LA MAGISTRATURA Il Titolo IV della seconda parte

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LA MAGISTRATURA Il Titolo IV della seconda parte
LA MAGISTRATURA
La funzione giurisdizionale
Il Titolo IV della seconda parte della Costituzione (artt. 101 – 113) è dedicato agli organi che
esercitano la funzione giurisdizionale. Tale funzione, la cui denominazione viene dal latino iuris
dictio (e significa, letteralmente, “dire”, o “dichiarare” il diritto, rendendone possibile
l’applicazione), è volta a garantire l’applicazione del diritto vigente, sanzionandone le violazioni.
Il suo esercizio, per il principio di divisione dei poteri, deve essere affidato a un complesso di
organi diverso da quelli che esercitano la funzione legislativa e quella esecutiva; poiché, inoltre, la
funzione giurisdizionale implica per definizione un rapporto di terzietà (cioè, di estraneità)
dell’organo giusdicente rispetto agli interessi fatti valere dalle parti contendenti, deve essere
garantita con particolare rigore l’indipendenza degli organi cui tale funzione è affidata.
L’art. 101 Cost. stabilisce che la giustizia è amministrata in nome del popolo, da giudici soggetti
soltanto alla legge. L’affermazione della soggezione esclusiva “alla legge” va interpretata con
riferimento non soltanto alla legge in senso formale, ma al complesso del diritto vigente in un
determinato momento storico. Il parallelo riferimento al popolo e alla legge, poi, va inteso nel senso
che i giudici non possono essere condizionati da alcun potere, né pubblico né privato, e che essi
devono perseguire gli interessi del popolo per come espressi dalla Costituzione e dalle leggi vigenti.
Da tale riferimento non si può invece dedurre che i giudici rispondano direttamente al popolo del
modo in cui esercitano la funzione. Tale affermazione sarebbe possibile in un sistema nel quale
l’accesso agli incarichi giudiziari avvenisse in modo elettivo. Nel nostro ordinamento, invece, i
giudici sono pubblici funzionari vincitori di un apposito concorso, e non organi elettivi.
La magistratura costituisce dunque un ordine autonomo, e indipendente da ogni altro potere, dotato
allo scopo di un organo di governo autonomo (il CSM, su cui v. oltre).
Ad alcuni degli organi che appartengono all’ordine giudiziario la legge affida funzioni, dette di
pubblico ministero, o requirenti, che si concretano in una attività di stimolo delle funzioni
giurisdizionali, da esercitarsi a tutela e promozione dell’interesse generale alla giustizia. Nelle
funzioni requirenti rientrano, in generale, tutte quelle funzioni che resterebbero prive di tutela senza
l’intervento del pubblico ministero. E’ per questo, ad esempio, che nei procedimenti penali il
pubblico ministero (il quale promuove l’azione penale) ha l’obbligo di ricercare anche gli elementi
di prova a favore dell’imputato, e che in molti casi il pubblico ministero ha la facoltà di impugnare
le decisioni giurisdizionali anche se le parti del giudizio non lo fanno. Poiché anche gli organi
requirenti appartengono all’ordine giudiziario, comunque, essi godono delle medesime garanzie
accordate agli organi giudicanti.
La giurisdizione ordinaria.
La giurisdizione ordinaria è amministrata da giudici “professionali” (detti anche giudici togati) e da
giudici “onorari”, che insieme costituiscono l’ordine giudiziario.
Attualmente la giustizia, nelle materie civile e penale, è amministrata dai seguenti organi: giudice di
pace, tribunale corte d’appello, corte di cassazione, tribunale per i minorenni, magistrato di
sorveglianza e tribunale di sorveglianza (art. 1 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, recante Ordinamento
giudiziario).
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Le giurisdizioni speciali
In ossequio al principio di unità della giurisdizione (per il quale la funzione giurisdizionale deve
essere esercitata da un unico corpo di funzionari, sottoposti a una disciplina unitaria), la
Costituzione (art. 102) vieta l’istituzione di giudici “straordinari o speciali”.
Per giudici straordinari si intendono giudici appositamente istituiti ex post, dopo il verificarsi dei
fatti sui quali si deve giudicare; per giudici speciali devono intendersi giudici che abbiano una
competenza specifica e riservata su determinate materie, così che tali materie risultino sottratte alla
giurisdizione ordinaria.
Nell’ambito della giurisdizione ordinaria, tuttavia, è consentita l’istituzione di sezioni specializzate
in determinate materie (come le sezioni specializzate agrarie, i tribunali regionali per le acque
pubbliche, i tribunali per i minorenni), generalmente caratterizzate dalla costituzione mista di
magistrati e cittadini particolarmente qualificati, estranei all’ordine giudiziario.
