5.2) Valutazione della confessione

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5.2) Valutazione della confessione
5.2) Valutazione della confessione
Matematicamente smentita l’ipotesi che la somma provenisse da Attanasio, si tratta di valutare le
dichiarazioni di natura confessoria di Mills.
La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che “la confessione dell'imputato può
essere posta a base del giudizio di colpevolezza anche quando costituisce l'unico elemento d'accusa,
purché il giudice ne abbia favorevolmente apprezzato la veridicità, la genuinità e l'attendibilità,
fornendo ragione dei motivi per i quali debba respingersi ogni sospetto di un intendimento
autocalunniatorio o di intervenuta costrizione dell'interessato” (cfr., da ultimo, Cass. Sezione 4,
sent. n. 20591 del 5 marzo 2008). Tanto che, addirittura, “la confessione, pur soggetta, come tutte le
prove orali, alla verifica di attendibilità, non subisce le limitazioni di cui ai commi terzo e quarto
dell'art. 192 c.p.p. e non ha quindi bisogno di riscontri esterni” (cfr. Cass. Sezione 2, sent. n. 21998
del 3 maggio 2005). Situazione comunque estranea al caso concreto.
La medesima valutazione, ed è ciò che qui maggiormente rileva, trova ingresso anche nell’ipotesi in
cui la confessione sia seguita da una ritrattazione, sempre che, all’esito di una doverosa analisi
delle circostanze ad essa inerenti, quest’ultima si riveli inattendibile: “Quando tale indagine,
ovviamente estesa al controllo di tutte le emergenze processuali, nel caso di intervenuta ritrattazione
non conduca a smentire le originarie ammissioni di colpevolezza, dovrà allora innegabilmente
riconoscersi alla confessione il valore probatorio idoneo alla formazione del convincimento della
responsabilità dell'imputato” (cfr. Cass. Sezione 1, sentenza n. 14623 del 4 marzo 2008).
Il medesimo favore giurisprudenziale viene riservato dal giudice di legittimità anche all’istituto
della confessione stragiudiziale, che, “pur non costituendo prova assoluta di colpevolezza, può
essere assunta a fonte del libero convincimento del giudice, allorché, valutata in sé nonché nel
contesto dei fatti, raffrontata con gli altri elementi di giudizio, sia possibile verificarne la genuinità e
la spontaneità in relazione al fatto contestato" (cfr. Cass. Sezione 5, sentenza n. 38252 del 15 luglio
2008).
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Tanto premesso, deve rilevarsi, in primo luogo, la spontaneità delle dichiarazioni di natura
confessoria, rese sia in forma scritta sia orale, da David Mills, intendendosi per spontaneità la
libertà del soggetto di determinarsi nei propri comportamenti.
Non può infatti accedersi alla tesi difensiva volta a sostenere la sussistenza di condizioni di
oggettiva coercizione esercitate su Mills dapprima dal fisco inglese e, successivamente, dalle
Autorità inquirenti italiane. Su queste ultime non vale neppure la pena di soffermarsi, come non si è
soffermata la difesa, certo non imbelle o inesperta, presente a quell’interrogatorio, che, come si è
detto, mai nulla ha eccepito.
Il timore delle conseguenze dell’accertamento fiscale – e cioè: il timore di dover pagare un’ingente
somma a seguito dello svolgersi di un corretto procedimento fiscale – è invece stato più volte ed in
varie sedi affermato, quale origine di tutti i mali concretatisi anche in questo procedimento. È stato
detto che Mills avrebbe deciso di dichiarare circostanze false (nella lettera “Dear Bob”) per
dimostrare di aver ricevuto una somma a titolo di liberalità (fatto asseritamente vero) e nascondere
contemporaneamente il nome del donante (e qui il falso). Resta del tutto incomprensibile
l’applicazione della categoria giuridica della “costrizione” alla vicenda, anche come ricostruita in
tesi difensiva.
È vero che la proverbiale serietà e ineludibilità del fisco di Sua Maestà britannica, e i suoi penetranti
poteri di controllo, comportavano che il contribuente convocato a chiarimenti e integrazioni non
ritenesse possibile né sottrarsi all’obbligo, né assolverlo mediante il ricorso ad allegazioni non
veritiere, quanto meno in ordine all’ammontare e alla natura del denaro e dei profitti percepiti,
esponendosi a gravi conseguenze sia penali sia sociali (stante la natura infamante, in quella società,
del reato di frode fiscale, ed anzi di qualsiasi forma di elusione fiscale).
