, Cate Blanchett, Johnny Depp e Clint
Eastwood. Un regista importante, ma anche un attore molto interessante.
Qual è la sua opinione riguardo al cinema di Bollywood?
Sebbene in maniera molto peculiare e strana, anche il cinema di Bollywood parla dei
problemi del mio paese. Quello che si vede in quel cinema è l'esplicitazione del sogno di un
mondo perfetto, di una sorta di utopia che ignora completamente la realtà. Quello che non si
vede in quei film è proprio la radice di quello che l'India è realmente.
In Water un ruolo importante ce l'ha la figura di Gandhi: cosa ricorda di lui?
Mia madre era molto giovane quando Gandhi muoveva i suoi primi passi in India. Fare parte
del suo movimento è stato qualcosa che ha cambiato per sempre la sua vita come donna e
come indiana. Un qualcosa che fa parte di me e del mio retaggio.
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geografici e che non ha più barriere. Trovo che sia una cosa normale e che non rappresenti
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Chi considera le sue influenze principali come regista?
Cineasti come Bresson, Ozu e De Sica, ma anche autori più contemporanei. Amo soprattutto
i registi che hanno saputo raccontare delle storie che pur partendo dal particolare esprimono
idee universali. Ladri di biciclette non è un film su una bicicletta, ma su qualcosa di più
profondo che ci riguarda tutti. Questi registi e anche altri come loro ci hanno insegnato
qualcosa di più riguardo a quello che siamo. Questi uomini sono i miei eroi. Cineasti che
non vogliono lanciare un messaggio preconfezionato, ma - soprattutto - toccare il nostro
cuore attraverso la compassione. E' così che riusciamo ad immedesimarci.
Cosa la sorprende di più nella sua vita e nel suo lavoro?
La curiosità è quella che mi mantiene viva ed è anche quella che mi spinge sempre avanti
nella mia vita e nel mio lavoro. Tutto per me deriva dalla storia e non da dove questa è
ambientata. Soprattutto nell'arena socio - politica a guidarmi sono l'interesse e il desiderio di
saperne di più riguardo ad un certo tipo di storie e di situazioni.
Notizie sul suo prossimo lavoro?
Il mio prossimo lavoro si chiamerà Exclusion e racconterà di un fatto storico realmente
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Le recensioni
Stefano Coccia
Fa ribrezzo pensare che la vita di milioni di persone possa essere regolata, spesso in modo crudele,
da un testo sacro vecchio di secoli. Eppure in molti casi è così. A tanto può giungere il fanatismo,
condito di ignoranza e brutalità, di chi si sente chiamato a interpretare tali testi, facendoli poi
rispettare nella vita reale. Attenzione, perchè questo pericolo continua ad essere presente in ogni
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fondamentalisti indù che hanno impedito alla regista Deepa Mehta, indiana di nascita trasferitasi poi
in Canada, di girare il suo film a Benares. Arrivando a distruggere i set appena costruiti dalla
produzione sulle rive del Gange. Tutto ciò accadeva nel 2000. Sono dovuti trascorrere altri cinque
anni prima che Deepa Mehta portasse a termine il progetto, effettuando però in Sri Lanka le riprese
di Water, terzo capitolo di una appassionata trilogia sugli elementi, iniziata con Fire (1996) e
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insostenibile o forse addirittura incomprensile. La regista già nelle precedenti opere aveva
dimostrato di possedere, oltre ad un bel talento per le immagini, uno spirito illuminista e
particolarmente sensibile nei confronti delle problematiche femminili, specie se rapportate agli
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vita assurde, imposte alle donne da un testo della tradizione religiosa induista vecchio di quasi
duemila anni, il Codice di Manu. I suoi esegeti affermano che per le vedove di qualsiasi età possano
esserci soltanto tre scelte: o farsi bruciare sulla pira del marito, o sposare il cognato più giovane, nel
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ashram, questi luoghi opprimenti destinati alle vedove, Deepa Mehta è partita per realizzare un film
magicamente sospeso tra intimismo e necessità di una denuncia sociale. La carica polemica risulta
molto ben impostata, a partire dalla scelta di ambientare Water nel 1938, in un momento di grandi
