La nascita delle lingue

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La nascita delle lingue
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L’ETNOLOGIA NEL DE RERUM NATURIS DI RABANO MAURO
PAOLO ROSANO
Secondo Friedrich Ohly “il significato della parola è stabilito
dall’uomo per manifestare il suo volere. Il significato delle cose,
invece, è fissato da Dio. Per mezzo della parola l’uomo comunica col
suo simile, per mezzo della cosa Dio parla all’uomo” 1. Due sono
quindi i linguaggi esistenti: uno verbale che è fondato dall’uomo e uno
non verbale che è relativo al mondo della natura universalmente
inteso. Non si tratta solo di cose percepibili attraverso i sensi, ma
anche di realtà ultraterrene delle quali nessun linguaggio umano è in
grado di esprimere il contenuto. Ci soccorre in questo caso il testo
biblico il quale riporta il messaggio rivolto da Dio all’uomo. E’
tuttavia avvolto in un velo allegorico per scoprire il quale si sono
affaticati i più dotti teologi ed esegeti.
L’incapacità o la difficoltà da parte dell’uomo di intendere il
messaggio divino è frutto della decadenza susseguita alla caduta di
Babele, poiché l’uomo, nella sua innocenza adamitica aveva
interpretato le cose nel giusto modo. Per questo “l’allegoria rende
nuovamente accessibile, attraverso il senso rivelato, il senso originario
della natura, il quale aveva lasciato soltanto tracce e segni indistinti”2.
1
F. Ohly, Vom geistigen Sinn des Wortes im Mittelalter, Darmstadt, 1966 IV-24 pp.,
trad.it. in Geometria e memoria, Il Mulino, Bologna, 1985, pp. 249-75 (p. 259).
2
H. Blumenberg, Die Lesbarkeit der Welt, Suhrkamp, Frankfurt, 1981, trad.it.in La
leggibilità del mondo, Il Mulino, Bologna, 1984, p.50. Cfr. anche P. C. Bori,
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ISSN 1724-5230
Volume 9 (2011) – pagg. 261-286
P. Rosano – “L’etnologia nel De rerum naturis di Rabano Mauro”
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Nell’Eden ad Adamo era stata concessa la facoltà di nominare le cose 3
che erano appena state create da Dio. Vi era stata allora perfetta
coincidenza tra linguaggio divino e linguaggio umano. La stessa
creazione era avvenuta per mezzo della parola e Dio stesso è il Verbo.
Possiamo allora parlare di trasferimento di potere all’uomo il quale,
creato dalla parola, crea attraverso la parola.
L’equilibrio si spezza in seguito alla costruzione della torre di
Babele come chiaro atto di superbia dell’uomo che aveva voluto farsi
un “nome” artificiale in contrasto con la natura della creazione. Di qui
deriva la nostra incapacità di comprendere il linguaggio dell’uomo e
di raccogliere l’eredità adamitica. Dobbiamo intendere che la lingua
originaria si fosse conservata intatta fino al momento di Babele? O
che lo stesso episodio avesse segnato l’ultimo atto della decadenza
susseguita al peccato originale? 4. Rabano, seguendo le orme di
Isidoro, 5 individua nell’ebraico la lingua originaria e, credendo nella
sua sopravvivenza al naufragio babelico, ne sottolinea la purezza e la
conservazione in tale stato fino ai suoi tempi 6. Essendo l’episodio
L’interpretazione infinita. L’ermeneutica cristiana antica e le sue trasformazioni, Il
Mulino, Bologna, 1987, pp. 91-108.
3
“ omnibus animantibus Adam primo vocabula indidit appellans unicuique nomen
ex praesenti institutione juxta conditionem naturae cui serviret ”, (VII, 8), PL 111
199 B.
4
P. Zumthor, Babele ou l’inachèvement, Paris, Editions du Seuil, 1997, trad.it.in
Babele, Il Mulino, Bologna, 1998, pp. 79-93 (pp. 88-9).
5
Come si sa, Rabano deve a Isidoro quasi tutta la parte etimologica
dell’enciclopedia, per cui rimando a E. Heyse, Hrabanus Maurus Enzyklopaedie ,De
rerum naturis’. Untersuchungen zu der Quellen und Methode der Kompilation,
Muenchen, 1969.
6
“illa lingua, quae ante diluvium omnibus una fuit, quae et Haebraea nuncupata est”
(VII, 8), PL 111 199 B, 199 C e, ancora “Heber, in cujus domo propria loquela
remansit” (II, 1), PL 111 35 B. Per tutti questi motivi cfr. anche il commentario alla
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della nascita delle lingue riconducibile alla torre di Babele è da qui
che occorre partire per seguire il percorso di analisi del nostro autore.
1. La torre di Babele
“Turres vocatae, quod teretes sint et longae. Teres est enim aliquid rotundum cum
proceritate, ut columna. Nam et quamvis quadratae aut latae construantur, procul
tamen videntibus rotundae existimantur: ideo, quia omne cujusque anguli
simulacrum per longum aeris spatium evanescit atque consumitur, et rotundum
videtur ” 7.
E’ questa la definizione che dà Rabano della torre, inserendola nel
capitolo dedicato agli edifici. Il plurale esprime la volontà di mettere
in luce un carattere comune a queste costruzioni: la forma
tondeggiante e la linea slanciata a guisa di colonna. Subito dopo però
aggiunge
che
si
sorreggono
su
un’ampia
base
quadrata.
L’incongruenza si spiega col punto di osservazione da cui le torri si
guardano, che è lontano da loro e, di conseguenza, interviene a
deformarne gli spigoli annullandoli.
