La letteratura giovanile: un interessante

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La letteratura giovanile: un interessante
LA
LETTERATURA
GIOVANILE:
UN
INTERESSANTE
LABORATORIO DI RIFLESSIONE TRADUTTOLOGICA
DONATELLA MAZZA
I. Benché negli ultimi decenni la letteratura giovanile si sia
notevolmente emancipata dalla tutela, a tratti davvero opprimente,
degli educatori per rivendicare le sue qualità ‘letterarie’, della sua
traduzione – che pur ha, editorialmente parlando, un’importanza
ragguardevole1 – si parla poco e spesso riproducendo certe confusioni
e certi stereotipi che sono tanto più nocivi, in quanto ostacolano una
corretta impostazione delle specifiche problematiche. Rimasta troppo
a lungo, per così dire a metà strada fra i generi testuali con ambizioni
estetiche e quelli con finalità pratiche (l’educazione, l’istruzione,
l’informazione, il divertimento), la letteratura per i più giovani fatica a
essere
riconosciuta
nelle
sue
specificità
anche
in
ambito
traduttologico, dove il discorso critico e teorico spesso si impantana in
discussioni che tendono ad essere uguali a se stesse e a concentrarsi su
aspetti particolari che, benché importanti nello specifico e certo
interessanti, rischiano di perpetuare il ghetto della letteratura ‘di
genere’ – se va bene – o addirittura della paraletteratura.
1
«Dopo la parentesi del 2005 che, in controtendenza rispetto a un precedente
decennio di prevalenti importazioni, aveva visto le novità ‘made in Italy’ risalire
oltre il 50% (un dato che non si era più verificato dal 1996), il 2006 ristabilisce un
‘primato’ straniero pari al 53,5%, ben più rilevante di quanto si verifica in altri
comparti dell’editoria nazionale» (Bartolini-Pontegobbi 2007: 45).
Studi Linguistici e Filologici Online
ISSN 1724-5230
Volume 6 (2008) – pagg. 99-120
D. Mazza – “La letteratura giovanile: un interessante laboratorio di riflessione
traduttologica”
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La posizione della scrittura per ragazzi in relazione alla letteratura
tout court è un argomento molto interessante e del quale si è molto
discusso, e con ottimi risultati, negli ultimi decenni. Mi limiterò qui a
una sola considerazione, pur nulla volendo togliere alla complessità
delle argomentazioni e all’importanza dei risultati conseguiti, ai quali
sarà anzi necessario rifarsi in un successivo approfondimento. Il
superamento di tradizionali divisioni troppo nette operato, tra l’altro,
nell’ambito dei cosiddetti cultural studies ha molto giovato alla
letteratura giovanile, permettendole di entrare in un confronto
dialettico con la letteratura ‘senza aggettivi’. Oltre a ciò, però, lavori
come quelli di Zohar Shavit (1981; 1986; 1994), che considerano la
letteratura giovanile “in the framework of the semiotics of culture”
(Shavit 1994: p. 11), indicano un approccio che a mio parere non può
fare che bene anche alla riflessione in ambito traduttologico. Infatti,
considerare la letteratura giovanile come un sistema parziale
all’interno di un sistema culturale complesso e polivalente, oltre che a
fornire dei modelli di interpretazione che tengano conto della
complessità e che analizzino le reciproche interazioni, permette di
avere a che fare con grandezze correlate e comparabili, essendo anche
la traduzione un aspetto specifico e parziale del polisistema letterario.
La traduzione non sarà più quindi un qualcosa di esterno, tutt’al più di
complementare, nel processo che definisce il grado di vicinanza o di
lontananza dal centro del polisistema, divenendo invece una
qualificazione necessaria e significativa2. Come e anzi molto di più
2
«L’ipotesi del polisistema può incrementare la nostra conoscenza non solo perché
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che per la letteratura in generale, nelle riflessioni sulla letteratura
giovanile di traduzione si parla pochissimo, quasi per niente. Si dà per
scontato che un dato testo venga tradotto perché ‘adatto’ al lettore, o
nella migliore delle ipotesi perché si pensa possa piacergli (e magari
educarlo in senso più o meno ampio)3 e semmai lo si considera
criticamente da tale punto di vista. Questa fissazione sul destinatario
(ipotetico) oscura invece i meccanismi più generali di correlazione
che, secondo Even-Zohar, si esplicitano in almeno due direzioni:
a) nel modo in cui esse [le opere tradotte] sono selezionate dalla letteratura di
arrivo, i principi di selezione non essendo mai incorrelabili con i co-sistemi
della stessa letteratura di arrivo (per porlo nel modo più moderato); b) nel modo
in cui esse adottano specifiche norme, comportamenti e linee di condotta che
sono il risultato delle loro relazioni con gli altri co-sistemi. (Even-Zohar 1978:
227).
