Reti sociali e scelte linguistiche di emigrati

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Reti sociali e scelte linguistiche di emigrati
«...ERAVAMO ANCHE CINQUE O SEI, TUTTE FIMMINE… E
‘NDAMMO UP TO LONDON E… AND THAT WAS THE FIRST TIME
I’VE BEEN IN LONDON...»
RETI SOCIALI E SCELTE LINGUISTICHE DI EMIGRATI ITALIANI
IN AMBIENTE ANGLOFONO
LORENZO ROCCHI
INTRODUZIONE
Le differenze riscontrabili negli usi linguistici riflettono spesso le più
importanti distinzioni esistenti all’interno della comunità in cui una
serie di enunciati è prodotta. In base a questa osservazione il genere
può essere definito come uno dei fattori che condizionano le scelte
linguistiche dei parlanti, e quindi come oggetto di studio dell’analisi
sociolinguistica. Le diverse scelte linguistiche di uomini e donne,
infatti, quando non segnalano una netta divisione dei ruoli sociali,
indicano almeno la presenza di differenti modalità di partecipazione
alla vita della comunità, o l’esistenza di particolari relazioni che
s’instaurano tra parlanti appartenenti a una data categoria (uomini e
donne in questo caso) e il mezzo comunicativo -o meglio: i mezzi
comunicativi da questi posseduti.
Un interessante risultato dell’analisi condotta su queste basi è
costituito dalle osservazioni riassunte da Labov (1972: 303) in merito
all’analisi di alcune varianti fonetiche del parlato dell’area urbana di
New York, per le quali
Studi Linguistici e Filologici Online
ISSN 1724-5230
Volume 6 (2008) – pagg. 219-273
L. Rocchi - “«...Eravamo anche cinque o sei, tutte fimmine… e ‘ndammo up to
London e… and that was the first time I’ve been in London...»
Reti sociali e scelte linguistiche di emigrati italiani in ambiente anglofono”
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«the sexual differentiation of speech often plays a major
role in the mechanism of linguistic evolution».
Questa riflessione è motivata col fatto che le donne sembrerebbero più
ricettive rispetto agli uomini riguardo alle modalità di riconoscimento
e acquisizione di varianti di prestigio, in quanto soggetti più sensibili
alle evoluzioni sociali della lingua. Come conseguenza di tali
riflessioni Labov (2001/II: 336) arriva ad individuare, nella sua ricerca
condotta sull’evoluzione dell’inglese di New York, i leader del
cambiamento linguistico in soggetti identificabili come:
«-Women
-Members of the Upper-Working Class
-With a dense network of local ties and a broad range of
connections outside the local neighborhood».
A queste riflessioni fanno eco le considerazioni di Susan Gal (1978)
nello studio di una comunità bilingue in Austria, all’interno della
quale le scelte linguistiche delle donne variano non solo in funzione
del loro status o della rete sociale in cui sono inserite, ma anche in
relazione al valore simbolico delle alternative a loro disposizione. Tali
considerazioni si avvalgono anche del supporto fornito alla linguistica
dalla teoria delle reti sociali (Milroy, 2004: 549), secondo la quale
l’analisi delle relazioni strette da un singolo individuo può spiegare il
meccanismo che porta alla scelta di particolari modalità espressive nel
corso di dinamiche conversazionali.
«Social network is better treated as a means of capturing
the dynamics underlying speakers’ interactional behaviors
than as a fixed social category».
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Prendendo in esame la questione degli usi linguistici delle comunità
migratorie, esistono infatti elementi per riconoscere come le donne, in
tale contesto, possano essere in grado di avvalersi di reti sociali che
offrono loro la possibilità di interagire, rispetto agli uomini, in
maniera più diretta con soggetti parlanti una lingua diversa dalla
propria. A ciò può sommarsi, poi, una maggior consapevolezza da
parte delle donne delle corrispondenze sociali degli usi linguistici,
dovuta, forse, al fatto che la loro posizione (almeno al momento
dell’arrivo nel paese ospitante) è in qualche modo subordinata a quella
degli uomini: mentre questi ultimi, infatti, sono valutati in base alla
loro occupazione e alla loro capacità di guadagno, le donne
rivendicano la loro rilevanza all’interno della comunità attraverso altri
segnali, quali, appunto, il saper parlare la nuova lingua (Turdgill,
1974).
Ecco il motivo per cui, volendo porsi la questione della misura in cui
le donne di una comunità bilingue possano, rispetto agli uomini,
dimostrarsi maggiormente disponibili a partecipare al cambiamento
sociale che le investe nella nuova realtà oltre frontiera, assume
rilevanza l’analisi del comportamento linguistico della parte
femminile della comunità migratoria; ancor più specificatamente, si
mostra necessario verificare l’esistenza di eventuali relazioni tra le
modalità di selezione di codice riscontrabili nelle interazioni verbali
dei soggetti di sesso femminile e la rete sociale nella quale sono
inseriti.
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Il presente studio si propone, quindi, di analizzare nel dettaglio le
produzioni orali di un gruppo di emigrati italiani raccolte negli ultimi
mesi del 2005, investigando su alcuni dei tipici fenomeni di parlato
legati al contatto linguistico tra italiano, inglese e dialetto siciliano; il
tutto al fine di giustificare le differenze di genere riscontrate nei loro
usi linguistici. In particolare, si considereranno rilevanti ai fini
dell’analisi i fenomeni di interferenza lessicale e transfert, quelli dei
segnali discorsivi e, soprattutto, quelli di code-switching/code-mixing.
Centro dell’analisi è parte della comunità italiana presente nella
cittadina di Walton-on-Thames: un campione misto di individui tutti
provenienti da località della Sicilia centrale.
Approfondendo l’analisi si noterà la sensibile differenza riguardo ad
alcune capacità linguistiche e metalinguistiche registrata tra uomini e
donne: le quali hanno mostrato, in generale, una maggiore competenza
attiva in inglese ed una maggiore capacità di distinzione negli usi dei
due linguaggi a loro disposizione; abilità linguistiche
che qui
supponiamo siano state facilitate dal lavoro a contatto con parlanti
inglesi svolto da molte di loro, ed, in parte, anche sviluppate grazie ad
una maggiore volontà d’integrazione nel nuovo ambiente sociale.
LA LINGUA E L’EMIGRAZIONE
I fenomeni di contatto linguistico1 hanno come conseguenza primaria
la compresenza delle condizioni di bilinguismo e diglossia.
1 Cfr. Weinreich U., Language in contact. New York, Columbia University Press,
1953, p.3.
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Il significato di bilinguismo, vale a dire la facoltà di un parlante di
dominare contemporaneamente due (o più) sistemi linguistici è
apparentemente chiaro, ma in realtà le accezioni del termine possono
essere sfumate, secondo le prospettive utilizzate per osservare il
fenomeno. Partendo, infatti, dal caso una di comunità bi- o plurilingue
nella quale tutte le lingue in uso hanno eguale valenza sociale, si può
passare a comunità bi- o plurilingui ma regionalmente monolingui
(come la Svizzera), fino ad arrivare a situazioni di bilinguismo
verticale quando una sola lingua è considerata quella ufficiale. E’
questo il caso delle minoranze da emigrazione, entro le quali si può,
con una buona dose di approssimazione, parlare anche di bilinguismo
isolato, che oppone il codice della comunità a quello dell’individuo (o
del ristretto gruppo di individui) che per caratteristiche familiari o
culturali possiede nel suo repertorio più modalità espressive.
Parallelo e complementare alla nozione di bilinguismo, è il concetto di
diglossia. Mentre il primo termine può essere visto sia dal punto di
vista psicolinguistico (il caso di un soggetto che domina o che affronta
contemporaneamente due o più codici linguistici) sia da quello
sociolinguistico (il caso di più codici compresenti nel repertorio di una
comunità linguistica), quello di diglossia è un concetto quasi
esclusivamente sociolinguistico (per la precisione: «macro-sociolinguistico»). Nella sua accezione più diffusa, vale oggi soprattutto in
riferimento all’uso funzionalmente differenziato di diversi codici o di
diverse varietà di un codice all’interno di una stessa comunità. Una
differenziazione che presenta ampi tratti di volontarietà, in particolare
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se riferita alla dimensione di variazione diastratica, che distingue
domini d’uso di varietà «alte» e varietà «basse».
Sembra opportuno dover precisare che all’interno di una comunità che
padroneggia più di una modalità espressiva (che può essere costituita
tanto da un codice linguistico, quanto dalle diverse varietà di tale
codice), è verificabile la sovrapposizione dei fenomeni di bilinguismo
e di diglossia; soprattutto nel caso di bilinguismo verticale, che può
relegare uno dei due codici padroneggiati dalla comunità ad ambiti via
via più ristretti e differenziati formalmente secondo il grado di
familiarità e formalità della situazione comunicativa.
Se bilinguismo e diglossia vengono considerati due tratti nella
definizione del contatto linguistico, di conseguenza, le configurazioni
possibili sono (secondo Ferguson 1959) quattro, che ne prefigurano
altrettante tipologie2:
• - bilinguismo -diglossia: comunità del tutto monolingui; una
situazione difficilmente riscontrabile nella realtà, forse concepibile
per piccole comunità isolate e caratterizzate da una forte tendenza
endogamica;
• +bilinguismo -diglossia: comunità nelle quali le varietà linguistiche
in contatto hanno medesimo gradi di prestigio e di funzionalità: è un
caso ben esemplificato dalla situazione di un paese come gli Stati
Uniti, dove la maggior parte della popolazione è costituita da
immigrati da altri paesi, europei e sudamericani: soprattutto gli
2 Cfr. Ferguson, Diglossia, in Word XV (1959), pp. 325-340; trad. it. in P. P.
GIGLIOLI, Linguaggio e società, Bologna 1973, p. 294.