trasformazioni sociali per il continente indiano: si fa qui apprezzare la caratterizzazione, chiara ma
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concentrandosi su dettagli che rivelano il loro presente e frammenti del loro passato, evidenziano i
gesti, muovendo con leggiadra la macchina da presa intorno ai loro corpi, appesantiti da una
femminilità negata. E Deepa Mehta ha buon gioco nel restituisce loro il movimento, quel
movimento che invece le tradizioni religiose e la parte più retrograda della società vorrebbero
comprimere, bloccare imbalsamare. Si approda così ad una vera e propria poesia delle immagini,
una poesia fluida, come la pioggia che scende copiosamente sui protagonisti del film in uno dei
momenti più belli, accompagnato dalle vivaci musiche di Mychael Danna. È questa la sequenza,
ottimamente concepita in un classicissimo montaggio alternato, che meglio rappresenta la resistenza
della vita alle forze che vorrebbero imprigionarla, una resistenza espressa anche attraverso la felicità
del giovane Narayan: uno spirito progressista seguace di Gandhi che, contravvenendo alle norme
del tempo, si scopre innamorato di Kalyani, bellissima ragazza costretta da anni a sciupare la sua
esistenza nella casa delle vedove; e mentre la pioggia batte allegramente sulle strade attraversate da
Narayan, Kalyani e la piccola Chuya, una vedova bambina ancora convinta di poter presto tornare
dai genitori, condividono quella gioia precaria liberando le loro energie in giochi infantili ed
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non sia cinematograficamente una delle scene più riuscite, la sua presenza assume un significato
profondo. Così come metonimicamente lo stesso valore può essere attribuito a quel treno, simbolo
di progresso, su cui salgono Gandhi e i suoi seguaci per continuare la diffusione del loro credo
politico. Dopo che eventi tragici si sono appena consumati nelle vite delle protagoniste, fino a
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per lei acquistano ora un senso differente, sia per lo sguardo parimenti pensieroso dello spettatore.
Priscilla Caporro
Immagini scure improvvisamente illuminate da squarci di luce: sono quasi caravaggeschi (ad essere
molto ottimisti) alcuni aspetti della fotografia di Water, il film di Deepa Metha che tanti guai ha
causato alla sua regista nonché sceneggiatrice. Sul dramma de
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punto in cui diventa quasi fastidioso incontrare gli sguardi di quei personaggi così prevedibili, così
stereotipati: eccoli lì, sfilare sul palcoscenico uno ad uno, la coppia di belli-sfortunati-innamorati, la
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tragedia reale delle vedove indiane per darla in pasto al pubblico attraverso il filtro di un
manierismo quasi televisivo. La colonna sonora non sembra aiutare: un motivetto strappalacrime
che ricorda vagamente quello del Titanic di Cameron rispunta continuamente nel corso della
pellicola e qualunque canzone venga a fare da sottofondo nel corso del film è caratterizzata da un
romanticismo forzato che poco sembra calzare alla tragicità della storia, sebbene alcune sonorità
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galla, anche grazie al cinema, le dolorose e traumatiche storie delle vedove indiane. Peccato che la
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Mirko Salvini
Deepa Mehta, fra tutte le registe della diaspora indiana, è quella che si segnala per un cinema di
forte impegno socio-politico, spesso al centro di polemiche, perché dice sulla società indiana cose
che possono da molti essere ritenute scomode. Basti pensare a questo ultimo episodio della trilogia
degli elementi (FIRE e EARTH sono i precedenti e raccontavano rispettivamente un rapporto
lesbico che permetteva a due casalinghe di evadere dalla monotonia quotidiana e gli stravolgimenti
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immaginare non propriamente argomenti facili in una società in forte sviluppo ma
fondamentalmente conservatrice come quella del subcontinente indiano), cui la regista iniziò a
lavorare nella città santa di Varanasi nel 2000. Sfortunatamente un gruppo di fondamentalisti indù
fece irruzione sul set, costringendo la troupe ad interrompere la lavorazione; sconsigliata di