Genesi, (I, 14), PL 107 483 D-485 D. Non a caso nel De inventione linguarum, PL
112 1579-81-83 Rabano inizia con l’esposizione dell’alfabeto ebraico per poi
passare a quello greco, latino, scitico e tedesco. M. Olender, nel suo libro Le langues
du Paradis. Aryen et Sémite: un couple providentiel, Paris, Edition de Seuil, 1989,
trad. it. in Le lingue del Paradiso. Ariani e Semiti: una coppia provvidenziale, Il
Mulino, Bologna, 1991, sottolinea il conservatorismo linguistico e culturale dei
Semiti di contro al progresso civile e scientifico degli Ariani.
7
XIV, 1, PL 111 384 D- 385 A.
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Dal punto dei materiali di costruzione, sono i mattoni (lateres) di
argilla 8 che verranno poi cotti al forno a costituire l’ingrediente
principale. Questo però non viene dichiarato subito dall’autore che lo
rimanda invece al loro significato allegorico di elementi con cui si
costruì la famosa torre di Babele.
L’altro materiale che fu usato per la sua edificazione è il bitume
(bitumen) di cui Rabano ci fornisce in altro luogo alcune
informazioni 9. Esso emerge dal mar Morto, nella parte della Giudea,
in placche pericolose per la navigazione. Questo materiale ha come
caratteristica quella di essere della stessa natura del fuoco, ma anche
di resistere all’acqua e al ferro. Il suo impiego è nella costruzione
delle navi. E’ importante notare allora come nell’analisi allegorica
Rabano faccia riferimento alla costruzione dell’arca da parte di Noè
per comando di Dio 10. In questo caso il termine bitumen assume una
connotazione positiva, contrariamente a quanto avverrà per la
costruzione della torre in cui vengono impiegati, come già detto, i
mattoni, mentre nell’arca, appunto, il legno.
La torre costruita con mattoni al posto delle pietre e bitume come
caementum che funge da fondamento è ovviamente quella di Babele
per cui Rabano in due luoghi introduce le notizie bibliche 11. Da un lato
8
XXI, 3, PL 111 561 B.
XVII, 2, PL 111 459 B- 459 C.
10
Gen. VI, 14.
11
XIV, 1, PL 111 380 B- 380 C che corrisponde a Gen. X, 10 e XXI, 3, PL 111
562 A che si riferisce a Gen. XI, 1. Le etimologie ex diversarum gentium sermone
sono riconducibili a Gerolamo, per cui rimando a Paul De Lagarde, Onomastica
sacra, Gottingen, 1887. Per un commento a Gen. XI, 1-9 cfr. il Commentarium. in
Genesim, PL 107 528 A A-531 A.
9
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l’attenzione si incentra sul territorio di Sennaar, dove essa fu edificata
e su Nimrod 12 che fondò Babilonia, dall’altro sulla torre vera e propria
costruita dagli uomini venuti dall’oriente e stabilitisi sempre a
Sennaar. Solo in quest’ultimo caso l’etimologia è accompagnata
dall’allegoria che collega la torre alla superbia di questo mondo 13 e
alle dottrine empie degli eretici che, spinti dalla superbia stessa,
vollero penetrare illecitamente i segreti divini. Come i primi furono
puniti con la confusione delle lingue 14, così questi sono esclusi
dall'unità della fede e a loro volta divisi nelle loro dottrine erronee.
Se ritorniamo alla narrazione biblica, ci accorgiamo che accanto
alla torre si parla anche di una città che dovrebbe portare lo stesso
nome. Si tratta di Babilonia, fondata anch’essa da Nimrod, ampliata
dalla regina Semiramide che ne fece costruire le mura con mattoni e
bitume, governata da Nabuccodonosor. In questo caso l’allegoria
prevede per Nabuccodonosor il significato di diavolo poiché, come
egli distrusse Gerusalemme incendiandone il tempio, così questo
istilla odio in seno alla santa Chiesa e mira a traviare gli uomini,
identificati nel tempio di Dio, con l’ardore dei desideri mondani.
Come si può notare, appare qui definita una prospettiva storica che,
ricollegandosi agli eventi originari, ne propone una successione che
12
PL 111 337 A. Nimrod ha come attributo venator, VIII, 1, PL 111 226 A , con
riferimento a Gen. X, 9, come etimologia ex diversarum gentium sermone di matrice
geronimiana tyrannus che edificò la torre dell’empietà, come significato mistico
diabolus, II, 1, PL 111 35 A- 35 B.
13
In XIV, 1, PL 111 385 A- 385 B Rabano introduce il significato negativo
attribuito alla torre di altezza della superbia.
14
XVI, 1, PL 111 435 C- 437 B.
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vede l’introduzione, tra l’altro, di personaggi collocabili anche al di
fuori del quadro biblico. Si noti inoltre, a testimonianza della relazione
con la narrazione della torre, la presenza di materiali analoghi usati
per l'edificazione delle mura.
2. La nascita delle lingue.
La nascita delle lingue dei popoli viene fatta risalire da Rabano
proprio alla costruzione e alla successiva caduta della torre di Babele.
Prima di questo infatti sulla terra non esisteva che un’unica lingua che
era l’ebraico ed era usata dai patriarchi e dai profeti sia come mezzo di
comunicazione quotidiano che come espressione delle lettere sacre. In
questo modo non esisteva che un unico popolo che parlava una sola
lingua.
La susseguente diversificazione delle lingue portò con sé una
necessaria differenziazione dei popoli. Ma Rabano tiene a precisare
l’asse temporale dei due eventi. Mentre all’inizio vi erano allo stesso
tempo quot gentes, tot linguae, successivamente fu dalle lingue che
nacquero i diversi popoli:
“Ideo autem prius de linguis, ac deinde de gentibus posuimus, quia ex linguis gentes,
non ex gentibus linguae exortae sunt” (XVI, 1) 15.
