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Tabella 1. I principali ordini di protezione.
Condizioni di applicazione - Reati
Ordine di protezione
Prima del procedimento
Misure atipiche
Atti persecutori ex art. 612 bis c.p. (c.d. stalking)
Ammonimento del questore
(introdotto dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, nella L. 23
aprile 2009, n. 38 c.d. decreto sicurezza)
(art. 8. D.L. 23 febbraio 2009 n. 11)
1. Fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all'articolo 612-bis del
codice penale, introdotto dall'articolo 7, la persona offesa può esporre i fatti all'autorità
di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti
dell'autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore.
2. Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite
le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l'istanza, ammonisce oralmente il
soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una
condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo
verbale è rilasciata al richiedente l'ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore
valuta l'eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni.
3. La pena per il delitto di cui all'articolo 612-bis del codice penale è aumentata se il
fatto è commesso da soggetto già ammonito ai sensi del presente articolo.
4. Si procede d'ufficio per il delitto previsto dall'articolo 612-bis del codice penale
quando il fatto è commesso da soggetto ammonito ai sensi del presente articolo.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a
quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo
da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da
ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo
congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da
costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o
divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona
offesa.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di
una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3
della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della
querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei
confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della
legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il
quale si deve procedere d'ufficio.
Durante il procedimento
Misure cautelari personali
Delitti per cui la legge prevede la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore
nel massimo a tre anni
Allontanamento dalla casa famigliare
(art. 280 comma 1 c.p.p.)
(art. 282 bis c.p.p. introdotto dalla L. 4 aprile 2001, n. 154, contro la violenza nelle
relazioni familiari)
Delitti previsti dagli articoli 570 (violazione degli obblighi di assistenza famigliare),
571 (abuso dei mezzi di correzione e di disciplina) 600 bis (prostituzione
Con il provvedimento dell’allontanamento il giudice prescrive all’imputato di lasciare
immediatamente la casa famigliare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi
senza l’autorizzazione del giudice che procede. L’eventuale autorizzazione può
1
prescrivere determinate modalità di visita.
Il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell'incolumità della persona offesa o
dei suoi prossimi congiunti, può inoltre prescrivere all'imputato di non avvicinarsi
a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare
il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti,
salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale ultimo caso il
giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.
3. Il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può altresì ingiungere il pagamento
periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della
misura cautelare disposta, rimangano prive di mezzi adeguati. Il giudice determina
la misura dell'assegno tenendo conto delle circostanze e dei redditi dell'obbligato e
stabilisce le modalità ed i termini del versamento. Può ordinare, se necessario, che
l'assegno sia versato direttamente al beneficiario da parte del datore di lavoro
dell'obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui spettante. L'ordine di pagamento ha
efficacia di titolo esecutivo.
minorile), 600 ter (pornografia minorile), 600 quater (detenzione di materiale
pedo-pornografico), 609 bis (violenza sessuale), 609-ter (violenza sessuale
aggravata), 609 quater (atti sessuali con minorenne), 609 quinquies (corruzione di
minorenne) e 609 octies (violenza sessuale di gruppo) c.p. commessi in danno dei
prossimi congiunti o del convivente
(art. 282 bis comma 6 c.p.p.)
Delitti per cui la legge prevede l’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo
a tre anni
Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa
(art. 282-ter c.p.p. introdotto dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con
modificazioni, nella L. 23 aprile 2009, n. 38 c.d. decreto sicurezza)
(art. 280 comma 1 c.p.p.)
1. Con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive
all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla
persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o
dalla persona offesa.
2. Qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all'imputato
di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi
congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque
legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali
luoghi o da tali persone.
3. Il giudice può, inoltre, vietare all'imputato di comunicare, attraverso qualsiasi
mezzo, con le persone di cui ai commi 1 e 2.
4. Quando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi
di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può
imporre limitazioni.
Delitti per cui la legge prevede l’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo
a tre anni
Obbligo di presentazione alla P.G.
(Art. 281 c.p.p.)
(art. 280 comma 1 c.p.p.)
Divieto e obbligo di dimora
2
(art. 283 c.p.p.)
Arresti domiciliari
(art. 284 c.p.p.)
Delitti per cui la legge prevede l’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo
a quattro anni
Custodia cautelare in carcere
(art. 285 c.p.p.)
(art. 280 comma 2 c.p.p.)