proseguire nel suo lavoro, solo alcuni anni dopo, in nuove locations (lo Sri Lanka, paese di religione
mussulmana per evitare nuovi attacchi), con altri attori e non senza qualche saggio accorgimento
(durante le riprese per sviare sospetti è stato usato un titolo di lavorazione fittizio), la regista è
riuscita a realizzare il suo film, che, almeno a parziale risarcimento per tutti i dispiaceri precedenti,
è stato accolto con calore e stima, sia da pubblico che da critica e ora è anche fra gli aspiranti alla
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soltanto il rispetto per i testi sacri, quanto ragioni definibili meno spirituali (una bocca in meno da
sfamare) ed è questo che non le è stato perdonato. Il film ci mostra le vite della bellissima Kalyani,
costretta a prostituirsi per mantenere il ricovero, della piccola Chlya, della rassegnata ma sensibile
Shakuntala e di altre; donne emarginate dal loro mondo e dai loro cari. Forse però il nuovo corso, e
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Cinema di impegno civile, se vogliamo, quello della Mehta, tuttavia uno dei grandi meriti di questa
regista, è di non perdere di vista il linguaggio del cinema di intrattenimento, per poter così
raggiungere più persone possibili. Certo non bisogna aspettarsi le atmosfere colorate di Bollywood,
con le sue trame pacchiane e le suo coreografie travolgenti, ma gli intermezzi musicali non
mancano (i brani musicali portano non per niente la firma di A.R. Rahman, uno dei talenti più
apprezzati della grande industria indiana), mentre la trama non ci risparmia forti coloriture melò.
Nonostante questo WATER non è un film facilissimo: il suo ritmo è lento e pacioso, quasi il suo
ritmo volesse imitare quello del fiume che fa da sfondo ai drammi raccontati. Lento ma comunque
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non ancora riconosciuto appieno), WATER ci avvolge con le sue splendide immagini e ci racconta
cose che probabilmente altrimenti non avremmo saputo facilmente (la regista aveva inizialmente
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India, 1938. Chuya, una ragazzina di appena otto anni, viene allontanata dalla sua famiglia e
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vedova innamorata di Narayan, un fervente idealista sostenitore di Gandhi. Il film di Deepa Mehta
va a concludere una personale trilogia sugli elementi acqua, fuoco e terra. Il tema trattato - la
condizione della donna e in particolare delle vedove - apre nuovi spiragli su una condizione di
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centinaia di migliaia di donne costrette alla ferrea osservanza delle pratiche religiose.
Se l'argomento è encomiabile nel suo tentativo di scardinare i dogmi della tradizione per far posto ai
mutamenti sociali e culturali, il film in sé resta paradossalmente impigliato proprio in questo
tentativo. Il labile confine che separa il tono documentaristico dalla finzione filmica si perde in
scene didascaliche e incomplete, in recitazioni affettate e poco credibili, nella lezioncina da cinema
(b)hollywoodiano - con tanto di lacrima finale - but
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Un film che apre uno spiraglio di speranza e di conoscenza in più su pratiche sconosciute al grande
pubblico, ma che scontenta il botteghino - e gli spettatori - pe
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Maurizio Porro
Vedova a 8 anni? Accade in India dove sposano per procura le bambine. Completando la trilogia,
Deepa Metha costruisce un film intenso, affascinante e commovente che ci informa sull' esistenza
della casa delle vedove, dove malcapitate di ogni età vivono ai margini della società come in
monastero. Fortuna che passa da quelle parti un bellone di Bollywood e la situazione si sblocca,
anche perché Gandhi alla stazione predica e spera: ma un lungo sguardo finale non fa pensare niente
di buono. Concertato femminile anomalo, il film è una potente lezione di melodramma applicato
alla vita e osserva un mondo a parte con gli occhi non più innocenti di una bimba mentre si
palleggiano odio-amore. Criticato dai fondamentalisti, il film merita attenzione e una lacrima di
testa più che di cuore, complice una bella novizia, una ribelle e una kapò extra large.
