Schede film discussi insieme 2005

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Schede film discussi insieme 2005
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Camminando sull’acqua
WALK ON WATER
regia: Eytan Fox (Israele 2004)
sceneggiatura: Gal Uchovsky
fotografia: Tobias Hochstein
montaggio: Yosef Grunfeld
musica: Ivri Lider
scenografia: Avi Fahima, Christoph Merg
interpreti Lior Ashkenazy (Eyal), Caroline Peters (Pia), Knut Berger (Axel), Gideon Shemer (Menachem)
produzione: Lama
distribuzione: Teodora
durata: 1h 44’
EYTAN FOX
New York - 21.8.1964
2002 Yossi e Jagger
2004 Camminando sull’acqua
LA STORIA
È un grande applauso a cui segue un brindisi, il saluto che
accoglie l’agente segreto Eyal al suo ritorno in un ufficio del
Mossad. La missione affidatagli è stata portata a termine con
successo. Poche ore prima a Instabul aveva sorpreso alle spalle
e ucciso, iniettandogli una siringa, su una gamba, uno dei
terroristi di Hamas senza che la moglie e il bambino che era76 CAMMINANDO SULL’ACQUA
no con lui riuscissero a rendersi conto di quello che stava succedendo. Ma il ritorno a casa di Eyal lo mette di fronte a
un’altra morte che lo trova meno preparato. La moglie, Iris, si
è suicidata. Un mese dopo Eyal viene chiamato ad altro incarico: ritrovare un vecchio criminale nazista, Himmelman, responsabile dello sterminio degli ebrei di un’intera regione
della Germania, che rifugiatosi in Argentina, da tempo ha
fatto perdere le sue tracce. La ragione per poterne sapere
qualcosa di più è adesso data dall’arrivo in Israele di un nipote che abita a Berlino e che ha deciso di venire a trovare la sorella. L’incarico nei dettagli sembra essere semplice. Eyal andrà incontro al giovane Axel Himmelman all’aereoporto, lo
accoglierà come la guida richiesta dalla sorella e lo accompagnerà in giro per il paese. Una sola obiezione da parte
dell’agente segreto: «A chi può più interessare quel vecchio
decrepito?». La risposta che riceve da Menachem, responsabile di quell’ufficio: «Voglio arrivare prima di Dio». Il giovane
Himmelman sembra contentissimo di rivedere la sorella e curioso di sapere che vita conduce. Eyal invece cerca di sapere
quali sono i veri motivi che lo hanno condotto in Israele. Così si introduce segretamente nella casa di Pia e colloca delle
spie che gli consentiranno di controllare a distanza i loro discorsi più privati. Axel intende riportare la sorella in Germania o almeno convincerla a riprendere i contatti con la famiglia. Ma Pia è a questo proposito convinta della decisione
presa: starsene lontana in tutti i sensi. In giro con Eyal sulla
strada dei principali luoghi storici, Akel parla di sé: racconta
di essere figlio di un industriale e che suo padre sognava per
lui e Pia la conduzione dell’azienda di famiglia, ma nessuno
dei due esaudirà quel desiderio. Alla domanda: «Parlami ancora della tua famiglia», la risposta è veloce: «Non c’è molto
da dire. I nonni sono morti». Tocca poi a Eyal dire qualcosa
di sé e allora accenna brevemente alla donna con cui ha diviso qualche anno, per poi concludere di essere rimasto solo.
Ma quello che gli sta a cuore è ritornare sul viaggio del ragazzo in Israele e chiedergli ancora della sorella. E Axel spiega di
essere arrivato proprio per riportarla a casa in occasione della
festa di complanno di suo padre. Notizie che Eyal riferisce
esattamente ogni giorno a Menichem, e che commenta esprimendo tutti i dubbi circa l’utilità di quell’incarico, e la noia
di dover ascoltae le inevitabili lezioni di un tedesco sugli attentati dei terroristi palestinesi. Ma a rendere Eyal ancora più
insofferente nei confronti di quel ragazzo è il fatto di non
aver nascosto la sua omossesualità. Pia, a cui confessa l’imbarazzo provato, ammette che non ne ha mai fatto mistero.