Continuano ad esistere, inoltre, i giudici amministrativi, la Corte dei conti e i giudici militari,
giudici speciali già esistenti alla data di entrata in vigore della Costituzione (art. 103 Cost.).
Alla giurisdizione amministrativa è attribuita la tutela giurisdizionale avverso gli atti della
Pubblica amministrazione, nei confronti della quale i cittadini non rivestono una posizione di parità.
La sfera di competenza della giurisdizione ordinaria e di quella amministrativa è individuata con
riferimento alla posizione soggettiva da far valere in giudizio In questo senso si dice che al giudice
amministrativo spetta la tutela degli interessi legittimi, mentre al giudice ordinario spetta la tutela
dei diritti soggettivi dei cittadini. Secondo la ricostruzione tradizionale, infatti, di fronte alla
pubblica amministrazione, che agisca a tutela di interessi pubblici, il singolo cittadino non ha diritto
alla piena tutela delle sue posizioni soggettive, ma soltanto alla tutela del suo interesse a che gli atti
amministrativi, lesivi di tali situazioni soggettive, siano adottati legittimamente. Il giudice
amministrativo esercita dunque il sindacato di legittimità (e non di merito) sugli atti amministrativi.
Il ricorso davanti agli organi di giustizia amministrativa è volto ad ottenere l’annullamento
giurisdizionale degli atti amministrativi che si assumono viziati per incompetenza, violazione di
legge o eccesso di potere. In particolari materie, riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, quest’ultimo giudica comunque anche dei diritti soggettivi (tali materie sono state
da ultimo ridefinite dalla legge 21 luglio 2000, n. 205).
La giurisdizione amministrativa è esercitata da organi distinti rispetto alla magistratura ordinaria: i
Tribunali Amministrativi Regionali (istituiti uno per ciascuna Regione, e in alcuni casi articolati in
sezioni con sede in città diverse della medesima regione), i quali funzionano da giudici di primo
grado, e il Consiglio di Stato, il quale, oltre ad essere organo consultivo del Governo, svolge le
funzioni di giudice d’appello dei Tribunali Amministrativi regionali.
L’organo di governo autonomo dei giudici amministrativi è il Consiglio di presidenza della
magistratura amministrativa, il quale ha funzioni analoghe a quelle che il Consiglio Superiore della
Magistratura (v. oltre) svolge nei confronti dei giudici ordinari.
La Corte dei conti è composta di magistrati con specializzazione particolare, detti magistrati
contabili. Presso di essa è istituita una Procura generale, con funzioni requirenti. Recentemente,
l’articolazione territoriale della magistratura contabile è stata riformata, con l’istituzione di
autonome sezioni giurisdizionali e requirenti su base regionale.
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Organo di governo autonomo è il Consiglio di Presidenza della Corte stessa.
La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità su numerosi atti del Governo e di
altri organi pubblici, nonché il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio
delle amministrazioni pubbliche. Quanto alle funzioni giurisdizionali, essa è competente per i
giudizi in materia di contabilità pubblica, pensioni e responsabilità degli impiegati e funzionari
dello Stato o di altri enti pubblici.
Costituiscono infine un ordine distinto dalla magistratura ordinaria anche i giudici militari,
competenti a giudicare dei reati militari commessi dagli appartenenti alle forze armate. Organo di
governo autonomo della magistratura militare è il Consiglio superiore della magistratura militare.
Il principio del giusto processo
Il nuovo art. 111 Cost. (il quale riguarda qualunque processo, civile, penale, amministrativo o
contabile) enuncia espressamente la regola del giusto processo, secondo la quale ogni processo deve
avere una ragionevole durata e deve svolgersi in contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità,
innanzi un giudice terzo ed imparziale. Il diritto alla ragionevole durata del processo è stato
espressamente riconosciuto con la l. 24 marzo 2001, n. 89, che, in caso di violazione di tale diritto,
prevede che le parti possano chiedere un’equa riparazione pecuniaria nei confronti dello Stato.
L’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali e il principio del doppio grado di
giurisdizione
L’art. 111, comma 6, Cost., dispone che tutti i provvedimenti giurisdizionali siano motivati, cioè
riportino l’indicazione esplicita delle ragioni di fatto e di diritto sulla base delle quali sono stati
adottati; lo scopo di tale obbligo è quello di consentire ai cittadini di ricorrere avverso tali
provvedimenti, nei casi e nei modi previsti dalla legge, per farne valere l’eventuale erroneità.