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immigrati della prima o delle prime due generazioni sono bilingui,
anche se la competenza dell’inglese varia molto da caso a caso. Gli
USA sono inoltre caratterizzati da una forte mobilità sociale, diffusa,
peraltro, in questa tipologia, entro la quale potrebbe rientrare anche
l’uso della lingua inglese in molte aree geografiche europee, ad es.
quella dei paesi scandinavi;
• - bilinguismo +diglossia: quando varietà alta e varietà bassa
caratterizzano fortemente la stratificazione sociale: è il caso dei
territori colonizzati , caratterizzati dalla presenza di lingua autoctona
e lingua dei colonizzatori;
• + bilinguismo +diglossia: situazioni rappresentate, ad es., dal
rapporto tra lingua standard e varietà dialettali in Italia; ma anche dal
caso che più interessa il presente studio, e cioè la realtà di molte
comunità migratorie dell’ultimo secolo.
Questo schema delle quattro teoriche combinazioni fra bilinguismo e
diglossia porta in primo piano il rapporto fra lingua e struttura sociale;
ed è proprio in questo rapporto che le differenze di genere risultano
avere un ruolo più rilevante. Labov (1972, 1994, 2001), infatti, oltre a
mettere in rilievo la funzione svolta dalla stratificazione sociale nelle
scelte linguistiche operate dai parlanti, nota, nella sua formulazione
del concetto di Gender Paradox, come si possa assegnare alle donne il
ruolo di gruppo trainante nei fenomeni di cambiamento linguistico,
riconoscendo come queste adottino con alta frequenza forme
espressive che derivano da livelli di lingua diastraticamente superiori;
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ma, allo stesso tempo, utilizzino forme innovative con provenienza
vernacolare o sub-diastratica in misura maggiore di quanto non lo
facciano gli uomini.
Le donne, infatti, sono le prime a prendere coscienza e a reagire al
prestigio o allo stigma di una forma linguistica; di conseguenza,
quando il cambiamento è in atto, esse sono più veloci e più efficaci
nell’impiegare le nuove varianti ancora dense di rilevanza simbolica.
Allo stesso modo, Gal (1978) affronta la questione nello studio di una
comunità bilingue, ponendo come centro dell’analisi la scelta tra
tedesco e ungherese negli scambi comunicativi messi in atto ad
Oberwart, storica località di frontiera del Burgeland austriaco, e lega
la variabilità di questa scelta a fattori quali l’età e la rete sociale entro
la quale i parlanti si collocano, concentrando la sua attenzione sulla
rappresentatività esercitata dalla scelta espressiva3. Secondo Gal
(1978: 2), infatti, alla condizione di bilinguismo corrisponde una
dicotomia sociale tra due status: quello di lavoratore industriale,
considerato preferibile a quello di agricoltore; l’uso del tedesco da
parte della maggioranza della popolazione femminile segnala così una
scelta ben precisa riguardo al modo di presentarsi agli altri ed alle
attitudini nelle scelte di vita:
«The young women of the community are more willing to
participate in social change and in the linguistic change
which simbolizes it because they are less committed than
3 Questo perché ad un incremento nelle percentuali di impiego del tedesco, non
corrisponde, per le donne un cambiamento sensibile nella composizione della rete
sociale.
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the men to the traditionally male-dominated system of
subsistence agriculture and because they have more to
gain than men in embracing the available statuses of
worker and worker’s wife».
In comunità come queste, quindi, il cambiamento linguistico risulta
indotto secondo due modalità: attraverso un maggior uso del tedesco
nelle interazioni quotidiane, e tramite le scelte matrimoniali operate da
quelle donne (la maggioranza) che desiderano elevare il proprio status
sociale sposando parlanti tedeschi, incrementando così l’uso della
lingua di prestigio nelle nuove generazioni.
LA LINGUA E LE RETI SOCIALI
I lavori appena citati mostrano chiaramente come esista una forte
correlazione tra produzione linguistica (performance) e ambiente
sociale. Soprattutto a Labov va il merito di aver collocato al centro
dell’indagine i parlanti nella loro dimensione sociale e interazionale,
in conseguenza dell’interpretazione del linguaggio come oggetto di
studio «non omogeneo», e dello sviluppo del concetto di variabile
sociolinguistica come unità di analisi: un elemento che si pone in
covariazione con variabili extralinguisiche, quali appunto la classe
sociale, l’età, il sesso etc. Il criterio adottato da un’analisi che si ponga
in quest’ottica sarà quindi quello della quantità: la frequenza di un
fenomeno o di una variante intesa come mezzo per individuare
l’occorrenza sistematica e categorica del processo linguistico.
Una necessità del genere è soddisfatta dall’introduzione del concetto
di Variable Rule, proposto per la prima volta dal Labov (1969), il
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quale
parte
dal
presupposto
della
grammatica
generativo-
trasformazionale4 che esista un patrimonio di strutture profonde
(sintattiche e semantiche) che rappresentano la competenza innata del
parlante e che le concrete realizzazioni linguistiche (cioè la
realizzazione superficiale, visibile degli enunciati) siano il risultato di
regole di trasformazione, comprensive delle componenti fonologica e
fonetica, delle strutture profonde di partenza. L’analisi basata sul
principio delle regole variabili è dunque concepita per fornire un
modello quantitativo in grado di descrivere circostanze in cui i
parlanti alternano forme differenti per un identico significato, in modo
tale che la probabilità di scelta tra l’una e l’altra forma si condizionata
da una varietà di fattori contestuali o, appunto, caratteristiche sociali.
Una importante possibilità di completamento per questa prospettiva è
fornita dall’introduzione in sociolinguistica del concetto di Rete
Sociale (Milroy, 1987), intesa qui come un insieme di attori sociali e
di relazioni definite tra tale insieme di individui. Le reti sociali (Social
Networks, SN) sono strutture relazionali, ed in quanto tali
costituiscono una forma sociale rilevante che definisce il contesto in
cui si muovono quegli stessi attori; le caratteristiche di una SN, allora,
possono essere usate per comprendere il comportamento dei soggetti
4 Le Variable Rules nascono come estensione della nozione di Categorical Rule
(Chomsky-Halle 1968). Se infatti una CR è individuata da un’espressione del tipo:
X→ Y [ AB] ___C
«realizza X come Y nel contesto A___C o B___C, senza eccezioni», l’introduzione
del criterio quantitativo in sostituzione di quello categoriale porta a formulare una
Variable Rule come:
X→‹Y› ‹αAβB›___C,
dove si simboli α e β rappresentano il valore di frequenza con la quale la
realizzazione si presenta nei vari contesti.
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costituenti la rete stessa, e l’applicazione di questi concetti in ambito
linguistico aiuta a chiarire i meccanismi che regolano particolari
modalità espressive in determinati gruppi di individui. Ogni soggetto,
infatti, crea una rete di contatti personali in grado di fornire aiuto nella
soluzione di problemi quotidiani; queste reti di individui sono
costituite tramite legami che possono variare per tipo e intensità. Tale
variabilità porta a definire alcune delle principali proprietà di una rete
sociale, come la forza coesiva che può caratterizzare un certo legame.
Si distinguono, in questo caso, legami forti e legami deboli (weak e
strong ties): approssimativamente potremmo affermare che i legami di
parentela sono da considerarsi forti rispetto a legami di semplice
conoscenza ritenuti comunemente deboli.
Per ciò che riguarda la struttura di una SN, è da valutare il reciproco
rapporto tra legami per misurare il grado di coesione tra gli attori.
Richiamandoci brevemente alla teoria dei grafi, possiamo infatti
rappresentare una rete sociale come un insieme di nodi messi tra loro
in relazione; più alto sarà il numero di nodi caratterizzato da legami
relazionali, maggiore sarà la densità della rete5, come esemplificato in
figura1:
5 Nella teoria dei grafi la densità è calcolata tramite la formula
D = L/[g(g-1)/2] = 2L/[g(g-1)]
dove L= numero di linee e g= numero di nodi costituenti un grafo.
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Densità = 0
Densità = 1
Figura 1: Densità di un grafo
Tale proprietà si esprime infatti con un valore dato dal rapporto tra tra
il numero effettivo dei legami e il numero dei legami possibili,
espresso solitamente in percentuale. Una rete da alta densità sarà,
quindi, alla base di una comunità altamente coesa, che tende ad
esercitare un maggiore controllo normativo sul linguaggio come sugli
altri comportamenti sociali; al contrario, una rete a bassa densità
caratterizzerà un gruppo scarsamente compatto, anche sul piano
linguistico. A supporto di questa nozione è utile distinguere tra “reti di
scambio” (exange networks) e “reti interattive” (interactive networks).
Una rete di scambio è costituita da individui che, oltre ad interagire
regolarmente, si scambiano reciprocamente aiuto, consigli critiche e
sostegno, come succede nei rapporti di parentela e di stretta amicizia;
una rete interattiva comprende, invece, soggetti tra i quali, nonostante
possano esserci prolungate interazioni, non esiste la possibilità di un
supporto materiale o simbolico. Il legame in una rete interattiva
potrebbe essere ben rappresentato dalla relazione commerciale di
clientela.
