Dinamiche di costituzione ed (auto)rappresentazione dei

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Dinamiche di costituzione ed (auto)rappresentazione dei
Dinamiche di costituzione ed (auto)rappresentazione dei movimenti
sociali nei siti di Social Network
Mario Orefice
Ricognizione critica del background teorico
La debàcle di governi e programmi politici e la contestuale affermazione di
network sociali sempre più strutturati e raffinati dal punto di vista sociotecnico ha gradualmente determinato l’integrazione tra la costruzione di reti
di relazioni e la partecipazione civile e politica. In numerosi paesi, inoltre, la
saturazione delle forme tradizionali del “fare politica”, inasprita dagli
interventi dei media di massa e da un calo diffuso in termini di reputazione e
sensibilità verso le questioni sociali da parte della classe dirigente attuale, ha
fatto in modo che l’attivismo politico si spostasse, in qualche modo, fuori
dalla (idea di) società civile tradizionalmente intesa. Oggettivando un
movimento triplice (Bennett, 2003):
- sugli spazi. Caratterizzato dal passaggio dai “luoghi” tradizionali ed
istituzionali del dibattito e della maturazione civile e politica quali il partito,
il sindacato o la famiglia (strutturati su principi di inclusione/esclusione,
piramidali, cristallizzati ed improntati al rispetto di dinamiche comunicative
rigidamente top-down) alle nuove “agorà virtuali” quali siti di social
network e social media (definibili secondo criteri di apertura ed inclusione
sociale, orizzontali, estremamente fluidi e regolati da comunicazioni fluide
in cui si mescolano ed ibridano processi top-down e bottom-up);
- sui temi. Determinato, da una parte, dal rifiuto espresso da nuovi attori
collettivi sensibili all’uso delle nuove tecnologie di rete ad avviare una
qualunque forma di dialogo con le istituzioni politico-partitiche (di cui si
denuncia,
piuttosto,
sia
l’imminente
fallimento
che
l’irreparabile
scollamento rispetto ad esigenze e bisogni espressi da una società civile
frustrata e silenziata). Dall’altra, da un’avversione strutturale verso l’agire
1
(dis)informativo dei media main stream (con particolare riferimento a tv e
stampa) individuati come i principali responsabili dell’impoverimento del
dibattito pubblico. In opposizione a tutto ciò, i nuovi movimenti sociali
tentano, quindi, di conquistare i favori e il sostegno dell’opinione pubblica
(dentro e fuori la rete) realizzando campagne ed azioni politiche al fine di
promuovere e rinnovare il dibattito attorno a macro-temi d’interesse
generale come l’ambiente, la salute, i consumi, la giustizia, il lavoro;
- sulle strategie comunicative. Da un modello di propagazione
dell’informazione codificato secondo regole ben precise, fissate una volta
per tutte e definite dall’alto alla costituzione ed affermazione di realtà non
predefinite e strutturate su: confronto permanente di idee, contenuti e nuovi
prodotti comunicativi, interazione costante, collaborazione, (co)costruzione
e scambio d’informazione ispirati alla logica del “peer-to-peer”.
Tuttavia, mentre da una parte, l’evoluzione della rete e della più recente
famiglia di applicazioni 2.0 sembra stiano determinando una vera e propria
frattura tra un paradigma classico-istituzionale ed uno moderno-alternativo
per ciò che riguarda sia l’elaborazione teoretica che l’analisi empirica di
fenomeni politici e sociali; dall’altra, si assiste ad un formidabile collasso
di contesti (Jenkins, 2006), ovvero, ad una sovrapposizione costante (e non
priva di effetti sulla società, gli individui, le istituzioni) tra contesti d’azione
e dimensioni sistemiche che, al tempo della società moderna strutturata
secondo il modello Luhmanniano della differenziazione per funzioni,
s’imponevano come realtà rigidamente separate, auto-regolate, autodeterminate e reciprocamente intrasparenti. Nell’economia della presente
proposta di ricerca, ad ogni modo, sembra più opportuno soffermare
l’attenzione su alcune, specifiche forme d’ibridazione inter-sistemica
evolutesi a partire dal crescente peso specifico assunto dalle nuove
tecnologie dell’informazione e della comunicazione in termini non solo
tecnici e scientifici, ma anche politici, economici, intra ed interpersonali.
- tra dimensione pubblica(bile) e privata dell’individuo. Si assiste, in buona
sostanza, ad un graduale dissolvimento dei confini (frutto della mediazione
2
e dell’azione normativa delle cosiddette agenzie di socializzazione) che
hanno tradizionalmente distinto la sfera dell’agire in privato (a livello
intrapsichico, relazionale) da tutto ciò che, in qualche modo, poteva essere
oggetto di esposizione in pubblico. Si pensi, in proposito, alla velocità con
cui si è passati dalla costruzione d’identità multiple e, in alcuni casi fittizie
(incarnate perfettamente dal paradigma del nickname che, in qualche modo,
lascia ancora uno spiraglio di discrezionalità all’esposizione in pubblico),
per la gestione di relazioni comunicative mediate dai primi, grezzi ambienti
d’interazione on line all’autentica “messa a nudo” consapevole della nostra
identità a partire dalla formidabile evoluzione di piattaforme quali Facebook
o Twitter che, baypassando la logica dell’anonimato ed imponendo
un’esposizione definitiva dell’utente, hanno gradualmente dato un
fondamento di (e nella) realtà ed una dignità ontologica agli stessi siti di
social network. Siti (ambienti, piattaforme) che, ad oggi, si fa sempre più
fatica ad indicare come dimensione auto-gestita e scevra rispetto alla
possibilità d’incidere anche nella realtà degli individui (l’inattaccabile
lebenswelt) e delle loro reti di relazioni. Off line e on line, senza distinzioni
di sorta;
- tra sfera pubblica ed individuo. Riprendo qui la distinzione, operata dalla
sociologia della comunicazione classica, tra il livello micro e macro
dell’interazione
comunicativa.