15
Ibid. 437 B
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Questo si può spiegare col riferimento alla storia della torre mediante
la cui costruzione gli uomini si proposero di darsi un nome 16. La
lingua adamitica era insufficiente a tal fine, avendo essa imposto un
nome soltanto alle cose. L’uomo sentì di non appartenere a questa
categoria e, di conseguenza, avvertì la necessità di distinguersi. La
molteplicità degli uomini che confluirono a Sennaar era consapevole
di non possedere una propria identità, ma di poterla raggiungere
attraverso la costruzione di una torre che fosse anche un simbolo
materiale della propria tensione verso il divino. Questo tuttavia generò
in loro la superbia, volendo essi raggiungere il cielo e celebrare il
proprio nome. Il tentativo di emulare Dio fu per loro causa di
perdizione ed essi, alla ricerca di un’identità culturale, si trovarono
dispersi su tutta la terra
e in una condizione di completa
incomunicabilità. Secondo Rabano è ravvisabile una contrapposizione
uomo-Dio laddove quest’ultimo, quando interviene a distruggere
l’opera dell’uomo, parla alla prima persona plurale. Questo sta ad
indicare l’unità delle tre persone divine di contro all’avvenuta
dispersione dei popoli. Al momento della creazione anche l’uomo,
fatto ad immagine e somiglianza di Dio, possedeva questa unità che si
realizzava nell’uso di un’unica lingua la quale, anche dopo la caduta
di Babele, si sarebbe conservata nella stirpe di Heber da cui poi
nascerà Gesù. Di qui deriva anche il problema di quale fosse la lingua
parlata da Dio al momento della creazione. Pur essendo difficile dare
una risposta, Rabano la individua in quella pre-babelica. Ma per
16
Gen. XI, 1-9. Per un commento a questo capitolo cfr. il già citato Commentario di
Rabano al Genesi.
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quanto riguarda quest’ultima, alcuni sostengono che Dio parli agli
uomini nelle loro diverse lingue sin da quando apparve loro nelle vesti
di uomo 17.
Ammettendo allora che quello di Babele sia stato un problema di
identità culturale che, come conseguenza negativa, ha portato l’uomo
a dividersi dalla sua inconsapevole unità originaria e a disperdersi sia
linguisticamente che geograficamente, occorre in qualche modo
ricostruire, anche se artificialmente, un’unità originaria. Una spinta in
tal senso ci viene offerta dalla croce su cui troviamo le iscrizioni in
ebraico, greco e latino. La via per la restaurazione ci è indicata da
Cristo che ci fornisce in tal modo la chiave per la comprensione e la
decifrazione della sacra Scrittura. La conoscenza di tutte e tre le lingue
è ritenuta indispensabile, poiché, qualora ci si imbatta in un passo
poco comprensibile col metro di una sola, è sempre possibile in questo
modo rifarsi all’altra.
Ma Rabano si mostra attento anche al corpo della lingua, da lui
concepita non come codice predefinito e fisso che neghi ogni variante
locale, bensì come materia fluida che si differenzia non solo per
registro, ma per identità culturale dei parlanti. Il greco infatti, lingua
che, rispetto alle altre, gode di maggior prestigio presso gli uomini,
poiché più armoniosa, si suddivide in cinque varietà: la coine, che è un
po’ il fondo comune alle altre e per questo è parlata da tutti; l’Attica,
parlata dagli Ateniesi e dagli autori greci; la Dorica, parlata da Egizi e
Siculi; la Ionica; la Aeolica, usata dagli Eoli. Il latino invece secondo
17
Nel commento a I Cor. XIII, 1 Rabano accenna anche al problema di quale sia la
lingua degli angeli, senza però addentrarsi nella questione.
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alcuni si compone di quattro varietà: la prisca, usata dalle più antiche
popolazioni italiche sotto i regni di Giano e Saturno, lingua rozza in
cui furono scritti i carmi Salii;
la Latina, usata nel Lazio sotto Giano e i re Etruschi e in cui furono
scritte le dodici Tavole; la Romana, parlata dal popolo romano dopo la
cacciata dei re, diffusa da poeti quali Nevio, Plauto, Virgilio e oratori
come Caio Gracco, Catone, Cicerone e altri; la mista, che, dopo la
massima estensione dell’Impero, penetrò a Roma insieme ai costumi
del barbari e corruppe con solecismi e barbarismi la Romana. In
ultimo l’ebraico sembra essere vicino al siro e al caldeo per i
moltissimi suoni in comuni e la pronuncia delle lettere, tanto che
alcuni lo identificano con lo stesso caldeo alla cui stirpe Abramo
apparteneva.
Rabano inoltre si sofferma anche sulla fonologia e, in base a
questa, distingue tre aree linguistiche: l’orientale, la mediterranea e
l’occidentale. Gli orientali, come nel caso di Ebrei e Siri, pronunciano
parole dal suono gutturale, a differenza dei popoli mediterranei, come
Greci e Asiatici, che prediligono i suoni palatali e degli occidentali,
come Itali e Ispani, che emettono suoni dentali.
Ogni lingua poi, sia essa la greca, la latina o le altre, si può apprendere
mediante il parlato, attraverso l’ascolto dei suoni della voce o la
lettura, sotto la guida del precettore. Benché l’apprendimento di una
lingua sia difficile per chiunque, tuttavia nessuno può essere tanto
pigro da rifiutarsi di imparare la lingua della comunità di cui fa parte.
In caso contrario sarebbe considerato peggiore degli animali bruti.
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Questi ultimi almeno emettono i versi propri della loro specie, mentre
gli altri ignorerebbero la loro lingua.