L’analisi delle reti sociali (SNA) costituisce quindi un indirizzo di
studio che, oltre ad occuparsi delle variazioni tra parlanti individuali
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piuttosto che tra classi sociali, si rivela molto utile alla sociolinguistica
per due fondamentali caratteristiche:
- fornisce una serie di procedure per lo studio di gruppi
(relativamente) ristretti di parlanti, all’interno dei quali gli stessi non
sono discriminabili in base ad alcun tipo di classe sociale;
- è in grado di chiarire le dinamiche sociali che guidano i processi di
variazione e cambiamento linguistico (poiché quello di rete sociale è
un concetto partecipativo).
Queste due caratteristiche fanno sì che la SNA sia molto utile nello
studio delle comunità bilingui. Nell’investigazione del meccanismo di
shift l’analisi delle reti sociali porta a stabilire che SN costituite
principalmente da legami forti funzionano come meccanismo di
supporto per le lingue minoritarie, poiché contribuiscono alla
resistenza al cambiamento. Quando però i legami diventano deboli
aumenta la possibilità che lo shift abbia luogo, come avveniva negli
anni settanta all’interno della comunità oggetto dell’indagine di S.
Gal.
Oltre a delineare la traiettoria sociale del cambiamento linguistico,
l’analisi dei rapporti sociali all’interno di una comunità bilingue può
essere di grande aiuto nell’indagine dei modelli di uso dei repertori a
disposizione; è questo ciò che illustra il lavoro di Labrie (1988) nel
suo studio sugli usi degli italiani emigrati di Montreal, nel quale si
pone come ipotesi il fatto che individui bilingui formano reti sociali
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all’interno delle quali si possono individuare delle sotto-reti
linguistiche: la composizione linguistica della rete sociale e le
caratteristiche di ogni sotto-rete possono, di conseguenza, influenzare
il comportamento linguistico dei singoli individui.
In quest’ottica, il presente lavoro si propone, analizzando alcuni
aspetti del parlato di emigrati italiani in Inghilterra, di tracciare ipotesi
riguardo alla correlazione tra performance e fattori sociali, con
particolare riferimento alle differenze tra gli usi di parlanti di sesso
diverso, per poter così individuare gli elementi che alla base della
differenziazione linguistica6.
LA COMUNITÀ
La scelta degli informatori è stata effettuata all’interno della comunità
italiana di Walton-on-Thames, cittadina del Surrey distante pochi
chilometri dal complesso urbano di Londra, ed ha permesso di
selezionare, tra settembre e novembre 2005 un gruppo di dodici
individui (sette uomini e cinque donne) di età compresa tra i 51 e i 72
anni, provenienti dalla Sicilia ed emigrati non durante l’infanzia, ma
alle soglie dell’età adulta. Successivamente si è proceduto a sottoporre
ad ognuno dei soggetti un questionario il cui scopo era quello di
fornire una sorta di presentazione (età, stato civile, anni di
permanenza all’estero, Comune di provenienza) unita ad un quadro di
massima delle competenze linguistiche individuali relative all’inglese,
6 Ed in questo si sottolineerà, implicitamente, l’assunto a cui arriva anche Labov,
per cui il linguaggio di uomini e donne non si differenzia in base agli aspetti
biologici, ma solo in funzione di aspetti sociali.
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all’italiano e al dialetto siciliano7. A questo proposito il questionario è
stato preparato mediante la scelta di domande di carattere anagrafico e
linguistico, unitamente all’inserimento di «domande civetta», che
avevano lo scopo di generalizzare quanto più possibile la situazione,
per evitare di concentrare l’attenzione dell’intervistato sugli aspetti
riguardanti la lingua, riuscendo così ad ottenere da ogni risposta il
grado maggiore di spontaneità.
La situazione che si è presentata in partenza indicava, quindi, che gli
informatori erano emigrati in un arco di tempo compreso tra il 1959 e
il 1975, dopo aver vissuto infanzia e giovinezza (con relative
esperienze scolastiche e lavorative) in Sicilia. In particolare, dieci di
essi sono nati in tre località della Sicilia centrale: Sutera, Mussomeli e
Villalba, Comuni confinanti tra loro e appartenenti alla provincia di
Caltanissetta. Solo due provenivano da altre province: rispettivamente
quella di Agrigento e quella di Palermo.
Prendendo in esame i luoghi di provenienza, è interessante rilevare
come questi Comuni, sostenuti fino a poco meno di quindici anni fa da
un’economia basata quasi esclusivamente sull’attività agricola, siano
stati investiti, proprio a partire dalla fine degli anni cinquanta, da una
decisa ondata migratoria verso l’estero che, unitamente al calo delle
nascite, ha contribuito a ridurre in maniera progressiva e permanente il
7 A questo proposito il questionario è stato preparato mediante la scelta di domande
di carattere anagrafico e linguistico, unitamente all’inserimento di “domande
civetta”, che avevano lo scopo di generalizzare quanto più possibile la situazione,
per evitare di concentrare l’attenzione dell’intervistato sugli aspetti riguardanti il
linguaggio, riuscendo così ad ottenere da ogni risposta il grado maggiore di
spontaneità.
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numero dei loro abitanti. Questo dimostrano, infatti, i numeri relativi
al movimento anagrafico di Sutera (comune di nascita per metà degli
intervistati), elaborati dall’ISTAT8 e riportati nella tabella 1:
Comune
Movimento migratorio
Emigr.
Isc. altri Iscritti Totale altri
Emig.
Anno Comuni da'estero Iscritti Comuni estero
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
1958
1959
1960
1961
1962
1963
1964
1965
1966
1967
1968
1969
1970
1971
1972
1973
1974
1975
1976
1996
1997
1998
1999
36
29
58
60
61
41
41
54
53
51
38
50
34
27
31
24
39
37
36
14
16
21
14
Sutera
Sutera
Sutera
Sutera
2000
2001
2002
2003
16
12
22
19
Pop. al 31/12
Totale
Emig
Saldo
migr.
Totale
Maschi Femmine M+F
77
107
69
92
114
161
123
65
51
107
129
152
111
120
81
96
52
76
50
7
14
20
17
1
123
45
117
31
548
194
20
3
9
1
5
77
107
69
92
114
161
124
65
174
152
246
183
659
314
81
116
55
76
50
16
15
20
22
-41
-77
-11
-32
-53
-118
-83
-11
-121
-92
-196
-132
-625
-282
-46
-36
-7
-7
4
1
7
5
-7
2450
2436
2465
5
4
56
9
32
18
3
6
4
1
36
30
58
60
61
43
41
54
53
60
50
51
34
32
35
80
48
69
54
17
22
25
15
4
1
1
5
20
13
23
24
25
21
18
14
7
10
3
25
28
28
17
-5
-15
-5
7
793
734
729
723
1
2
9
12
1
2192
2145
2112
2121
2041
1993
1881
1810
1454
1157
1131
1113
1112
822
822
825
814
2507 4957
2488 4924
2493 4958
4452
2239 4431
2197 4342
2179 4291
2186 4307
2140 4181
2094 4087
1998 3879
1933 3743
1651 3105
2673
2605
1382 2539
1367 2498
1356 2469
1347 2459
1057 1879
1034 1856
1022 1847
1001 1815
982
902
883
875
1775
1636
1612
1598
Tabella 1. Movimento migratorio del Comune di Sutera. N.B. I dati dell'anno
1961 sono la media aritmetica dei dati degli anni 1960 e 1962 perché mai diffusi
dall'ISTAT.
8 La tabella presenta i dati ISTAT sul movimento anagrafico forniti dalla provincia
di Caltanissetta. I dati degli anni dal 1996 al 2003 sono stati qui proposti in modo da
permettere un confronto delle cifre relative a periodi diversi.
234
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Il primo dato a presentarsi distintamente è l’enorme decremento della
popolazione che in diciassette anni si è ridotta, anche a causa del saldo
migratorio negativo registrato dal 1958 al 1975, di quasi 2500 unità:
una cifra non di poco conto per un Comune che non ha mai registrato
più di cinquemila abitanti.
Ma soprattutto, ciò che colpisce è il fatto che il numero di espatri
verificatisi in questi anni rappresenta la quasi totalità degli espatri
avvenuti nella seconda metà del secolo: esattamente 1082 su 1184,
una percentuale superiore al novanta per cento. Cifre analoghe sono
disponibili per Villalba, Comune con meno di duemila abitanti, che tra
la fine degli anni cinquanta e la metà dei settanta vede concretizzarsi
ben 620 casi di emigrazione verso l’estero, sugli 815 totali registrati
fino all’anno 2003; gli stessi dati ISTAT confermano la medesima
tendenza per il Comune di Mussomeli, con 2209 espatri su 2647 e una
popolazione attuale di undicimila abitanti.
E’ parso opportuno far riferimento a questi dati per sottolineare come,
nella scelta degli informatori, si siano privilegiati coloro i quali, a
pieno titolo, possono essere riconosciuti come appartenenti a quella
che è stata definita la terza fase storica dell’emigrazione italiana. A
conferma di ciò si aggiunga il verificarsi di altre caratteristiche chiare
in questo senso, come ad esempio il fatto che gli uomini interpellati
erano partiti per l’Inghilterra con contratti di lavoro già stipulati in
patria tramite gli uffici del lavoro e dell’emigrazione; contratti che,
almeno inizialmente, avevano una durata limitata da due a quattro
anni. La causa primaria del trasferimento delle donne intervistate, poi,
235
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è stato il ricongiungimento familiare, secondo il tipico processo di
immigrazione a catena. E’ bene tuttavia notare che molti degli
informatori maschi hanno precisato che il trasferimento è stato
agevolato da amici o parenti emigrati in precedenza, che si sono
preoccupati di procurare loro possibilità di impiego e di alloggio.
