Don Enzo santo? - Casa del Giovane

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Don Enzo santo? - Casa del Giovane
Comunità CASA del GIOVANE - Pavia
Don Enzo santo?
Interventi, commenti e testi in merito
alla causa di beatificazione di don Enzo Boschetti
1
Occorre conoscere meglio Don Enzo
così che lo possano incontrare
tutti coloro che personalmente
non sono stati a contatto con lui.
Occorre riflettere su di lui
così da comprendere meglio
quale parola per mezzo di lui
ci è stata detta da Dio.
Il compito impegnativo che sta davanti a noi
riguarda dunque la comprensione
della specificità della testimonianza
di questo straordinario sacerdote.
Mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia
2
Premessa
In occasione dell’incontro tenuto l’11 febbraio ‘05 al collegio Ghislieri, per commemorare i XII anni dalla
scomparsa di don Enzo, mons. Giudici, vescovo di Pavia, attraverso le parole dei vescovi lombardi ha
avvallato la decisione di avviare la causa di beatificazione per don Enzo Boschetti.
Abbiamo così voluto ‘fissare’ questo momento importante con una piccola raccolta di contributi in merito.
Nel primo articolo Mons. Giudici in poche righe condensa una intensa prospettiva di intenti e di
orientamenti che, a partire dalla figura di don Enzo, coinvolgono la sua memoria, l’esemplarità, il carisma
da lui ricevuto e il cammino della chiesa di Pavia.
Il secondo articolo riporta la cronaca dell’incontro tenuto al Ghislieri, di cui si è accennato all’inizio.
Nel terzo contributo è riportato l’intervento che la dr.sa Consolini ha fatto in quell’occasione. Attraverso
alcuni testi autobiografici, ci è reso possibile di penetrare un poco il cuore appassionato di don Enzo per
scoprirvi l’ardente desiderio di fare solo la volontà di Dio, che è amore per Cristo e per i poveri.
Infine la parola passa a don Enzo stesso che ci coinvolge in quell’avventura unica e per tutti che è la
chiamata alla santità.
L’avventura della santità di don Enzo sta continuando tuttora, certamente nei suoi frutti, che sono le tante
persone che continuano ad amare e servire i giovani e i piccoli in difficoltà ispirandosi a lui.
Ma la decisione della Chiesa, locale e lombarda, di avvallare l’apertura della causa di beatificazione ci
costringe ad accorgerci e coinvolgerci in questa santità in maniera più attenta e consapevole.
Per fare questo occorre un cammino e questo libretto vuole esserne una tappa.
Incontrare don Enzo
di mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia
È necessario conoscere meglio la persona di questo straordinario sacerdote nel
duplice intento di farlo incontrare alla gente di oggi e di meglio comprendere la
parola che Dio ci ha detto attraverso di lui.
Pavia, febbraio ‘05
L’impegno della Casa del Giovane sviluppa su vari aspetti l’indicazione fondante di Don Enzo Boschetti.
Noi che guardiamo la Casa del Giovane dall’esterno ne vediamo l’impegno di carità che si manifesta
nell’accoglienza, nell’attività educativa, nell’operare per l’inserimento nella società di persone
potenzialmente marginali.
Perché l’impegno di una comunità credente sia vissuto con slancio e scioltezza di fronte a novità, imprevisti,
possibilità nuove, è importante riconoscere la conformità del proprio presente alle intuizioni spirituali che
stanno all’origine dell’impegno. Oltre a ciò occorre vivere la missione di far entrare nella tradizione della
Chiesa, in particolare della nostra chiesa Pavese, il dono spirituale dell’iniziatore della Casa del Giovane. I
due impegni si implicano a vicenda.
Occorre conoscere meglio Don Enzo così che lo possano incontrare tutti coloro che personalmente non sono
stati a contatto con lui. Occorre riflettere su di lui così da comprendere meglio quale parola per mezzo di lui
ci è stata detta da Dio. Attraverso gli avvenimenti che compongono la sua vita, le parole scambiate e le tracce
lasciate dalle sue domande e dai suoi gesti, noi siamo aiutati a comprendere meglio le ragioni delle scelte di
Don Enzo e ci si aprono spiragli di luce attraversi i quali possiamo risalire all’ispirazione presente al centro
della sua vita.
Vi sono certo letture molteplici della sua vita e percezioni diverse del suo tipo di testimonianza. Per parte
mia sento che è particolarmente attenta all’oggi della Chiesa e della cultura laica la scelta fatta da Don Enzo
di operare perché i poveri, i piccoli, i sofferenti ricevano pienamente l’annuncio del Vangelo di Gesù e se ne
facciano a loro volta convertiti e testimoni.
Così non si opera solo per loro, ma con loro si intende costruire una comunità di persone rinnovate dalla
fede, avviate a comprendere la propria condizione, di fatica, di sofferenza, di limitazione, come un
misterioso ma reale appello di Dio. Il compito impegnativo che sta davanti a noi riguarda dunque la
comprensione della specificità della testimonianza di questo straordinario sacerdote.