È però altrettanto vero che la generica richiesta di informazioni rivolta da Inland Revenue a Mills il
20 gennaio 2004 non poteva costituire di per sé, per una persona che non avesse avuto niente di
rilevante da nascondere (nel caso: per una persona che aveva ricevuto un regalo, anche se ingente,
in quanto tale non soggetto a tassazione, da persona che poteva nominare), una forma di
“coercizione”, con tutto il carico di significato negativo da attribuirsi al termine.
È singolare il contrario, tanto più ove si tenga conto della qualità e quantità di informazioni – di per
sé non tutte necessarie – che, in conseguenza della richiesta, Mills ha del tutto liberamente deciso di
fornire non alla professionista di sempre, Sue Mullins, ma (inizialmente) solo a Robert Drennan,
cioè a colui che nel passato, per incarico dello stesso Mills, si era già occupato proprio di questioni
relative a Fininvest, e conosceva (anche se non nei suoi esatti termini) il rapporto fra l’avvocato
d’affari ed il Gruppo. Una persona, insomma, con la quale Mills poteva ritenere, erroneamente, vi
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fosse una qualche forma di complicità, ulteriore rispetto a quella che può caratterizzare il rapporto
professionista/cliente.
Così Mills decideva di rivolgersi a Drennan, e di raccontargli i fatti, predisponendo a tal fine una
lettera forse non lungamente meditata (di cui infatti non è stata trovata, nella memoria del suo
computer, fra gli “unallocated clusters”, nessuna bozza), in cui descriveva, in termini identici a
quelle poi raccontati a voce, vari specifici accadimenti, come ha riferito il teste Drennan e come
documentato in atti. Non lo “scenario” da costruire intorno ad un fatto immaginario per renderlo
veridico, ma le precise circostanze in cui si era verificato effettivamente il fatto, ed i suoi motivi.
Mills indicava l’ammontare della somma percepita e originariamente non dichiarata al fisco, i tempi
in cui la stessa era stata posta a sua disposizione (ottobre 1999) e quelli in cui l’aveva materialmente
acquisita (marzo 2000), le causali dell’introito, sia in negativo – somma non identificabile con i
compensi percepiti per l’ordinaria attività professionale – sia in positivo – una sorta di
remunerazione per la condotta mantenuta in favore di Silvio Berlusconi nel corso dei processi
italiani, e di compensazione di quanto sottrattogli dagli ex soci di studio in ragione di un accordo
spartitorio del rilevante profitto di una società offshore a lui intestata, di cui era entrato in possesso
nel 1996 (il dividendo Horizon): spartizione cui era stato indotto, forse persino costretto, pena la
denuncia all’Autorità giudiziaria britannica.
E tanto Mills scriveva e raccontava non in quanto cittadino qualunque, ma quale avvocato di lungo
corso, consapevole della reale natura delle condotte dichiarate e delle gravi conseguenze cui si
esponeva. Anche se non la lettera “Dear Bob”, certamente quelle successive erano il frutto di una
ponderata attività di preparazione: i disvelamenti a Inland Revenue venivano infatti poi compiuti
per gradi, utilizzando a quel punto più i consigli di Sue Mullins di quelli di Barker, specialista cui
Drennan, come si sa, lo aveva indirizzato.
Sono ben comprensibili i motivi per i quali Mills, dopo la prima rivelazione, abbia poi tentato di
limitarne i danni. Egli stesso, di fronte al parere di Barker relativo all’obbligo di denuncia
dell’importo ricevuto e non dichiarato, e quindi al concreto rischio della sua sottoposizione a
tassazione, si rendeva evidentemente conto della inutilità di metterlo in pericoloso collegamento
con la sua pregressa attività per Fininvest; inoltre Mullins lo aveva consigliato in tal senso (proprio
nella prima lettera di Mullins era stato volutamente omesso il riferimento al “regalo”); e forse – ma
in questo caso si tratta di pura ipotesi, non per questo sfornita di plausibilità logica – qualcun altro,
nel frattempo interpellato, aveva messo Mills sull’avviso rispetto alla gravità delle possibili
conseguenze del suo gesto, puntualmente verificatesi.