3. Ex linguis gentes 18.
Se nel capitolo precedente l’esposizione prendeva inizio dalla
vicenda di Babele, qui si fa un passo indietro a quando la lingua era
ancora unica e le genti molteplici 19. Occorre allora definire il concetto
di gens che, secondo Rabano, è un gruppo di persone con una sola
origine o distinto da un altro, secondo l’appartenenza ad una
determinata stirpe come, ad esempio, la greca o l’asiatica, donde
deriva il nome di gentilitas. Dal punto di vista etimologico gens deriva
dalla generazione (a gignendo) poiché da essa nascono nuove
famiglie, come la nazione dal nascere (a nascendo). Le gentes che si
diffusero sulla terra sono in numero di 73, di cui 15 appartengono alla
discendenza di Iafet, 31 a quella di Cam e 26 a quella di Sem. Il totale
è in realtà 72 che corrisponde al numero delle lingue che sparsero per
continenti e isole 20.
A questo punto sembrerebbe quasi naturale, in contrasto con
quanto detto prima, far risalire la varietà delle lingue alla molteplicità
dei popoli. Non dobbiamo però dimenticare l’ordine narrativo del
18
XVI, 2, PL 111 437 C-445 B
Gen. X, 1-32
20
Per il numero 72 delle lingue cfr. l’In honorem s.crucis.nell’edizione critica a cura
di M.Perrin in CCCM, Brepols, Turnhout, 1997, pp. 165 e segg. Vedi anche
A.Borst, Der Turmbau von Babel, Hiersermann, Stuttgart, 1958, vol. II, parte III,
cap, 4, pp. 514-18. Riesce difficile comprendere il numero 73, poi corretto in 72,
introdotto anche da Isidoro.
19
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testo Sacro e sottovalutare, di conseguenza, l’episodio di Babele che
costituisce l’atto di nascita delle lingue, E’ lì infatti che i popoli
acquistano una precisa identità linguistica e culturale, diventando così
consapevoli di se stessi. Prima erano dei semplici discendenti dai
capostipiti e il loro numero era del tutto privo di significato. Quando
però si accorsero del pericolo di una generazione anonima, vollero
fissare dei principi comuni da realizzare con la costruzione di mattone
e cemento. L’altezza di questa tuttavia li sopraffece, impedendo loro
di finire l’opera che invece crollò e ponendoli di fronte
all’impossibilità di costituire un’unica nazione. Ciascuno di loro
assunse una propria lingua come carta d’identità culturale che lo
contraddistingueva. Mattone e cemento non erano più la stessa cosa
per tutti.
Vediamo ora l’effetto di questa dispersione espresso con
particolare chiarezza nell’esposizione dei popoli dell’Asia per un buon
numero dei numero dei quali, come avviene anche per i toponimi
asiatici, è prevista anche un’etimologia ex diversarum gentium
sermone accompagnata però sempre da uno o più significati
allegorici 21.
21
Occorre osservare che qui, a differenza di quanto avviene per il capitolo
precedente, non tutte le etimologie sono riconducibili al Liber de interpr. nom. hebr.
di Gerolamo. In particolare non trovano corrispondenza quelle di Ismael e Agar, non
coincidono perfettamente Edom, Chanaan e Aegyptii, rilevabile anche in Isidoro,
PL 82 333 C. Per i nomi geronimiani cfr. Paul De Lagarde, op.cit., pp.27 e segg.
Più avanti Aethiopes, unico caso extra-asiatico con etimologia ex diversarum
gentium sermone, trova corrispondenza in Gerolamo.
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4. L’Asia 22
Innanzi tutto occorre precisare che Rabano si occupa soltanto della
discendenza di Sem, a differenza di quanto fa Isidoro che,
coerentemente, descrive anche quelle di Cam e Iafet 23. Questo non
significa che le ignori, in quanto nell’etimologia dei popoli extraasiatici ne riferisce i nomi.
Per quanto riguarda l’Asia, occorre osservare come Rabano si
limiti ad analizzare i popoli coinvolti nella storia biblica, mentre per i
restanti non riservi che un accenno 24. Di questi ultimi si ricava il nome
dai rispettivi patriarchi, a loro volta discendenti da Sem, figlio di Noè.
Così dal nome dei suoi figli diretti Elam, Assur, Arpacsad, Lud e
Aram discendono nell’ordine gli Elamitae, principi di Persia, gli
Assiri 25, fondatori dell’omonimo impero, la gens Caldeorum, i Lydii e
i Syri la cui capitale fu Damasco. Dal nome dei quattro figli di Aram e
nipoti di Sem, Uz, Cul, Gheter e Mas derivano il nome gli abitanti
della Traconitide, fondata da Uz tra Palestina e Celesiria e patria di
Giobbe, gli Armenii, gli Acarnanii, i Meones. Dai discendenti di
Arpacsad, Eber, suo nipote, Joktan figlio di Heber e Selef, figlio di
Joktan, derivano nell’ordine gli Haebrei, la Indorum gens e i
22
PL 111 437 C-439 A. Si veda la corrispondenza col capitolo delle regioni, XII, 4,
PL 111 335 A-347 D.
23
Per la corrispondenza esatta tra Rabano e Isidoro cfr. Elisabeth Heyse, Hrabanus
Maurus Enzyklopaedie, De rerum naturis’. Untersuchungen zu der Quellen und
Methode der Kompilation, München, 1969, p. 128.
24
Il che si spiega con la mancata trattazione delle stirpi di Cam e Iafet che, oltre ad
Africa ed Europa, occuparono anche parte dell’Asia. In Isidoro invece abbiamo il
quadro completo.
25
Assyriorum imperium in Rabano.
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Bactriani, sebbene alcuni ritengano che questi ultimi siano degli Sciti
esiliati.