Lietta Tornabuoni
Dice la regista di Water, Deepha Mehta, che oggi in India sono ancora milioni le vedove che si
sottopongono alle regole della religione indù, secondo la quale il loro destino può essere duplice:
venir bruciate insieme con il cadavere dal marito; condurre senza mai risposarsi una vita di
privazioni, preghiera e penitenza. La legge civile indiana ha cancellato queste imposizioni che
vengono ancora applicate dai religiosi più osservanti. Il film molto interessante e bello è collocato
nel 1938, quasi settant'anni fa, quando l'India era ancora una colonia e Gandhi era all'inizio della
sua ascesa. Malgrado questo i fondamentalisti indù ne hanno ostacolato nei modi più violenti la
realizzazione, come già era accaduto per altri film della regista (pure lei indù): il set a Benares
incendiato e attaccato da duemila persone, Deepha Mehta minacciata di morte e le sue foto bruciate
pubblicamente, un suicidio di protesta nel Gange. La lavorazione venne interrotta, nonostante il
tentativo del governo di difendere i cineasti. Riprese dopo quattro anni, ma nello Sri Lanka.
E' la storia di una bellissima sposa bambina di otto amiche, che alla morte de1 marito viene rapata,
privata di tutto e portata nella casa delle vedove indù dove dovrà trascorrere il resto della sua
esistenza. Le vedove d'ogni età hanno tutte la testa rasata e sono vestite di bianco (il colore del
lutto), devono parlare solo se interrogate, mangiano poco una sola volta al giorno, dormono in terra,
aspettano di morire: una di loro particolarmente belle viene obbligata alla prostituzione per
contribuire al mantenimento delle altre. L'arrivo della bambina, con la sua vitalità, affettuosità e
ribellione agli ordini, turba la comunità, cambia i comportamenti, capovolge i destini.
Nello stile un po' lirico e un po' televisivo del film spiccano per le loro bellezza i paesaggi e le
coreografie delle vedove in bianco, a contrasto con le vicende intime dolenti, laceranti.
Adriano de Carlo
Water completa la trilogia sugli elementi diretta da Deepa Mehta. Dopo Fire (1998) e Earth (1999)
il lavoro della regista è stato fortemente osteggiato in India, sua terra di origine, specie Fire, che
mostrava un amore lesbico. La violentissima reazione dello Shiv Sena, un organismo formato da
fondamentalisti indù, è giunto al punto di distruggere il set di Water già nel 2000. Pur protetta dal
governo indiano la regista fu costretta a completare il film nel 2005 in tutta segretezza, ma dovette
girarlo nello Sri Lanka. Una premessa doverosa per un film dolente, audace e moderno. Chuyia
(Sarala), una bimba di solo otto anni eppure già vedova, viene strappata alla famiglia e condotta nel
villaggio di Rawaipur. Pur ambientata nel 1938, la vicenda mostra la condizione di mogli bambine,
che una volta rimaste vedove devono passare il resto della vita in penitenza in una sorta di gineceo.
La piccola vivrà tra donne frustrate, anziane, malate e storpiate nella mente da un'esistenza crudele.
Una giovane vedova, la bellissima Kalyani (Lisa Ray), è costretta a prostituirsi per permettere alle
compagne di sopravvivere. Finché s'innamora, ricambiata, del giovane e ricco Narayan (John
Abraham). Il finale è tutt'altro che consolatorio, a sottolineare che ancora oggi 35 milioni di vedove
vivono un'esistenza miserabile a causa di tradizioni difficilmente estirpabili. Pur con qualche tocco
di melodramma, Water è assai lontano da Bollywood. Il fiume sacro che scorre lungo il villaggio è
l'elemento purificatore.