Pensando alla letteratura giovanile in traduzione si deve tenere quindi
conto di un doppio – anzi triplo – canale relazionale: uno con il
ci mette in grado di osservare le relazioni laddove difficilmente erano state cercate
in precedenza, ma perché aiuta a spiegare il meccanismo di tali relazioni, e di
conseguenza la posizione specifica e il ruolo dei generi letterari nell’esistenza
storica della letteratura» (Even-Zohar 1978: 228).
3
Quanto invece gli autori stranieri tradotti abbiano contribuito alla formazione, ad
esempio, della letteratura giovanile italiana, si può notare sfogliando le pagine di La
letteratura per l’infanzia di Pino Boero e Carmine De Luca, in cui si cerca
«soprattutto, di precisarne l’influenza sugli autori italiani» o di leggere «in
trasparenza il loro successo di pubblico. Tale criterio è stato adottato in funzione
dell’idea che l’insieme di opere tradotte costituisce, all’interno del generale sistema
letterario italiano, un sottosistema con un proprio sviluppo storico e un’articolata
varietà interna. Se attentamente indagato, svela tendenze culturali, aperture e
chiusure, suggestioni, intolleranze e rifiuti che via via hanno caratterizzato la storia
culturale» (Boero-De Luca 1995: IX s.).
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sottosistema nazionale di letteratura scritta per i più giovani e, insieme
a questo, un altro con il polisistema ‘letteratura’ nel suo complesso;
ma sarebbe interessante e certo ricca di spunti di riflessione anche
l’indagine del suo rapporto con il sottosistema della traduzione di
letteratura non giovanile. In quest’ottica, l’accenno ai principi di
selezione è tanto più importante per la letteratura giovanile, in cui essi
sono spesso ipotecati da esigenze platealmente estranee. D’altronde
se, anche come conseguenza di ciò, la traduzione di letteratura
giovanile viene in generale considerata ‘più facile’ e quindi già di per
sé meno ‘prestigiosa’, con tutte le conseguenze pratiche che ne
conseguono, negli ultimi decenni si è verificato in questo ambito, più
frequentemente che in quello letterario tout court, che a tradurre siano
autori affermati e riconosciuti di libri per giovani. Quanto e come
queste due figure ‘estreme’ di traduttore – il giovane alle prime armi e
lo scrittore – influenzino le concrete dinamiche della traduzione di
letteratura giovanile e cosa ciò significhi a livello di sistema
complessivo dovrà essere oggetto di studi futuri.
Prima di parlare di traduzione di letteratura giovanile sono
necessarie, a mio avviso, alcune precisazioni. Eliminerei innanzi tutto
completamente da una discussione metodologica sulla traduzione di
letteratura giovanile le ‘forme particolari della traduzione’4 quali
riscritture e rielaborazioni, se non – quando interessa – in una
4
Ad es. KOLLER (1987: 89) che pur non comprendendole nella traduzione in senso
proprio, afferma che «hanno una loro posizione nella storia della traduzione, e
nell’ambito di determinati generi testuali tradotti – ad esempio traduzione di libri per
bambini – possono e devono essere considerate in un discorso sulla scienza della
traduzione».