Quindici giorni dopo, concluso ormai il soggiorno di Axel in
Israele, Eyal consegna l’ultimo dischetto a Menichem, con
sollievo. Non ha ritenuto neanche necessario ascoltarlo e rimpiange solo il tempo perso. Quel dischetto è invece preziosissimo: contiene la prova di quello che Menichem cercava.
Eyal parte per Berlino e si presenta ad Axel che è sorpreso di
vederlo, ma anche contento e lo invita “al posto di Pia” alla
festa di compleanno del padre, nella grande villa di famiglia.
La cerimonia è solenne: al momento dell’ingresso della torta,
il buio del salone illuminato solo dalle candeline, entra, sostenuto da un’ infermiera, un uomo molto anziano e malato. È
il vecchio genitore, il nazista ricercato. Il padre di Axel lo presenta al figlio con queste parole: «Non puoi immaginare la
grande gioia che provo in questo momento». E il ragazzo del
tutto impreparato a quell’incontro si allontana e a sua madre
chiede spiegazioni. «Se lo avessi saputo non sarei venuto a
questa festa». Ma la madre: «Vuoi farmi la morale? Tu vuoi
solo e sempre contrariarci. Perché hai portato qui quell’israeliano? Chi ci assicura che quel tuo amico non sia un agente
del Mossad?» Axel esce sconvolto e va a cercare Eyal, che però
ha già lasciato la villa per raggiungere Menichem, anche lui a
Berlino. L’ordine che ne riceve è perentorio: uccidere il vecchio. Eyal torna alla villa, entra in piena notte nella camera
del vecchio e si prepara a ucciderlo, spingendosi fino al momento che precede la fine, quando però, e senza un’apparente spiegazione, si ferma. È a questo punto che Axel si avvicina
al letto del nonno, in quel momento solo ex-comandante nazista, e chiude la valvola della bombola d’ossigeno che lo tiene in vita. Due anni dopo Eyal, accanto a Pia nel kibutz, diventato ormai padre del loro bimbo che ha adesso pochi mesi, scrive ad Axel per invitarlo a raggiungerli e descrive un sogno appena fatto: «Eravamo al Nord, lungo il lago di Galilea.
Tu ti sei tolto i sandali e hai cominciato a camminare sull’acqua come se fosse del tutto naturale. Poi ti sei voltato e mi
hai dato la mano e io ti ho seguito. Tutto era così in pace e
noi stavamo bene. Bene». (LUISA ALBERINI)
LA CRITICA
Istanbul: un battello attraversa il Bosforo, a bordo c’è una
tranquilla famigliola osservata da un tipo losco. Quando
scendono dal battello, il tipo si avvicina al padre di famiglia e,
fingendo di urtarlo, gli infila una siringa nella carne. L’uomo
muore sul colpo, l’assassino si dilegua. Stacco. Il giorno dopo,
l’assassino entra in un ufficio del Mossad, in Israele. Il suo capo legge un giornale che titola «Hamas decapitata dall’uccisione a Istanbul di...». Il morto era un terrorista palestinese.
L’omicida è un agente segreto israeliano, uno bravo, uno al
massimo livello. Al quale, ora, verrà affidata una nuova missione... I primi 10 minuti di Camminando sull’acqua sono in
puro stile thriller […]. Ma il nuovo lavoro di Eytan Fox, autore due anni fa della love-story gay Yossi & Jagger, non è un
film d’azione. Semmai, come il precedente, colloca la tematica omosessuale in contesti dove non ci si aspetterebbe di incontrarla: Yossi & Jagger vedeva sbocciare l’amore fra due soldati israeliani di stanza sul confine libanese, qui l’universo gay
irrompe nel mondo super-macho di Eyal, agente del Mossad
abituato alle maniere forti. Il nuovo incarico del nostro uomo
è infatti fingersi un autista e pedinare Axel, un giovane tedesco che viene in Israele per visitare la sorella Pia, ospite di un
kibbutz. Pia ha sposato un ebreo, ma ciò che lei e Axel ignoCAMMINANDO SULL’ACQUA 77