La nostra costituzione non pone espressamente l’obbligo di un doppio grado di giudizio (tanto che,
per diverse categorie di provvedimenti giurisdizionali, non è consentito proporre appello); tuttavia
tutti i provvedimenti relativi alla libertà personale possono essere impugnati innanzi la Corte di
cassazione, indipendentemente dal fatto che siano qualificati come sentenze (art. 11, comma 7,
Cost.).
Le “guarentigie” della magistratura: indipendenza e autonomia
La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere (art. 104 Cost.).
L’autonomia attiene alla struttura organizzativa della magistratura, e costituisce pertanto una
garanzia apprestata all’intero ordine giudiziario, mentre l’indipendenza è garanzia che attiene a
ciascun singolo magistrato.
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Se provvedimenti quali i trasferimenti, le promozioni, l’assegnazione di funzioni e i provvedimenti
disciplinari, i quali incidono tutti sulla progressione in carriera dei magistrati, fossero attribuiti al
potere esecutivo, è facile comprendere che i magistrati potrebbero essere sottoposti a pressioni, e
l’autonomia dell’ordine giudiziario potrebbe esserne compromessa. Per questa ragione la
Costituzione (art. 105) ha attribuito a un organo di governo autonomo, detto Consiglio Superiore
della Magistratura, l’amministrazione del personale della magistratura.
L’indipendenza è garanzia apprestata al giudice durante l’esercizio della sua funzione, in
diretta relazione col principio costituzionale per il quale il giudice è soggetto soltanto alla legge (art.
101 Cost.). E’ volta a garantire l’indipendenza di ciascun singolo magistrato anche la prescrizione
per la quale i magistrati ordinari si distinguono fra loro soltanto per le funzioni esercitate, la quale
comporta che la magistratura non è organizzata in base a un criterio gerarchico, in modo che i
giudici non abbiano a subire le pressioni dei loro superiori.
Come accennato, la Costituzione (art. 107 e 112) riconosce le garanzie dell’autonomia e
dell’indipendenza anche ai magistrati che esercitano la funzione di pubblico ministero. Il principio
di obbligatorietà dell’azione penale infatti è volto a garantire non solo l’eguaglianza dei cittadini di
fronte alla legge, ma anche l’indipendenza del pubblico ministero nell’esercizio della propria
funzione. Ogni volta che acquisisca, in qualunque modo, una notizia di reato, ciascun magistrato del
pubblico ministero ha dunque l’obbligo di svolgere le necessarie indagini e di sottoporne i risultati
alla valutazione del giudice, tanto se, ritenuta infondata la notizia di reato, intende richiedere
l’archiviazione del procedimento, quanto se ritiene che l’indagato debba essere sottoposto a
giudizio penale.
L’inamovibilità
Ciascun magistrato, sia giudicante che requirente, gode della garanzia dell’inamovibilità, che
consiste nel fatto che, per evitare che l’indipendenza del giudice sia compromessa da pressioni
legate alla possibilità di dispensa dal servizio o di trasferimento da una sede all’altra, la
sospensione, la dispensa e il trasferimento dei magistrati possono essere deliberati dal Consiglio
superiore della magistratura soltanto con il loro consenso, o per i motivi e con le garanzie di difesa
previsti dall’Ordinamento giudiziario. La disciplina di settore è contenuta in apposita circolare
adottata dal CSM stesso (circ. 30 novembre 1993, n. 15098, e successive modifiche).
In ipotesi tassative è tuttavia consentito anche il trasferimento d’ufficio. Tale ipotesi è possibile
innanzitutto per soddisfare esigenze di organizzazione del servizio, quali la necessità della copertura
di determinati posti in organico, o la soppressione dell’ufficio di appartenenza del magistrato.
Il CSM può inoltre trasferire d’autorità un magistrato in caso di “incompatibilità ambientale o
funzionale” (art. 2 r. d. lgs. 31 maggio 1946, n. 511). La relativa deroga al principio di inamovibilità
è giustificata in questo caso dall’esigenza di assicurare il corretto e sereno esercizio dell’attività
giurisdizionale, che sarebbe pregiudicato se il magistrato permanesse nel luogo o nelle funzioni
ritenute incompatibili. Ai fini del trasferimento in oggetto rileva la situazione oggettiva
dell’“impedimento” del magistrato allo svolgimento di un’efficiente attività e il pregiudizio del
prestigio e del buon andamento dell’ufficio giudiziario che ne potrebbe derivare, a prescindere
dunque dalla colpa del magistrato.