Gianluigi Rondi
È il terzo film della «triologia degli elementi» avviata in Canada con Fire (Fuoco) dalla regista
indiana Deepa Mehta. Il secondo, Earth (Terra) lo si vedrà solo in un DVD che li raccoglierà tutti e
tre. Questo che esce oggi nelle nostre sale ancora una volta, ma con accenti più forti, porta in primo
piano la difficile condizione delle donne indiane negli ultimi anni del colonialismo quando la
predicazione di Gandhi non era ancora riuscita a conquistare la liberazione politica e sociale del
Paese. Il tema centrale sono, le vedove. Siamo negli anni Trenta, una tradizione religiosa, appena
diventate tali, concedeva loro tre strade: o farsi bruciare sulla stessa pira del marito defunto, o
sposare un cognato, o passare il resto della vita separate da tutti, in una clausura che non si
distingueva molto dalla prigionia. Il filo conduttore lo offre una bambina di otto anni che, andata in
moglie a quell'età e subito rimasta vedova, finisce rinchiusa in una casa isolata dove già
sopravvivono con molti stenti altre vedove. Qui però c'è una giovane che, anziché essere rapata a
zero come le sue compagne di sventura, ha ottenuto il diritto di sfoggiare tutta la sua bellezza, e
anche la sua eleganza, dato che la custode della casa la fa prostituire perché con il suo guadagno,
possa venire incontro ai bisogni di quella squallida comunità. La giovane, però, nonostante le
credenze religiose vietino alle vedove il matrimonio, salvo appunto con un parente, si innamora di
un uomo che, ricambiandola, intende sposarla. Però con una conclusione tragica che coinvolgerà
anche la piccola vedova... Da una parte la vita e lo spaesamento di questa bambina, dall'altro la vana
speranza di salvarsi dell'altra vedova, nella cornice di quella casa- prigione i cui rituali crudi fino ai
limiti della disperazione la regista ricostruisce con un realismo quasi spietato, sostenendo la sua
polemica con accenti costantemente risentiti. Anche al momento di quella conclusione così
dolorosamente negativa che riesce a evitare fino all'ultimo il melodramma privilegiando al suo
posto delle cifre sommesse e quasi solo allusive; anche se condotte fino allo spasimo. Le immagini
sono sempre figurativamente preziose pur nella loro asprezza, e le musiche riescono a commentarle
con delle lacerazioni che, perfino nei timbri più alti, sanno evitare il patetico. Tra le interpreti
segnalo soprattutto l'esordiente Sarala nelle vesti della vedova bambina. Un prodigio di espressività.
Claudia Gorgoglione
India, 1938: Chuyia è una bambina di otto anni, con lo sguardo, la spontaneità, la voglia di giocare
di qualsiasi coetanea. Solo che lei è diversa, è una baby-sposa. A cui, per colmo di sfortuna, muore
il marito: così, come prescrivono i rigidissimi rituali religiosi indù, la piccola è costretta a lasciare la
famiglia, l'adorata mamma, per essere segregata in una "Casa delle vedove". Una sorta di lager dove
- tra amicizie, umanità dolente, prostituzione occulta, divieti di ogni genere - finirà, dopo l'ennesimo
trauma, per perdere definitivamente l'innocenza. Tutta la luce che aveva negli occhi.
Succedeva nell'India di quasi settant'anni fa, succede anche nell'India di oggi: secondo un
censimento del 2001, nell'immenso subcontinente ci sono 34 milioni di vedove, e almeno 12 milioni
vivono nelle "Case". A fornire questi dati è la regista indiana (trapiantata in Canada) Deepa Mehta:
è lei ad aver scritto e diretto Water, l'intenso, toccante film (nelle sale da venerdì 6 ottobre) che
racconta - appunto - la storia di Chuyia. Personaggio di finzione, certo, nato dalla fantasia
dell'autrice; ma che simbolizza il destino infame di tantissime donne, emarginate e perseguitate. E
non solo in quel paese: secondo Amnesty International, ogni anno nel mondo ci sono 80 milioni di
matrimoni con spose bambine.