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prospettiva storica, che considerasse cioè il dato di fatto che tali
rifacimenti sono stati per lungo tempo un modus operandi accettato e
diffuso di produzione di letteratura giovanile (Schreiber 1993). Lo
stesso vale per quelli fra i cosiddetti classici che, non essendo stati
scritti per un pubblico giovane, per essere tradotti necessitano un
cospicuo intervento sul testo5: anche questi sono interessanti da un
punto di vista critico e storico, per valutare cosa e come si è di volta in
volta ritenuto desiderabile che i più giovani leggessero; non essendo
tuttavia vere traduzioni, difficilmente potranno dare delle informazioni
davvero
interessanti
a
livello
di
problemi
linguistici
della
trasposizione e di soluzioni messe a punto al fine di ottenere il miglior
trasfer linguistico e culturale. Diverso, invece, il caso dei ‘classici’
nati e pensati per i ragazzi, i quali si caratterizzano spesso in modo
marcato e determinante per il fatto di indirizzarsi sia al pubblico dei
giovani che a quello degli adulti. Se questa è in fondo una
caratteristica peculiare di tutta la letteratura giovanile, che ha in
molteplici figure di adulto altrettanti mediatori pronti a simulare o
valutare l’orizzonte di attesa e comprensione del lettore6, alcuni testi
presentano in sé più piani di lettura (Grenz 1990)7. Piani che sono
però – e questo è l’aspetto che ci interessa più da vicino – codificati
nel testo, nella sua lingua e nelle sue strutture, ovvero nel materiale da
cui ogni traduttore deve partire per le sue analisi e la riformulazione in
L2 (Reiss 1990).
5
Un tipico esempio sono i Gulliver’s Travels.
Lo stesso traduttore, anch’esso adulto, rappresenta un simile imprescindibile filtro.
7
Esempio addirittura prototipico è Alice in Wonderland. Su Winnie the Pooh cfr.
O’SULLIVAN (1994).
6
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Dal punto di vista traduttologico ogni considerazione sulla maturità
del lettore, così come la vivace discussione su cosa sia la letteratura
giovanile interessano nella misura in cui hanno ripercussioni dirette su
T1 e, in relazione a ciò, su T2, nella misura in cui, cioè, vengono
coinvolte in una “analisi rilevante dal punto di vista della traduzione”
(Hönig 1986: 233). Dalla nostra prospettiva traduttologica, questo
porta con sé una decisa riduzione dell’importanza attribuita alle
considerazioni pedagogiche, le quali hanno spesso costituito, a mio
parere, un vero ostacolo alla formulazione di considerazioni più
direttamente concernenti il testo e il transfer culturale e linguistico
insito in ogni atto traduttivo.
II. Seguendo il consiglio di Katharina Reiss, la quale sostiene che non
appena si abbandona il piano delle riflessioni puramente teoretiche si
deve procedere e argomentare in maniera strettamente contrastiva in
riferimento a una specifica coppia di lingue (Reiss 1995: 73),
consideriamo ora alcuni esempi particolarmente significativi che, nella
loro diversità, ci possono aiutare a mettere in rilievo sia la faccia
‘singola’ – le concrete scelte traduttive – che quella ‘polisistemica’
della nostra medaglia. Non sarà possibile, in questa sede, fare
un’analisi dettagliata del testo in traduzione italiana, né tanto meno
dire se e quanto vada perso rispetto all’originale: sono compiti di un
futuro lavoro di critica storica della traduzione di letteratura giovanile,
la quale peraltro potrà elaborare dati significativi solo riferendosi a un
preciso quadro di riferimento teorico.
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Il primo brano è l’incipit del romanzo Erzähler der Nacht di Rafik
Schami, autore siriano che da anni ha scelto la Germania come sua
patria d’elezione e la lingua tedesca come medium della sua opera
letteraria, assurta in tempi recenti a grande successo anche da noi.
Wie der Kutscher Salim sitzend zu seinen Geschichten kam und sie unendlich lang
frisch halten konnte.
Es ist schon eine seltsame Geschichte: Der Kutscher Salim wurde stumm. Wäre sie
nicht vor meinen Augen geschehen, ich hätte sie für übertrieben gehalten. Sie
begann im August 1959 im alten Viertel von Damaskus. Wollte ich eine ähnlich
unglaubliche Geschichte erfinden, so wäre Damaskus der beste Ort dafür.
Nirgendwo anders als in Damaskus könnte sie spielen.