Anche il livello generale d’istruzione al momento della partenza non
si discostava da quello caratteristico di chi lasciava l’Italia tra i
decenni ’50 e ‘70, e variava dalla frequenza a pochi anni di scuola
elementare fino al conseguimento di un diploma di scuola media. Il
titolo di studio della maggior parte degli esaminati è comunque il
diploma ottenuto alla fine del ciclo elementare.
Walton-on-Thames, la località di insediamento, è una cittadina nella
regione del Surrey, situata a circa venticinque chilometri a sud ovest
di Londra. Negli ultimi venti anni la città è diventata, in pratica, parte
integrante dell’area metropolitana londinese (il centro della capitale è
distante, in treno, poco più di trenta minuti), ospitando un numero
sempre maggiore di residenze di impiegati e professionisti che si
recano quotidianamente a lavoro nella metropoli inglese.
Fino a qualche decennio fa, tuttavia, gli assi portanti dell’economia in
questa area sono stati l’agricoltura e l’industria leggera, due settori
che, sin dal secondo dopoguerra, hanno richiesto e favorito l’afflusso
di una consistente percentuale di manodopera non specializzata, di
origine soprattutto italiana.
La popolazione di Walton-on-Thames non arriva ancora oggi a
contare le trentamila unità, e questo ha permesso a chi vi si è trasferito
236
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dall’Italia di insediarsi in città secondo modelli di «vicinato», senza
che ciò comportasse necessariamente la costituzione di un tipico
quartiere italiano. Molte delle famiglie intervistate abitavano a poche
centinaia di metri l’una dall’altra ed erano frequentemente in contatto
tra loro, anche se la distribuzione delle abitazioni non sembrava
seguire una logica «etnica». Al raggiungimento di questa situazione di
equilibrio hanno contribuito alcuni fattori; innanzitutto la veloce
emancipazione della comunità italiana: in pochi anni, infatti, molti
emigrati hanno diversificato il loro inserimento in tutte le attività
produttive della zona, riuscendo addirittura a costituire varie attività in
proprio, e a disporre di una o più case di proprietà in diverse zone di
Walton e delle cittadine vicine. Di non secondaria importanza il fatto
che tutte le persone prese in esame compivano viaggi in Italia con una
frequanza almeno annuale. Da sottolineare, infine, che nel Surrey
sono presenti ancora oggi almeno due pubblicazioni periodiche in
italiano dedicate a coloro che risiedono all’estero: La voce degli
italiani e La voce di Campofranco. Mentre la prima si rivolge con
frequenza quindicinale agli italiani presenti in Gran Bretagna,
occupandosi di cronaca, cultura e istituzioni, la seconda, stampata in
Sicilia a cura dell’associazione religiosa “Don Pio Sorce” di
Campofranco, presenta tutte le caratteristiche di un giornale locale,
interessandosi mensilmente della vita sociale e religiosa della
provincia di Caltanissetta, indirizzandosi solo indirettamente alle
comunità siciliane presenti all’estero.
237
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La carta stampata non rappresenta certamente l’unico tra i media a
disposizione di chi risiede in Inghilterra: nel corso degli anni, infatti,
quasi tutte le famiglie di Walton-on-Thames si sono dotate del sistema
televisivo satellitare, potendo così usufruire per diverse ore al giorno,
non solo dei molti network internazionali dedicati agli emigrati, ma
anche di tutti i canali televisivi italiani, così come vengono trasmessi
nel nostro paese.
Dopo aver tracciato questo quadro introduttivo, nel dicembre del2005,
è stata effettuata la raccolta del materiale audio (circa otto ore di
dialoghi, una media di poco più di un’ora di durata per ogni
rilevazione), anch’essa eseguita alla ricerca del massimo grado di
spontaneità. Si è infatti cercato di condurre le rilevazioni secondo una
scaletta molto libera, che trasformasse la situazione intervistatoreintervistato in un semplice dialogo, dove chi veniva registrato non si
limitasse a rispondere sinteticamente a domande, ma fosse portato ad
esprimersi liberamente, senza vincoli ai quali doversi attenere. Si è
cercato poi di creare particolari situazioni entro le quali far svolgere
queste “interviste-dialogo”: in questo senso è stato di aiuto il fatto che
il gruppo fosse formato da cinque coppie di coniugi, il che ha
permesso lo svolgimento di cinque dialoghi in presenza di due
soggetti informatori (marito e moglie, appunto), e due dialoghi in cui
il soggetto interagiva esclusivamente con chi raccoglieva i dati.
Nei cinque casi della contemporanea presenza dei coniugi, poi, si è
cercato di differenziare ulteriormente la situazione, avvalendosi in due
occasioni dell’aiuto di un parlante inglese, e in un’altra dell’aiuto di
238
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un parlante il dialetto siciliano. In entrambe le circostanze essi
avevano il compito di inserirsi nella conversazione interferendo con i
codici usati sino a quel momento.
Per ciò che concerne le capacità linguistiche, tutti i soggetti hanno
dichiarato di non avere avuto, al momento dell’arrivo, alcuna
padronanza della lingua del paese ospitante. I codici espressivi a
disposizione dei parlanti in questione erano l’italiano, del quale essi
padroneggiano oggi una varietà popolare marcata regionalmente, e il
dialetto, che ognuno era abituato ad usare «al paese» nei quotidiani
scambi linguistici anche al di fuori dell’ambiente familiare.
Ovviamente tutti gli intervistati hanno dichiarato che, nonostante non
avessero mai frequentato nessun tipo di istituzione scolastica
britannica, sono stati in grado, con il passare degli anni, di aggiungere
al loro repertorio anche l’inglese. Ciò che variava, secondo le risposte,
è tuttavia il grado di competenza raggiunto: solo due informatori,
infatti, dichiarano di avere piena padronanza della nuova lingua.
In conclusione, tutti questi dati possono portare a disegnare
abbastanza chiaramente un quadro generale di partenza della
situazione linguistica dei soggetti in questione. Si tratta di individui
che possiedono un repertorio trilingue, formato principalmente dal
dialetto siciliano e da un inglese che con inequivocabili inflessioni
straniere; a questi si aggiunge una varietà di italiano presumibilmente
bassa, appresa negli anni precedenti la partenza, con forti interferenze
dialettali e inglesi, relegata, per quanto riguarda l’uso e l’esercizio
attivo e passivo, ad ambiti sempre più ristretti.
239
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GLI USI LINGUISTICI
Nelle pagine seguenti si tenterà di fornire un quadro sommario di
alcuni fenomeni di contatto linguistico. Si presenteranno , quindi,
quelli che sono stati, al contempo, elementi dell’indagine e strumenti
attraverso i quali l’indagine stessa è stata condotta.
Interferenze
Il lessico delle varietà d’emigrazione è stato probabilmente l’aspetto
che per primo, e con maggiore intensità, ha attratto l’attenzione degli
studiosi. L’introduzione di singoli elementi della L2 nella L1
attraverso l’utilizzo di prestiti e calchi, si pone, in effetti, come una
delle conseguenze più evidenti del contatto tra lingue. Proprio
l‘abbondanza di studi al riguardo, e delle diverse classificazioni che da
questi sono scaturite, rischia però di disorientare chi si addentra
nell’analisi di tale fenomeno. Di conseguenza, una classificazione,
seppur sommaria, di questo fenomeno aiuta a definire alcuni parametri
dei quali potersi avvalere nell’analisi che segue.
Le prospettive più complete in questo senso sono quelle che
sottolineano il grado di integrazione degli elementi trasferiti. Secondo
questa via Haugen (1950) suddivide i prestiti attraverso i principi di
importazione e sostituzione, distinguendo tra lessemi nei quali c’è
stata importazione dalla lingua ospite di tutta o parte della sequenza
fonemica della parola straniera (loanwords); lessemi che presentano
una forma adottata dalla lingua originaria, ma con significato
differente (loan blends); lessemi nei quali il significato è adottato
240
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dalla lingua acquisita tramite risistemazione di forme morfologiche
della lingua primaria (loanshifts). Questi ultimi sono suddivisi a loro
volta in semantinc loans, loan traanslation e calques/blend, e
classificati in base alla maggiore o minore affinità tra modello e
replica. Clyne (1967), da parte sua, utilizzando il termine Transfer,
ricalca la teorizzazione di Haugen, individuando rispettivamente
morphosemantic transfer; semantic transfer; morphological transfer.
Per Gusmani (1981), infine, la distinzione di base è articolata in
prestiti e calchi: nel prestito l’imitazione dei modelli stranieri
coinvolge sia significante che significato; i calchi sono invece
classificati a seconda che venga assunto solo il significato del modello
(calchi semantici), o che venga riprodotta anche la sua struttura (calchi
strutturali).
Tenendo conto di tali teorizzazioni, dunque, i dati rilevati
nell’indagine sono stati classificati in tre tipologie:
(A)Termini che presentano importazione di tutta o parte della
sequenza fonemica della parola straniera. Si tratta per lo più di
due categorie di parole: sostantivi ai quali viene aggiunta
terminazione demarcativa italiana: «farma» (da farm) «penno» (da
penny); e verbi inglesi coniugati con declinazioni italiane:
«drillare» (da to drill); parcare (da to park).
(B)
Termini la cui forma è adottata dalla lingua originaria, ma
con significato differente. In questa categoria rientrano i termini
241
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derivanti dall’errata traduzione dei cosiddetti false friends, ad
esempio «attualmente» per actually. Altri casi sono invece il
risultato di una sostanziale estensione di significato di termini della
L1, soprattutto verso molti sostantivi inglesi: è il caso di form
(modulo), river (fiume), towel (tovagliolo/asciugamano), che
divengono rispettivamente «forma»,«riva»,«tovaglia».