Facciamoci amici dei santi
cercando di conoscere la vita,
le lotte, le virtù, i carismi,
chiamandoli in aiuto
e prendendoli come modello
soprattutto nei momenti più difficili
della nostra vita.
Don Enzo
Don Enzo verso
la causa di beatificazione
di don Arturo Cristani, Comunità Casa del Giovane
In memoria di don Enzo l’incontro dell’11 febbraio 2005 al Collegio Ghislieri di
Pavia, dove mons. Vescovo ha reso noto l’assenso dei vescovi lombardi per l’apertura
della Causa di Beatificazione.
Per il XII anniversario di don Enzo Boschetti suo fondatore, la Comunità Casa del Giovane ha deciso, a
differenza degli scorsi anni, di ricorrere ad una sede esterna, per poter dare una dimensione più aperta e
cittadina alla memoria di chi molto ha fatto per i giovani e i poveri di Pavia e non solo.
Grazie all’interessamento del giudice Beretta, attuale presidente della Piccola Opera San Giuseppe, si è
arrivati al Collegio Ghislieri con la sua bella Aula magna, che si è rivelata ottimo spazio per una serata che
non è esagerato indicare come ‘storica’ per la Comunità, la Chiesa locale e per la città.
L’incontro si è svolto alle ore 21 di venerdì 11 febbraio 2005 e ha visto partecipare come relatori mons.
Giovanni Giudici vescovo di Pavia, padre Piersandro Vanzan sj teologo e scrittore della Rivista ‘La Civiltà
Cattolica’ dei Gesuiti a Roma, la dr.sa Francesca Consolini postulatrice della Curia di Milano e
collaboratrice della Casa del Giovane, il giudice Beretta di cui abbiamo già detto.
La data dell’incontro, decisa dalle disponibilità dell’Aula, non era quella esatta dell’anniversario – don Enzo
morì il 15 febbraio – ma ha provocato un’altra significativa coincidenza: in quella data, 13 anni prima, per
mano dell’allora vescovo mons. Volta, la Comunità veniva riconosciuta ufficialmente come realtà della
Chiesa Locale di Pavia. Questo è stato un altro motivo di gioia e di riconoscenza.
I timori di veder poca partecipazione a causa della nuova sede, del giorno feriale e del sovrapporsi con la
memoria della Madonna di Lourdes sono svaniti subito perché l’Aula alle ore 21 era piena. Oltre ai ragazzi
della Comunità, venuti per conoscere meglio chi, con i suoi sacrifici e con il suo amore per loro, ha dato loro
la possibilità di riscattarsi e di crescere, erano presenti tante persone amiche di don Enzo, sensibili alla sua
opera e alla sua testimonianza e attenti a cogliere il messaggio particolare che la vita di questo sacerdote ha
trasmesso. Tra essi gente comune, responsabili delle attività sociali e civili della città e della provincia,
sacerdoti…
Dopo l’introduzione di don Franco Tassone, attuale responsabile della Comunità, ha parlato per primo mons.
Giudici. Anche se essenziale, l’intervento del vescovo di Pavia è stato quello più autorevole e determinante.
Inizialmente ha ricordato il motivo dell’essersi radunati attorno alla figura di don Enzo: “siamo qui per
riflettere insieme sulla figura di don Enzo, in modo da commemorarlo per il passato e additarlo ad esempio
per il futuro, facendolo diventare patrimonio fecondo della comunità locale. Il ‘don’ come tutti lo
chiamavano, è una figura attuale, da imitare, per arricchirci del suo dono”.
Mons. Giudici ha poi spiegato di aver interpellato con una lettera i vescovi lombardi per chiedere il loro
parere in merito all’apertura di un eventuale processo di beatificazione per don Enzo. Leggendo alcuni stralci
presi dalle lettere in risposta alla sua, sono emerse espressione di lode e di sostegno per tale iniziativa.
Eccone alcune: “è stato un sacerdote diocesano attento ai giovani”, “do’ volentieri il mio avvallo per la
causa di canonizzazione di un sacerdote vicinissimo alla santità di Dio”, “È un modello di carità”.
Mons. Vescovo ha concluso con la sottolineatura del parere positivo espresso dai vescovi, prendendo atto
della “grandezza cristallina del Servo di Dio” e dichiarando la sua intenzione di promuovere l'apertura della
sua causa di beatificazione.
Le parole di mons. Giudici hanno riempito di gioia il cuore dei presenti perché per la prima volta
pubblicamente si è affermata l’intenzione della Chiesa locale di iniziare le indagini sulla vita e le virtù di don
Enzo. Questo passo è stato seguito poi nei giorni successivi dalle varie pratiche necessarie per poter avere al
più presto il nulla osta all’avvio del processo dalla Congregazione per le Cause dei Santi di Roma.