Il trasferimento d’ufficio, infine, può essere disposto come misura accessoria nel caso il magistrato
riporti una condanna in sede disciplinare con sanzioni più gravi dell’ammonimento (art. 21 r.d.lgs.
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n. 511/46). In questo caso il presupposto del trasferimento è l’accertamento della colpa del
magistrato.
Il Consiglio superiore della magistratura (CSM)
Attribuzioni e posizione costituzionale. Il CSM, come accennato, è l’organo di governo autonomo
della magistratura ordinaria, al quale spetta compiere le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti,
le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati (art. 105 Cost.). Esso è
competente inoltre in materia di organizzazione degli uffici giudiziari. Si parla al proposito di
competenza in materia tabellare, in quanto il CSM approva ogni due anni le tabelle di
composizione degli uffici giudiziari di ogni distretto, dettando inoltre i criteri predeterminati da
seguire per l’assegnazione degli affari ai singoli giudici.
La Corte costituzionale ha affermato che si tratta di un organo che, per quanto espleti funzioni
“oggettivamente amministrative”, non fa parte della pubblica amministrazione, in quanto rimane
estraneo al complesso organizzativo che fa capo direttamente o al Governo dello Stato o a quello
delle Regioni.
Il CSM è, secondo la Corte costituzionale, organo “di sicuro rilievo costituzionale”, con funzioni di
“amministrazione della giurisdizione”, con posizione di vertice nella struttura burocratica preposta
all’amministrazione della giurisdizione.
Rapporti con il Ministro della Giustizia. Al Ministro della Giustizia sono attribuiti
“l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”. Egli deve esercitare queste
attribuzioni in modo da non incidere sulle funzioni di autogoverno e di garanzia affidate al CSM
(art. 110 Cost.). Il Ministro della Giustizia ha inoltre la facoltà di “promuovere l’esercizio
dell’azione disciplinare”; la formula significa che egli non può esercitare direttamente l’azione
disciplinare stessa nei confronti dei magistrati, ma soltanto farne richiesta al Procuratore generale
presso la Corte di cassazione (membro di diritto, come si vedrà, del CSM),il quale agirà
eventualmente in qualità di pubblico ministero presso la Sezione disciplinare del CSM.
La delicata questione della concreta composizione delle reciproche implicazioni fra le competenze
del Ministro della Giustizia e quelle del CSM è stata affidata dalla Corte costituzionale (sent. n. 379
del 1992) a una opportuna applicazione del principio di leale collaborazione, che implica che
ciascun soggetto istituzionale si impegni ad esercitare le proprie attribuzioni in modo da non
comprimere quelle affidate all’altro.
Composizione del CSM. L’art. 104 Cost., dopo aver stabilito quali sono i membri di diritto del
CSM (il Presidente della Repubblica, che lo presiede; il Primo Presidente della Corte di cassazione;
il Procuratore generale presso la Corte di cassazione), si limita a disporre che gli altri componenti
siano eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari fra gli appartenenti alle varie categorie e per un
terzo dal Parlamento in seduta comune, fra professori universitari ordinari in materie giuridiche e
avvocati con oltre quindici anni di esercizio della professione, mentre il numero dei componenti
elettivi e le modalità della loro elezione risultano dalla legislazione ordinaria.
Dopo la riforma della l. 24 marzo 1958, n. 195, introdotta dalla l. 28 marzo 2002, n. 44, il CSM è
attualmente composto da ventisette membri, di cui 24 elettivi e tre di diritto. Otto dei componenti
elettivi sono di nomina parlamentare (i c.dd. membri “laici”), mentre sedici sono eletti dai
magistrati (i c.dd. membri “togati”). Gli otto membri laici sono eletti dal Parlamento in seduta
comune con votazione a scrutinio segreto e con la maggioranza dei tre quinti dei componenti
l’assemblea. Dopo il secondo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti.
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L’art. 104 Cost. fissa direttamente la durata in carica dei membri elettivi del Consiglio (quattro anni,
con divieto di immediata rielezione).
Il medesimo articolo stabilisce che il Consiglio elegge, tra i suoi componenti designati dal
Parlamento, un Vice Presidente, che presiede il Comitato di Presidenza, promuove l’attività e
l’attuazione delle delibere del Consiglio, gestisce i fondi di bilancio, sostituisce il Presidente in caso
di assenza o impedimento ed esercita le funzioni che il Presidente gli delega.