Anche
in
questo
caso,
sembrano
ridimensionarsi profondamente le più classiche operazioni di definizione
(certamente agevoli a livello di elaborazione teoretica, ma, ben presto
rivelatesi poco efficaci in termini di rappresentazione della realtà) di confini
specifici per cui ciò che atteneva alla dimensione micro riguardava l’essere
umano con tutta la sua specificità socio-antropologica, mentre, per
contrasto, ciò che rientrava nell’accezione macro era, in un certo senso,
espressione della dimensione istituzionale (agenzia) con tutto il carico di
strutture piramidali, comunicazioni rigidamente verticali e principi fissi di
cooptazione.
La
sovraesposizione
comunicativa
e
la
conseguente
costruzione di complesse reti di relazioni hanno prodotto due fondamentali
conseguenze: a livello macro (dimensione delle istituzioni, delle agenzie di
socializzazione primaria, del potere), si assiste ad una sorta d’interpenetrazione istituzionale per cui, come accade in alcune delle principali
3
democrazie post-industriali d’Occidente, economia, politica e media di
comunicazione di massa finiscono spesso con l’essere protagonisti di
reciproche invasioni di campo in termini di semantica, costruzione di
narrazioni, forme di auto ed etero-rappresentazione; a livello micro,
l’individuo inserito in complesse strutture reticolari e multi-polari sveste
definitivamente i panni del passivo membro/oggetto di un’audience (o, se si
preferisce, di un elettorato e/o di un mercato) anonima ed inintelligibile nei
gusti, nelle preferenze e nelle abitudini di vita per ricoprire quelli di un
soggetto, non solo dotato di una sua specifica pro-attività, ma, anche in
grado
di
ricoprire
tutti
questi
ruoli
simultaneamente
(elettore/consumatore/produttore/fruitore), così, come simultanee, multiple
ed interattive sono le relazioni comunicative giornaliere nelle quali esso è
coinvolto;
- tra produzione, consumo ed oggetto di comunicazioni. Focalizzando
l’attenzione ai modi in cui, nel corso dell’evoluzione della teoria della
comunicazione, si è teorizzato il rapporto tra produttori e “ricevitori” di
comunicazione lo shift cui si assiste è evidente. Mentre, a proposito dei nei
media di massa (main stream), si è sempre fatto riferimento ad un sistema
dedicato alla produzione d’oggetti comunicativi per un consumo passivo di
massa, con l’avvento dei nuovi media tale separazione (fonte di non poche
asimmetrie, oltre che di numerosi errori di valutazione dal punto di vista
dell’osservazione scientifica) ha lasciato il posto ad ambienti ad alto tasso di
collaborazione in cui produttori e consumatori di comunicazione possono
essere incarnati dalla stessa persona e/o da un numero indefinito di persone.
La logica alla base dei wiki sembra essere quella che, meglio di tutte,
incarna questo tipo d’ibridazione. Al loro interno (si pensi al modus
operandi di Wikipedia) ogni utente ha la capacità: di fruire di tutto ciò che
vi è a disposizione, di condividere con tutti gli altri il frutto della propria
elaborazione, di dare il proprio contributo alla costruzione partecipata di
altri, nuovi oggetti comunicativi. D’altra parte è, allo stesso tempo, vero che
la tradizionale distinzione tri-polare tra emittente ricevente ed oggetto
dell’interazione si dissolve in un contesto in cui sembra sempre più difficile
sia tracciare i contorni della propria attività di produttore e/o consumatore
4
sia definire la propria identità di produ/fruitore come distinta (slegata) dalla
sintesi delle proprie affordances comunicative.
Le suddette forme ibridative sembrano fare, in qualche modo, da sfondo
rispetto all’evoluzione di tre evidenze che ci consentono di circoscrivere
ulteriormente e meglio l’oggetto che ci si propone di indagare:
-1-Il graduale ridimensionamento della distinzione (almeno sotto i profili
organizzativo/strutturale e comunicativo/rappresentativo) tra istituzioni
partitiche, gruppi d’interesse e movimenti sociali adottata dalla scienza
politica classica (Chadwick, 2007);
-2-La rapida affermazione di una nuova cultura della cittadinanza e
dell’agire politico in rete (Jensen 2010, Bennett 2008);
-3-La graduale riduzione di differenze tra citizenship, political engagement
e produ/fruizione di testi in rete (Flanagin et al, 2006).