Unter den Einwohnern von Damaskus gab es zu jener Zeit seltsame Menschen.
Wen wundert das bei einer alten Stadt? Man sagt, wenn eine Stadt über tausend
Jahre
ununterbrochen
bewohnt
bleibt,
versieht
sie
ihre
Einwohner
mit
Merkwürdigkeiten, die sich in den vergangenen Epochen angesammelt haben.
Damaskus blickt sogar auf ein paar tausend Jahre zurück. Da kann man sich
vorstellen, was für sonderbare Menschen in den verwinkelten Gassen dieser Stadt
herumlaufen. Der alte Kutscher Salim war der merkwürdigste unter ihnen. Er war
klein und schmächtig [...] (Schami 1989: 5).
Come il cocchiere Salim cominciò a narrare storie fantastiche volando sulle ali
della fantasia, e di come la sua vena fosse inesauribile.
La storia più incredibile che abbia mai sentito è quella del cocchiere Salim, che
perse la parola. E se non l’avessi visto con i miei occhi, non ci avrei mai creduto.
Tutto cominciò nell’agosto del 1959, in uno dei quartieri più vecchi di Damasco.
Ero alla ricerca di una storia fantastica e sensazionale, ed ero certo che là avrei
potuto trovarla, perché in nessun luogo si sanno raccontare le storie, come in questa
città.
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Un tempo, infatti, a Damasco viveva gente bizzarra: cosa del tutto naturale, visto
che stiamo parlando di una città molto, molto antica. Andare a Damasco è come
tornare indietro nel tempo di duecento anni almeno. Ecco perché i vicoli pullulano di
strani personaggi. E il cocchiere Salim era uno di loro. Piccolo e mingherlino [...]
(Schami 1993: 5).
Non basta, in casi come questo, dire che si tratta di una brutta
traduzione. La versione italiana presenta interventi a tutti i livelli e la
maggior parte di essi non trova giustificazione in qualsivoglia
operazione di decodifica e ricodifica di T1 in T2. Interi segmenti di
testo vengono modificati profondamente senza che si possa intuire il
senso globale di simili operazioni: già solo nelle prime righe vengono
completamente stravolte sia la prospettiva narrativa (la figura dell’Io
narrante è intaccata tanto nella sua caratterizzazione, quanto nella sua
funzione metanarrativa parte di una struttura molto complessa), sia la
sua collocazione geografica e culturale (la descrizione di Damasco,
oltre che sciocca, è culturalmente al limite dell’offensivo). Né pare si
possa pensare a valutazioni particolari (pedagogiche? cognitive?) del
ricevente, se non a un generico atteggiamento di semplificazione di
concetti e piani del discorso, che però stupisce, se si considera che il
romanzo è accolto in una collana per “lettori esigenti” dagli 11 ai 14
anni. Non viene rispettata la struttura concettuale degli enunciati: ad
esempio ‘uno dei quartieri più vecchi di Damasco’ non è la stessa cosa
di im alten Viertel von Damaskus, dove il ‘quartiere vecchio’ è
un’indicazione topografica e socio-culturale ben precisa, diversa dalla
sola antichità del quartiere. Tanto meno viene riconosciuta la struttura
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linguistica: si vedano già solo il titolo del capitolo, in cui il secco
gerundio sitzend8 – una forma verbale non usuale in tedesco – viene
completamente stravolto, oppure il sapiente incipit dell’originale (Es
ist schon eine seltsame Geschichte), che introduce in modo quasi
rituale nel mondo della narrazione, annullato in una inutile iperbole.
Ma al di là dei singoli rilievi, ciò che qui viene completamente
distrutto è il tessuto linguistico di cui vive il testo. L’opera scelta
quale esempio è particolarmente pregnante e significativa anche in
quanto si tratta di un testo e di un autore assolutamente peculiari. Pur
scrivendo in tedesco, Rafik Schami, che si definisce orgogliosamente
un ‘narratore orale’9, non dimentica affatto la sua cultura e il
particolare colorito della sua lingua materna, ma al contrario li innesta
profondamente nella struttura linguistica di arrivo, facendo qualcosa
di ben diverso dall’usare un codice linguistico occidentale per
raccontare dei contenuti orientali (Mazza 2000).