Di Abramo non viene l’ascendenza, ma solo la posteriorità. Ed è
da questo punto che si può trovare l’analisi sopraddetta. Da Abramo
discende infatti il figlio di Ismaele 26 a cui devono il nome gli
Ismaelitae, detti impropriamente Saraceni dal nome di Sara, dal figlio
di Ismaele Nebaiot discendono i Nabatei 27, dai figli di Lot Moab e
Ammon i Moabiti e gli Ammoniti 28, dalla moglie di Abramo Agar gli
Amareni, chiamati anche qui impropriamente Saraceni poiché si
gloriano di essere stati generati da Sara, da Edom 29, figlio di Esaù, gli
Idumaei e da Amalek 30 gli Amalecitae; i Philistaei, 31 che devono il
nome alla regione in cui si erano stabiliti e vengono chiamati anche
Allophyli o stranieri, in quanto eterni nemici di Israele e a lungo
separati dalla loro comunità; i Chananaei 32, così detti da Canaan figlio
di Cam, dalla cui stirpe derivò Camor 33 padre di Sichem, da cui
trassero il nome gli Amorrei; gli Aegyptii, così chiamati solo dal nome
del re Egitto.
26
Gen. XVI, 16
Gen. XXV, 13
28
Gen. XIX, 36-38. In questi ultimi due casi manca sia l’interpretazione ex
diversarum gentium sermone che il significato allegorico.
29
In realtà Edom e Esaù sono la stessa persona, come si conferma in Gen. XXXVI,
1, 9, 19, 43. Seir invece è il luogo montuoso in cui egli si stabilì e dove ebbe la sua
discendenza. Ma cfr. II, 2, PL 111 38 A, dove Rabano sostiene, analogamente a
Isidoro, PL 82 329 B, che Esaù trinomius est.
30
Gen. XXXV, 12. Cfr. anche PL 111 380 D. Non c’è traccia di questo nome e del
popolo derivato in Isidoro.
31
Gen. X, 14.
32
Gen. IX, 18 e 22; X, 6.
33
Gen. XXX, 19; XXXIV, 6, 20 e 26. Deut. XXXIV, 32. Nel De rerum naturis
troviamo scritto erroneamente frater.
27
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5. L’Europa 34.
Da qui in avanti non vi è quasi più dissonanza tra De rerum naturis
e le Etymologiae isidoriane, parallelamente a quanto avviene per i
nomi geografici 35. Anche qui possiamo notare come l’esposizione
cominci dai popoli che risiedono ad oriente, nei territori non ben
definiti ai confini tra Asia ed Europa. Non deve inoltre sfuggire che
molte delle etimologie ex nominum derivatione sono analoghe a quelle
esposte per i nomi geografici.
In oriente troviamo: gli Armeni, che prendono nome da Armeno,
capitano di Giasone; i Massagetae dalla massa o forza dei Geti che
derivano il nome dall’argento; le Amazones che vivono senza uomini
o amazosai e hanno una sola mammella aneu mazou; gli Albani che
nascono dalle nevi perenni coi capelli bianchi (albo crine); gli Hunni
detti poi Avari dal nome del loro re; la Trojanorum gens, detta prima
Dardana dal nome del re Dardano, mentre l’altro nome è dovuto al suo
nipote Tros; i Galati o Galli detti poi Gallograeci in quanto si
mescolarono alle popolazione greche della Bitinia.
Il secondo gruppo comprende le popolazioni della penisola greca:
i Graeci, così detti dal re Greco, mentre prima Thessali da Tessalo e
originari della Tessaglia; i Lapithae da Lapita figlia di Apollo; i
Sicyonii dal re Siconio, detti prima Aegialei dal nome del loro primo
re Agialeo da cui anche Agialea, antico nome del Peloponneso da
34
PL 111 439 B-443 C. Per il riferimento esatto ai luoghi geografici cfr. XII, 4, PL
111 347 D-351 B.
35
Cfr. PL 111 439 B- 445 B con PL 82 333 C-341 C.
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Pelope, o Arcades da Arcade, figlio di Giove e Callisto; i Danai da
Danao o Argivi dal capostipite Argo; gli Achaei da Acheo figlio di
Giove detti anche Pelasgi da Pelasgo figlio di Giove e Larissa; i
Myrmidones dai compagni di Achille astuti come formiche
(myrmeces) 36 oppure dal re Mirmidone figlio di Giove ed Eurimedusa;
gli Attici da Attis figlia di Cranao che diede nome sia al popolo che
alla regione degli Athenienses, detti anche Ioni da Ione; i Macedones
detti prima Emathii dal re Emazio; gli Epirothae detti prima Pyrrhidae
da Pirro figlio di Apollo; i Dori da Doro figlio di Nettuno e Elope; i
Lacedaemones da Lacedemone figlio di Semele; gli Spartani detti
anche Parthenii perché figli di donne non sposate; i Thraces da Tiras
figlio di Iafet 37, detti anche truces dai pagani in seguito ai loro
costumi; la Istrorum gens dal fiume Istro o Danubio.
Per quanto riguarda i popoli della penisola italica troviamo: i
Romani così detti da Romolo che diede nome anche alla città di
Roma, chiamati prima Saturnii da Saturno e Latini da Latino re
d’Italia e Quirites dal nome di Quirino attribuito a Romolo che usava
la lancia, detta in sabino quiris; Itali, Sabini, Sicani o Sicilienses dai
tre fratelli Italo, Sabino e Sicano che diedero il nome anche alle
regioni Italia, Sabina e Sicania; i Tusci dalle cerimonie sacre
coll’incenso (apo tou thuein); gli Umbri, popolazione dell’Italia
centrale che si dice essere sopravvissuta al diluvio o ombrious; i Marsi
36
Occorre qui tenere presente che Giove, per ingannare Eurimedusa di cui si era
innamorato, si trasformò in formica.
37
Gen. X, 2
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da Marsia compagno di Bacco, detti dai Greci Usci in quanto
possessori di serpenti (ophiuchos).