rano (almeno inizialmente) è che il loro nonno era un criminale nazista. I due ragazzi non lo sanno, ma il Mossad lo sa
benissimo, e sospetta che il vecchio (dato per scomparso in
Argentina) sia ancora vivo. [...] Camminando sull’acqua mette
sul tappeto almeno 4 o 5 temi centrali della nostra contemporaneità. E potremmo aggiungerne uno ancora più enorme,
perché il titolo allude proprio a colui che sull’acqua, stando
alle cronache d’epoca, camminava davvero: a un certo punto
Axel vuol vedere il Mar Morto, e in un sogno che sconfina
nell’utopia lui ed Eyal passeggiano sulle acque insieme. Il film
è l’ambiziosissima metafora di un luogo dove tutto è cominciato (Gerusalemme, città delle tre religioni) e dove tutto dovrebbe concludersi: senza darvi dettagli sul finale, sappiate
che Fox ci mostra una riconciliazione utopica, con una nascita che ambisce ad essere salvifica per tutti (il neonato dell’ultima inquadratura è come un nuovo Gesù, venuto a sanare i
peccati del mondo). La scommessa è estrema, bizzarra e a suo
modo affascinante: da tempo non si vedeva un film “di genere” che puntasse a temi così alti, se non nella fantascienza filosofica e multimiliardaria alla Matrix. Camminando sull’acqua
lavora sulla memoria, sulla dialettica tra vendetta e perdono,
sul senso del sacro, sull’utopia di un Israele senza violenza né
odio. La carne al fuoco è fin troppa, e qua e là sovraccarica la
narrazione, ma nel complesso il film merita un’occhiata (ALBERTO CRESPI, l’Unità, 12 novembre 2004)
La tematica della caccia al criminale di guerra è agli sgoccioli per sopravvenuti limiti di età, ma i boia che restano vanno
comunque puniti come afferma nel film il capo del Mossad:
«Dobbiamo arrivare prima di Dio». E infatti in Camminando sull’acqua, in contrasto con le abitudini invalse in una società dove il perdono è ormai incorporato al delitto ignorando il castigo, l’infame aguzzino di un lager finisce per avere
ciò che si merita. Poco importa se il vendicatore non è
l’agente che ha avuto l’incarico di scovarlo e giustiziarlo. Il
regista Eyran Fox offre un’immagine di Israele incantevole e
interessante; ed è suggestiva anche la visione della nuova
Berlino notturna irta di tensioni e contraddizioni. (TULLIO
KEZICH, Corriere della Sera, 13 novembre 2004)
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Nella parabola umana ed emotiva del suo protagonista [...]
si possono trovare semi importanti per capire la società
israeliana di oggi. Il protagonista [...] è spietato, privo di
dubbi, stufo dell’ossessione per il passato mostrata dalle generazioni precedenti. Il nemico non gli sembra più rappresentato dal plumbeo ricordo del nazismo, quanto dal vicino
palestinese, da un mondo arabo visto come alieno. Il percorso di conoscenza di sé avviene attraverso il rapporto con
un giovane tedesco, gay e disponibile al confronto[...]. La
carne al fuoco è davvero tantissima e non sempre il regista
riesce a mantenere sul filo della credibilità e della verosimiglianza lo sviluppo narrativo. Ma la determinazione dimostrata nel rileggere istanze fondanti della moderna Israele - il
sogno della società perfetta del kibbutz, il rapporto con il
passato e con l’Olocausto, la necessità dell’accettazione
dell’altro (arabo, gay o quant’altro), lo sforzo ottimistico nel
guardare a un futuro così difficile - fanno di questo film un
cristallino atto di coraggio ottimista. (FEDERICO PEDRONI,
duellanti, dicembre 2004
Dolcemente allegorico e complesso il film diventa una commedia con l’happy end, sui rapporti tra Germania e Israele,
scegliendo una gamma espressiva pacifica interamente affidata alla capacità di Axel di sciogliere ogni tumore maligno.