1- L’evoluzione delle tecnologie ha, da sempre, influito sul modo in cui
soggetti
politici
(strutturati,
semi-strutturati
e
non-strutturati)
implementassero e/o modificassero stili e pratiche organizzative e di
comunicazione (interna, ma, anche rivolta ad audience esterna). Per cui, se
da una parte, con l’evoluzione della rete si è assistito al passaggio da forme
primordiali d’interazione (newsletter, mail) alla costruzione di ambienti
customizzabili e ricchi di tools per sviluppare testi ed oggetti comunicativi
(siti di social network, evoluzione e diffusione software open source);
dall’altra, è aumentato gradualmente il peso proporzionale che tali strumenti
hanno assunto rispetto all’ideazione, costruzione e diffusione di
comunicazione ed informazione. Rispetto all’evoluzione nelle modalità
d’uso della rete da parte dei movimenti sociali e politici è possibile
individuare almeno tre accezioni:
- uso della rete come opzione (“hybrid mobilization movement”). Esso è
caratteristico delle istituzioni partitiche, così, come dei primi movimenti
sociali nati contemporaneamente alla diffusione su larga scala delle prime
applicazioni 1.0 (si vedano, in proposito: il popolo di Seattle, i primi
5
“movimenti antagonisti” e la ri-strutturazione comunicativa operata da
numerose ONG tra la fine degli anni 90’ ed il 2001). Soggetti e comunità
politiche
nate,
radicatesi
e
solidificatesi
mediante
forme
di
azione/mobilitazione off line, sviluppano una idea d’uso della rete come di
uno strumento in grado di raggiungere due scopi fondamentali: rendere
agevoli, poco costose e veloci il passaggio di informazioni tra i membri del
gruppo, sviluppare comunicazioni ridondanti ed efficaci verso l’esterno (con
particolare
riferimento
ad
un
pubblico
che
si
tenta
di
sensibilizzare/conquistare e/o un’antagonista obiettivo di campagne mirate).
Allo stesso modo, spesso i partiti politici intendono le forme di
comunicazione basate sulla rete come secondarie, scarsamente incisive,
oppure, semplicemente inaffidabili rispetto all’adozione di pratiche ben più
note e consolidate come: comunicazioni private e faccia-a-faccia tra
appartenenti, cooptazione basate sul censo e/o sullo status socio-economico,
ricorso ai classici media di diffusione di massa quali stampa, radio e tv;
- uso della rete come mezzo d’informazione esclusivo (on-line informationbased movement). E’ un modus agendi tipico di alcuni movimenti
sviluppatisi a partire dall’evoluzione di applicazioni 2.0 (wiki, blog, siti di
social network). La nascita ed il radicamento di simili soggetti politici resta
fortemente ancorato alla dimensione off line (face-to-face, legame con il
territorio e/o le comunità locali) ma, dall’altra parte, cresce incredibilmente
il
ricorso
alla
rete
per
veicolare
informazioni
ed
agevolare
l’appartenenza/identificazione con uno specifico gruppo d’azione. In alcuni
casi, addirittura il web inizia ad essere considerato non più solo come uno
strumento
alternativo
e
sacrificabile
rispetto
ad
altre
forme
di
comunicazione ed interazione, ma, come vero e proprio volano per la
promozione dell’organizzazione e dell’azione (che ha luogo ancora fuori
dalla rete). Due esempi significativi potrebbero essere, a tale proposito,
l’esperienza dei meet-up a sostegno della campagna elettorale di Howard
Dean nel 2004 (Flanagin et al, 2009) e quella dei “grillini” di Beppe Grillo
in Italia (Di Gennaro – Pepe, 2009). In entrambi i casi, si è assistito
all’evoluzione di un movimento: estremamente legato al territorio (nella
ricerca del consenso, nella scelta dei temi in agenda, nella definizione di
specifici messaggi, nella realizzazione di determinate azioni), dipendente da
6
esso per la sua ramificazione, in grado di utilizzare solo gli strumenti messi
a disposizione dalla rete per incrementare comunicazione, solidificare ed
ampliare il gruppo degli aderenti, sviluppare e discutere proposte, abbattere
tempi e costi per la realizzazione di iniziative e dimostrazioni (soprattutto
off line);
- uso della rete come ambiente (“digital network-centered movement”). La
frontiera più recente dell’attivismo politico legato all’uso delle moderne
tecnologie di comunicazione. Si concretizza, in questo caso, un vero e
proprio accoppiamento strutturale tra dinamiche interne/esterne al
movimento e le caratteristiche, gli strumenti e le possibilità comunicative
espresse dai siti di social network. I processi di costituzione, affiliazione e
definizione dell’azione avvengono interamente negli spazi (luoghi) messi a
disposizione dal web (si pensi ad azioni mediate da piattaforme di
socializzazione quali il net stricking e il mail bombing e/o alle cosiddette
organizzazioni “singol-issue” che si mobilitano, dentro e fuori la rete, a
partire da un comune tema/obiettivo/antagonista1). L’uso di tali applicazioni
non risulta, dunque, essere meramente strumentale-accessorio, ma, diventa
vitale per l’esistenza, la crescita e la promozione d’azioni, comunicazioni ed
informazioni. In questo caso, è possibile prendere ad esempio un caso
nostrano, rappresentato dal cosiddetto “Popolo viola”. Un movimento quasi
spontaneamente in rete, in grado di promuovere: la costruzione di un
organigramma interno, una puntuale articolazione di responsabilità, compiti
e relative funzioni da svolgere nonché una serie variegata di azioni on line
ed off line. Di fatti, al contrario dei meet-up, i nodi legati al movimento
viola si sono prima auto-definiti attraverso l’adesione al cosiddetto “gruppo
degli organizzatori” costituitosi su Facebook, poi, sfruttando a pieno le
potenzialità del mezzo, sono riusciti a darsi una strutturazione quasi
scientifica e capace di organizzare eventi anche di ampie dimensioni (si
pensi, in proposito, alle trecentomila persone concentratesi a Roma nel
dicembre del 2009 per manifestare contro il premier Berlusconi) con
1
Il caso più noto è rappresentato dal movimento internazionale nato all’interno del social network Twitter per
promuovere azioni ed iniziative (dentro e fuori l’Iran) a sostegno del popolo iraniano insorto contro il regime militare
imposto da Ahmadinejad.