Durante il procedimento
Misure interdittive
Delitti per cui la legge prevede l’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo
a tre anni
Sospensione dall’esercizio della potestà genitoriale
(art. 288 c.p.p.)
(art. 287 comma 1 c.p.p.)
Con il provvedimento che dispone la sospensione dall'esercizio della potestà dei
genitori [c.c. 316], il giudice priva temporaneamente l'imputato, in tutto o in
parte, dei poteri a essa inerenti.
Delitto di cui all’art. 571 c.p. (violazione degli obblighi di assistenza famigliare) in
danno dei prossimi congiunti
(art. 288 comma 2 c.p.p.).
All’esito del procedimento
Pene accessorie
Condanna all’ergastolo
Decadenza della potestà parentale
(art. 32 c.p.)
(Art. 34 comma 1 c.p.)
Delitti di cui agli artt. 609-bis (violenza sessuale), 609-ter (violenza sessuale
aggravata), 609-quater (atti sessuali con minorenne), 609-quinquies (corruzione di
minorenne) e 609-octies (violenza sessuale di gruppo) del codice penale quando la
qualità di genitore è elemento costitutivo o circostanza aggravante del reato
La decadenza dalla potestà dei genitori importa anche la privazione di ogni diritto che
al genitore spetti sui beni del figlio in forza della potestà di cui al titolo IX del libro I
del codice civile.
(art. 34 comma 3 c.p.).
(art. 609 nonies comma 1 n. 1) c.p.)
Delitto di cui all’art. 564 c.p. (incesto), delitti di cui agli artt. 566-568 (supposizione o
soppressione di stato, alterazione di stato, occultamento di stato di un fanciullo
legittimo o naturale riconosciuto)
3
(artt. 564, 569 c.p.)
Sospensione dell’esercizio della potestà genitoriale per un periodo di tempo pari al
doppio della pena inflitta
Delitti commessi con l’abuso della potestà dei genitori
(art. 34 comma 2 c.p.)
(art. 34 comma 2 c.p.)
La sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori importa anche l'incapacità di
esercitare, durante la sospensione, qualsiasi diritto che al genitore spetti sui beni del
figlio in base alle norme del titolo IX del libro I del codice civile; durata: il doppio
della pena inflitta con la sentenza
(art. 34 comma 4).
Delitti di cui gli artt. 609 bis (violenza sessuale), 609 ter (violenza sessuale
aggravata), 609 quater (atti sessuali con minorenne), 609 quinquies (corruzione di
minorenne) e 609 octies (violenza sessuale di gruppo) c.p.
Interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela ed alla curatela
(art. 609 nonies c.p.)
(art. 609 nonies comma 1 n. 2) c.p.)
Delitti di cui gli artt. 609 bis (violenza sessuale), 609 ter (violenza sessuale
aggravata), 609 quater (atti sessuali con minorenne), 609 quinquies (corruzione di
minorenne) e 609 octies (violenza sessuale di gruppo) c.p.
Perdita del diritto agli alimenti e l’esclusione della successione della persona
offesa
(art. 609 nonies c.p.)
(art. 609 nonies comma 1 n. 3) c.p.)
Delitti di cui gli artt. 609 bis (violenza sessuale), 609 ter (violenza sessuale
aggravata), 609 quater (atti sessuali con minorenne), 609 quinquies (corruzione di
minorenne) e 609 octies (violenza sessuale di gruppo) c.p.
Interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado
nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o in altre strutture pubbliche o
private frequentate prevalentemente da minori
(art. 609 nonies comma 2 c.p.)
(art. 609 nonies c.p.)
4
Contrasto alla violenza, ordini di protezione, lotta alla persecuzione.
Guglielmo Gulotta∗
Il panorama legislativo di protezione della vittima si è notevolmente arricchito di varie forme di
interventi che possono limitare violenze nei confronti di persone familiari ed extrafamiliari. Nella
tabella 1 sono riportati i differenti tipi di misure adottabili. Essi costituiscono i principali strumenti
di protezione che il legislatore ha introdotto con il decreto sicurezza del 2009 e con la legge contro
le violenze famigliari del 2001, nonché gli altri istituti che possono costituire una forma di
protezione delle vittime di violenze.
Con il d.l. 23 febbraio 2009 n. 11, poi convertito con modifiche dalla L. 23 aprile 2009 n. 38,
recante “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale,
nonché in tema di atti persecutori” è stato introdotto l’art. 612 bis c.p. relativo agli atti persecutori
chiamati comunemente stalking.