(C) Elementi derivati dalla risistemazione di forme della lingua
originaria per adottare elementi e concetti provenienti dalla
lingua acquisita. Ricadono in questa tipologia forme inglesi i cui
corrispettivi italiani erano probabilmente, se non sconosciuti, poco
familiari ai soggetti prima del trasferimento. Gli esempi più chiari
sono forniti dal largo uso di espressioni quali «qualità controllo»
(quality control), «fare sicuro» (make sure), «posta officio» (post
office); in ultima analisi, quei fenomeni che sono altresì definiti
“calchi strutturali”.
La distribuzione delle interferenze che abbiamo appena descritto è
rappresentata quantitativamente dalla seguente tabella, che individua
le occorrenze di ciascuna tipologia di interferenza messe a confronto
con il numero di interazioni (o turni conversazionali) per ognuno degli
informatori:
242
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SOGGETTO
InfFe1
InfMa1
InfFe2
InfMa2
InfFe3
InfMa3
InfFe4
InfMa4
InfFe5
InfMa5
InfMa6
InfMa7
Media
Somma
N°
Turni.
INT.
A
INT.
B
INT.
C
TOT
171
164
111
123
100
157
50
157
173
238
249
155
154,0
1848
22
7
9
14
24
18
1
27
9
12
12
12
13,9
167
5
1
1
0
0
1
0
4
1
0
0
2
1,3
13
0
1
0
2
4
1
0
0
0
2
4
5
1,6
19
27
9
10
16
28
20
1
31
10
14
16
19
16,8
2047
Tabella 2. Interferenze Lessicali.
Dall’indagine non sembrano emergere particolari distribuzioni
grammaticali delle interferenze lessicali: il numero di istanze di questo
tipo operate su sostantivi non varia rispetto a quello delle interferenze
operate su verbi. (69 contro 73). L’aspetto sociologico più rilevante è,
poi, rappresentato dal fatto che i termini qui rilevati appartengono
soprattutto ad aree di interesse quali quella lavorativa («qualità
controllo», «drillare»), quella burocratica («forma», «posta ufficio») e
quella relativa alle incombenze ed alle preoccupazioni quotidiane
(«parcare»,«penno»).
243
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Segnali discorsivi inglesi
La categoria dei segnali discorsivi (discourse marker) presenta alcune
ambiguità, essendo essi l'oggetto di una serie di ricerche che si
muovono tra linguistica testuale, pragmatica e semantica. Al fine di
eliminare, o almeno di ridurre al minimo tale ambiguità possiamo, in
questa sede definire le due funzioni principali svolte dai segnali
discorsivi: quella sintattica (di articolazione interna tra le varie
porzioni del testo orale o scritto) e quella comunicativa e pragmatica9
(dovuta allo status di elementi atti a segnalare la dinamica della
comunicazione).
Riferendoci al nostro ambito di analisi, possiamo, in base a tale
precisazione, definire i segnali discorsivi, secondo Scaglione (2003),
come elementi dipendenti in sequenza che delimitano unità del
parlato. Essi si caratterizzano come categoria linguistica a sé stante
grazie alla loro ambivalenza sintattico-interazionale; inoltre, per
Matras (1998), essi vengono assunti precocemente nel repertorio
linguistico dei parlanti poiché si configurano come “operazioni
automatizzate”, tanto che non è più avvertita la differenza di scelta
linguistica operata per tali atti produttivi.
Scaglione, analizzando l’uso di alcuni segnali discorsivi da parte di
emigrati italiani nell’area di San Francisco, fornisce le prove di una
sostanziale tenuta di tale ipotesi. A questo scopo sono di aiuto anche
9 Nella prospettiva di Grice andrebbero invece interpretati come strategie di
cooperazione conversazionale. Quello che qui preme è, però, mettere l’accento sulla
loro polifunzionalità.
244
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le riflessioni di Salmons (1990) e Oesh-Serra (1998): il primo affronta
questa categoria ponendo l’accento sul fatto che il loro status di
prestiti favorirebbe la creazione di un unico sistema di discourse
markers nel repertorio dei bilingui, che sarebbe il risultato di un
processo di convergenza di due sistemi distinti verso la lingua
donatrice (nel nostro caso l’inglese L2); il secondo, da parte sua,
osserva
che
la
classificazione
dei
segnali
discorsivi
come
commutazioni di codice a sé stanti potrebbe ricondurre, in prospettiva
diacronica, alla fase di formazione di un codice misto, e cioè ad una
fase di apprendimento caratterizzata da un’interlingua con base L1 che
utilizza segnali discorsivi di esclusiva appartenenza alla L2, sebbene,
esista per ognuno di essi l’equivalente nella lingua madre.
In questa sede non intendiamo dimostrare o confutare questi punti di
vista, ma piuttosto ci preme sottolineare il valore funzionale dell’uso
di segnali discorsivi inglesi, e cioè la facoltà di oltrepassare il valore
semantico del termine, pur mantenendo un legame con significato
nucleare. In questo senso sarà possibile, ed utile ai nostri scopi,
rilevare l’occorrenza di tre specifici discourse markers quali you
know; so; well nelle produzioni dei soggetti al centro dell’indagine.
N°
Turni
YOU
KNOW
WELL
SO
TOT
InfFe1
171
4
2
1
7
InfMa1
164
3
5
1
9
InfFe2
111
3
1
3
7
InfMa2
123
1
3
1
5
InfFe3
100
0
0
0
0
InfMa3
157
1
2
0
3
InfFe4
50
0
0
0
0
InfMa4
157
2
0
0
2
SOGGETTO
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InfFe5
173
0
1
1
2
InfMa5
238
1
3
2
6
InfMa6
249
0
2
0
2
InfMa7
155
0
2
0
2
Media
154,0
1,3
1,8
0,4
3,8
Somma
1848
15
21
9
45
Tabella 3. Segnali Discorsivi.
Il primo dato che salta agli occhi è la maggiore frequenza dei primi
due discourse markers, che si sono presentati in misura maggiore
nelle nostre rilevazioni. Questo fatto potrebbe essere spiegato dalla
funzione svolta dai tre termini all’interno del discorso.
La funzione di you know sottolinea la condivisione di comuni
conoscenze implicite tra parlante ed ascoltatore, e può occorrere in
posizione iniziale, al centro o al termine dell’unità espressiva in cui è
contenuto. Può apparire spesso in corrispondenza di marcate
commutazioni di codice, in modo da sottolinearne la pregnanza
pragmatica, come possiamo osservare nel seguente esempio10:
Esempio (1):
InfMa1:
→mi vien da ridere…
→quando
giocava
l’Inghilterra…
l’Italia
con
10 Per la trascrizione delle registrazioni, abbiamo adottato la seguente convenzione:
simbolo → per indicare l’inizio di ogni frase trascritta su una sola riga Per indicare i
soggetti si è usata la sigla :InfMa (informatore maschio) e InfFe (informatore
femmina) seguiti dal numero dell’intervista. Con ING, si sono indicati invece i
coadiuvatori che hanno partecipato alle «interviste» col compito di interferire con
interventi in inglese.
246
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→c’era un signore davanti…
→e ha detto, you know:
→”oh”, he said, “se england loose I’ll kill
myself”…
→and…he said:
→“because england is gonna win”
→and I said :
→“oh, no, because I’m Italian,
→I just think italy’s gonna win”…
→and he laugh…
In (1), infatti, «you know» ha la doppia funzione di rafforzare e di
scandire i tempi nel racconto dell’episodio narrato dall’informatore,
diventando così parte integrante del processo di sostituzione di codice,
in quanto segnale di limite delle capacità esplicative in italiano
possedute dal soggetto.
Well, invece, svolge un duplice ruolo: principalmente occorre qui
come segnale di risposta, in apertura di turno, anticipando
un’indecisione o una divergenza rispetto alle opzioni contenute nella
domanda. Più raramente può avere funzione metatestuale di
riformulazione e di correzione nel caso in cui il parlante voglia
modificare il contenuto del proprio enunciato.
Esempio (2)
-InfMa5:
→ eh, eravamo stretti.
→ avevamo due stanzette e…
-Domanda:
quanto siete stati in affitto?
-InfFe5:
→well… più di tre anni, quasi…
247
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Nonostante l’alta frequenza, in termini assouluti, con cui questo
segnale si presenta in inglese, le occorrenze del suo equivalente
italiano «beh» (circa 35 in tutto il campione analizzato) dimostrano
come well non abbia avuto una forza di penetrazione così intensa pari
a quella di you know.
Infine, il segnale discorsivo So, che si è presentato in modo
leggermente più raro rispetto ai due precedenti, anche se ciò potrebbe
essere spiegato dal fatto che esso veicola funzioni grammaticali e
discorsive più articolate, poiché unisce alla funzionalità interazionale
proprietà grammaticali che hanno il compito di mettere in relazione
complesse unità di significato, compito che nelle nostre rilevazioni,
viene spesso svolto dai corrispondenti italiani così, e allora.
Dall’esame del materiale emergono comunque diversi esempi come:
Esempio (3)
-InfMa5:
→eh, il lavoro era più bello,
→poi c’era un’altra soddisfazione perché…
ci pagavano,
→le persone ci rispettavano,
→facevamo più… più figura di…
→sul lavoro a lavorare e…
→te davano un po’ de soldi di chiù…so…
→e la vita andava avanti
Dalle prove fin qui riportate non è possibile ravvisare le condizioni
per una completa fusione dei due sistemi, poiché i segnali discorsivi
italiani continuano a presentarsi a fianco agli omologhi inglesi. In
248
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generale, però, possiamo segnalare frequenza di tali fenomeni come
un dato da non sottovalutare.