Si tratta di un esempio al limite, che per il numero di interventi e
per la loro pesantezza potrebbe quasi essere considerato una
rielaborazione, piuttosto che una traduzione vera e propria. Essendo
uscito in una collana altrimenti attenta e tesa a proporre narrativa
contemporanea di buon livello e impegno, stupisce tanto accanimento
8
Salim è un cocchiere che per rendere meno gravose a sé e ai suoi viaggiatori le
lunghe ore attraverso il deserto racconta e si fa raccontare storie.
9
Né Schami si considera uno scrittore per ragazzi. Anche il polisistema letterario
tedesco ha faticato ad accettare questa sua posizione anomala e infatti sia Erzähler
der Nacht che Der ehrliche Lügner sono stati pubblicati da una nota casa editrice del
settore, ma coraggiosa e innovativa, che ha proposto le due opere fuori collana,
quasi a segnalarne lo status particolare. Attualmente i due titoli compaiono anche – e
senza specificazioni di sorta – nel catalogo dell’editore DTV
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sul testo, la cui originale commistione di reale e fantastico avrebbe
certo figurato molto meglio rispetto a questa versione ridotta a clichè
fiabesco.
Un secondo esempio, di tipo molto diverso, ci permette di fare
ulteriori considerazioni. Si tratta di Der Rabe Alfons di Erwin Moser,
un noto scrittore per l’infanzia tedesco, reso in italiano da una
traduttrice di grande esperienza:
I. Kapitel: Moldovan, der Zauberer
Da ist einmal ein Rabe gewesen, der hat Alfons geheißen. Der Alfons war gar nicht
glücklich mit sich. Er hat nämlich nicht gut fliegen können. Das heißt, ihm hätten
seine Flugkünste schon genügt, aber den anderen Raben von seinem Schwarm war
er viel zu langsam.
Sie waren sieben Raben, wie sie spät im Herbst von den Ländern im Osten
weggeflogen sind. Zu wärmeren Gegenden waren sie unterwegs, und dieser Flug hat
viele Wochen lang gedauert. Der Alfons war immer hintennach. [...]
Also gut, die Raben haben ihm viel Glück gewünscht und sind weitergeflogen.
Der Alfons ist auf dem Baum sitzengeblieben und hat ihnen nachgeschaut.
In der Nähe von dem Baum ist ein Dorf gewesen. Ein kleines Dorf mit
schilfgedeckten Häusern, und aus den Rauchfängen ist der Rauch aufgestiegen, denn
die Leute haben alle eingeheizt gehabt.
Wie der Alfons das gesehen hat, hat er sich gedacht: Die Menschen haben es gut,
die brauchen nicht wegzufliegen, wenn der Winter kommt. (Moser 1990a: 9 sgg).
Capitolo primo: Il mago Moldovan
C’era una volta un corvo di nome Alfonso. Alfonso si sentiva alquanto infelice
perché faticava a volare. Sbatteva le ali con destrezza, ma era troppo lento rispetto
agli altri corvi del suo stormo.
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Un giorno d’autunno inoltrato, in sette avevano deciso di migrare verso paesi più
caldi. Erano in volo ormai da molte settimane e Alfonso era sempre l’ultimo. [...] Gli
altri corvi gli augurarono buona fortuna e proseguirono in volo. Alfonso rimase
appollaiato sull’albero e li seguì con lo sguardo mentre si allontanavano.
Nelle vicinanze si trovava un piccolo villaggio con i tetti coperti di canne. In
tutte le case le stufe erano accese e dai comignoli si vedeva uscire il fumo.
“Come sono fortunati gli uomini!” pensò Alfonso vedendo il fumo. “Loro non
sono costretti a migrare in terre lontane quando arriva l’inverno.” (Moser 1990 b:
7sgg.).
Anche – e tanto più – in questo caso, non si tratta di decretare se la
traduzione sia ‘buona’ o meno, quanto piuttosto di capire le ragioni
che stanno alla base di una strategia traduttiva che, pur producendo un
risultato apprezzabile in quanto a leggibilità e godibilità, allontana
nettamente T2 dall’originale. In tutto il testo, come è evidente anche
dal brano citato, il plot è assolutamente rispettato, mentre
l’atteggiamento
linguistico
e
comunicativo
no.