7
evidente abbattimento di tempi, costi e limiti imposti dalla distanza
fisica/geografica.
2- Marshall (1950) all’interno del testo intitolato “Citizenship and Social
Class” (ripreso in Jensen 2010, cit. da pp. 15-18), discute riguardo il modo
in cui diverse concettualizzazioni di cittadinanza si siano avvicendate nel
corso del tempo. Durante l’età dell’Illuminismo, ebbe inizio la prima,
importante fase di riforme giuridiche, realizzate da una borghesia industriale
in rapida ascesa nel corso del diciottesimo secolo, allo scopo di garantire ai
cittadini i diritti civili di base come la libertà dall’oppressione della
schiavitù e la libertà di parola. Pensatori come Hugo Grotius, John Locke ed
i filosofi legati all’esperienza del giusnaturalismo2 hanno ideato e favorito
la diffusione delle tesi a sostegno dell’affermazione di alcuni di questi
diritti, scardinando in poco tempo anche la resistenza
delle ultime
monarchie assolute rimaste in piedi nella tramontante Europa dell’ancien
regìme. Marshall definisce questo insieme di diritti come espressione di una
“cittadinanza civile”. Il diciannovesimo secolo rappresenta il periodo delle
grandi riforme democratiche in buona parte dell’Europa. I monarchi assoluti
sono
stati
rapidamente
rimpiazzati
da
organi
parlamentari
eletti
democraticamente in un numero crescente i paesi e, d’altra parte, i cittadini
vedono garantiti e tutelati alcuni diritti di tipo politico come il diritto al voto
(che, durante la prima decade del ventesimo secolo si diffonderanno a tutto
il resto del corpo sociale). Marshall adotta, in questo caso, la definizione
correlata di “cittadinanza politica”. Nel corso del ventesimo secolo,
tuttavia, diritti politici e civili furono affiancati dai diritti sociali. Sulla
spinta di una crescente domanda popolare ed a seguito di violente
rivendicazioni da parte delle classi sociali subalterne (proletariato e sottoproletariato, urbano ed extra-urbano), i cittadini ottennero il rispetto e la
diffusione di diritti di giustizia sociale quali: pensioni, occupazione
garantita, normalizzazione delle condizioni di lavoro, retribuzioni adeguate,
assenze pagate. Tutti questi principi concorrono a definire i cosiddetti diritti
2
Il giusnaturalismo (da latino ius naturalis, diritto naturale), corrente filosofico-giuridica sviluppatasi in Europa attorno
alla seconda metà del diciottesimo secolo, teorizzava essenzialmente l’opposizione dialettica tra uno stato di natura
(caratterizzato da violenze e barbarie in assenza di norme ed organismi democratici) ed uno stato civile (strutturato sulla
base dell’osservanza diffusa di diritti civili fondamentali quali: il diritto al rispetto della libertà altrui, alla proprietà
privata, alla convivenza non-violenta)
8
di “cittadinanza sociale”. Mentre lo stato (nazione) garantisce la piena
diffusione dei diritti sociali e li sostiene economicamente grazie ai proventi
derivati dalla tassazione, il processo legislativo diventa un terreno di scontro
per il raggiungimento ed il mantenimento dei diritti sociali. Buona parte del
dibattito e delle iniziative politiche delle democrazie post-belliche
occidentali ruotarono attorno a questo di tipo di scontri dal momento che lo
stato (come istituzione) iniziò ben presto ad essere concepito come risorsa
strategica di potere, benefici e prosperità. Diritti civili e politici sembrano
oramai dati per scontati, mentre nuovi scontri si combattono sul campo
rappresentato dall’incessante richiesta d’estensione dell’accesso ai benefici
(sociali, civili, politici, economici) che gli stati nazione tradizionalmente
garantiscono ai propri cittadini. L’acceso quanto recente dibattito attorno
all’immigrazione può essere, dunque, analizzato in questa luce e venir
interpretato nei termini di uno scontro per l’accesso alle risorse piuttosto che
essere radicato esclusivamente su differenze di matrice etnico-culturale
(anche se proprio quest’ultimo punto riveste gli abiti dell’argomentazione
centrale addotta più di frequente). Mentre Marshall ha avuto il merito di
collezionare e riassumere le tre prospettive d’analisi della citizenship che
hanno fatto da minimo comune denominatore tra gli scienziati politici, così
come nell’ambito del pensiero politico più generale, è possibile aggiungere
che tradizionalmente c’è stata sempre una precisa corrispondenza tra la sfera
dello stato nazione e la sfera della cittadinanza. Corrispondenza dovuta
principalmente al fatto che il discorso sui diritti (civili, politici, sociali) e la
loro affermazione è stata sempre correlata all’appartenenza ad uno stato
nazione che definiva i propri cittadini secondo una prospettiva (e una
semantica) sistemica (a tale proposito, si consideri la puntuale correlazione,
presente in molte democrazie, tra una cognizione generale di cittadinanza ed
il dovere di contribuire al funzionamento della “macchina statale” mediante
il rispetto di obblighi ed imposizioni fiscali). E’ evidente, dunque, che i
sistemi sociali con un applicazione/interpretazione estensiva dei diritti
sociali sono spesso relativamente omogenee dal punto di vista etnico come
avviene, ad esempio, nei paesi della penisola scandinava. In quei contesti
l’idea e la pratica di cittadinanza coincidono, oltre che con la definizione
data sopra di social citizenship, anche con la variabile etnica (Turner, 2001).