Ma Water non è solo la denuncia di un fenomeno inquietante, e che esiste tuttora. E' anche un film
molto rifinito, con una bella fotografia, musiche suggestive e un gruppo di interpreti notevoli.
Acclamato al festival di Toronto, candidato del Canada agli Oscar, e amato da molti personaggi
celebri. Tra cui un uomo che di India e di fondamentalismi religiosi se ne intende, Salman Rushdie:
"E' un'opera magnifica - ha detto - che affronta un argomento serio e difficile ma dall'interno,
attraverso gli occhi delle protagoniste. Toccando irrimediabilmente il nostro cuore".
Eppure, malgrado le qualità cinematografiche, è inevitabile che la presentazione italiana di Water
diventi soprattutto un'occasione per denunciare quanto c'è ancora da fare, in tema di diritti civili.
Specie al femminile. La prima a sottolinearlo è il ministro del Commercio estero, Emma Bonino,
testimonial della pellicola (così come Amnesty International, che la patrocina): "La cosa che più mi
ha colpito del film - racconta la storica leader radicale - è che tratta un tema molto attuale: il
rapporto tra religione e società. O meglio, tra interpretazioni particolarmente reazionarie della
religione e società. E questo non vale solo per l'induismo, ma anche per la nostra religione e per
l'Islam". Da qui l'impegno del ministro: "Nel 2007, l'India sarà il punto focale della mia attività. E
non si tratta di occasioni solo commerciali: cercherò di avere con gli amici indiani un dialogo
francoanche su altri temi".
La Bonino, dunque, sottolinea un punto importante: a rendere "esplosivo" Water non è solo il
riferimento alla crudeltà di certe tradizioni, ma anche il mostrare senza reticenze l'orrore a cui può
condurre il fanatismo religioso. Un'interpretazione avallata dalla regista, Deepa Mehta: "Il cuore del
film - spiega - è il conflitto tra coscienza e fede: se non si ascolta la propria coscienza, ma di
obbedisce pedissequamente alla fede, si rischiano cose disumane".
A dimostrarlo, c'è anche la travagliata lavorazione del film. Come spiega il produttore, David
Hamilton: "Abbiamo tentato di girare Water nel 2000, in India. Il set era già pronto, ma poi, a pochi
giorni dalle riprese, il movimento dei fondamentalisti ha bruciato il set. Allora abbiamo cominciato
a girare nell'hotel dove alloggiavamo, ma fuori la gente urlava e bruciava foto di Deepa. Per due
anni lei ha dovuto avere la scorta". Conseguenza: il film è stato girato solo quattro anni dopo, ma
nello Sri Lanka. E quasi clandestinamente.
Del resto, Mehta non è nuova alle minacce dei fanatici: già un suo film precedente, Fire, fu oggetto
di proteste furiose e ritirato dalle sale, perché parlava di donne lesbiche. E adesso, in novembre,
toccherà a Water uscire nei cinema indiani. Una pellicola che, almeno vista con occhi occidentali,
presenta tutti i personaggi con molto rispetto: la piccola Chuyia, certo (interpretata dalla debuttante
dello Sri Lanka Sarala); ma anche la bella Kalyani (Lisa Ray), vedova-prostituta che si innamora
del laureato in legge Narayan (John Abraham), seguace di Gandhi; e la religiosissima sadananda
(Kulbhushan Kharbanda), che vive sulla sua pelle il conflitto tra fede e coscienza.