La Chiesa di Pavia si avvia così a riconoscere la dimensione più radicale di questo sacerdote: quella
dell’adesione alla Volontà di Dio, operante nella sua vita grazie alla fede, alla speranza e alla carità che egli
ha vissuto in totale disponibilità e fiducia.
Ed è stato proprio questo il tema presentato dalla dr.sa Consolini nel secondo intervento della serata. Dopo
aver spiegato ai presenti il senso e il compito di una postulatrice – e alcuni certamente erano completamente
‘digiuni’ di tali notizie – la dr.sa ha precisato quali sono le caratteristiche fondamentali della santità cristiana:
“un santo non è una persona che compie meraviglie strabilianti e opere clamorose, ma è colui che, detto
teologicamente, compie momento per momento la volontà di Dio”.
Il discorso si è poi sviluppato citando alcuni testi tratti non dai libri o dagli articoli pubblicati da don Enzo,
ma dal suo diario personale. Da essi è emerso quel lato del ‘don’ nascosto ai più, svelando così le radici
intime e profonde dalle quali egli attingeva luce e forza per vivere e realizzare quella carità che lo ha sempre
contraddistinto: “Voglio appartenere solo a te, o Dio, senza compromessi. È dall’età di 17 anni che ti vado
cercando. Più sento che sei grande, più cresce in me la voglia di te”. “Vorrei esser più coraggioso. Oh
Gesù, vedere uno che soffre, per me è un martirio: sia fatta la tua volontà”.
La dr.sa Consolini ha concluso affermando che “la prova della santità di don Enzo consiste nel suo essere
consapevole della propria miseria e inadeguatezza e nell’affidarsi totalmente alla misericordia di Dio”.
Padre Piersandro Vanzan sj, gesuita e caro amico di don Enzo e della Casa del Giovane, ha rievocato, nel
terzo intervento della serata, le origini dell’avventura della Comunità.
Origini che risalgono al 1966: “Tutto cominciò a San Mauro nel 1966, dove lo conobbi. Era cappellano del
S. Salvatore e aveva cominciato ad accogliere clandestinamente i diseredati della società nella cappella del
Sacro Cuore, il famoso scantinato in viale Libertà”.
Ma oltre alle origini storiche dell’opera di don Enzo. P. Vanzan ha molto sottolineato anche le origini
spirituali di questa realtà: “Il suo motto era ‘davanti a Dio per gli uomini’. Le tante ore di preghiera lo
conducevano a cercare e trovare i poveri nei tuguri e sotto i ponti”.
Il giudice Beretta, con il suo stile sobrio ha espresso, nel quarto intervento, l’evidente forza dell’intuizione
boschettiana: “Le istituzioni si fidano di don Enzo, da vivo e da morto. Egli ha arricchito Pavia. La
partecipazione di stasera conferma la vitalità dell’ideale di don Boschetti”.
Concludendo la serata, don Franco ha poi salutato gli amici presenti, le varie autorità, mentre sullo sfondo
scorrevano le immagini della vita e delle realtà avviate da don Enzo.
Questo saluto ha riconfermato tutti nell’amicizia e nella disponibilità nel sostenere il cammino che il vescovo
ha indicato e per ora appena abbozzato, che porterebbe il ‘don’ ad essere riconosciuto come ricchezza di vita
e di esempio per la Chiesa e la società.
Chi ha conosciuto don Enzo sa quanto egli fosse schivo e restio nel mettersi in mostra, quanto evitasse onori
e applausi. Umanamente parlando quindi tutto quello detto sinora potrebbe sembrare contrario ai suoi
desideri e irrispettoso della sua volontà. Egli infatti era preoccupato che solo la volontà di Dio e il Suo
progetto si realizzassero e nient’altro.
Ma sappiamo altresì che puntando i ‘riflettori’ del cuore e dell’intelligenza sulla sua vita, non troveremo altro
che Dio, libero di agire nel Suo amore attraverso l’umile e generosissimo strumento che don Enzo è stato.
E questo è un merito che egli non avrebbe mai voluto che venisse smentito.
L’attualità della santità
in don Enzo Boschetti
di dr.sa Francesca Consolini, postulatrice
Il santo è colui che vive per attualizzare nell’oggi la Volontà di Dio. Don Enzo ha
realizzato questo attraverso un cammino di comunione e di sofferenza con Cristo.
