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WATER
Sito: http://www.videa-cde.it/water/
Anno: 2005
Altri titoli: River Moon
Durata: 113
Origine: CANADA, INDIA
Genere: DRAMMATICO, ROMANTICO
Produzione: DEEPA MEHTA FILMS, FLAGSHIP INTERNATIONAL, DAVID HAMILTON
PRODUCTIONS, ECHO LAKE PRODUCTIONS (I), NOBLE NOMAD PICTURES LTD.,
TÉLÉFILM CANADA
Distribuzione: VIDEA-CDE e WARNER BROS. PICTURES ITALIA (2006)
Data uscita: 06-10-2006
Regia: Deepa Mehta
Attori:
Seema Biswas
Shakuntala
Lisa Ray
Kalyani
John Abraham
Narayan
Sarala
Chuyia
Kulbhushan Kharbanda
Sadananda
Waheeda Rehman
Bhagavati
Raghuvir Yadav
Gulabi
Vinay Pathak Rabindra
Rishma Malik
Snehalata
Deepa Mehta (Deepa Mehta Saltzman)
Sceneggiatura: Deepa Mehta
Fotografia: Giles Nuttgens
Musiche: Mychael Danna
Montaggio: Colin Monie
Scenografia: Dilip Mehta
Costumi: Dolly Ahluwallia
Effetti: Soho VFX
Critica:
Dopo Fire e Earth, la regista indiana Deepa Metha firma Water, ultimo intenso capitolo di un’ideale
“trilogia degli elementi”, che può forse essere considerato come il suo vero capolavoro. Un film
estremamente coinvolgente dal punto di vista emotivo e che fin dalle prime durissime immagini (una
bambina che viene rasata a zero) trasporta lo spettatore nell’India del 1938, nella quale il Mahatma
Gandhi inizia il suo cammino verso la libertà e il cambiamento e dove al tempo stesso una ragazzina
indù, vittima di regole e tradizioni, può restare “vedova” ed essere costretta a scegliere fra tre
alternative: uccidersi sulla pira del marito, sposare il fratello più giovane del defunto consorte oppure
vivere per sempre chiusa in un ashram.
Chuyia ha otto anni quando muore l’uomo cui era stata sposata dalla famiglia, e così viene
consegnata dai suoi genitori a un ashram indù dove vivono le donne che hanno perduto il proprio
marito. Questa piccola comunità è gestita e guidata da Madhumati. Lì Chuyia dovrà trascorrere il
resto della sua vita in perpetuo sacrificio. Nella casa, la piccola fa amicizia con le varie donne.
Quando viene messa al corrente di un segreto e per sbaglio lo riferisce a Madhumati, nell’ashram si
scatena l’ira di alcune delle vedove. Quello che accadrà in seguito cambierà per sempre la vita di tutti
e in particolare quella della piccola Chuyia, destinata a dover scegliere tra i moti di un cuore pronto,
nonostante tutto, per l’amore, e gli obblighi della vita di rinuncia che le è stata imposta dalla
famiglia.
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Visivamente straordinario, il film è basato su una grande sobrietà che evita alla sua liricità e
drammaticità di trascendere, in un equilibrio pressoché perfetto. Per quanto la storia sia intrisa di
elementi melò (l’amore contrastato, la bambina abbandonata), Deepa Metha rifugge da ogni
tentazione di qualunquismo nazionalpopolare. Idealmente riconducibile a Magdalene sisters, con cui
ha più di un punto di contatto sia sotto il profilo ideale che pratico (il montatore è lo stesso), Water
colpisce lo spettatore per la sua forza immaginifica e, al tempo stesso, per il suo giusto e violento
attacco a regole e tradizioni di cui sono vittima, proprio come nel film di Peter Mullan, le donne. In
questo senso è interessante notare come la regista abbia saputo seguire alla perfezione un doppio
registro: da un lato assistiamo alla difficile vita di una bambina la cui esistenza viene rovinata e
sopraffatta dalla tradizione religiosa; dall’altro c’è l’India del cambiamento apportato da Gandhi e
della lacerazione tra passato e presente. Un film drammatico e toccante, dalla suadente colonna
sonora di Mychael Danna, che mira a raccontare una storia verosimile e a toccare la nostra coscienza,
denunciando il fatto che la tradizione delle vedove indù non è ancora del tutto scomparsa
(www.fice.it)
Critica "E' il terzo film della 'triologia degli elementi' avviata in Canada con 'Fire' ('Fuoco') dalla
regista indiana Deepa Mehta. Il secondo, 'Earth' (Terra) lo si vedrà solo in un DVD che li raccoglierà
tutti e tre. (...) Da una parte la vita e lo spaesamento di questa bambina, dall'altro la vana speranza di
salvarsi dell'altra vedova, nella cornice di quella casa- prigione i cui rituali crudi fino ai limiti della
disperazione la regista ricostruisce con un realismo quasi spietato, sostenendo la sua polemica con
accenti costantemente risentiti. Anche al momento di quella conclusione così dolorosamente negativa