Ma è proprio Gandhi - di cui in questi giorni si celebra il centenario della nascita - a chiudere il
film, in una scena intensa e un po' a sorpresa: "Lui è il simbolo della nostra liberazione - conclude
Mehta - per questo ho deciso di farlo apparire in un film come il mio. Che non vuole mostrare solo
le discriminazioni delle vedove, ma denunciare qualsiasi oppressione contro gli esseri umani: in
nome della tradizione, della religione, del colore della pelle".
Pasquale Coalizzi
Dopo i violenti attacchi degli estremisti di destra indù, che hanno complicato di molto la
lavorazione, esce il 6 ottobre anche in Italia Water. Il film della regista indiana, ma canadese di
adozione, Deepa Metha fa parte di una trilogia che comprende anche Earth, dedicato alla religione,
e Fire, sulla sessualità. Questa volta la filmmaker, dichiarata "nemica giurata" dai gruppi
fondamentalisti indiani, ha voluto raccontare la condizione delle vedove che nel suo paese sono
costrette a vivere in completa penitenza negli ashram, una sorta di casa comune.
Water si svolge nel '38, proprio l'anno in cui Gandhi (di cui ricorrono i 100 anni dalla nascita) viene
scarcerato dagli inglesi e inizia il suo viaggio per promuovere la coscienza di un popolo in cerca
della libertà. E ultime tra gli ultimi ci sono proprio le donne. «Oggi c'è una legge che permette di
risposarsi» ha dichiarato la regista, presente a Roma per il lancio della pellicola, eppure nell'ultimo
censimento del 2001 si contano ancora 34 milioni di vedove, delle quali 12 vivono in condizioni di
segregazione. «Un retaggio culturale difficile da combattere» ricorda Metha, ma anche «una
questione meramente economica e quindi tanto più inaccettabile perché giustificata in nome della
religione». Sullo schermo la questione viene letta attraverso gli occhi di Chuya, una delle tantissime
spose bambine, restata vedova quasi senza rendersene conto e costretta così a vivere reclusa per la
vita. Con la sua ingenuità e la sua franchezza mette in ridicolo un modo di pensare ingiusto e
arcaico.
Lo sfondo magnificamente fotografato da Giles Nuttgens (Guerre stellari) è stato ricostruito in Sri
Lanka, dopo che i set di Benares nel 2000 vennero attaccati da migliaia di manifestanti. A dare il
suo sostegno all'uscita del film c'era anche il ministro Emma Bonino, forte di una battaglia
decennale nel campo dei diritti umani. Seduta accanto alla regista, con la quale ha già collaborato in
passato, ha promesso: «Dal momento che l'India sarà il nostro paese focale per il 2007 per i rapporti
commerciali, ci impegniamo con un paese amico a non essere reticenti sui diritti civili».
«Interpretazione della religione e società»: è questo un punto fondamentale per il ministro, al quale
non sfugge nessuna credenza, come dimostrano gli estremisti indù, i gruppi radicali islamici o i
cristiani integralisti. «Promuoviamo quest'opera perché la questione dei diritti umani deve essere al
centro delle agende politiche ma anche del dibattito culturale e artistico» ha continuato il ministro,
aggiungendo. «Sono personalmente impegnata nelle trattative per la pubblicazione in Italia de "Il
silenzio dell'innocenza", di una scrittrice cambogiana che ha vissuto il dramma della mutilazione
genetica».
L'uscita italiana (come è avvenuto negli Usa) è patrocinata da Amnesty International. Riccardo
Nuri, che rappresenta l'ong nel nostro paese, ha voluto legare il film alla campagna lanciata nel
2004 «Mai più violenza sulle donne», convinto che cinema e musica possano più di tante parole.