Code-Switching
Una definizione di code-switching abbastanza semplice è stata fornita
da Berruto (1995), che sintetizza il significato del termine come il
passaggio, nel medesimo discorso (o frammento di discorso), da una
lingua all’altra da parte di un parlante bilingue. Tale definizione
racchiude in sé un implicito riconoscimento del fatto che strutture e
pratiche linguistiche sono tra loro correlate; la commutazione di
codice, di conseguenza, racchiude, ed esprime al tempo stesso, la
connessione tra forma linguistica e uso del linguaggio.
Malgrado il dibattito non abbia ancora chiarito del tutto ciò che
concerne le distribuzioni interne al fenomeno11, è comunque possibile
tracciare almeno una sorta di griglia interpretativa: la prima
distinzione separa il code-Switching conversazionale (o interazionale)
dal code-switching linguistico; mentre quest’ultima tipologia è
definita secondo riflessioni da ascrivere all’ambito della linguistica
teorica, il code-switching interazionale si presta ad interpretazioni di
carattere pragmatico come quelle operate da Gumperz (1982) e Auer
(1984), che individuavano, tra l’altro, nella scelta del parlante di
passare da un codice ad un altro, la risposta a determinate esigenze
discorsive (commento, specificazione del destinatario, citazione, ecc.).
11 A tal proposito, Cfr Heller &Pfaff, (1996 : 594): «While it may be difficult to
make […] clear categorization, it is nonetheless important to recognize that codeswitching reflect gradations of syntactic convergence as well as relationship among
linguistic, pragmatic and interactional dimensions.»
249
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La caratterizzazione linguistica pone, invece la commutazione di
codice non in relazione al discorso (cioè in rapporto diretto con la
sequenza conversazionale in atto), ma in riferimento al parlante stesso,
cioè alle sue capacità linguistiche e alle sue abitudini comunicative.
Riguardo agli altri aspetti teorici dei fenomeni di commutazione,
un’ulteriore distinzione è possibile se si presta attenzione ai reciproci
rapporti tra i codici messi in gioco. Poplack (1980) propone, ad
esempio, la nozione di un Code-Switching lineare, dove si considerano
i due sistemi linguistici attivati come simmetrici, individuando due
restrizioni; rispettivamente:
«the free morpheme constraint […] which prohibits
mixing morphologies within the confines of the word
and […] the equivalence constraint […] which
requires that the surface word order of the two
languages be homologous in the vicinity of the switch
point»
.
Inoltre, molte recenti ricerche hanno notato come le proporzioni tra i
due sistemi, e la frequenza di commutazione in un senso piuttosto che
un altro siano asimmetrici e non-bilanciati: in questo senso si sono
distinti i lavori di Myers-Scotton (1993, 1995), che con l’elaborazione
del Matrix Language Frame Model tenta di tracciare una mappa della
processazione e delle possibili predizioni riguardo a ogni singolo
discorso bilingue. In base al MLF Model, l’ordine dei costituenti della
frase è fornito dalla lingua in essa dominante (Lingua Matrice o
Matrix Language), alla quale spetta anche il compito di fornire tutti i
morfemi grammaticali sintatticamente rilevanti (morfemi di sistema);
all’interno di questa struttura si inseriranno morfemi della Lingua
250
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Inserita (Embedded Language) secondo precise regole (Principio
dell’ordine dei morfemi, Principio del morfema di sistema); tali
inserimenti daranno vita, nel discorso dei bilingui, a produzioni quali
Isole nella LM, Isole nella LI, Costituenti misti.
La
classificazione
fin
qui
proposta
può
essere
completata
considerando che il fenomeno può realizzarsi a diversi livelli
comunicativi; in particolar modo si distingue la commutazione (o
alternanza, o giustapposizione) di codice all’interno della frase (infrasentential CS), dalla commutazione che avviene in posizione extrafrasale (extra-sentential CS).
Quest’ultima distinzione, aiuta anche a determinare con maggiore
precisione quale sia il confine tra CS ed altre manifestazioni di
contatto come i prestiti. Infatti, anche se, soprattutto a livello teorico,
restano talvolta problemi di classificazione, ciò che distingue il CodeSwitching operato all’interno di una singola frase rispetto ad altri
fenomeni di contatto, come i prestiti non adattati, è la necessità che
questo presupponga particolari condizioni realizzative, spesso
determinate da constraints, grammaticali. Afferma, infatti, Poplack
(2004: 589):
«First dismissed as random and deviant […]; intrasentential CS is now known to be grammatically
constrained. The basis for this is the empirical observation
that bilinguals tend to switch intra-sententially at certain
(morpho)syntactic boundaries and not at others».
Malgrado l'identità etimologica con la lingua erogatrice, inoltre, le
semplici
inteferenze
lessicali
assumono,
251
a
differenza
della
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commutazione di codice, le caratteristiche morfologiche, sintattiche e
(nel caso delle interferenze di tipo “A”) anche fonologiche della
lingua ricevente; sono ricorrenti (quasi stereotipate) nel parlato del
singolo individuo e mostrano una spiccata tendenza alla diffusione in
tutta la comunità.
La commutazione di codice di tipo conversazionale, invece, non
necessita l’individuazione di constraints grammaticali, poiché è
indotta da fattori identificabili in determinate condizioni, che
potremmo qui definire di tipo pragmatico (strutture discorsive e
rapporti
partecipativi,
sequenze
conversazionali,
contesto
dell’interazione) e macro-sociolinguistico (classe sociale, età, sesso,
reti sociali).
Nei frammenti che seguono vedremo esempi di uso alternato dei
codici in relazione al discorso (Code-Switching interazionale) e in
relazione al parlante (Code-Switching linguistico), per l’analisi delle
distribuzioni delle occorrenze di CS è utile riportare i dati come in
tabella 4:
N° Turni
C. SW.
INT.
C. SW
LING.
C. SW.
TOT
InfFe1
171
14
7
21
InfMa1
164
2
4
6
InfFe2
111
6
7
13
InfMa2
123
0
1
1
InfFe3
100
5
3
8
InfMa3
157
0
0
0
InfFe4
50
2
3
5
InfMa4
157
2
12
14
InfFe5
173
4
3
7
InfMa5
238
0
1
1
SOGGETTO
252
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InfMa6
249
0
0
0
InfMa7
155
0
0
0
Media
154,0
1,1
2,7
3,9
Somma
1848
35
41
76
Tabella 4. Code-Switching
In un computo complessivo la maggioranza delle commutazioni
rilevate possono, dunque, essere considerate come riferite al parlante e
alle sue competenze; illustrate nel frammento di conversazione
riportato di seguito:
Esempio (4):
InfFe1:
→eeee in agosto... io mi ricordo
l’anno scorso,
→ hanno detto alla televisione…
→che a Riccione, c’erano ventimila
persone on holyday place!!!
→Ventimila just on holyday, tutt’i
ggiorni!!
Nell’esempio (4) possiamo facilmente notare come il soggetto in
questione passi autonomamente dal dialetto all’inglese durante il
racconto di un’esperienza estiva. È qui esemplificato, in maniera
netta, un tipico caso di CS interno alla frase; sono infatti rispettati
entrambi i principi del morfema libero e dell’equivalenza, in quanto la
commutazione avviene al di fuori dei confini di parola, e non si
presentano discrepanze per ciò che riguarda l’ordine dei termini
componenti le ultime due frasi (in pratica, se la frase venisse trasposta
253
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in una qualsiasi delle due lingue in cui essa è formulata, l’ordine delle
parole, in particolare in prossimità del punto di commutazione,
rimarrebbe il medesimo).
Nei dialoghi sono comunque riscontrabili anche numerosi casi di
commutazione
di
codice
che
realizzano
diversi
compiti
conversazionali. Ne riportiamo di seguito due esempi di diverse
tipologie:
Esempio (5):
Domanda:
È buono il caffè?
-InfFe5:
→Ah io lo faccio sempre buono il caffè,
→[…] no tutta la tazza, poco ne bevo...
→(a ING5) Un biscotto?
-ING5:
→Eh?
-InfFe5:
→Biscuits?
-ING5:
→no.. thanks
-InfFe5:
→un po’ di frutta?
-ING5:
→no, Thank you
-InfFe5:
→are you sure?
-ING5:
→yes…
In questo caso l’informatrice cambia interlocutore offrendo dei
biscotti e della frutta ad un partecipante che, pur essendo anglofono,
254
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aveva dimostrato fino a quel momento discrete competenze in
italiano. Ad una richiesta (neutra) di ripetere la domanda, la donna
riformula l’offerta in inglese, per passare poi a sottoporne un’altra
nuovamente in italiano; dopo che anche il secondo invito a servirsi è
stato declinato, la donna chiede definitiva conferma in inglese, in
modo da chiudere, senza rischio di incomprensioni, la sequenza
conversazionale.
Il secondo esempio dimostra come una commutazione volontaria può
essere utilizzata per assegnare al discorso coloriture e valenze
emotive:
Esempio (6)
-InfFe3:
→troppo troppo… una volta, solo per
pulirle, me facevano pagare…
→un po’ d’anni fa…
→dieci anni fa, de ppiù… 25 sterline…
solo per pulire…
→ce sono andata un giorno,
→me l’ha guardato
→e me l’ha puliziato…
→thirty pound…
→ch’ha dett’?...... thirty pound…
→twentyfive pound, venticinque sterline
per puliziarlo eee… cinque sterline per
guardarlo…
→check up…
-Domanda:
uhm uhm
-InfFe3:
→c’era uno c’aveva da tirare un dente,
255
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→c’ha tirato…
→how much? Forty pound…
→how much?? Forty pound?!?