Certo è che l’imputato – sottrattosi comunque al confronto dibattimentale, è bene ricordarlo – non
ha mai fornito alcuna credibile spiegazione delle progressive modificazioni delle proprie
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dichiarazioni, che facevano di Bernasconi dal professionista conosciuto solo in relazione all’attività
di entrambi, non particolarmente ricco (persona per la quale 600.000 dollari non erano certo
spiccioli, aveva detto lo stesso Mills), al carissimo, intimo amico, molto facoltoso, abitualmente
frequentato anche dopo la cessazione dei rapporti professionali, consapevole del proprio imminente
decesso, e desideroso di gratificarlo, al termine della propria vita, con un atto di pura generosità.
Il Tribunale non può che rilevare però che tali modificazioni, ancora una volta, trovano facile
spiegazione: solo un dono vero e proprio non sarebbe stato soggetto ad imposizione fiscale, e, di
fronte alle fortissime perplessità di Inland Revenue, Mills sempre più doveva calcare sul concetto di
liberalità gratuita, per non adempiere ai suoi obblighi di cittadino e contribuente. Infatti i guadagni
realizzati in territorio estero, attraverso investimenti in società offshore o in hedge funds, erano
trattati dal fisco inglese quali redditi da sottoporre a tassazione ordinaria e non già quali capital
gains, fruenti di un regime di tassazione assai più favorevole, come ricordava Barker nella mail
inviata a Mills il 9 febbraio 2004. E quindi Mills, cui l’importo era arrivato appunto dall’estero,
aveva buone ragioni per temere di essere chiamato a versare ingenti somme di denaro.
Non sorprende pertanto il suo complessivo comportamento, tenuto dal febbraio 2004 al novembre
dello stesso anno. In sostanza al fisco Mills decideva di raccontare i fatti scegliendo – con sempre
maggior nettezza – di dire quanto serviva ad evitare ogni possibile conseguenza negativa sia nelle
sedi giudiziarie sia in campo fiscale.
Ma, ancora una volta: non stiamo parlando di un cittadino qualunque. L’imputato aveva dimostrato
nel corso degli anni la sua capacità di agire con una “prudenza” – o per meglio dire abilità – in
campo finanziario tale da esercitare per mestiere il ruolo di creatore e curatore di società ombra in
paradisi fiscali, tale da fare della natura confidenziale e riservata la cifra di rapporti professionali
creati e coltivati con i propri facoltosi clienti. La circostanza emerge in chiaro dalle deposizioni di
costoro, escussi in qualità di testimoni: si vedano le deposizioni di Paolo Marcucci, Marina Mahler,
Diego Attanasio, e Flavio Briatore, tutti ugualmente attendibili.
La sua storia personale e la sua esperienza gli consentivano di valutare con immediatezza la natura
delle indicazioni rese al fisco, le loro possibili implicazioni (non solo in tema di tassazione), le
conseguenze che dalle stesse potevano derivare per sé, la sua famiglia (si pensi ai paventati – e
verificatisi – danni d'immagine anche per Tessa Jowell, esponente del governo britannico allora ed
attualmente) e per gli altri soggetti chiamati in causa: primo fra essi il suo originario coimputato nel
presente procedimento.
In conclusione: il timore di dover versare ingenti somme non poteva essere tale da indurre
Mills a rendere dichiarazioni assai pericolose per sé e per altri, come la storia ha dimostrato,
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ove le stesse non fossero state strettamente aderenti alla verità dei fatti effettivamente
accaduti.
Per comprendere il comportamento di Mills bisogna tenere conto anche di altre circostanze.
Costituiva per lui una evenienza stranamente non prevista (data la sempre più cogente normativa in
materia) – e ovviamente non voluta – che i consulenti di Rawlinson & Hunter, in ossequio alla
normativa antiriciclaggio, decidessero di denunciare al NCIS le notizie apprese. Secondo la legge
inglese ogni studio di chartered accountants doveva infatti essere dotato di un socio formalmente
responsabile delle segnalazioni di eventuali operazioni sospette su cui era chiamato a intervenire dai
propri clienti 1. La normativa europea, inoltre, poneva sin da allora stringenti obblighi di rapporto
alle autorità inquirenti in capo a intere categorie di soggetti, quali commercialisti e revisori dei
conti, per prassi sino ad allora vincolati al segreto assoluto in ordine a quanto appreso nell’ambito
della propria attività 2. Non stupisce pertanto affatto che Drennan e Barker abbiano ritenuto
doveroso segnalare al National Crime Intelligence Service quanto appreso. Semmai stupisce la
diversa condotta di Sue Mullins.