Per parlare di santità occorre comprendere bene cosa significhi essere “santo” e chi è il “santo”. Quando si
incomincia ad indagare sulla vita di un probabile, futuro santo non si guarda mai alla grandezza delle opere
che ha lasciato; non è l’essere stato un fondatore, un missionario, un predicatore, l’aver costruito ospedali e
lebbrosari, aver dato vita ad una comunità religiosa, aver passato la vita nella preghiera e nella penitenza che
costituisce la santità. Essere santi significa semplicemente fare la volontà di Dio momento per momento, così
come Egli ce la indica attraverso le mozioni dello Spirito Santo che parla nel nostro cuore. Essere santi
significa soprattutto saper ascoltare questa voce che ci richiama, ci indirizza, ci guida; significa sviluppare al
massimo le potenzialità della nostra anima, quella forza verso il bene immessa in noi con il Battesimo;
ricevendo questo sacramento tutti noi siamo “santi” in potenza, siamo cioè chiamati, come ci insegna la
Chiesa e come ha ribadito il Concilio Vaticano II nella Costituzione Apostolica “Lumen Gentium”.
Santi non si nasce, lo si diventa giorno per giorno con fatica, cercando di superare i limiti della nostra natura,
del nostro temperamento; la santità, infatti, non violenta mai la natura, ma fa leva sui lati positivi del
temperamento umano, anche su quelli che potrebbero essere negativi, per raggiungere il bene. Così
potremmo dire che si diventa santi, nonostante noi stessi. Basta lasciare libero spazio alla grazia, lasciarci
lavorare da lei, stare in ascolto e operare di conseguenza.
In questo cammino verso la santità si vivono momenti di grazia, ma anche momenti di lotta, di tensione e di
sconfitta; quello che conta è andare avanti sempre, nella certezza che non si cammina da soli, ma sostenuti
dalla grazia di Dio il quale non ci chiede mai alcunché che vada la di là delle nostre capacità.
La frequenti beatificazioni proclamate da Papa Giovani Paolo II hanno questo significato: additano all’uomo
di oggi modelli sempre nuovi ed attuali di santità, nei quali ognuno, con la sua storia, i suoi limiti ed i suoi
slanci, può ritrovarsi; non è un’inflazione di santità, è una catechesi profonda e mirata con la quale la Chiesa
Madre e Maestra addita ai suoi figli il cammino già percorso da altri fratelli e sorelle che, come noi, hanno
lottato, sofferto, gioito, lavorato per il Regno di Dio e ne sono diventati i testimoni.
In questo quadro si inserisce anche la figura di don Enzo; non occorre essere già arrivati alla canonizzazione
per parlare di santità; rifacendosi al discorso di prima possiamo già dire che don Enzo è stato un “santo”
perché ha cercato la volontà di Dio, ha cercato di capirla nelle contraddizioni della sua vita, di seguirla con
slancio, nonostante i suoi limiti umani, di vederla nei fratelli soprattutto nei giovani disagiati che gli
passavano accanto. Don Enzo ha vissuto la volontà di Dio a volte con profonda sofferenza, toccando con
mano la propria umanità, fatta anche di piccolezza, di cadute, di fallimenti.
Dopo molti anni di lavoro e di impegno a favore dei fratelli, degli ultimi, don Enzo scriveva nel suo Diario:
“Vorrei avere più coraggio ed essere più sereno e abbandonato alla volontà del Signore, invece più vado
avanti negli anni e meno sono disponibile a fare la volontà di Dio. Sì la faccio la volontà di Dio, ma con
tanta difficoltà. Mai come ora soffro per la sofferenza degli altri. Vedere una persona che soffre e non fare
niente, è per me un martirio. Anche questo serve alla mia purificazione interiore”. Il Santo è l'uomo che
cerca la volontà di Dio, sempre, con costanza, con immutato coraggio, con fatica, con sofferenza.
Non voglio parlare del don Enzo ufficiale, del don Enzo che molti di voi hanno conosciuto personalmente e
del don Enzo fondatore della “Casa del Giovane” che tutti vediamo, della quale apprezziamo la continuità ed
il servizio. Vorrei invece far parlare il don Enzo intimo, il “santo” che ogni giorno, anche con sofferenza, si
raffrontava con la volontà di Dio.
Vorrei partire da alcuni pensieri scritti a Villa S. Cuore nel luglio 1967; è un momento di silenzio e di
preghiera durante il quale don Enzo si trova a tu per tu con Dio e traccia un bilancio della sua vita: il tanto
amore ricevuto da Dio, la sua corresponsione; ne emerge il desiderio, o meglio, la volontà assoluta di essere
solo di Dio e in questa appartenenza assoluta, senza compromessi, cercare ed amare il fratello: "Sì, Gesù, da
quando ti ho trovato dall'età di 17 anni circa, qui in questa casa benedetta, ti ho sempre cercato, ma
cercando anche me stesso. Ti ho sempre amato, e come potevo non farlo? Ma ho amato anche la mia gloria.
Avevo e ho troppa paura di perdermi in te, di scomparire, e invece sento che la mia vita è morire, che il mio
apostolato più fecondo è ritrovarti per ritrovarmi per ritrovare coloro che hanno sete di te, o Sommo Bene".