«Non esiste solo la violenza dello stato o della polizia ma anche quella diffusissima mossa da
familiari e conoscenti» ha sottolineato Nuri, elencando una serie di dati impressionanti. «Nel mondo
ci sono ancora 80 milioni di spose bambine, costrette dalle famiglie ad accettare il percorso
sentimentale, umano, sessuale di una vita intera». Ma non è solo questione di arretratezza: nella
civile Francia «ogni 4 giorni una donna viene uccisa dal partner». Per questo Amnesty continua la
sua battaglia per fare pressione sui governi. Nuri ha voluto rimarcare un successo recente: «In
Albania, dove la violenza domestica è diffusissima e l'impunità del 90%, abbiamo ottenuto insieme
ad alcune ong locali una legge che punisce con anni di galera quegli agenti di polizia che non
prestano soccorso quando ricevono segnalazioni di abusi».
Water, che ha raccolto il commento commosso e molto generoso di Salman Rushdie, rappresenterà
il Canada agli Oscar 2007. Il produttore David Hamilton non ha dubbi: «La società canadese è
davvero multiculturale. Se cammini per Toronto ti sembra di stare in tanti posti diversi del mondo».
Poi ringrazia a sorpresa l'Italia: «Grazie a voi, che l'anno scorso avete avanzato il problema della
candidatura di un film (Private) non in lingua, oggi Water, recitato in indi, può rappresentare il mio
paese agli Oscar». Deepa Metha si dice onorata, convinta che sia passato il messaggio giusto: «Non
volevo fare un film di propaganda. Non avevo una tesi da sostenere ma speravo che la gente capisse
che in Water non c'è solo l'India. Ci sono tante condizioni di emarginazione. Come mi raccontavano
alcuni spettatori, negli Usa non ci sono quel tipo di vedove ma molti anziani vivono una specie di
segregazione. E così in Canada con i nativi americani e in Australia con gli aborigeni».
Federico Raponi
Fuoco, Terra, Acqua. Tre i film dedicati agli elementi dalla regista indiana Deepa Mehta (laurea in
filosofia, il suo primo lungometraggio "Sam & Me" vinse la Camera d'Or al Festival di Cannes del
'91), e quest'ultimo è quello dalla genesi più sofferta. Problemi già c'erano stati per "Fire" (storia di
lesbismo), allorquando il gruppo fondamentalista indù Shiv Sena attaccò vari cinema del paese che
lo programmavano, sebbene in seguito al ritiro dalle sale il titolo divenne il DVD pirata più venduto
in India. Le cose sono andate anche peggio per "Water": una folla organizzata dal partito BJP allora
al potere a Nuova Delhi distrusse il set del film, gettò a fiume le attrezzature e minacciò di morte la
Mehta e le attrici. Il governo interruppe la produzione per questioni di "pubblica sicurezza" e ci
sono voluti quattro anni per ripartire con le riprese, effettuate in Sri Lanka segretamente.
Secondo tradizione, le vedove - protagoniste della pellicola - hanno tre possibilità: ardere col
cadavere del marito, sposare il fratello minore del defunto (sempre che la famiglia sia d'accordo) o
diventare intoccabili, rasate e chiuse in un'Ashram da cui uscire solo per elemosinare. La vicenda è
ambientata nel 1938, ma le reazioni suscitate dall'opera dimostrano l'attualità di un dramma
riguardante milioni di donne in India. Sulla condizione femminile più in generale, la cineasta tira in
ballo pure i matrimoni combinati e la prostituzione di bambine, e punta poi il dito contro i
corresponsabili anelli della catena, quali ad esempio la megera a capo della casa che specula sulla
sofferenza delle poverette o "liberali" bramini che grazie alla propria posizione sociale ne
approfittano sessualmente, uomini di "scarsa moralità abituati a interpretare i testi sacri a loro
vantaggio". La speranza è incarnata da Gandhi, che vuole liberare le vedove e considera i "Paria"
figli di dio, perciò ad un giovane illuminato cui è affidata una piccola dal destino imposto non resta
che salire sul treno del Mahatma e lasciarsi quel mondo alle spalle. Lo stile è di un manierato
esotismo, ma qui la funzione pubblica dell'arte viene prima.