Non era invece facilmente prevedibile che venisse meno il carattere strettamente confidenziale
insito nel procedimento di accertamento fiscale, secondo il diritto inglese vigente all'epoca dei
fatti. Carattere confidenziale più volte invocato e confermato, come si legge nei verbali degli
incontri con gli ispettori dello SCO nel 1996, di Inland Revenue nel 2004, e nella corrispondenza
fra costoro e Mullins. Si poneva dunque un ragionevole affidamento sulla segretezza delle
operazioni di accertamento svolte, e quindi sull'impermeabilità delle stesse ad eventuali richieste di
autorità inglesi diverse da quella fiscale o di altra autorità straniera.
Con tutta evidenza imprevedibilmente per Mills, il suddetto carattere confidenziale veniva poi però
meno, a causa dell'unificazione, da un punto di vista strettamente normativo, della disciplina, un
tempo diversificata, regolante le attività di accertamento fiscale e quelle doganali. L'innovazione
1
come emerge dalla “Rule 38 Reporting accountant’s rights and duties”, par. 1, lett. I e segg., del Solicitors’
accountant’s rules 1998 depositato al fascicolo del dibattimento dalla parte civile in data 21 gennaio 2009.
2
A tali figure di professionisti deve infatti applicarsi la Direttiva 2001/97/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 4 dicembre 2001, recante “Modifica della direttiva 91/308/CEE del Consiglio relativa alla prevenzione dell’uso del
sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite”, confermata ed anzi ampliata dalla successiva
Direttiva 2005/60/CE.
Di tali direttive si è ampiamente scritto nell’ordinanza pronunciata il 19 ottobre 2007, riportata alle pagine 12-13 della
presente sentenza.
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legislativa
3
comportava l'immediata acquisibilità degli atti compiuti e delle notizie apprese nel
corso dei procedimenti di accertamento fiscale da parte di altra autorità.
È appena il caso di evidenziare che la nuova normativa si inseriva in un mutato e più ampio quadro
europeo, tendente ad incrementare l'attività di monitoraggio e di controllo dei flussi finanziari e di
repressione delle lucrosissime condotte di riciclaggio del denaro proveniente da attività illecite
(anche in tal senso vanno lette le disposizioni del Regno Unito, risalenti peraltro a molti anni prima,
che avevano reso possibile la registrazione e sottoposizione al regime fiscale, ivi, delle società
offshore: normativa utilizzata per la “regolarizzazione” delle società offshore del Gruppo Fininvest,
come si è visto; e vanno nella stessa direzione le più recenti proposte, non solo britanniche, di
eliminazione delle zone territoriali prive di controllo, meglio conosciute come “paradisi fiscali”).
Mills, capace di evitare la creazione di conseguenze giuridiche negative per sé e per altri, quando
non anche avvezzo ad eludere la legislazione (quantomeno quella fiscale di altri Paesi) senza
incorrere in sanzioni, non aveva previsto che l’obbligo di segretezza potesse venir meno, ed era così
volontariamente e spontaneamente incorso in quello che successivamente lui stesso avrebbe definito
come un “colossale errore di valutazione” delle conseguenze delle proprie azioni.
Non può inoltre essere sottaciuta la straordinaria reiterazione della originaria versione dei fatti
prima della ritrattazione.
Mills faceva riferimento alla percezione del denaro ed alla sua riconducibilità, attraverso
Bernasconi, alle condotte processuali mantenute nel tempo in favore di Fininvest, almeno dodici
volte prima di attribuirne la paternità a Diego Attanasio; se i numeri hanno un significato
inequivoco, ebbene non può sottacersi che risulta ictu oculi inverosimile che ci fossero voluti dieci
mesi e almeno dodici tra ripetizioni e mancate rettifiche delle medesime affermazioni per
convincersi di aver commesso un errore non più sostenibile 4.