Il
registro
marcatamente orale di T1 assume in T2 l’andamento e i tratti tipici
della narrazione fiabesca tradizionale. Si noti innanzi tutto l’uso del
passato prossimo, che viene tenuto per tutto il racconto e si insinua
anche nella formula fiabesca iniziale (Es ist einmal... gewesen, invece
del tradizionale Es war einmal). Nell’originale la voluta scelta di un
registro della narrazione orale all’interno di un gioco di rimandi al
linguaggio tradizionale della fiaba è ribadita, ad esempio, dalla ‘falsa
relativa’ immediatamente seguente, ...Rabe, der hat Alfons geheißen,
in cui il verbo, che nella secondaria tedesca va all’ultimo posto, viene
anticipato, una struttura tipicamente usata nelle fiabe dei fratelli
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Grimm come marca dell’oralità (Ravetto 2006). Si vedano inoltre
l’uso dell’articolo determinativo prima del nome proprio (der Alfons),
la cui valenza è simile a quella dell’italiano, e l’uso delle particelle
discorsive, su cui si confrontino ad esempio i due incipit:
Da ist einmal ein Rabe gewesen, der hat Alfons geheißen. Der Alfons war gar
nicht glücklich mit sich. Er hat nämlich nicht gut fliegen können.
C’era una volta un corvo di nome Alfonso. Alfonso si sentiva alquanto infelice
perché faticava a volare.
Le ragioni individuali che possono essere alla base di simili
cambiamenti ci interessano poco, né si tratta di interventi inferenziali
o di rielaborazione che abbiano in qualche modo a che fare con
preoccupazioni pedagogiche, ad esempio che si sia ritenuto il giovane
lettore italiano meno ‘attrezzato’ di quello tedesco per comprendere la
marcatura
testuale,
o
considerato
addirittura
disdicevole
un
atteggiamento comunicativo simile all’interno di una ‘buona lettura’.
Più semplicemente è probabile che la struttura linguistica del romanzo
sia stata giudicata non consona agli stilemi accettati del sottosistema
letteratura giovanile italiana, per una specie di tabù simile a quello
che ha imposto alla traduttrice di Schami di trasformare il
concretissimo Wie der Kutscher Salim sitzend zu seinen Geschichten
kam in ‘Come il cocchiere Salim cominciò a narrare storie fantastiche
volando sulle ali della fantasia’, costringendo in una dimensione
fantastica stereotipata la visione quasi antropologica del narrare che
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caratterizza l’originale. Anche la vicenda del corvo che diventa uomo
e del mago che diventa corvo viene chiusa entro i limiti di una veste
narrativa decisamente sapiente e abile, ma molto tradizionale.
Il terzo esempio è tratto dal romanzo di Otfried Preußler Krabat:
Krabat tappte ein Stück durch den Wald wie ein Blinder im Nebel, dann stieß er auf
eine Lichtung. Als er sich anschickte unter den Bäumen hervorzutreten, riss das
Gewölk auf, der Mond kam zum Vorschein, alles war plötzlich in kaltes Licht
getaucht.
Jetzt sah Krabat die Mühle.
Da lag sie vor ihm, in den Schnee geduckt, dunkel, bedrohlich, ein mächtiges
böses Tier, das auf Beute lauert.
„Niemand zwingt mich dazu, dass ich hingehe“, dachte Krabat. Dann schalt er
sich einen Hasenfuß, nahm seinen Mut zusammen und trat aus dem Waldesschatten
ins Freie. Beherzt schritt er auf die Mühle zu, fand die Haustür verschlossen und
klopfte.
Er klopfte einmal, er klopfte zweimal: Nichts rührte sich drinnen. Kein Hund
schlug an, keine Treppe knarrte, kein Schlüsselbund rasselte – nichts. Krabat klopfte
ein drittes Mal, dass ihn die Knöckel schmerzten (Preussler 1981: 14).