La colonna sonora fa il resto, compresa Gigliola Cinquetti
di Non ho l’età. Non abbiamo più l’età per uccidere i criminali nazisti. Basta punirli moralmente. E fermare i loro rispettati successori travestiti. (ROBERTO SILVESTRI, il manifesto, 12 novembre 2004)
I COMMENTI DEL PUBBLICO
DA PREMIO
Miranda Manfredi - Il camminare sull’acqua va interpretato
come alleggerimento dell’anima da tutti i conflitti interpersonali e internazionali dettati dalla memoria storica. Il Novecento con le sue assurde tragedia ha creato delle conse-
guenze psicologiche generazionali difficili da superare. Un
agente del Mossad si trova a interpretare i vari aspetti di
queste conflittualità che ancora oggi ci appartengono. Il
film vuole dimostrare che non basta che scompaia la generazione che ha vissuto l’ultima guerra per cancellare gli orrori
commessi dalle dittature. Il Mein Kampf di Hitler che circola ancora in Germania provoca rigurgiti nazisti e conseguentemente razzisti. Con molta abilità il regista ci ha coinvolto
psicologicamente in questa crisi storica che costruisce killer
in una spirale di violenza che sembra inarrestabile. Comunque il film prevede un lieto fine attraverso relazioni individuali con riscatti morali che accomunano tedeschi, ebrei e,
con fatica, arabi. Un augurio che merita un premio. Sceneggiatura impeccabile, colonna sonora che sottolinea l’attualità dei problemi, attori con le physique du rôle.
Rachele Romanò - Essere in armonia con chi ci ha ferito
spietatamente è come camminare sull’acqua: umanamente è
impossibile. Il regista, da vero artista, riesce ad annodare
storie diverse per evidenziare come nell’animo umano esiste
un coacervo d’orgoglio, rabbia, crudeltà, ostinazione, mancanza di carità che ci fa incappare nel circolo vizioso della
vendetta. Nessuno ne è immune; gli elementi del carattere
umano sono gli stessi indipendentemente dall’etnia e
dall’estrazione sociale. Solo se ciascun uomo riconoscesse i
propri errori e si scusasse, allora si potrebbe percorrere la via
della riconciliazione, anzi, com’è manifesto nelle ultime sequenze del film, quella dell’amore, e far nascere così una
convivenza scevra del peso del passato.
Margherita Tornaghi - Il film è da premio: per il contenuto
(fatti veri); per come questi fatti ci sono stati proposti; per
come è stato realizzato; per come si è concluso.
Magda Florentino - Anche se ho avuto la percezione che il
film sia stato costruito “a tavolino” a me è piaciuto tantissimo. I temi emblematici affrontati sono dell'odierna situazione in Israele e Palestina: c'è tolleranza e anche vendetta,
ma ti arrivano al cuore e alla mente in modo indelebile.
OTTIMO
G. Alberta Zanuso - Ho molto apprezzato questo film per
molteplici ragioni: innanzitutto perché, dato il soggetto così
composito che tocca molti (forse troppi) argomenti brucianti, riesce a farci riflettere senza sottoporci un punto di vista
di parte. La fotografia è buona e ci mostra un paese piuttosto singolare, forse non bello ma da quello che ne so, molto
simile all’originale; notevoli le riprese dell’acqua. La musica
é ben scelta, e la limpida voce della Cinquetti, a un cero momento ci dà un piccolo brivido di giovinezza e perchè no?,
anche di compiacenza nazional-popolare. Molto ben scelti i
due protagonisti uomini, così abissalmente diversi e pure
ambedue capaci di crescere umanamente e anche di arrivare
a scelte basilari. Il fatto che la storia si svolga in due paesi
tanto diversi: parte nell’Israele dei kibbutz, giovane e malgrado tutto, pieno di speranze, e parte nella vecchia Germania così coriacea, tradizionalista e un po’ decadente, dà un
ulteriore valore “universale” a questo ottimo film.
Antonella Spinelli - Forse è vero che i temi trattati in questo film sono davvero importanti, ma troppi. Si carica di un
significato profondo procedendo verso l’epilogo (o l’inizio
rappresentato dalla nascita di un neonato?). Il protagonista
vive un’esperienza affettiva ed emotiva che rappresenta anche le incongruenze, il dolore del ricordo dell’Olocausto, i
dubbi sul futuro di un’intera generazione di ebrei che sentono di non avere nulla da spartire con altre società, proprio
per la loro storia. Però la visione del futuro si fa più ottimistica, più promettente, anche se raggiunta dolorosamente e,
comunque, grazie a una relazione con un giovane tedesco
dalle idee, però, semplici.
Valeria Coli - Profondo messaggio di pace e riconciliazione,
prima di tutto con noi stessi. Per tornare leggeri nell’anima
e... camminare sull’acqua.