9
D’altra parte, invece, società estremamente multi-etniche come gli Stati
Uniti e l’Australia sono normalmente caratterizzate da una minore
estensione dei diritti sociali. Tuttavia, le definizioni più tradizionali del
concetto di cittadinanza potrebbero essere ulteriormente arricchiti mediante
l’individuazione di una quarta prospettiva d’analisi, maggiormente connessa
alla dimensione culturale e sociologica.
Autori come Stevenson (2001), van Zoonen (2005) e Couldry (2006)
sostengono che attività e determinanti eminentemente culturali come il
consumo, lo stile di vita e le variabili socio-economiche rappresentano
aspetti importanti della cittadinanza poiché contribuiscono alla costruzione
di identità (individuale, comunitaria, nazionale) e relazioni sociali. Essi la
definiscono
come
“cultural
citizenship”
(strutturata
su
un
senso
d’appartenenza e responsabilità differenti dai diritti e dai doveri caratteristici
della cittadinanza “formale”). Passioni, emozioni, inclinazioni personali,
così come atti ed iniziative formali/razionali e pianificate (a livello
individuale e/o comunitario) sono parte integrante dello stessa idea di
cittadinanza e, come tali, iniziano ad essere presi seriamente in
considerazione. Il consumo politico è un chiaro esempio di attività che
esprime al meglio questa nozione nuova, ampia ed alternativa di
cittadinanza. La gente, in buona sostanza, inizia a comprendere (qui va
sottolineato
sia
l’abilità
tecnico/strategica
che
l’incessante
azione
informativa operata da quei movimenti sociali che hanno saputo sfruttare a
pieno e con intelligenza tattica le potenzialità di propagazione/penetrazione
di comunicazioni allo scopo di diffondere temi, agende ed obiettivi su scala
globale) che può fare la differenza anche solo acquistando cibo organico,
oppure, boicottando prodotti provenienti da paesi in cui vigono dittature e/o
sono assenti specifiche regolamentazioni che tutelino i diritti di minori,
cittadini, lavoratori.
3- Evidente, a questo punto, la connessione con quanto affermato poc’anzi.
La crescente importanza assunta dalle variabili afferenti la vita quotidiana
(consumo, abitudini di comunicazione, processi di costruzione/negoziazione
dell’identità e di forme specifiche di appartenenza) ed il crescente livello
d’uso di mezzi di comunicazione digitali (social network, piattaforme
10
strutturate su base interattivo/collaborativa) hanno gradualmente contribuito
alla formulazione di un modo di concepire la cittadinanza (e l’azione
politica) che, allo stesso tempo, risulta essere la sintesi estrema di processi
ibridativi sviluppatisi a livello micro e macro-sistemico (culturale,
economico, politico, tecnologico) e radicatisi, con formidabile profondità e
in breve tempo, nelle coscienze individuali/collettive.
D’altra parte, possiamo ritrovare tracce di una cittadinanza culturale in
almeno altre due fondamentali elaborazioni teoretiche che, seppur a vario
titolo e mediante
il ricorso a formalizzazioni differenti, sembrano
convergere verso una definizione rinnovata di movimento sociale. Una
definizione in cui sembrano (ri)trovare senso, unità ed una nuova
determinazione ontologica i concetti di citizenship, agire politico e
produ/fruizione condivisa di testi in Rete.
- Partendo dall’idea per cui esperienze sociali e politiche si mescolano
all’interno ed attraverso i nuovi ambienti di socializzazione messi a
disposizione dalla rete, tanto da rendere sempre più arduo operare una
distinzione tra vita sociale e partecipazione politica, Bennett (2008) ipotizza
l’affermazione definitiva di un vero e proprio cambio di paradigma rispetto
al modo di concepire (e praticare) la cittadinanza. In modo particolare, egli
oggettiva lo slittamento dalla cosiddetta “Dutiful Citizenship” (D.C) alla
ben più attuale “Self Actualizing Citizenship” (S.A.C). Vediamone le
principali caratteristiche.
- modello D.C –
1. “obligation to participate in governement centered activities”. Si riferisce
alla possibilità di governi centralizzati ed istituzioni di sviluppare iniziative
(politiche, comunicative) in modo esclusivo. D’altra parte, ai cittadini, privi
di qualunque dignità ontologica e discrezionalità per ciò che riguarda l’agire
politico e l’attività (contro) informativa, non resta che uniformarsi agli
obblighi e ad una semantica imposti dall’alto, strumentali all’autoriproduzione (autopoiesi) del sistema nello spazio e nel tempo;
2. “voting is the core democratic act”. Nel rispetto della predominanza
incontrastata della “narrazione” politico-governativa ufficiale, sembra auto11
evidente che il momento elettorale resti l’unico momento di “partecipazione
dal basso” contemplato dal sistema. D’altra parte, il cittadino ha accesso alla
dimensione pubblica esclusivamente in qualità di “elettore”;
3. “information by following mass media”. Tale affermazione esprime in
modo definitivo, non solo il ricorso da parte dei sistemi politici ufficiali a
canali comunicativi tradizionali (stampa, radio, tv) ritenuti (erroneamente) i
più affidabili, ma, oggettiva l’esistenza di un solido accoppiamento
strutturale tra politica e media di massa che, ancora troppo spesso,
costituiscono un duopolio soffocante ed inattaccabile;
4. “joins civil society organizations and/or expresses interests through
parties”. Emerge qui il peso che, nell’ambito di un siffatto paradigma (che,
in pratica, si fonda su una sostanziale asimmetria tra istituzioni e cittadini,
sia dal punto di vista delle possibilità/spazi d’espressione politica che da
quello della disponibilità/uso di mezzi di comunicazione ed informazione),
abbiano le più tradizionali agenzie di socializzazione ed, in modo
particolare, i partiti. Strutture rigide, verticali (dal punto di vista strutturale e
comunicativo), cristallizzate ed orientate all’ampliamento mediante
cooptazione (è noto il valore d’inclusione ed il riconoscimento sociale
connessi al possesso della cosiddetta “tessera” di partito) allo scopo di
conservare privilegi e status quo;
- modello S.A.C 1. “dimished sense of governement obligation – higher sense of individual
purpose”. Il calo di fiducia generalizzato nei confronti di istituzioni, governi
e partiti non può che determinare una crisi del tradizionale senso di rispetto
verso le istituzioni storicamente poste a tutela della democrazia ed un
disinteresse diffuso verso gli obblighi imposti al cittadino. Questo
scollamento tra politica tradizionale e società civile, unito alla contestuale
affermazione dei nuovi media, ha consentito la liberazione di tutto quel
potenziale individuale, prima represso. E’, a questo punto, evidente come
ognuno, mediante l’utilizzo di nuove tecnologie di comunicazione (come
wiki, personal blog e social network), abbia la possibilità, non solo di
esprimere sé stesso e le proprie idee (anche politiche), ma di farlo al
cospetto di un’audience potenzialmente globale;
12
2. “voting is less meaningful than other, more personally defined acts such as
consumerism,
community
volunteering
or
transnational
activism”.