3
La legge, denominata “Commissioners for Revenue and Customs Bill”, era annunciata nel “Queen’s speech of
2004”, approvata dalla House of Commons il 24 settembre 2004, corredata dal Royal Assent del 7 aprile 2005.
4
Per comodità di lettura si riportano di seguito e per sintesi le evenienze indicate, già oggetto di esame:
1) lettera 28 gennaio 2004 di S. Mullins,
2) lettera “Dear Bob” sottoscritta da Mills e consegnata a Robert Drennan il 2 febbraio 2004,
3) dichiarazioni rese a Drennan da Mills, così come emergenti dagli appunti presi da Drennan nel corso dell’incontro,
4) dichiarazioni rese a Barker da Mills nel corso della riunione del 5 febbraio 2004, così come risultanti dalla “note of
meeting” redatta per documentare l’incontro,
5) due fogli manoscritti rispettivamente da Mills e da Barker nel corso della riunione,
6) relazione inviata allo SCO il 12 febbraio 2004,
7) missiva del 4 maggio 2004 di Sue Mullins allo SCO,
8) interrogatorio del 18 luglio 2004 ai P.M. di Milano,
9) verbale di riunione presso lo SCO di Bristol del 22 luglio 2004, inviato sia a Mills che a Mullins con richiesta di
dedurre eventuali censure in ordine a quanto riportato,
10) rapporto di Mills datato “agosto 2004”, di contenuto confessorio in relazione alla generalità delle sue entrate, senza
nulla addurre a modifica delle proprie precedenti dichiarazioni al fisco (il cd. “disclosure report”),
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Procedendo all’esame dello scritto del 2 febbraio 2004 e delle successive dichiarazioni
dell’imputato, ivi comprese quelle rese ai Pubblici ministeri il 18 luglio 2004, va in primo luogo
sottolineata l’intrinseca consequenzialità logica di tutto il suo dire, a partire dal lontano 1996.
La narrazione dell'intera vicenda si dipanava infatti secondo un incontrovertibile ordine temporale
ed una perfetta sequenza logica, e va qui brevemente ripercorsa usando le parole che lo stesso Mills
– o per lui i suoi consulenti – avevano usato, come documentato nelle pagine che precedono.
Mills offriva un ampio resoconto dei presupposti professionali, finanziari e giudiziari intercorsi con
il gruppo Fininvest, ed in particolare con Silvio Berlusconi ed i suoi dirigenti, a far tempo dalla fine
degli anni ‘70/inizio anni ‘80, ovvero dalla commissione affidatagli di costituire un gruppo di
società offshore al fine di realizzare da un lato la creazione di poste contabili che non avrebbero
dovuto figurare nel bilancio consolidato del gruppo, dall'altro l'allocazione estero su estero di
ingenti somme di denaro i cui beneficiari erano individuati, quanto alle società Century One e
Universal One, nei figli di Silvio Berlusconi, Marina e Pier Silvio.
Mills descriveva, poi, come e perché avesse conseguito lui stesso un profitto delle società offshore,
il cosiddetto dividendo Horizon pari a circa dieci miliardi di lire, che i dirigenti del Gruppo
Fininvest gli avevano chiesto di trattenere in conto e in nome proprio, sottoponendolo a tassazione
fiscale secondo la legge britannica, al fine di cancellare qualsiasi traccia finanziaria che avrebbe
potuto ricondurre a Silvio Berlusconi la proprietà delle società offshore, e, fra esse, del canale
televisivo Telepiù, in aperta violazione della legge italiana che impediva la concentrazione di
proprietà di sistemi di comunicazione di massa.
E questo quando l’Autorità giudiziaria italiana indagava proprio sulle società offshore, su Telepiù e
altro.
Mills dichiarava al fisco, in più occasioni, di aver percepito anche altre somme: direttamente su
disposizione di Silvio Berlusconi al suo studio ed a lui personalmente, nei primi mesi del 1996; da
Fininvest circa 100.000 sterline, in epoca successiva e fino al 2004, per le spese connesse ai
procedimenti a suo carico in corso.
Mills raccontava del grave contrasto sorto con i precedenti soci dello studio legale Withers di
Londra e di come egli, obtorto collo, al fine di tenere riservata la percezione della somma, avesse
dovuto accettare di suddividerla con gli altri soci dello studio, Virginia Rylatt, Jeremy Scott e
Christopher Coffin.