Umberto Poletti - Mi è sembrato un film da “rimozione”
dei sensi di colpa, oggi di moda nella saggistica (spesso
CAMMINANDO SULL’ACQUA 79
pseudosaggistica) revisionistica. Lo 007 del Mossad che si
dichiara stanco di uccidere e coltiverà meloni. Il nipote gay
dell’ex aguzzino delle SS che “stacca la psina” ed edipicamente uccide il padre nel nonno, riscattando contemporaneamente la nomea degli omosessuali pacifisti, zuzzerelloni
e non tutti da prima linea attack. La sorella che riscatta in sé
tutta l’eredità nazista, poi altoborghese, poi sionistica nella
vita comunarda dei kibbuz. Infine le allusioni cristologiche
che lasciano sperare in una redenzione laica (?!?). Intento
non banale, ma riuscito a metà, perché alla fine ci si domanda se queste rimozioni sono platoniche oppure lasciano
sperare in un futuro arabo-ebraico-europeo meno tragico e
più costruttivo umanamente e politicamente.
Dario Coli - Questo film è un inno all’amore, al perdono e
all’unione senza odio, rancori, vendette. L’esecuzione è davvero buona e lascia immaginare un ottimo futuro per il regista.
Lucia Bodio Scalfi - Un bel film, che coinvolge e porta con
delicatezza, quasi accompagna, lo spettatore a soffermarsi e
riflettere su temi importanti attuali e gravi del recente passato e del nostro presente. Al centro c’è l’essere umano: e
quando un uomo vede l’altro come un simile a sé, allora si
possono superare barriere e cogliere le ragioni dell’altro e il
suo punto di vista, fino quasi a farlo proprio come il giovane addetto dei servizi segreti che “impara” a diventare amico
dei tedeschi e al giovane impegnato e “pacifista” che arriva a
capire - facendolo suo - il desiderio di “punizione” per chi
usa violenza e forza contro altri più deboli come fanno i terroristi che l’israeliano combatteva. Sopra tutto aleggia il desiderio di superare i propri limiti negativi, ben emblematicamente rappresentato dal camminare sull’acqua dei due
nuovi amici.
Franca Sicuri - Un film che inizia in stile thriller e termina
in dolce e al contempo drammatica commedia. Eppure avvince per i temi importanti della nostra contemporaneità: i
rapporti fra israeliani e palestinesi, il machismo degli agenti
del Mossad rispetto agli omosessuali, l’incubo del passato
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nazista a fronte dei nuovi giovani tedeschi, infine e soprattutto il bisogno di un po’ di pace, di ricominciare in un
qualche modo purché meglio di adesso. Insomma un abbondante intruglio di ingredienti, accompagnato da una
bella recitazione che si lascia vedere volentieri.
Vittoriangela Bisogni - Un po’ melò l’evoluzione esistenziale del protagonista, che da durissimo 007 con licenza di uccidere passa a coltivatore di agrumi, e per giunta lui israeliano sposa la nipote di un criminale nazista: il loro figlio sarà
il suggello miracoloso della fine dell’odio. A parte ciò, il
film mi sembra assolutamente meritevole e ben fatto. Gli
israeliani tra i nazisti e i palestinesi: argomenti enormi,
complicati anche dalla volontà di considerare altre “diversità” oltre a quelle etniche: quelle dell’omosessualità. Comunque il regista compie un lavoro encomiabile, senza evidenti preconcetti generalizzati, riferendo solo schegge di esistenze individuali. Le conclusioni sembrerebbero dire che è
possibile una riappacificazione tra i popoli nel lungo periodo, tra le successive generazioni, mentre la morsa delle tragedie presenti (il conflitto israelo-palestinese) non lascia vedere facili vie d’uscita. Si respira comunque un messaggio
positivo a tutto campo. Quanto alla realizzazione, il film è
pregevole e tranquillo, a cominciare dalla fotografia che non
ha arditezza né pretese ma ci coinvolge appieno.