che riesce a evitare fino all'ultimo il melodramma privilegiando al suo posto delle cifre sommesse e
quasi solo allusive; anche se condotte fino allo spasimo. Le immagini sono sempre figurativamente
preziose pur nella loro asprezza, e le musiche riescono a commentarle con delle lacerazioni che,
perfino nei timbri più alti, sanno evitare il patetico. Tra le interpreti segnalo soprattutto l'esordiente
Sarala nelle vesti della vedova bambina. Un prodigio di espressività." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo',
10 ottobre 2006)
A otto anni vedova tra vedove
Dice la regista di Water, Deepha Mehta, che oggi in India sono ancora milioni le vedove che si
sottopongono alle regole della religione indù, secondo la quale il loro destino può essere duplice:
venir bruciate insieme con il cadavere dal marito; condurre senza mai risposarsi una vita di
privazioni, preghiera e penitenza. La legge civile indiana ha cancellato queste imposizioni che
vengono ancora applicate dai religiosi più osservanti. Il film molto interessante e bello è collocato
nel 1938, quasi settant'anni fa, quando l'India era ancora una colonia e Gandhi era all'inizio della sua
ascesa. Malgrado questo i fondamentalisti indù ne hanno ostacolato nei modi più violenti la
realizzazione, come già era accaduto per altri film della regista (pure lei indù): il set a Benares
incendiato e attaccato da duemila persone, Deepha Mehta minacciata di morte e le sue foto bruciate
pubblicamente, un suicidio di protesta nel Gange. La lavorazione venne interrotta, nonostante il
tentativo del governo di difendere i cineasti. Riprese dopo quattro anni, ma nello Sri Lanka.
E' la storia di una bellissima sposa bambina di otto amiche, che alla morte de1 marito viene rapata,
privata di tutto e portata nella casa delle vedove indù dove dovrà trascorrere il resto della sua
esistenza. Le vedove d'ogni età hanno tutte la testa rasata e sono vestite di bianco (il colore del lutto),
devono parlare solo se interrogate, mangiano poco una sola volta al giorno, dormono in terra,
aspettano di morire: una di loro particolarmente belle viene obbligata alla prostituzione per
contribuire al mantenimento delle altre. L'arrivo della bambina, con la sua vitalità, affettuosità e
ribellione agli ordini, turba la comunità, cambia i comportamenti, capovolge i destini.
Nello stile un po' lirico e un po' televisivo del film spiccano per le loro bellezza i paesaggi e le
coreografie delle vedove in bianco, a contrasto con le vicende intime dolenti, laceranti. (Lietta
Tornabuoni La Stampa)
"Concertato femminile anomalo, il film è una potente lezione di melodramma applicato alla vita e
osserva un mondo a parte con gli occhi non più innocenti di una bimba mentre si palleggiano odio2
amore. Criticato dai fondamentalisti, il film merita attenzione e una lacrima di testa più che di cuore,
complice una bella novizia, una ribelle e una kapò extra large." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera'
13 ottobre 2006)
India 1938. Le tradizioni religiose che costringono le donne a essere "promesse spose" fin da piccole
fanno scontare a Chuyia, 8 anni, la sua precoce vedovanza. Rinchiusa in una casa per vedove indù,
l'esuberante bambina terremota i codici di comportamento e convince un'altra donna, Narayan, a non
nascondere il suo proibito amore per un giovane seguace di Gandhi. Un film "magnifico" secondo il
prestigioso parere di Salman Rushdie, e può darsi che per le élite culturali del continente India,
specie se vivono all'estero, questo sia il miglior cinema possibile. Aggiungete pure che Deepa Mehta
è stata costretta a girare nello Sri Lanka perché boicottata dai fondamentalisti, e avrete come risultato
il tipico prodotto impegnato di cui è difficile parlare male. Chapeau al coraggio dell'autrice di Fire ed
Earth, che conclude con Water la sua trilogia sugli elementi, ma i problemi soliti del suo cinema
restano. A chi si rivolge la Mehta? Agli occidentali che di fronte alle sue rappresentazioni si sentono
nonostante tutto rassicurati oppure ai connazionali che ancora oggi, in tempi di crescita scientificoeconomica, convivono con forti contraddizioni? La risposta è nella confezione: un po' di Bollywood
per dare un tocco esotico e con quel tanto di folklore che non guasta. Da esportazione. (Mauro
Gervasini Film TV)
Note
-CANDIDATO ALL'OSCAR 2007 COME MIGLIOR FILM STRANIERO.
-CANDIDATO AI NASTRI D'ARGENTO 2007 COME MIGLIOR FILM EXTRAEUROPEO.