Mills collegava la successiva dazione di 600.000 dollari alla volontà di Carlo Bernasconi – ossia del
dirigente Fininvest che, a suo dire, era strettamente collegato a Silvio Berlusconi [“a close
11) verbale della riunione presso lo SCO di Bristol del 6 ottobre 2004, nel quale ancora una volta non viene fornita
alcuna diversa indicazione sull’origine del danaro,
12) nuova missiva in tema di Sue Mullins del 5 novembre 2004 allo SCO, contenente la medesima versione dei fatti.
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associated of Silvio Berlusconi” 5], se non addirittura lo rappresentava – che intendeva risarcirlo di
quella parte del dividendo Horizon inopinatamente sottrattagli dagli altri soci e compensarlo di tutte
le difficoltà e i disagi che aveva dovuto affrontare a causa delle vicende giudiziarie italiane.
Collocava la comunicazione della volontà di Bernasconi di concedergli tale somma a titolo di
liberalità in un’epoca successiva alle deposizioni dibattimentali rese innanzi al Tribunale di Milano.
Mills affermava esplicitamente di esser stato reticente in tali deposizioni, consapevole che avrebbe
creato un mare di guai a Silvio Berlusconi ove avesse detto tutto ciò che sapeva. Affermava
altrettanto esplicitamente che ben lo sapevano anche i massimi vertici di Fininvest, e fra essi
Bernasconi: tutti erano consapevoli che Mills non aveva detto niente di più di quello che non poteva
non dire.
Mills dichiarava, inoltre, che per la dazione della somma era volutamente stato scelto un sistema di
versamento coperto, che rendesse impossibile o quantomeno assai difficile l’identificazione della
sua esistenza, della sua causale, e del soggetto donante; dichiarava anche che la somma
materialmente versata sul conto di pertinenza di Flavio Briatore, riferibile alla società Struie, era
stata messa verbalmente a sua disposizione solo dalla fine di ottobre del 1999, ed era entrata
concretamente nel suo patrimonio nel marzo 2000.
Nella logica e consequenziale ricostruzione dei fatti offerta da Mills veniva però costantemente
tenuta coperta la materiale origine ultima della provvista e, con essa, l’effettiva fonte
soggettiva del denaro.
Proprio tale copertura gli consentiva, ad un certo punto, di modificare la versione dei fatti solo in
relazione all’identità del donante, affermando che il danaro proveniva, per motivi smentiti non solo
da Attanasio ma anche dalle risultanze delle consulenze analizzate.
E comunque al giudizio già espresso di non veridicità e inattendibilità della ritrattazione
(certamente utilizzabile a fini probatori – come la memoria del 20 gennaio 2009 – in quanto scritto
proveniente dall’imputato) si aggiunge il suo mancato vaglio dibattimentale, per precisa,
consapevole e libera scelta di David Mills.
Ed allora: vi sono tutti gli elementi per ritenere che la confessione stragiudiziale di Mills sia stata, di
per sé, veridica, genuina, attendibile.
Si può tranquillamente escludere che essa sia stata determinata da un intento autocalunniatorio
oppure da una intervenuta costrizione: l’indagine fiscale ne è stata semplicemente l’origine.
5
Cfr. il verbale della riunione con Barker del 5 febbraio 2004
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Ed ancora: alla prima confessione, stragiudiziale, dopo le plurime convergenti dichiarazioni
all’Autorità fiscale inglese (pienamente consequenziali a quanto già dichiarato allo SCO
nell’ambito dell’accertamento del 1996), seguiva una confessione giudiziale, assolutamente in linea
con la precedente, cui non aggiungeva né toglieva elemento alcuno, per quanto qui interessa.
Ma vi è di più: quanto dichiarato, a partire dalla lettera del 2 febbraio 2004, trova pieno riscontro
nelle emergenze dibattimentali.
Tanto che da tale lettera si potrebbe tranquillamente prescindere, e quindi invertire i termini
del ragionamento: è quanto accertato nel presente procedimento a trovare riscontro in “Dear
Bob”, non viceversa.
Non resta dunque che dare conto, riassuntivamente e conclusivamente, di tutti gli elementi
minuziosamente esposti in questa lunga motivazione, che solo nelle confessioni e non nella
ritrattazione trovano riscontro.
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