L’esempio (6), infatti, ci presenta il caso di una commutazione che
unitamente allo scopo di enfatizzare il prezzo, ritenuto troppo alto, di
alcune prestazioni dentistiche, intende raccontare in qualche modo lo
scambio di battute avvenuto al momento in cui il conto è stato
presentato; al primo, incerto, cambiamento di lingua («…thirty
pound…ch’ha dett’?...[…]… check up…»), segue una più precisa
citazione, che riporta anche la disapprovazione espressa dal cliente nei
confronti del dottore («…how much? Forty pound… how much??
Forty pound?!?»).
È bene, infine, ricordare che lo switch
è un meccanismo
bidirezionale, poiché può agire indifferentemente dalla L1 alla L2 e
viceversa. L’ultimo esempio ci mostra infatti una catena di
commutazioni, dove si passa da italiano a inglese, per poi tornare
all’italiano e, sul finale di scambio, utilizzare ancora l’inglese:
Esempio (7):
-D:
e Londra?
-InfMa2:
→Londra si… qualche volta a londra
-InfFe2:
→da trent’anni ce ho ito tre volte…(ride)
→una volta pe’… ogni dec’anne…
-ING2:
256
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really? You’ve only beeen threee times...
-InfFe2:
→threee times I’ve beeen to London…
-D:
oh!
-InfFe2:
→once it was… unwitting to me
→because… it was big
→and I couldn’t…
→so… someone drugged me…
→(a D) ...ca ce venne pure sua zia…
→zia XXXXXX ‘stavota… up to london…
→eramo anche cinque o sei… tutte
fimmine
→e ‘ndammo up to London…
→and that was the first time I’ve beeen in
London…
DISTRIBUZIONE DEI FENOMENI DI INTERFERENZA
Di seguito si tenterà di condurre un’analisi dei dati raccolti che
riconduca alle premesse di questo lavoro.A tale scopo, si
presenteranno, quindi, le differenze tra il numero dei casi riscontrati
per parlanti di sesso femminile e quello dei casi riscontrati per soggetti
di sesso maschile.
Nella fase di trascrizione delle rilevazioni audio sono state individuate
in totale 1848 interazioni (identificate qui e in precedenza come turni
conversazionali); più precisamente 605 interazioni totali operate da
parte delle donne, e 1243 da parte degli uomini, con una media di
turni per parlante pari rispettivamente a 121 e 177,6.
257
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Utilizzando un grafico possiamo mettere in risalto, per il gruppo
femminile (colonne rosse) e quello maschile (colonne blu), il numero
totale di occorrenze di ciascun fenomeno preso in esame, in rapporto
con il numero totale delle interazioni attribuite a ciascuna categoria;
un secondo grafico, invece, riporterà i valori assoluti. Questo basta,
qui, ad avere un quadro generale delle distribuzioni di interferenze
lessicali, segnali discorsivi e code-switching all’interno del campione;
più avanti si cercherà di rendere chiari tali fenomeni distributivi
correlando i risultati dell’analisi quantitativa con alcuni parametri
sociali relativi ai parlanti.
Interferenze
Per le interferenze lessicali, parrebbe, a prima vista, che non esistano
differenziazioni altamente rilevanti nella distribuzione delle forme
definite alle pagine 13-15, che sembrano ricorrere con frequenza
pressoché costante nelle produzioni di uomini e donne, come riportato
dai grafici 1 e 2.
La situazione cambia leggermente quando si considerano le
occorrenze delle interferenze di tipo B e C in rapporto al complesso
delle interazioni. Le donne, che in generale si mostrano più aperte
verso l’utilizzo di forme che si rifanno alla L2 sono anche più soggette
ad incorrere in «errori» (e cioè in traduzioni inesatte, si ricordi il
riferimento ai false friends) o in slittamenti di significato di termini
della L1, lo si può supporre dal fato che le interferenze di tipo B
ricorrano con frequenza maggiore. D’altra parte, il fatto che sia stato
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rilevato un maggior uso termini rientranti nella categoria C da parte
degli uomini, mostra come questi sembrino più restii all’utilizzo della
lingua ospite e, di conseguenza, più inclini all’utilizzo di calchi
semantici piuttosto che all’impiego di forme della L2.
Grafici 1-2. Interferenze lessicali
Per completare l’analisi del fenomeno in un quadro generale, è da
notare che, tra tutti e tre i tipi di interferenza lessicale, quello che trova
maggior impiego, sia tra gli uomini che tra le donne, è il tipo A
(espressioni che presentano importazione di tutta o parte della
sequenza fonemica della parola straniera, seppure in qualche modo
adattate alla lingua madre): una spiegazione a ciò potrebbe essere data
supponendo che questa categoria di espressioni abbia abbandonato lo
status di interferenza vero e proprio, e sia ormai entrata a far parte, in
modo naturale, del lessico di tutti e tre i codici a disposizione dei
soggetti esaminati.
259
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Segnali discorsivi inglesi
Anche questa tipologia di fenomeni di contatto linguistico non
propone
particolari
problemi
per
l’interpretazione
delle
sue
distribuzioni interne, che pure non sono del tutto lineari. Ad una
sostanziale prevalenza da parte delle donne nell’uso di you kow e so,
corrispondono differenze di un certo rilievo per le istanze di well, che
ricorre per la maggior parte nelle produzioni di soggetti maschi.
Questa differenza potrebbe esserespiegata con l’analisi delle funzioni
svolte da ciascuno dei discourse marker.
Grafici 3-4. Segnali discorsivi
Well, infatti, quasi mai veicola informazioni direttamente rilevanti per
la comunicazione (visto che è usato come segnale di apertura di turno
o come segnale di riformulazione di espressioni); al contrario, you
know e so possono assumere anche una funzione «grammaticale»,
possono, cioè, essere utilizzati al fine di legare significativamente
unità informative del discorso. In base a questa analisi potremmo
quindi supporre che il più largo uso di questi due DM da parte dei
260
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soggetti femminili sia un segnale di una loro maggiore competenza
linguistica in inglese.
Naturalmente, tali supposizioni non possono qui essere dimostrate,
data la netta differenza che si nota, osservando la somma delle
rilevazioni, tra il largo uso di you know e well, (rispettivamente 15 e
21 occorrenze) e l’esiguo numero di istanze totali di so (appena 9).
Code-Switching
Per quest’ultimo fenomeno di interferenza linguistica è possibile
individuare un comportamento diverso rispetto ai precedenti, poiché
più netta è la differenza tra le diverse modalità in cui esso si è
presentato. Nel computo totale, i casi riscontrati nelle produzioni delle
donne sono più del doppio rispetto a quelli degli uomini (54 contro
22). Una differenza che si amplifica se considerata in rapporto al
numero di interazioni, che evidenzia una netta prevalenza dei casi
registrati nelle produzioni di donne, i quali sono circa cinque volte in
più di quelli rilevati nel parlato di uomini.
Grafici 5-6. Code-switching
261
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Se tale rapporto, poi, individua distinzioni significative per i dati
riguardanti il Code-Switching linguistico (in un rapporto di quasi «tre
a uno»), la dissomiglianza più marcata riguarda la commutazione con
funzione interazionale (0,51 casi per interazione per le donne contro
0,003 casi per gli uomini). In questo caso possiamo dunque asserire
con più chiarezza che la pratica della commutazione di codice, in tale
contesto, è di per sè più congeniale alle donne piuttosto che agli
uomini. Questo fatto, riconducibile alla sfera del comportamento
linguistico, risalta più nettamente se si considera il fatto che il cluster
costituito dai soggetti esaminati ha densità molto alta, (ogni
intervistato era legato agli altri almeno da un tipo di legame, spesso di
parentela), cosa che indurrebbe a ipotizzare le medesime scelte
comunicative per ogni individuo, soprattutto per ciò che riguarda i
comportamenti plurilingui.
Di conseguenza, trovare una spiegazione plausibile a questa differenza
potrebbe significare il raggiungimento di un’interessante prospettiva
per l’analisi dei fenomeni di contatto linguistico in contesti migratori.
INTERPRETAZIONE DELLE DISTRIBUZIONI
262
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Le distinzioni che sono state finora evidenziate, sono da mettersi in in
relazione solo ai dati complessivi; per tentare di dare spiegazione ai
fatti osservati, è necessario confrontare diversi parametri, primi fra
tutti quelli anagrafici. La semplice età (la media delle donne al
momento della rilevazione è di circa cinquantasette anni, mentre
quella degli uomini è di sessantacinque) non costituisce però un dato
in grado di fornire sufficienti chiarimenti, poichè innanzitutto, in un
contesto migratorio, i dati temporali più rilevanti sono quelli riferiti
agli anni trascorsi nel paese di destinazione e quelli indicanti l’età alla
quale è avvenuta la migrazione, mostrati dalle tabelle di seguito.
SOGG.
ANNI IN
ANNI IN ETA'
ETA'
G.B. EMIGR
InfFe1
65
45
20
InfFe2
52
33
19
InfFe3
57
32
25
InfFe4
51
34
17
InfFe5
59
21
38
Media F
56,8
33
23,8
SOGG. ETA'
InfMa1
73
InfMa2
65
InfMa3
59
InfMa4
64
InfMa5
57
InfMa6
70
InfMa7
66
Media M 64,9
Tabella 5. Età donne
G.B.
46
46
40
43
21
43
38
39,6
ETA'
EMIGR.