L’asimmetria di potere tra istituzioni e società civile, cui si è fatto
riferimento
prima,
perde
gradualmente
di
senso
di
fronte
all’implementazione di comportamenti ed iniziative individuali cariche di
un significato sociale e politico rinnovato. Inoltre, se prima si è parlato di
una solida comunità d’intenti tra sistema politico e mass media, ora il focus
sembra spostarsi sul rafforzamento del legame tra forme di attivismo dal
basso e nuovi media3. Le comunità di volontari (si pensi, di nuovo, ai meetup sorti su base spontanea a sostegno del candidato presidente degli US
Howard Dean cui si è fatto riferimento in precedenza), così, come le
neonate forme di attivismo internazionale (ONG, movimenti ambientalisti,
ecc..) incontrano nella Rete un formidabile strumento di comunicazione e,
in casi ancora rari, di sopravvivenza;
3. “mistrust of media and politicians is reinforced by negative mass media
environment”. Emerge con una certa evidenza, a questo punto del
ragionamento, come il rifiuto del “pensiero unico” sia la condizione si ne
qua non per l’affermazione di una pratica di cittadinanza alternativa. Più
vicina alle esigenze dei cittadini perché modellata sulle necessità
individuali, incrementata dalle potenzialità di condivisione e messa in rete
garantite da una generazione di applicazioni web flessibili ed orizzontali;
4. “favors loose networks of community action often estabilished or sustained
through friendships and peer relations and thin social ties maintained by
interactive information technologies”. Si rifletta ancora una volta sul tipo di
esperienza politica incarnato dai movimenti “singol-issue” in rete. La
strutturazione di un gruppo-promotore dell’azione avviene a partire da una
pulsione individuale, da inclinazioni personali e/o da specifiche abitudini di
vita che impongono il rispetto di determinate regole e/o consuetudini
radicatesi con l’agire quotidiano. Numerose azioni di boicottaggio sono
3
A tale proposito, è bene fare due precisazioni. 1) con l’espressione “attivismo dal basso” non si intende parlare solo di
quei movimenti/aggregati/soggetti politici che nascono spontaneamente, ma, più in generale, di un modo personale di
ideare e dar vita ad azioni politiche così come all’uso politico dei nuovi media;
2) l’accoppiamento tra attivismo dal basso e new media, per quanto stretto, non rappresenta un’equazione esclusiva. E’
possibile che movimenti sorti in rete guadagnino una credibilità ed un livello di diffusione tali da: ottenere risonanza e
visibilità anche nei media main stream e/o costringere i membri a darsi una struttura gerarchica e verticale. Dall’altra, è
certamente possibile che partiti ed organizzazioni (semi)strutturate evolvano in costrutti alternativi, orizzontali, privi di
vincoli normativi.
13
nate, ad esempio, a partire dalla comune avversione nei confronti di una
particolare multinazionale, un brand, un paese d’importazione. Tuttavia, le
ragioni di tale avversione, per quanto eterogenee, trovano comune origine
nell’esperire individuale, nella coscienza soggettiva. A questo punto, entra
in scena la rete con la sua architettura ed il carico di strumenti, piattaforme
ed ambienti pensati per l’interazione libera tra “nodi” paritari. Proprio a
partire dalla natura di questi legami (deboli per alcuni, forti per altri) che si
rendono possibili sinergie anche di portata globale. Per cui le I.T
(Information Technologies) non solo tengono in vita un movimento facendo
da impalcatura ma, come sostenuto in precedenza, rendono anche possibile
e pensabile l’esistenza di comunità politiche transnazionali.