BUONO
Marcello Napolitano - In totale un buon film, dalle lodevoli
intenzioni, ben girato, abbastanza ben recitato, ben ambientato, ben montato ma anche un film strano, che prospetta
troppi cambiamenti di visione nei personaggi per essere del
tutto convincente (l’agente del Mossad diviene un buon padre di famiglia, il gay pacifista diviene assassino o almeno
giustiziere). Mi colpisce la descrizione della vita in Israele così simile alla nostra, con le strade, i locali pubblici, le persone
assolutamente omologate a quelli che vediamo ogni giorno;
la violenza è citata ma non sembra lasciare traccia nella vita
quotidiana; anzi la violenza che ci appare a Berlino è più intensa. Ma perché viene mostrata questa scena? forse per prepararci alla virata del ragazzo gay? E perché l’assassinio del
nonno? forse per dirci che anche un tedesco pacifista può decidere autonomamente, senza un giudizio formale, che un
individuo (un gruppo) indifeso è colpevole di qualcosa e va
eliminato? Raramente questo film riesce a commuovere: certamente commuove la scena (nel ricordo) del bambino che
piange quando l’agente gli uccide il padre ed è quel ricordo
che può spiegare la sua conversione.
Maria Cossar - Vedendo questo bel film mi vengono in
mente tre parole chiave: coesistenza, violenza, attualità. Il
regista israeliano con poche scene ben definite, con argomentazioni efficaci riesce a rendere la tragedia della coesistenza tra due popoli. Bombe, astio, stragi, la difficile composizione tra passato e futuro: passato di colpe che è difficile
leggere e giudicare. Il regista sogna che l’amore prevalga su
tutto: rimuovendo il passato o seppellendolo si può ricominciare a preparare nuove generazioni e rompere quel circolo vizioso. Musica, linguaggio universale, molto bella.
Anna Piccinini - Si potrebbe definire una bella storia di amicizia maschile, se non fosse tanto di più. Eyal e Axel sono
due tipi opposti, per nazionalità, storia di famiglia e costumi
sessuali. Tuttavia finiscono per incontrarsi e anzi alla fine si
scambiano le parti e Axel porta a compimento ciò che Eyal
non si sente più di fare. Camminare sull’acqua è trovare un
equilibrio, nella vita personale e nelle relazioni tra i popoli,
ma è anche saper mantenere quell’equilibrio (pacifismo, solidarietà, tolleranza) senza negare il diritto di esistere a nessuno: nelle dure parole di Axel contro i teppisti della metropolitana, voleva forse il regista indicare il risorgere del razzismo
in Germania (i machi contro i gay, gli integrati contro i dropouts)? Quanto a Eyal, è il suicidio della moglie a metterlo in
crisi e a mostrargli il cammino verso nuovi equilibri (il viso
piangente di Iris si sovrappone a quello del bimbo palestinese a cui aveva ucciso il padre). La sua trasformazione dall’inizio alla fine del film è il movimento di coscienza necessario
perché si possa sgretolare il muro dell’arroganza sostituendo
un atteggiamento aggressivo con la costruzione di un futuro
di vita (i pomodori e un figlio).
Adele Bugatti - Attraverso un percorso insospettato un killer, agente segreto israeliano, si costruisce una famiglia dopo
aver scoperto di non essere più capace di uccidere. Un racconto che utopicamente prefigura un dialogo in luoghi meravigliosi dove questo non c’è.
Luisa Alberini - Ancora una volta si potrebbe dire che niente è più presente nella nostra memoria e ci riguarda tanto da
vicino quanto la vita di chi ci ha preceduto. Eyal rinuncia a
uccidere perché non può dimenticare la lettera della moglie
trovata alla sua morte, Axel diventa l’esecutore della morte
del nonno, spinto a farlo da un dovere nei confronti della
giustizia a cui invece si erano sottratti i suoi genitori. Per
tutti e due una scelta difficile da spiegare, eppure una decisione che serve a ridare loro la pace. Il sogno finale, loro due
che camminano sull’acqua del lago di Galilea, nelle parole
con cui Eyal lo racconta ad Axel, spiega «Tutto era così in
pace e noi ci sentivamo bene». È il miracolo atteso, la speranza di chi ha chiuso con il passato e porge la mano all’altro per ricominciare. Troppo presto per trarre delle conclusioni? La risposta è la sola possibile: per il momento un sogno.
Alessandra Casnaghi - Film interessante, ma le tematiche
affrontate risultano troppe e spesso si accavallano nel corso
della pellicola, con il risultato che nessuno spunto viene approfondito. È comunque uno sguardo fugace ma significativo sulla triste storia contemporanea; una miscela di culture,
di passato, di presente, di amicizia, di amore.
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