Don Enzo, come tutti i santi, avverte l’enorme divario fra l’amore di Gesù per l’anima e la propria
corresponsione; per questo in molti scritti di santi, per es. in S. Teresa d’Avila e in S. Giovanni della Croce,
che furono suoi maestri di spirito, troviamo espressioni molto forti circa il proprio peccato e la vita passata
condannati con parole a volte dure: “Consideriamo la grande misericordia e la pazienza di Dio - scrive S.
Teresa - che non ci sprofonda sull’istante” (Mansioni, III, 3).
Santi che ai nostri occhi hanno operato meraviglie di carità, giudicano e condannano il loro operato come
insufficiente, limitato, viziato dal peccato.
Più un’anima si avvicina a Dio e si innamora di Lui, più ne coglie la grandezza ed avverte la propria miseria;
più percepisce il suo limite e più canta la misericordia di Dio; più coglie l’Amore, più sente il limite del suo
amore.
"Sentivo tanto il bisogno di questi giorni di preghiera e di silenzio. Sempre ho sentito questa necessità di
stare con il Signore, ma purtroppo mi lascio divorare dal lavoro e dal servizio che incalza momento per
momento. Purtroppo mi accorgo che il mio è un attivismo senza anima e senza amore perché senza il
Signore. È questo un male che mina alla radice tutta la mia vita sacerdotale e mi trascina continuamente a
tremendi compromessi.
Due fatti sono costanti nella mia povera vita: il primo si chiama il purtroppo e tremendo peccato, che mi
umilia e blocca in tutto un disegno di amore di Dio. Il secondo fatto si chiama misericordia. Il Signore mi
dona grazie a non finire nonostante la mia tremenda miseria, grande e assurda miseria”.
In questa ottica tutto è grazia e dono: "Sono tutte grazie grandi - scrive don Enzo ripensando ad alcuni
avvenimenti lieti ed importanti della Comunità - che mi dicono come Dio mi perseguita con il suo Amore e
con una Provvidenza sbalorditiva. Non vorrei più condurre una vita così povera e squallida di Amore. So
benissimo che tutto il mio male di peccato è causato da una mancanza di amore e di vita interiore e di
preghiera. Ritorno alla nostra cara Comunità con il desiderio vivissimo di impegnarmi in una vita di
preghiera e di fraternità con l'aiuto del Signore Gesù e della Vergine SS. nostra Madre" (Santuario
Madonna del Pozzo, S. Salvatore Monferrato, 7 ott. 1989).
I santi sono a volte spietati nel giudicare se stessi e il loro operato; nel diretto confronto con l’Amato non
hanno paura di mettere a nudo la propria miseria e il proprio limite. Davanti a Dio nella nudità della verità
don Enzo scrive: “La preghiera. la preghiera sempre, continuamente, con insistenza, con forza, con grande
amore, con immensa speranza, la preghiera con tutto il bagaglio della mia sofferenza, dei miei peccati, del
mio avvenire, delle mie gioie.
La preghiera per me è tutto, senza la preghiera sono una terribile nullità, un malvagio, capace solo di
nullità. Gesù aiutami a ritrovarti, a ritrovare me stesso, il mio peccato, la mia pace davanti a te, davanti al
tuo tabernacolo, al tuo crocifisso, durante l’orazione, con il tuo silenzio che riempie la mia povera anima”
(Certosa di Pavia, 13 gennaio 1970).
“Che senso avrebbe la mia vita - si chiedeva don Enzo - se non fosse sulla lunghezza d’onda del Vangelo?”
(Diario 1989, 6 gennaio).
Da questa analisi senza mezzi termini e senza pudori, senza auto giustificazioni, rinasce il desiderio forte,
ardente di sentirsi uniti all’Amato, di ritrovarlo nella profondità della propria anima, di ascoltarne la voce nel
silenzio della contemplazione e della preghiera:
“Perseguitami con il tuo Amore - scrive don Enzo - che non trovi mai pace nei beni di questo fugace mondo,
ma in te solo. Amarti sempre Gesù, amarti sempre per non morire più. Sì vorrei amare tutti, amare sempre,
perdonare sempre, ringraziare sempre, confortare sempre” (Certosa di Pavia, 13 gennaio 1970).
“Ti chiedo, o Gesù la sola gioia della preghiera, amarti nella preghiera, amarti nella sofferenza, amarti nel
silenzio. Amarti sempre quando sarò dimenticato e disprezzato da tutti. Ti chiedo, o Gesù, la grazia della
preghiera, la grazia di un profondo silenzio interiore, la grazia di soffrire quando tu soffri per i miei peccati,
per tutti i peccati” (Certosa di Pavia, 29 gennaio 1970).
Non deve stupire questa ultima invocazione; chi ama desidera assimilarsi all’Amato e l’amore alla Croce
contraddistingue i Santi; non si tratta di autolesionismo, ma di condividere il mistero della Redenzione,
sentirsi vicino a Gesù che ha accettato la Croce per amore nostro; anche l’accettazione amorosa e non
passiva della Croce è fare la volontà del Padre, anzi è l’atto che più assimila al Figlio.