27
19
19
21
36
27
28
25,3
Tabella 6. Età uomini
Tuttavia, è possibile notare come anche il numero di anni trascorso in
Gran Bretagna e l’età nell’anno dell’espatrio non variano di molto tra i
due gruppi al centro dell’analisi. Gli uomini, in media, hanno passato
nel nuovo paese sei anni in più delle donne, le quali, al momento della
263
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partenza, erano più giovani dei primi di poco meno di due anni. Una
differenza troppo sottile, che, lo si sottolinei sin da subito, è possibile
indicare come spiegazione per le difformità poste in evidenza nella
distribuzione dei casi di commutazione di codice.
Risalta molto, invece, il dato relativo all'occupazione dei soggetti al
centro dell’indagine. Gli uomini interpellati, infatti, sono emigrati per
svolgere mestieri individuabili, nella totalità dei casi, nei settori della
manodopera industriale e agricola non specializzata. Le donne, invece,
una volta raggiunti i familiari in Inghilterra, hanno trovato
collocazione, in un breve arco di tempo, principalmente come
impiegate di supermercato: prima in qualità di semplici addette agli
scaffali, poi, quando la dimestichezza con la nuova lingua lo ha
permesso, come cassiere e commesse12.
LAVORO
LAVORO
ATTUALE
PREC.
InfMa1
Pensionato
Operaio
InfMa2
Pensionato
Operaio
InfMa3
InfMa4
Operaio
Giardiniere
LAVORO
LAVORO
ATTUALE
PREC.
InfFe1
Pensionata
Parrucchiera
InfFe2
Cassiera
Cassiera
InfFe3
Casalinga
Commessa
InfFe4
Negoziante
Negoziante
InfMa6
Operaio
Operaio
Giardi
niere/Con
Giardiniere
tadino
Pensionato
Operaio
InfFe5
Casalinga
Casalinga
InfMa7
Pensionato
SOGG.
SOGG.
InfMa5
Tabella 7 Attività - donne
Operaio
Tabella 8. Attività - uomini
12Sembra poi un’esperienza trasversale, riscontrabile sia per gli uomini sia per le
donne, quella di un impiego temporaneo nel settore dell’assistenza domestica.
264
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È questo fattore a fare riflettere di più. Nelle ultime due tabelle è
infatti riscontrabile una netta distinzione nella tipologia di attività
lavorativa svolta dagli intervistati: quattro delle cinque donne hanno
ricoperto, per almeno cinque anni, un ruolo che le metteva nella
condizione di essere quotidianamente in contatto con parlanti inglesi:
una situazione nella quale la comunicazione, e le conseguenti
necessarie competenze linguistiche in quella che per loro era L2,
rivestivano un ruolo fondamentale. Gli uomini, al contrario, erano
impiegati in posti nei quali gli scambi comunicativi in L2 non erano
frequenti, visto che non prevedevano contatto con il pubblico; infatti,
il lavoro in fabbrica o nei campi era soprattutto svolto in coppie,
squadre, gruppi formati per lo più da emigrati italiani.
Grazie a una tale distinzione è possibile dunque assegnare a questi dati
un valore quasi binario. Se si decide, infatti di definire l’attività
lavorativa a partire dal contesto linguistico entro la quale essa è
immersa, potremmo definire come «in contesto L2» quella svolta da
quattro delle cinque donne e, conseguentemente, «in contesto L1»
l’attività svolta da tutti e sette gli uomini. Una scelta di questo tipo ci
permette, prima di tutto, di ottenere una variabile di una certa
pregnanza, in grado di giustificare, entro un certo grado di
approssimazione, le differenze messe in luce nella precedente sezione.
In questo modo, inoltre, diviene possibile legare le riflessioni sugli usi
linguistici alla questione delle reti sociali a disposizione dei soggetti al
centro dell’indagine.
265
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Infatti, assumendo come ipotesi di base il fatto che al variare della
tipologia lavorativa vari la composizione della rete entro la quali ogni
categoria di informatori agisce, possiamo, grazie ai dati in nostro
possesso, ricostruire almeno la struttura di massima del complesso di
social networks.
Come prima considerazione in merito, è logico supporre che, poichè
nella comunità indagata non si è verificato nessun fenomeno di shift
(il codice usato nella maggior parte degli scambi quotidiani, sia dalle
donne che dagli uomini, è l’italiano, che ogni intervistato considera
prima lingua), di conseguenza, il grado di forza dei legami instaurati
tra parlanti italiani sarà più alto rispetto a quello dei legami intrattenuti
con parlanti inglesi. Questa considerazione parrebbe ovvia se ci si
limitasse ad esaminare la questione in superficie. Approfondendo
l’analisi possiamo considerare, oltre alla forza dei legami, anche le
dinamiche secondo le quali si formano reti sociali in una comunità. È
appurato, infatti (Labrie, 1988) che chi vive in una situazione di
contatto linguistico si avvale di networks che sono a loro volta formati
da sub-networks; tra le varie sotto-reti è poi individuabile una sorta di
gerarchia, per cui è possibile distinguere, secondo le definizioni
fornite in apertura, tra exchange sub-networks e interactive subnetworks. Mentre le prime, costituite principalmente da legami di
parentela, si caratterizzano linguisticamente, per uomini e donne,
secondo i medesimi ambiti (cioè quasi esclusivo uso dell’italiano), le
seconde presentano una notevole differenza in termini linguistici.
Poichè, dunque la densità, e l’eventuale molteplicità dei domini ai
266
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quali appartengono i componenti di ogni sub-networks (indicata col
termine multiplexity) influenza il comportamento linguistico dei
soggetti, nel nostro caso è naturale constatare che le donne si
avvalgano (o si siano avvalse) di reti sociali più eterogenee dal punto
di vista linguistico prorpio grazie all’attività lavorativa svolta13. Una
situazione che può essere ben illustrata dalla tabella 9:
DONNE
UOMINI
Alta densità
Alta densità
Exchange SubNetwork
Italiano
Italiano
Interactive SubNetwork
Inglese
Italiano
Densità della SN
Tabella 9. Reti Sociali
Secondo questa osservazione è possibile, dunque riconoscere alle
donne, se non proprio il ruolo (implicito o esplicito) di mediatori
linguistici, almeno una maggiore padronanza dei codici in gioco
(soprattutto, nel nostro caso, della L2), e, conseguentemente, una
maggiore possibilità di far uso delle strategie di code-switching.
13 È ragionevole supporre che il tipo di rete sociale entro la quale le donne della
comunità sono inserite sia, sempre secondo Labrie (1988) caratterizzato da una
dinamica etnocentrica, e cioè formato da differenti sotto-reti a matrice “etnica”
(sotto-reti italofone e sotto-reti anglofone).
267
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CONSIDERAZIONI A MARGINE
La sociolinguistica moderna si occupa di esplorare le correlazioni
sociali tra modelli di comportamento linguistico ad ogni livello di
comunicazione, dalla morfologia alla sintassi
fino alla semantica del discorso. L’esplorazione e l’interpretazione di
dati derivanti dalle
produzioni di parlanti in diverse situazioni sociali hanno richiesto,
negli ultimi anni, modelli di analisi dotati di robustezza teorica e in
grado di estrarre conclusioni riguardo la competenza dei parlanti. E’
forse opportuno, ricordare, infatti, come il paradigma sociolinguistico
debba occuparsi non solo di schemi di cambiamento (linguistic
change, shift), ma anche di variazione/variabilità tra parlanti di diverse
comunità, tra parlanti appartenenti ad una sola comunità, e nel parlato
di singoli individui.
Ad oggi la sfida dell’analisi sociolinguistica consiste nel riuscire a
determinare la pertinenza (o la non-pertinenza) di particolari fattori
sociali in relazione a specifici fenomeni linguistici. E’ chiara,
conseguentemente, la forte necessità di individuare un approccio
statistico/probabilistico per l’analisi delle possibili istanze di
variazione e del contesto in cui queste occorrono, per mettere a fuoco
il modo in cui significati sociali e identità vengono costruiti tramite
l’uso del linguaggio.
E’ necessario allora considerare le possibilità di sviluppo di un’analisi
che porta a respingere ogni descrizione “intuitiva” di dati linguistici,
pure restando molto vicina a ciò che è una delle peculiarità della
sociolinguistica, e cioè, la possibilità di rilevazione dei dati sul campo
268
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e non solo in contesti controllati come quelli sperimentali. Poiché,
infatti, la maggior parte delle indagini sociolinguistiche è di tipo
esplorativo, l’acquisizione diretta di dati è, per necessità, non del tutto
controllabile da parte del ricercatore.
Se, dunque, il comportamento linguistico di un individuo (o di un
gruppo di individui) può esser letto alla luce della sua struttura sociale
dinamica entro la quale è inserito, e tale struttura può essere intesa in
termini di reti di relazioni e di interdipendenze, le riflessioni fin qui
presentate sono in grado di tracciare ipotesi che possano costituire, in
tale ottica, precise opportunità di analisi dei fenomeni di contatto.
L’analisi delle reti sociali, infatti, offre una possibilità concreta di
ridurre il grado di indefinitezza dell’indagine sociolinguistica, poichè
può avvalersi di livelli di misurazione binari e analogici: la densità di
una rete, ad esempio, può essere semplicemente intesa come la
presenza/assenza di date relazioni; d’altra parte, il grado di forza (o
«strettezza») che caratterizza particolari legami all’interno di una rete
può essere associato ad una misura numerica in una scala predefinita.
Un approccio del genere, in definitiva, raffina la possibilità di
individuare i fattori in grado di influenzare le decisioni di un parlante
riguardo all’uso di una variante rispetto ad un’altra permettendo di
sfruttare a pieno il carattere probabilistico dell’occorrenza di una
variabile linguistica in contesti sociali.
269
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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