- Nel tentativo di realizzare un’estrema sintesi di quanto fin qui detto in
merito all’analisi di diverse ed eterogenee forme di citizenship (fermo
restando l’obiettivo di giungere ad una definizione compiuta dei nuovi
movimenti sociali) sembra nuovamente opportuno prendere in prestito dalla
letteratura dedicata almeno due concetti-ombrello paradigmatici:
1. “uncivic culture”(Bennett, 1998). Egli ricorre a questa espressione per
riconfigurare l’agire individuale in un ambiente scevro dalle spinte
normative di istituzioni ed organizzazioni che non siano emanazione diretta
di bisogni ed aspettative individuali. La “cultura non civica” non è tanto un
modello culturale antagonistico quanto l’espressione di una pratica
dell’agire sociale capace di sviluppare temi ed azioni “fuori” dal mondo
politico e sociale tradizionalmente intesi. Questa idea racchiude la necessità
individuale di sottrarsi al controllo istituzionale, di rifiutare agende ed
imperativi dettati dall’alto e privi di motivazioni condivise ed obiettivi
comuni. La dimesione della cultura non-civica rappresenta l’oggettivazione
di un doppio movimento, quasi schizofrenico: di chiusura/rifiuto e
apertura/interazione. Rifiuto di uno stato de facto ed un ideale di società che
esclude l’individuo dai principali processi decisionali (mentre il sistema dei
mass media lo riammettono in qualità di “consumatore d’informazione”).
Apertura verso le nuove tecnologie che liberano forze comunicative e nuove
potenzialità espressive. Soggettive e (neo)collettive.
14
2. “lifestyle politics”(Bennett, 2008) “microactivism” (Marichal 2010). Il
primo concetto si riferisce direttamente al paradigma più generale della
“Self Actualizing Citizenship” (modello S.A.C) ed associa anche e
soprattutto ai comportamenti individuali auto-determinati una valenza ed un
senso strettamente “politico” sia perché resi pubblici attraverso i nuovi
ambienti mediali che diretta emanazione di libertà/diritti fondamentali quali:
la libertà di parola, d’espressione, di manifestazione del pensiero/opinione,
uso libero/creativo di strumenti e tecnologie passibili di modalità d’uso
eterogenee. Se, d’altra parte, s’immagina la vita odierna d’ogni essere
umano come costantemente attraversata da comunicazioni (l’assioma di
Watzlawick“non si può non comunicare” risulta subito essere un’evidenza
universale, tanto da naufragare nella tautologia auto-evidente, specie
nell’ambito di una società in cui è ormai diventato impossibile separare
l’azione dall’aspetto/dimensione di comunicazione) ed, allo stesso tempo,
costruita su tutta una serie di elementi (impliciti come lo status e il rispetto
di una specifica filosofia di vita, ma, anche immediatamente oggettivati
come: comportamenti comunicativi, ricorso
a determinate piattaforme
sociali piuttosto che la predilezione espressa verso un certo tipo di beni e
servizi) ed iniziative di stampo comunicativo, allora, non si può far altro che
arrendersi all’evidenza di una immediata sinonimia tra l’esperienza
personale/quotidiana (un tempo retaggio esclusivo delle elaborazioni e delle
conseguenti formalizzazioni teoretiche degli approcci alla sociologia della
comunicazione di stampo culturologico) e l’ormai imprescindibile processo
di attribuzione di valore civile/politico (che per esser adeguatamente
compreso ha imposto la necessità di oltrepassare i rigidi confini gettati dagli
studi di sociologia politica classica). Per quanto concerne il significato del
termine “microactivism” si rimanda direttamente alla definizione (cont. in
Marichal 2010, cit. da pp. 3-5, trad. mia): “(…) Negli ultimi anni gli studiosi
si sono allontanati dalla visione per cui le tecnologie dell’informazione e
della comunicazione (ICT) rappresentino semplicemente uno strumento per
organizzazioni formali di attivisti. Briendl (2010) afferma che l’attivismo
digitale è stato già ampiamente esaminato attraverso il classico paradigma
dei movimenti sociali. Essa richiama l’attenzione sulla necessità di spostare
l’attenzione a come il significato e la struttura dell’attivismo siano stati
15
influenzati dalle ICT. Certamente esso è stato profondamente trasformato
dall’evoluzione di forme di comunicazione politica many-to-many su
piccola scala che definisco con il termine microattivismo. Esempi di
microattivismo sono la formazione di gruppi politici su Facebook, il retweet di articoli di interesse politico e la condivisione di video politicamente
rilevanti su YouTube. Queste azioni riflettono intenti di micro-livello e non
costituiscono necessariamente la pre-condizione per l’azione come le forme
più tradizionali di attivismo digitale. Questo microattivismo porta con sé
anche la necessità di una riformulazione radicale dell’arena politica (…)”.
Quanto poco sopra riferito, in merito alle mutue contaminazioni tra
sociologia della comunicazione, approccio culturologico e scienza politica,
a proposito della definizione di comportamenti (ed atteggiamenti) come
“politici”, trova nuova conferma nella possibilità di (ri)leggere concetti e
strumenti utilizzati da un determinato campo sfruttando le evidenze
(teoriche ed empiriche) prodotte dagli altri. Concretizzando, in questo senso,
una vera e propria “ibridazione dei piani d’osservazione” che scopre la
propria missione nella necessità di costruire una prospettiva scientificoaccademica fluida, trasversale e multidisciplinare allo studio di un
fenomeno così recente e complesso come l’agire politico nei social media e
nei siti di social network. In modo particolare, si rende necessario:
1. tornare a riflettere, alla luce dei numerosi cambiamenti sociali, attorno alla
definizioni ed alla struttura dei movimenti sociali e della partecipazione
politica così come tradizionalmente intesi;
2. fare riferimento alla lettura in chiave politica (rinvenibile in Chadwick
2008) dei sette temi/chiave con cui originariamente Tim O’Rielly (2005), a
partire da un punto di vista eminentemente technology-centered, definiva le
proprietà salienti delle applicazioni web 2.0
16
1- E’ possibile, a tale proposito, utilizzare:
•
il concetto di partecipazione politica di Verba, Schlozman e Brady4;
•
la definizione di movimenti sociali fornita da Sidney Tarrow5;
•
la rielaborazione teorica di Donatella della Porta6;
•
il modello SPIN, realizzato da Gerlach ed Hines e rivisto dal solo Gerlach
nel 2001, che ricostruisce le caratteristiche salienti in merito a struttura
organizzativa e dinamiche di funzionamento dei nuovi movimenti sociali7.