Giungiamo così alle genti che popolano i territori pressappoco
dell’Europa centro-orientale, a partire da quelle più ad est; i Gothi,
così chiamati da Magog figlio di Iafet 38 in base alla somiglianza
dell’ultima sillaba del nome, detti dagli antichi anche Geti, uomini
robustissimi e dalla grande mole corporea; i Daci o Dagi perché
discendono dai Geti; i Bessi dalla moltitudine dei buoi; i Gipedes dal
loro
combattimento
a
piedi
(pedestri
proelio);
i
Sarmatae
dall’esercizio delle armi (studium armorum); gli Alani dal fiume Lano
che si trova oltre il Danubio; gli Alemani dal lago Lemano; i
Longobardi dalla barba intonsa; i Vandali dal fiume Vindalico che
nasce nella parte estrema della Gallia; le Germaniae gentes che hanno
corpi immani (immania), sono in numero grandissimo (immanes
nationes), dall’animo feroce, lo spirito indomito, la vita di rapina e
caccia e nelle quali sono comprese tribù diverse per costumi, lingue e
nomi come i Tolleraces, Amsivari, Quadi, Tungri, Marcomanni,
Bruteri, Camasi, Blangioni e Ubantes dalle etimologie incerte, ma da
cui si evince la loro barbarie; i Suevi dal monte Suevo ai confini
orientali della Germania; i Burgundiores dal nome dei villaggi
(burgos) che costruirono; la Saxonum gens che deve il suo nome
all’essere di tempra dura e robustissima (durum et validissimum
genus) 39.
38
Cfr. nota precedente.
Per tutti questi nomi cfr. Isidoro PL 82 337 D-338 A dove si trovano significative
varianti.
39
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Per quanto riguarda l’Europa centro-occidentale, comprendendo
anche le isole britanniche, abbiamo: i Franci, così detti dal nome del
proprio condottiero 40 o, secondo altri, dalla barbarie (a feritate) dei
loro costumi; i Britones 41 dal loro essere incivili (bruti); gli Scoti dal
nome che assume nella lingua il corpo che viene da loro tatuato di
immagini e figure varie con punte di ferro e inchiostro; i Galli dal
candore latteo del corpo in quanto gala, tradotto dal greco, significa
“latte” 42; i Galli Senones, detti anticamente Xenones poiché ospitarono
Bacco 43.
Concludendo Rabano elenca i popoli dell’Europa più occidentale,
ovvero della penisola iberica, partendo da oriente: i Vaccaei dalla città
fortificata di Vacca presso i Pirenei, detti anche Vaccones o, mutata la
c in s, Vascones che prima della città popolavano le montagne, gli
Hispani detti prima Iberi dal fiume Ibero (Ebro) poi Hispani da
Ispalo; i Galleci che hanno la stessa etimologia ex causa dei Galli e
sono i più bianchi di pelle tra le popolazioni ispaniche; gli Astures dal
fiume Astura; i Cantabri dal nome della città 44 e del fiume Ebro
presso il quale abitano; i Celtiberi dai Galli detti Celtici, da cui
discendono e dal e dal fiume Ebro.
40
Non è specificato il suo nome.
XII, 5, PL 111 354 A-354 B.
42
Rabano, seguendo il modello isidoriano, inserisce a questo punto un inciso dove
spiega che a seconda della diversità del carattere del clima variano l’aspetto
dell’uomo, il colore della pelle, le dimensioni del corpo e i costumi del popolo, per
cui troviamo nei Romani la gravità, nei Greci la dolcezza, negli Africani la pelle
scura, nei Galli la natura feroce e l’ingegno più acuto.
43
Hospitium corrisponde al greco xenon.
44
Dovrebbe trattarsi della regione della regione della Cantabria.
41
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6. L’Africa 45.
Anche per questo continente il procedimento di analisi non cambia,
in quanto Rabano inizia l’esposizione partendo dai popoli più
orientali, con l’ovvia esclusione degli abitanti dell’Egitto che viene
collocato in Asia. Tuttavia la scarsa conoscenza dell’Africa,
caratteristica comune alla geografia antica e a quella medioevale, fa sì
che non si possa seguire una traccia precisa in questa direzione. Per
quanto riguarda l’Africa settentrionale lo schema è facilmente
costruibile, a differenza delle regioni, mentre per i popoli meridionali
che si collocano variamente nell’Aethiopia non vi è più una chiara
collocazione geografica, come accade invece nell’esposizione delle
regioni africane. In base a questa premessa mi sembra quindi utile
dividere in due parti l’enumerazione, pur continuando a seguire
l’ordine espositivo di Rabano.
Nell’Africa settentrionale troviamo: gli Afri, così detti da Afer 46
discendente di Abramo da cui anche il nome Africa; i Poeni o
Carthaginienses dai Fenici (a Phoenicibus) detti anche Tyrii dalla
città di Tiro da dove partirono per giungere sulla costa africana; i
Getuli dal nome dei Geti da cui discendevano; i Numidi discendenti
dai Persiani che devono il nome nella loro lingua al fatto di essere
senza fissa dimora ed erranti (sine oppido vagi et et errantes); i Mauri
nati dalla fusione di Medi e Libi, così chiamati dai Greci in seguito al
45
Per la corrispondenza con i luoghi geografici, cfr. XII, 4, PL 111 351 B-353 B.
L’Africa fu posseduta prima dai Libyes, poi dagli Afri (che le diedero il nome), dai
Getuli dai Mauri e dai Numidi.
46
Gen. XXV, 4.
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colore scuro (mauron) della loro pelle; i Massylii dalla città di
Massilia, non lontano dal monte Atlante e dal giardino delle Esperidi.