Don Enzo sentiva questa urgenza di amare Dio in concreto, aveva capito la preziosità nascosta della Croce e
il valore redentivo di ogni sofferenza: materiale, morale, fisica, spirituale. Lo aveva capito a tal punto di
sentire il peso delle giornate senza sofferenza, senza questa compartecipazione alla vita di Gesù, senza
questo morire che diventa vita e produce Amore.
Scrive: “Ancora tante amarezze perché il mio tempo è passato povero di bene e pesante di peccato. Mi sento
vecchio quando la sofferenza, l’implorazione, la speranza non accompagnano il mio giorno. Senza
sofferenza mi sento senza amore, senza vita, senza Dio. Gesù aiutami a portare la Croce per sentire in me un
grande Amore per Te” (Certosa di Pavia, 2 gennaio 1971).
E ancora: “Sono giorni di grande amarezza con i quali sto sperimentando il dolore del fallimento: se il
chicco di frumento non marcisce non porta frutto [...] Non pensavo di dovere soffrire così tanto. Sembra di
dover dire che più si amano i fratelli, i giovani e più si deve soffrire. Ebbene: “Ave Maria e avanti!”
Soprattutto con queste sofferenze sento che un po’ della vita del Signore Gesù, della sua sofferenza, della
sua grazia e della sua Resurrezione entrano nella mia povera vita e l’Amore prende vita e la vita si fa
amore. Grazie Gesù!” (Focolare Valle Cima, 23 dicembre 1980).
Nella luce dell’amore per Cristo così totale ed assoluto è la ragione dell’amore per il prossimo; quando si
studiano le virtù di un Servo di Dio, si parla di carità verso Dio e carità verso il prossimo; dalla prima
scaturisce la seconda; sono le due facce dell’Amore come ci ha insegnato Gesù: “Non si può amare Dio che
non si vede se non si ama il fratello”(cf. 1Gv 4,20).
E in questa ottica di amore soprannaturale si è mosso anche l’amore di don Enzo verso i poveri, i giovani, gli
ultimi: “Ho lavorato molto per i poveri - scrive nel 1977 - per i giovani disadattati, ma con quanta fragilità
di amore e di purezza! Ho incontrato miserie a non finire, direi che sono stati anni presi nel vortice della
miseria umana. Gesù benedetto mi ha fatto incontrare e mi ha fatto ospitare qualche centinaia di giovani
martoriati dalla povertà materiale e spirituale più ancora. ma quanta ambiguità nel mio comportamento!
Eppure Tu lo sai che li amo perché Ti amo o Signore! [...] Altre cose, Signore, vorrei fare perché vorrei
amarti e farti amare sempre più, perché vorrei che tanti poveri ti amassero [...] Per Gesù, per i poveri
voglio consumarmi come il grano di frumento, la semente del Vangelo [...] Gesù aiutami. Vieni Signore
Gesù!” (Eremo O.C.D. Tosi. Campiglioni Firenze, 23 - 29 gennaio 1977).
I Santi però non sono statici, sono uno stimolo per noi, un invito sempre nuovo ad amare; per questo voglio
concludere con uno degli ultimi scritti personali di don Enzo del febbraio 1993, qualche giorno prima della
sua morte: ci lascia un interrogativo al quale ognuno di noi può rispondere nel silenzio della propria anima,
davanti al tabernacolo, dove lui aveva vergato queste righe con una grafia che rivela la sofferenza fisica di
quei momenti: “Gesù, Gesù umile che trovi con la tua morte in croce mille modi di sconfessarmi, con le tue
atroci sofferenze in croce, aiutami a sconfiggere quella non umiltà che si chiama autoesaltazione
dell’amore. Sì. dopo tanti anni finalmente ho trovato l’Amore. Il Dio immenso, umanato, storicizzato,
annichilito nell’incomprensibile e ineffabile mistero eucaristico, trova ancora tra noi, i nascosti
contemplativi bramosi ed ardenti di adorazione?”.
Altre cose,
Signore,
vorrei fare
perché vorrei amarti
e farti amare sempre più,
perché vorrei
che tanti poveri ti amassero
Don Enzo
Un’avventura irrinunciabile: la santità
Tratto dal libro “L’alternativa” di don Enzo Boschetti
“Ciascuno vive secondo la grazia ricevuta,
mettendola a servizio degli altri” (1 Pt 4,10)
TUTTI SONO CHIAMATI
Il bellissimo salmo 95 sembra proprio fatto per noi, per la nostra meditazione intesa seriamente come
colloquio con Dio.
Ecco l’invito:
“Venite, applaudiamo al Signore,
acclamiamo alla roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.
Venite, prostrati adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati.
Egli è il nostro Dio,
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.
Ascoltate oggi la sua voce” (Sal 95, 1-2.6-8).