Intervista:
Non sarà una “tetralogia degli elementi” quella che la regista indiana Deepa Metha ha iniziato con
Fire e Earth. “Chi vorrebbe andare a vedere un film intitolato Air?”, scherza la cineasta, che
trascorre sei mesi in Canada e sei mesi nella natia Bombay. Figlia di un esercente e distributore
locale – “mio padre è ancora oggi il mio primo e più ardente sostenitore” –, Deepa Metha è una delle
più autorevoli filmmaker donna attive a livello internazionale. Il suo ultimo film, Water, ha toccato
fortemente il pubblico del Festival di Taormina, dove è stato presentato in anteprima italiana. Una
storia drammatica in cui una bambina indù sposata per procura, diventata vedova, viene segregata
insieme ad altre donne e ragazze in un ashram. Un film intenso e commovente, fortemente osteggiato
dalla comunità religiosa locale che ha sabotato il normale corso delle riprese.
Guardando Water si avverte fortemente il rammarico che non ci siano ancora più donne
regista…
Lei ha ragione: purtroppo le cineaste donne non sono tante quante dovrebbero. Credo che i motivi di
tale situazione non siano troppo diversi da quelli per cui le donne non sono tante come dovrebbero
anche in politica o nei principali ruoli del mondo industriale: fino solo a mezzo secolo fa, il posto
delle donne era la casa. Il progresso è lento, ma anche se qualcosa è cambiato, ci vorrà del tempo
prima che le donne conquistino posizioni di maggiore rilievo in un business come quello del cinema,
da sempre dominato dagli uomini.
Lei, Mira Nair e Gurinder Chada siete le autrici di riferimento per quello che riguarda
l’India…
Tutte e tre, però, facciamo film diversissimi tra loro: siamo indiane, siamo donne, ma il nostro lavoro
segue un’ispirazione differente.
Perché ha deciso di dare vita ad una trilogia cinematografica degli elementi?
Perché Terra, Fuoco e Acqua sono gli elementi che nutrono noi e il mondo, ma che al tempo stesso
hanno la forza e la capacità di distruggerci. Water, in particolare, è una storia che riguarda
idealmente nascita, morte e resurrezione.
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Anche in Water luce e fotografia sono determinanti.
Tutto è iniziato in fase di sceneggiatura: mentre rileggevo il mio script sentivo di dover dare vita ad
una pellicola che fosse orientata a sfruttare visivamente tutta la forza e la pienezza del mezzo
cinematografico. Desideravo ridurre il più possibile i dialoghi e non farmi alcuno scrupolo di
sostituire quello che veniva detto con ciò che poteva semplicemente essere visto. Questa è stata la
mia grande sfida. Water è un film pienamente cinematografico proprio perché il mio lavoro è stato
quello di tagliare i dialoghi al minimo necessario. Scelgo le inquadrature in base agli attori. E’ la
recitazione a motivare il mio lavoro come regista, non viceversa. Seguo sempre gli attori perché loro
sono il centro emotivo della mia scena, che viene di fatto costruita su di loro.
Lei scrive sempre le sue sceneggiature. Perché?
Una bella domanda che mi sono posta anche io: quando ho scritto Fire sapevo quello di cui avrebbe
trattato il film e avevo buttato giù qualche pagina che desideravo venisse trasformata in una
sceneggiatura vera e propria da alcuni scrittori che avevo in mente. Solo che i compensi di queste
persone erano troppo costosi. O scrivevo io il mio film, oppure non avrei potuto girarlo. Così mi
sono detta: “che diavolo, mica si tratta di lanciare un razzo!”. In realtà è stato facile ed anche un
bene. Scrivo come un regista e quando butto giù una sceneggiatura lo faccio già seguendo il punto di
vista di chi dovrà, poi, dirigerla trasformandola in un film.
Da dove nascono le storie per i suoi film?
Anche solo leggendo una frase in un libro o un articolo su un giornale. Nel mio caso credo che siano
soprattutto le “piccole cose” a diventare cinema. La mia reazione a queste storie è ciò che fa nascere i
miei film.
Lei vive tra il Canada e l’India: cosa ha apportato questo stile di vita al suo lavoro?
L’India mi fornisce le emozioni per scrivere le mie storie, mentre il Canada mi dà la piena libertà di
esprimerle.
Cosa motiva il suo lavoro di cineasta?
La curiosità: nel caso di Water conoscevo la condizione delle vedove indù, ma non avevo mai visto
un loro ashram fino a quando ho avuto quasi trenta anni. Per me, come indiana, scoprire come sono
costrette ancora oggi a vivere queste donne è stata una sorpresa. Questo senso di turbamento è quello
che mi ha spinto a cercare di saperne di più e a trasformare in cinema la loro storia. Io non ho
messaggi da dare agli spettatori, ma desidero solo che vengano a conoscenza di certe situazioni
attraverso il mio lavoro. Nel caso di questo film, a motivarmi è stato principalmente il desiderio che
il pubblico diventasse testimone dello scontro in atto tra il fanatismo della fede e la nostra
coscienza.(www.fice.it)
Trailer:
http://www.mymovies.it/trailer/?id=44443
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