2- Le caratterstiche cui si è accennato sono così formalizzate:
•
“internet as a platform for political discourse”;
•
“internet is collective intelligence”;
•
“the importance of data”;
•
“perpetual experimentalism in the public domain”;
•
“creation of small scale forms of political engagement through
consumerism”;
•
“ propagation of political content across multiple applications”;
•
“enriched user’s (political) experiences”
Elaborazione (provvisoria) dell’indice per macro-temi
- Evoluzione del livello di penetrazione ed uso sociale dei social media
- Web ed analisi dei “contesti collassati”
- Definizione di una nuova sfera pubblica interconnessa
4
“(...) an activity that has the intent or effect of influencing government action- either directly by affecting the making
or implementation of public policy or indireclty by influencing the selection of people who make those policies (…)”
(Verba et al.1995).
5
“(…) gruppi mobilitati socialmente con membri in almeno due stati, impegnati in interazioni conflittuali continuative
con i detentori del potere in almeno uno stato terzo, o contro un’istituzione
internazionale, o un attore economico multinazionale (…)” (Tarrow 2005).
6
“(…)una rete flessibile di organizzazioni (con gradi variabili di formalizzazione), impegnate in vari tipi di azione
collettiva, con l’obiettivo condiviso di portare avanti una causa di giustizia (economica, sociale, politica e ambientale)
tra i popoli e tra le persone in tutto il mondo (…)” (della Porta 2006).
7
“(…) perhaps the best account of the type of movement organization that enables vast network pursue diverse social
justice goals on a global level is the SPIN model updated by Gerlach (2001). SPIN refers to movement organization
types that are: Segmented, Polycentric, Integrated, Networks (…)” (cont. in Bennett 2003).
17
- Social Networking Sites: caratteristiche tecniche ed implementazione delle
potenzialità comunicative a livello individuale e collettivo
- Ricostruzione della nascita ed evoluzione del concetto di “citizenship”
- Cittadinanza culturale e microattivismo
- Dal “modello DC” al “modello SAC”: verso un’idea (ed una pratica) di
cittadinanza nei nuovi media
- Dalla “institutional politics” alla “lifestyle politics”: come l’agire politico in
rete si lega alle abitudini di vita, di consumo ed alle pratiche comunicative
- Ricognizione storica del concetto di “movimento sociale”
- Nuovi movimenti socali on line: quando i pubblici connessi producono agire
comunicativo dotato anche di significato politico
- Necessità di ideare/adottare un nuovo paradigma teorico allo studio dei
fenomeni collettivi, politici e sociali, che hanno luogo in rete
- Applicare il principio trigonometrico della triangolazione agli approcci teorici
(scienza politica, sociologia della comunicazione, cultural/media studies) che,
da prospettive convergenti, si occupano dello studio dei movimenti sociali
potrebbe rappresentare la giusta strada da percorrere allo scopo di:
-
condividere casi di studio, strumenti, concetti ed elaborazioni
teoriche;
-
alimentare
una
scientificamente
conoscenza
autentica,
strutturata
e
autorevole di una fenomenologia così
complessa e sfaccettata.
To do list
Sulla base del lavoro sin qui svolto ed, in massima parte, sintetizzato nella
ridefinizione/rivisitazione complessiva dell’approccio teorico allo studio del
presente oggetto di ricerca, stilare una scaletta sotto forma di “wish list”
potrebbe risultare utile sia all’individuazione di punti deboli e/o poco
approfonditi nel corso dell’argomentare teorica che all’elaborazione di step
tramite cui articolare i momenti successivi dell’indagine.
- Approfondire la conoscenza del panorama teorico di riferimento mediante
la ricerca bibliografica/lettura critica di testi, manuali e papers di ricerca
18
omogenei rispetto alla domanda di ricerca (civic engagement, ridefinizione
della sfera pubblica, nuovi movimenti sociali e dinamiche d’azione politica
in rete);
- reperire analisi di casi di studio contigui che possano, in qualche modo,
fare da traccia strategica ai fini dell’implementazione/specializzazione della
ricerca;
- individuare uno o più casi di studio specifici che consentano: di sviluppare
un modello d’analisi generale dei movimenti (neo)comunitari in rete,
mettere in discussione il panorama teorico di riferimento, effettuare
comparazioni,
metodologiche
testare
il
selezionate,
livello
d’uso
produrre
e
una
l’impatto
delle
osservazione
opzioni
partecipata,
consapevole ed approfondita riguardo ciò che ci si è originariamente
proposti di indagare;
- sciogliere il nodo rappresentato dalla difficoltà di adottare metodologie
corrette allo studio di fenomeni in rete. Uno degli obiettivi, a tale proposito,
coincide proprio con la necessità di ottenere una conoscenza quanto più
possibile ampia, aggiornata e profonda per quanto riguardo il panorama
teorico-pratico delle metodologie di ricerca impiegate per l’archiviazione,
categorizzazione ed interpretazione di dati on line (nient’affatto trascurando
la conoscenza e l’adozione dei più classici metodi di ricerca empirica off
line).
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