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Patriarca, Silvana: Rezension über: Sabina Donati, A Political
History of National Citizenship and Identity in Italy, 1861-1950,
Stanford: Stanford University Press, 2013, in: Il Mestiere di Storico,
2014, 2, S. 229,
http://recensio.net/r/5dc0314d1c5546d69a7ae42ab4908e72
First published: Il Mestiere di Storico, 2014, 2
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i libri del 2013 / 2 - monografie
229
Sabina Donati, A Political History of National Citizenship and Identity in Italy, 1861-1950,
Stanford, CA, Stanford University Press, xvi-406 pp., $ 65,00
Da diversi anni storici, sociologi e politologi sono impegnati nella ricerca sulle politiche di cittadinanza e nazionalità. È una questione di enorme attualità ed esiste ormai
una vasta bibliografia sull’argomento, ma nel caso dell’Italia manca ancora uno studio
organico e complessivo che copra tutto l’arco della storia unitaria. Purtroppo questo libro
non serve a questo scopo. Fastidiosamente verboso, il volume vorrebbe spiegare i rapporti tra leggi sulla cittadinanza e idee di nazione in Italia (alla luce in particolare degli
studi di Rogers Brubaker e Patrick Weil su Francia e Germania), ma anche analizzare la
cittadinanza in senso più esteso. Considerata la complessità delle tematiche, questa non
è una buona idea. L’a. finisce per descrivere, a volte confusamente, l’evoluzione della
legislazione sulla cittadinanza italiana in relazione all’idea di nazionalità, mentre non aggiunge niente di nuovo su questioni di diritti politico-sociali e tematiche identitarie che
non hanno comunque rilevanza per la comprensione di come e perché lo Stato italiano
ha storicamente definito i criteri di inclusione o esclusione dalla cittadinanza nazionale.
Nonostante il vasto numero di fonti primarie consultate negli archivi italiani, la lunga
bibliografia e lo sforzo di includere anche la legislazione sui soggetti coloniali, l’a. non
sembra però essere a conoscenza degli studi di Alberto Mario Banti e Carlo Bersani che
hanno già mostrato che fin dal Risorgimento la concezione della nazione italiana è di tipo
etnoculturale e la cittadinanza è attribuita principalmente sulla base della filiazione (ius
sanguinis). I problemi del libro sono particolarmente evidenti nei capitoli in cui l’a. esamina la questione della cittadinanza femminile includendovi però anche i pregiudizi antimeridionali e l’antisemitismo e facendone così delle categorie residuali, neppure nominate
negli strani titoli di questi capitoli. In ogni caso, qual è la rilevanza di questi pregiudizi
nel periodo liberale dal momento che non ebbero alcuna ripercussione sulla cittadinanza
degli abitanti delle regioni meridionali e/o di religione ebraica? Di contro, la legislazione
razzista antisemita del fascismo meritava certamente più che le poche pagine dedicatevi.
Infine non si comprende perché l’a. si sia fermata al 1950. Il vero termine ad quem di
questa storia dovrebbe essere la legge sulla cittadinanza del 1992, che ha rafforzato ulteriormente lo ius sanguinis (alle spese dello ius soli come hanno rilevato Giovanna Zincone
e Guido Tintori) e reso più difficile la naturalizzazione nel caso di residenti la cui origine
non sia l’Unione Europea. Si tratta di una legge che rappresenta un’involuzione rispetto
a quella del 1912 e i cui fini di discriminazione su base etnico-razziale sono evidenti. La
pubblicazione di questo libro confuso e ripetitivo da parte di una casa editrice americana
non certo minore solleva la questione del referaggio: perché non ha funzionato? E che fine
ha fatto la figura del redattore editoriale?
Silvana Patriarca
Il mestiere di storico, VI / 2, 2014