Per un tratto Krabat andò a tastoni nel bosco come un cieco nella nebbia, quindi
giunse a una radura. Mentre si accingeva ad avanzare tra gli alberi, le nubi si
squarciarono: si affacciò la luna e all’improvviso tutto fu immerso nella sua luce
fredda.
In quel momento Krabat vide il mulino.
Stava davanti a lui, acquattato nella neve, scuro, minaccioso, come un possente
animale che apposti con ira la preda.
“Nessuno mi obbliga ad andarci”, pensò Krabat. Poi si rimproverò la sua
codardia, si fece animo e uscì dall’ombra del bosco all’aperto. Si diresse impavido
verso il mulino, trovò la porta d’ingresso chiusa e bussò.
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Bussò una volta, bussò due volte, dentro non si udiva nulla. Né il latrato di un
cane, né lo scricchiolio di una scala, né il clangore di un mazzo di chiavi ... nulla.
Krabat bussò una terza volta così forte da farsi male alle nocche (Preussler 1989:13).
La traduzione, in questo brano come in tutto il testo, è accurata e non
presenta interventi ingiustificati o particolarmente invasivi. Nella
scelta lessicale si nota però una tendenza a preferire un registro più
elevato, più letterario, con il risultato di produrre una nota dissonante
rispetto alla prospettiva narrativa originale, incentrata sul protagonista
Krabat, un semplice apprendista girovago. Ad esempio ... dann stieß
er auf eine Lichtung è ancora tutto interno allo sguardo di Krabat che
avanza a tastoni nel bosco senza sapere dove sta andando, mentre
‘giunse’ dà una connotazione narrativa decisamente esterna. Lo stesso
dicasi per ‘si accingeva’ (als er sich anschickte), ‘si rimproverò la sua
codardia, si fece animo e uscì’ (dann schalt er sich einen Hasenfuß,
nahm seinen Mut zusammen und trat aus), ‘il clangore’ (rasseln), il
cui registro marcatamente narrativo e letterario toglie in parte al
racconto la sua immediatezza.
Piuttosto che limitarsi a puntare il dito sul ‘traduttore-traditore’,
credo sia più proficuo chiedersi se tali interventi non abbiano una loro
ragione d’essere nel rapporto fra sistemi e sottosistemi letterari
rispettivamente italiano e tedesco. Si tratta di un ambito di riflessione
molto vasto, per affrontare il quale è necessaria la raccolta di un
corposo materiale documentario.
Ma si può intanto iniziare a
circoscrivere il problema. Rifletteva Italo Calvino nell’introduzione
alla sua raccolta di fiabe italiane:
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E il genere ‘fiaba’, mentre da parte degli studiosi veniva confinato
in dotte monografie, tra gli scrittori e i poeti non conobbe da noi la
voga romantica che percorse l’Europa da Tieck a Puškin, ma divenne
dominio degli autori di libri per bambini, con per maestro il Collodi,
che aveva derivato il gusto fiabistico dai contes des fées settecenteschi
francesi. [...] Ma la gran raccolta delle fiabe popolari di tutta Italia,
che sia anche libro piacevole da leggere, popolare per destinazione e
non solo per fonte, non l’abbiamo avuto (Calvino 1975: 10 sg.).
I tre brani citati, che potrebbero essere molti di più, esemplificano
un disagio, che si trasforma in un eccesso di conservatorismo, della
letteratura giovanile italiana nei confronti di certi tratti sperimentali e
non riconducibili a uno schema attestato di scrittura per i più giovani.
Non di tutta la letteratura giovanile italiana, naturalmente, la quale
negli ultimi decenni ha anzi dimostrato una vitalità e una creatività
notevoli, ma – e questa è l’ipotesi di fondo che andrà comprovata da
un ben più vasto corpus di analisi – in ambito di quella tradotta sì.
Invece di accontentarsi di spiegazioni singole e particolaristiche, si
tratta quindi di analizzare questi fenomeni come possibili linee di
tendenza, ovvero di riflettere sul rapporto fra le concrete realizzazioni
e le possibilità ammesse dal sistema. Perché le scelte del singolo
traduttore dipendono in ultima analisi dalla sua sensibilità, ma si
radicano ben oltre la sua singolarità.