Le parole del salmo ci portano alla meditazione: lodare Dio, adorarlo in silenzio, chiedergli il perdono dei
peccati e ringraziarlo con la riconoscenza dei figli. Preghiamo ancora con questo desiderio:
“Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Rendimi la gioia di essere salvato,
sostieni in me un animo generoso” (Sal 51, 14).
Pensando alle varie tappe della nostra vita e alla presenza del Signore, che senso hanno questi versetti del
salmo?
Gesù con il suo spirito fa comprendere che, poste certe premesse, la santità è fatta per noi. L’avventura della
santità necessariamente coinvolge tutta la vita e la rende vita di Cristo per i fratelli. Non è più esperienza
disincarnata, astratta o teorica e senza calore umano, ma norma di vita che Gesù ci rivela per mezzo del
Vangelo e della sua vita.
L’impegno di santità e di perfezione come ce lo presenta il Vangelo è un cammino di libertà di Gesù con noi
e di noi con lui. È un cammino di comunione nella Chiesa di Cristo con lo Spirito del Padre e i fratelli della
comunità che tendono all’unità in Cristo. Uomini e donne di tutti i tempi si sono appassionati a questa grande
avventura dello spirito e sono stati attirati dall’irresistibile desiderio di imitare Cristo. Essenzialmente la
santità è seguire il Signore e amarlo con un cuore nuovo come quello della Samaritana.
Quest’amore per Cristo non ci allontana dagli uomini, ma ci spinge a tutti i livelli di coinvolgimento fino a
pagare di persona con un servizio d’amore.
Con questo servizio c’è la grazia del Signore, i meriti della sua passione e morte, la forza della sua
risurrezione; e a chiamarci sono tutti gli uomini oppressi; che soffrono e hanno fame e sete della giustizia e
di una vita dignitosa. Ci sono gli ultimi e coloro che non contano per i potenti di questo mondo. La nostra
ricerca della verità e della fratellanza, l’attenzione alla loro sofferenza è anche preghiera, in nome del Cristo
che “umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Ef 2,8). Lui che “venne
fra la sua gente, ma i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1, 11).
LE CONNOTAZIONI DELLA SANTITÀ NEL SERVIZIO
La santità o cammino di fede non è solo mancanza di peccato grave o leggero. La santità è prima di tutto
comunione con il Signore e con i fratelli, nell’osservanza di un preciso piano di vita, con i suoi momenti di
correzione fraterna e di confronto con la guida.
È vivere l’amore, la disponibilità, l’altruismo, il servizio. Concretamente è scegliere l’uomo affamato,
oggetto di diritto, di libertà e di un’immensa dignità, per restituirgli la fiducia in sé e la sua dignità di figlio di
Dio. Un compito difficile perché il povero è prima di tutto scomodo tanto quanto il Vangelo, e ci chiede
tutto.
Quando accogli il povero, ti senti in sintonia con il Maestro. In questo cammino faticoso cresce la santità e la
nostra convinzione, perché:
“Chi confida nel Signore è come il monte Sion:
non vacilla, è stabile per sempre” (Sal 125, 1).
La santità è l’unica avventura che non finisce mai perché ci porterà, per grazia di Dio, "nuovi cieli e terra
nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia" (2Pt 3, 13). Nella casa del Padre gli eletti vedranno la
faccia di Dio il cui regno non avrà fine. La vita in comunità dovrebbe essere mezzo eletto di santità.
La “Regola di vita” ci ricorda: “ama la tua comunità, questa comunità con queste difficoltà”; un invito
preciso a compromettersi nell’amore con tutti senza aspettare che i fratelli diventino perfetti.
I poveri non devono aspettare e ce lo ricorda un martire dei nostri giorni: il vescovo Romero del Salvador,
ucciso per i suoi coraggiosi interventi a favore degli oppressi, testimone del Vangelo e della fedeltà a Cristo e
agli uomini. La sua forza era la preghiera, la vita povera e la carità coraggiosa.
La santità è il coraggio di non svendere la libertà, la giovinezza, il nostro battesimo a una facile
rassegnazione davanti alle inevitabili difficoltà. Il Vangelo farà della nostra vita una forza dirompente e
pacifica, se accetteremo con umiltà di essere strumenti nelle mani di colui che tutto può. La santità è povertà
reale ed è di coloro che vogliono imitare il Maestro che “non ha dove posare il capo” (Mt 8, 20). Guai a noi
se ci lasciassimo prendere la mano dalla ricercatezza, dal lusso, dalle situazioni facili, perché non saremo più
dei poveri e in nostro rapporto con il Signore sarebbe compromesso seriamente.
La santità è lasciarsi modellare dalla grazia per mezzo della parola di Cristo. Affidiamo questa avventura di
fede e di servizio alla Madonna “regina e madre della nostra fraternità”.