A questo punto ci spostiamo in un territorio vagamente definibile
come Africa interiore o Africa meridionale, dove troviamo un’Etiopia
che si estende dal Nilo all’Oceano meridionale e popoli che vagano in
questi territori: i Gaulalii dall’isola di Gauloe presso l’Etiopia; i
Garamantes dal nome del re Garamante figlio di Apollo che fondò la
città di Garama (Gherma); gli Hesperii che abitano la Hesperia o
Hispania; gli Aethiopes che discendono dal figlio di Cam Cus detto in
ebraico Aethiops 47. Di questi ultimi Rabano spiega che, provenendo
dal Nilo, si insediarono nel territorio confinante con l’Egitto e
compreso tra il Nilo e l’Oceano meridionale oltre l’equatore. Sono
inoltre composti dagli Hesperii che vivono in occidente, i Garamantes
in Tripolitania e gli Indi ad oriente. Quella di Aethiops diventa allora
una denominazione che indica il ceppo comune a più popoli la cui
terra originaria, l’India, si trova in Asia.
Subito dopo troviamo altre genti d’Etiopia di cui però non è
specificata né la collocazione geografica né la parentela con le
sopracitate: i Troglodytae 48, chiamati così per la loro grande velocità
che consente loro di raggiungere a piedi gli animali selvatici; i
Panfagii il cui cibo è tutto ciò che è commestibile e tutto ciò che nasce
spontaneamente.
47
Gen. X, 6.
L’etimologia non corrisponde a quella consueta di “abitatori di caverne”, ma cfr.
Isidoro, PL 82 341 A. Le seguenti etimologie di matrice greca non lasciano dubbi:
“mangiatori di ogni cosa”, mangiatori di pesci” e “mangiatori di uomini”.
48
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I rimanenti popoli sembrano avvolti da un’aura ancor più favolosa,
per cui non si specifica l’appartenenza ad alcun gruppo, ma vengono
collocati in remote regioni della terra: gli Ichthyophagi che si cibano
solo di pesci e abitano le regioni montane oltre l’India; gli
Antropophagi che si cibano di carne umana e abitano a sud del
territorio del Seri; gli Antipodes la cui etimologia originaria è andata
perduta col passare del tempo, che si ritiene camminino all’opposto
dei nostri piedi, come se fossero sotto terra e da lì calcassero le nostre
orme; i Titanes, robusti e di eccezionale forza, cosi detti apo tes tiseos,
cioè dalla vendetta (ab ultione) che fecero verso gli dei per conto della
madre terra irata verso di loro.
7. Alcune conclusioni
Come abbiamo visto è netta la separazione tra le genti dell’Asia e
quelle dei restanti continenti. Parallelamente a quanto avviene per le
regioni, solo le genti di questo continente possiedono sia
un’etimologia ex diversarum gentium sermone che un significato
allegorico. Tuttavia è interessante notare come Rabano non completi
l’analisi, ma si limiti ad elencare quelle che più da vicino sono
coinvolte nella storia Sacra. A differenza della geografia, è tralasciata
l’analisi di interi popoli. Di molti nomi è individuata l’origine a partire
dai patriarchi o dai loro discendenti, anche se, a differenza di Isidoro,
il prospetto non è completo. In questo modo alcune etimologie ex
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nominum derivatione vengono a coincidere con quelle delle regioni,
come nel caso di Assur che dà il nome sia all’Assiria che agli Assyrii.
Per quanto riguarda la collocazione dei popoli non vi è assoluta
coerenza. Se nella geografia l’Armenia, il territorio delle Amazones e
la Scizia sono collocati decisamente in Asia e precedono l’esposizione
delle regioni bibliche, le corrispondenti popolazioni sembrano trovarsi
in una non meglio specificata zona ai confini tra Asia ed Europa. Non
si trova inoltre in geografia una terra per gli Albani, di cui si dice che
abitino vicino alle Amazones e per gli Hunni, detti poi Avares,
collocati nelle estreme regioni della Meotide. Il dato più interessante è
comunque la separazione tra le popolazioni di origine scitica e quelle
di origine germanica. In geografia i loro territori sono accostati l’uno
all’altro, prima dell’esposizione delle regioni greche, mentre qui le
genti sopraddette sono analizzate separatamente e intervallate dai
popoli greci e italici, anche se non in modo sistematico. Alcune delle
popolazioni scitiche menzionate seguono infatti questi ultimi per
essere poi accostate alle germaniche.
Nulla da segnalare invece per Greci e Italici che trovano
corrispondenza pressoché perfetta in geografia. Dove invece troviamo
difformità è in Francia (o Gallia) le cui popolazioni vanno sotto il
nome di Franci, con un’etimologia ex nominum derivatione non
specificata e di Galli 49, con la più volte vista etimologia ex causa,
mentre in geografia sono esposti i nomi delle sue regioni. Ovviamente
49
La menzione dei Galli Senoni dopo le popolazioni britanniche non mi sembra
aggiunga molto a questo quadro.
281
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in tale circostanza l’esposizione segue quella delle regioni italiche,
mentre qui quella delle popolazioni germaniche.
Le province della Spagna trovano solo in due occasioni trovano
corrispondenza con i popoli che le abitano: la Gallecia abitata dai
Galleci e la Celtiberia, abitata dai Celtiberi. Non figurano popolazioni
che abitino nell’Africa Tingitana, anche se fra le genti d’Africa
vengono citati gli Hesperii.
Per trovare i territori dei britannici occorre risalire al capitolo
dedicato alle isole, tenendo presente che di tutte le rimanenti, eccezion
fatta per la Scozia, non viene qui indicata nessuna popolazione 50.
Dell’Africa occorre precisare che l’Etiopia è geograficamente ben
definita, mentre la moltitudine di popoli che essa ospiterebbe è più al
di là dei suoi confini che al loro interno. Gli ultimi popoli descritti poi
si potrebbero collocare in una sorta di quarto continente, come Rabano
ipotizza per gli Antipodes 51.