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Un esempio di direzione inversa ci può aiutare a puntualizzare meglio
il nocciolo del problema. In Italia Gianni Rodari è un ‘classico’, una
pietra miliare della letteratura per bambini al quale va in ogni caso
fatto riferimento per qualsiasi discorso storico-critico. La sua fortuna
in traduzione tedesca, invece, sicuramente non corrisponde alla
posizione italiana della sua opera, la quale “non poteva capitare
nell’area linguistica tedesca in un momento peggiore” (Rossi 2002:
126) a causa, fra l’altro, della divisione fra Est e Ovest. Gli interventi
operati sui testi tendono a ridurre Rodari a “un produttore di favole e
storielle per consumatori-bambini da addormentare alla sera
leggendogli qualche paginetta quieta e rasserenante e che, per carità,
non facesse sorgere uno di quei fastidiosi ‘perché?’” Ma negli anni
’60 e ’70 Rodari godette di una buona diffusione sul mercato
tedesco10, a dispetto di traduzioni che tagliano, accorciano e scorciano.
Sono anni in cui la letteratura giovanile tedesca è tutt’altro che
stagnante e ripiegata su tranquillizzanti schemi di scrittura giovanile.
Triste destino per un autore che aveva fatto della lingua e della
grammatica ‘fantastica’ un punto di forza del suo messaggio11, ma, al
10
Cfr. ROSSI (2002: 152, nota 10), che parla di otto edizioni fra il 1964 e il 1984
per le Gutenachtgeschichten am Telefon (per un totale di 41.000 copie) nella BRD e
di dieci edizioni fra il 1954 e il 1972 per Zwibelchen nella DDR. L’articolo di Rossi
si basa sulla tesi di laurea di GAZLIG (1996).
11
„Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla
sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la
ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore. [...] Non
diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di
profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua
caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che
interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio e che è complicato dal
fatto che la stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene
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di là del giusto rammarico, è interessante far dialogare le traduzioni
fatte ad est e quelle fatte ad ovest non solo con l’originale, quanto
piuttosto anche fra loro e con i relativi polisistemi letterari e culturali
di riferimento.
III.
Una scienza della traduzione che, parlando di letteratura
giovanile, voglia andare al di là della disamina di singoli testi o
specifiche soluzioni traduttive deve allargarsi a quei “patterns of
behavior”
(Shavit
1981:
171)
comuni
che
ne
evidenziano
l’‘affiliazione’ al sistema letterario più ampio. E’ in questa prospettiva
che si potrà far riferimento anche al raffinato quadro teorico cui è
giunta negli ultimi decenni la discussione sulla specificità della
letteratura giovanile, senza perdere di vista il proprio punto di
partenza e i propri interessi precipui. Anche perché la letteratura per i
giovani, con i suoi libri scritti in un linguaggio fortemente evocativo,
lirico o ancora vicino a modelli ‘arcaici’ della narrazione (fiabe, testi
poetici, albi illustrati, romanzi fantastici), con le sue pagine in cui con
la lingua gioca e la stravolge (racconti comici, nonsense), con la sua
notevole propensione a descrivere il reale (i cosiddetti problem books,
ma anche la letteratura d’avventura), ha in sé un alto tasso di
‘letterarietà’, ovvero della capacità di tessere quella rete di parole che
viene gettata per catturare il mondo (Mazza 2000). Ma è anche più
soggetta al contagio della trivialità.
continuamente, per accettare e respingere, collegare e censurare, costruire e
distruggere” (Rodari 1980: 7).
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Per le sue caratteristiche spesso ibride, oscillanti fra la spinta e i
meccanismi del ‘folklore scritto’ e della ‘letteratura’ (Assmann 1983;
Ewers 1990), per la sua forte carica di originalità che va di pari passo
con un mercantilismo spesso smaccato, la letteratura per i più giovani
si presenta come un prezioso laboratorio per ogni riflessione
traduttologica che sappia inserire i fenomeni rilevati in un quadro di
riferimento più ampio.
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Donatella Mazza
prof. ass. di Lingua Tedesca
Università degli Studi di Pavia
[email protected]
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