È davvero difficile parlare della santità reale che siamo chiamati a vivere oggi, nella Chiesa, nella fraternità
di servizio con i nostri inevitabili momenti di stanchezza e certe volte di amarezza, perché non siamo ancora
pronti a “bere il calice” (Mt 21, 22) della passione, a rinnegare noi stessi e a morire come “il chicco di
grano caduto a terra” (Gv 12, 24).
RAPPORTO TRA SANTITÀ E UMILTÀ
Forse non siamo ancora arrivati a sentirci come San Paolo, “un ultimo”. Scrivendo ai Corinzi, senza
esitazione dice:
“Inoltre (il Signore) apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me
come a un aborto” (1Cor 15, 7-8).
Questa umiltà cristiana, sempre pronta a donarsi, è virtù perseguita con tenacia dai santi perché essa è il
fondamento di tutte le virtù senza togliere nulla alla carità che è il compimento della legge. Per mettere radici
profonde nella santità bisogna assimilare questa virtù, cercando le cose più umili, vivendo le situazioni che
fanno morire l’orgoglio, che umiliano e purificano ulteriormente.
Nel piano di vita vocazionale, con il padre spirituale bisogna puntualizzare quest’aspetto tanto importante
perché favorisce la docilità, la fiducia e l’obbedienza alla guida. È necessario per meglio conoscere la
volontà del Signore e per assicurarsi un confronto reale con il Vangelo.
Santità e vita facile o comoda non vanno d’accordo: bisogna scegliere, perché “nessuno può servire a due
padroni” (Mt 6,24). La mediocrità non piace a nessuno e tanto meno al Signore. L'umiltà esige la povertà
spirituale e concreta per scoprire la bellezza della verginità e la consapevolezza di appartenenza a Dio.
Il profeta afferma:
“Ecco verranno giorni - dice il Signore - nei quali porrò la legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore”
(Ger 31, 31.33).
L’umiltà ci dispone ad accettare questo dono.
Il Concilio Vaticano II ricorda:
“Il Signore Gesù Maestro è modello divino in ogni perfezione, a tutti e ai singoli suoi discepoli, di qualsiasi
condizione, ha predicato la santità della sua vita di cui egli stesso è autore perfezionatore: «Siate perfetti
come è perfetto il Padre vostro celeste»”.
La santità sul modello di Dio! Ma Gesù ci vuole audaci e ci dice:
“Qualunque cosa chiederete nel nome mio, lo farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio” (Gv 14, 13).
Quindi dobbiamo pregare per il dono grande di una vita santa per noi e per i fratelli. Progrediamo se
camminiamo insieme e se non perdiamo nessuna occasione per manifestare con il nostro cuore l’amore di
Cristo.
L’ESEMPLARITÀ
Spesso ci dimentichiamo la nostra stretta parentela con i santi e ci sentiamo lontani e perduti. Invece la carità
dei santi veglia ancora sugli uomini. Ce lo dimostra bene la semplice e accorata preghiera che padre Charles
de Foucauld rivolge a santa Teresa d’Avila:
“Cara Madre Teresa ho bisogno di te!
Devo costruirmi una vita interiore!
Ma ne ho mai avuto una?...
Santa Teresa, dammi tanta forza e tanta luce.
Voglio una sola cosa, tu lo sai:
una cosa solamente: glorificare il più possibile
nostro Signore Gesù Cristo,
amarlo quanto più posso...
questo ti chiedo e ti imploro, Madre cara;
dammi tutto quello che serve
perché io realizzi questo desiderio...
Madre carissima, vieni in mio soccorso...
Tu che lo scorso anno mi facesti una grande grazia...
ora è pure sempre una grande grazia
che imploro con tutto il cuore...”
C’è in questa preghiera un sentimento di amicizia che non ci deve sfuggire; essa esprime il bisogno
esistenziale di cercare la comunione con Dio e di fiducia nell’aiuto di chi ha già percorso il nostro cammino.
Con tutto il cuore chiediamo l’aiuto della Madonna e dei santi nostri patroni perché intercedano presso il
Signore per confermarci nella vocazione e nella fedeltà. Facciamoci amici dei santi cercando di conoscere la
vita, le lotte, le virtù, i carismi, chiamandoli in aiuto e prendendoli come modello soprattutto nei momenti più
difficili della nostra vita.
INDICE
INCONTRARE DON ENZO
di mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia.......................................... pag. 2
DON ENZO VERSO LA CAUSA DI BEATIFICAZIONE
di don Arturo Cristani ............................................................................. “
4
L’ATTUALITÀ DELLA SANTITÀ IN DON ENZO BOSCHETTI
di Francesca Consolini, postulatrice....................................................... “
8
UN’AVVENTURA IRRINUNCIABILE: LA SANTITÀ
Tratto dal libro ‘L’alternativa’ di d. Enzo Boschetti.................................. “ 13
ARCHIVIO "DON ENZO BOSCHETTI"
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