Dal punto di vista dell’etimologia possiamo osservare come sia
prevalente quella ex nominum derivatione rispetto a quella ex causa.
Nel primo caso si può notare come i popoli asiatici derivino il nome
quasi tutti (fuorché gli Aegyptii) dai patriarchi biblici, mentre per gli
altri continenti si fa ampio ricorso alla mitologia classica, non senza
l’impiego di qualche etimologia biblica, come nel caso dei Thraces
che discendono da Tiras figlio di Iafet, i Gothi da Magog figlio di
Iafet, gli Afri da Afer discendente di Abramo e gli Aethiopes da da
Cus figlio di Cam. Le etimologie ex causa invece riguarda più
50
51
XII, 5, PL 111 353 C-358 C.
Cfr. PL 111 445 A con PL 82 341 A.
282
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strettamente le popolazioni cosiddette “barbare” di cui nell’Antichità
come nel Medioevo non si aveva una conoscenza precisa, come nel
caso delle popolazione scitiche, germaniche e anche africane.
Per quanto riguarda le corrispondenze tra geografia e popolazione
il numero più alto è raggiunto dai popoli greci e italici con le regioni
dove abitano. Naturalmente ritroviamo questo schema anche in altri
casi, come quello degli Aegyptii in Egitto, gli Armeni in Armenia, i
Thraces in Tracia, i Galli in Gallia, gli Hispani in Spagna, gli Afri in
Africa, i Mauri in Mauritania, i Numidae in Numidia. In geografia
solo una citazione veloce meritano le parti della Germania dette
Alania, Dacia e Gotha, mentre dei popoli rispettivi si parla più
diffusamente. Nessuna menzione si fa dei territori di Avares,
Longobardi, Alemanni, Burgundiones, Vaccaei, Astures, Marsi,
Cantabri e, ovviamente Panfagii, Ichthyophagi, Anthropophagi e
Titanes. Infine possiamo trovare terre senza popoli come Tuscia,
Aquitania, Belgica, Cisalpina (comprese però nella Gallia), Rezia,
Lusitania, Baltica, Tingitana, Bizacena e, come già visto, tutte le isole,
tranne Britannia e Scozia.
Come appare da questo schema parecchie sono le incongruenze tra
geografia e popolazioni, come molte le omissioni reciproche. D’altro
canto non possiamo dimenticare che lo stesso discorso può essere fatto
per Isidoro, ma in questo caso lo schema denota maggiore
completezza. Inoltre non possiamo pretendere dal De rerum naturis
una coerenza che non solo non mostra nelle altre parti, ma nel suo
stesso impianto. A chi voglia approfondire gli argomenti non resta che
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rivolgersi altrove, come lo stesso Rabano consiglia, poiché qui la
brevità dell’opusculum e il principale se non esclusivo fine
edificatorio non consentono di dilungarsi su tali argomenti.
In alcuni casi il nome dei popoli è mutato a locis, a moribus, ex
quibuslibet aliis causis per cui è preclusa la possibilità di scoprire la
loro prima origo, come avviene per gli Antipodes. Certo questo
sembra in contraddizione con quanto detto dell’origine delle genti dai
patriarchi. Tuttavia, a ben guardare, se per i popoli asiatici questi
ultimi sono chiamati in causa, per quelli degli altri continenti non se
ne trovano quasi mai e, anzi, essi vengono sostituiti da capostipiti
mitologici, secondo quanto accade anche per le regioni. Quando poi
non è possibile individuare neppure questi, Rabano ricorre alle
etimologie ex causa, ma qui, per quanto riguarda gli Antipodes, non è
proprio possibile rifarsi alla tradizione che li dipinge come popoli che
camminano a testa in giù. Certo sembra una giustificazione per trattare
solo dei popoli di cui si può fornire un’etimologia, ma il caso degli
Antipodes è quanto mai significativo, come anche la citazione di
popoli semisconosciuti e leggendari senza rapporti con le regioni (una
concessione ai mirabilia?). Resta comunque il fatto che i frammenti di
Babele non si possono ancora ricomporre del tutto e l’etimologia è un
risarcimento solo parziale, mentre il sostegno allegorico non può
sempre essere chiamato in causa.
PAOLO ROSANO
[email protected]
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Bibliografia
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Commentarius in Genesim, PL 107
In honorem sanctae crucis nell’edizione critica a cura di M. Perrin in
CCCM, Brepols, Turnhout, 1997.
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De inventione linguarum, PL 112
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1966 IV-24 pp., trad.it. in Geometria e memoria, Il Mulino, Bologna,
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P. Zumthor, Babele ou l’inachèvement, Paris, Editions du Seuil, 1997,
trad.it.in Babele, Il Mulino, Bologna, 1998.
M. Olender, Le langues du Paradis. Aryen et Sémite: un couple
providentiel, Paris, Edition de Seuil, 1989, trad. it. in Le lingue del
Paradiso. Ariani e Semiti: una coppia provvidenziale, Il Mulino,
Bologna, 1991.
G. Steiner, After Babel. Aspects of language and translation, 1975,
trad.it. in Dopo Babele. Aspetti del linguaggio e della traduzione,
Garzanti, 1994.
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A.Borst, Der Turmbau von Babel, Hiersermann, Stuttgart, 1958.
P. C. Bori, L’interpretazione infinita. L’ermeneutica cristiana antica e
le sue trasformazioni, Il Mulino, Bologna, 1987.
Paul De Lagarde, Onomastica sacra, Gottingen, 1887.
E. Heyse, Hrabanus Maurus Enzyklopaedie ,De rerum naturis’.
Untersuchungen zu der Quellen und Methode der Kompilation,
Muenchen, 1969.
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