Il verbo to stalk (“dare la caccia a/fare la posta”) di matrice anglosassone, indica un
comportamento in cui lo stalker mette in atto un atteggiamento assillante ed invasivo per la vita
della sua “preda” attraverso l’utilizzo di appostamenti, di telefonate continue e molto spesso mute,
di invio di e-mail e di sms, in modo persecutorio e reiterato nel tempo, incutendo nella vittima uno
stato di soggezione e provocando nella stessa un considerevole disagio fisico o psichico oltre ad un
ragionevole senso di timore. Anche in assenza di minacce esplicite, violenze o armi, la vittima di
stalking esperisce infatti un livello notevole di paura, in cui entra probabilmente in gioco un fattore
quantitativo: l’elevata frequenza dei comportamenti persecutori può creare nella vittima uno stato
continuo di stress o disagio. I pedinamenti e le molestie, che possono durare anche per molto tempo,
possono far sorgere problemi di ordine sociale o psicologico nella vittima, la quale vive come “sotto
assedio”( Lloyd-Goldstein, 1998); le vittime di stalking, infatti, soffrono spesso di gravi effetti
psicologici (ansia, depressione, sintomi di trauma), sotto forma di reazioni intense ma attese di
fronte ad un comportamento abnorme e continuamente intrusivo (Meloy, 1998). La vita di chi
subisce l’esperienza dello stalking si modifica (life disruptions): alcune vittime possono cambiare o
lasciare il loro lavoro, abbandonare amici e famiglia, cambiare il proprio aspetto, ricorrere a
consulenze psicologiche, o sentirsi costantemente preoccupate circa la propria sicurezza personale
(Aramini, 2002). Il reato di stalking è caratterizzato da un’estrema varietà di comportamenti che
rimandano a diverse tipologie (tabella 2), identificate da Canter e Ionnau (2004): questi Autori
hanno svolto una dettagliata analisi empirica su un campione di 50 casi di stalking che
comprendevano, tra le vittime, ex partner, estranei o personaggi celebri. Sono state individuate due
principali dimensioni, utili per comprendere tale variabilità: da un lato, le differenze nella distanza
interpersonale o nella familiarità della relazione tra lo stalker e la sua vittima, dall’altro la natura
del contatto che lo stalker tenta di imporre alla sua vittima (Canter & Youngs, 2009).
Tabella 2. Differenti comportamenti messi in atto dallo stalker e corrispondenti tipologie di stalking (tratto da
Canter & Ioannou, 2004)
Varietà di comportamenti che caratterizzano lo
Stili comportamentali dello stalker
stalking
Richiesta di dettagli personali: lo stalker chiede, per
mezzo di lettere, telefonate, e-mail o di persona
informazioni su dettagli personali riferiti alla vittima (es.
che cosa le piace indossare, dove vive o lavora…)
Indagini sulla vittima: lo stalker fa delle ricerche sulla
sua vittima, ad es. contattando e facendo domande alle
persone a lei legate, cercando informazioni su di lei,
sorvegliandola.
∗
Stile dell’Intimità: azioni che rappresentano un tentativo
Sono molto grato a Giulia A. Capra per l’aiuto prestatomi nell’organizzare il materiale consultato.
5
distorto di ridurre la distanza interpersonale tra lo stalker
e la sua vittima e di entrare in una sorta di relazione con
lei.
La vittima è considerata come una persona: lo stalker
riconosce di avere a che fare con un individuo reale e
mostra interesse nell’ottenere informazioni specifiche.
Egli mette in atto dei tentativi per ottenere ciò che vuole;
essi, benché inadeguati e intrusivi, rappresentano per lui
una modalità legittima di relazionarsi agli altri e, in
particolare, un modo per ottenere una relazione, senza
alcun rimorso per la violazione della privacy della vittima.
Conoscenze sulla vittima: lo stalker rivela alla vittima di
essere a conoscenza di informazioni su di lei, ad es.
riguardo alla sua famiglia, al suo luogo di lavoro, alle sue
attività o al colore dei vestiti che indossa in un
determinato momento.
Sorveglianza della vittima: la vittima può essere
consapevole o meno di essere oggetto di sorveglianza da
parte dello stalker, che può fotografarla/filmarla di
nascosto o utilizzare cimici elettroniche.
Infrazione degli ordini restrittivi: lo stalker infrange le
ingiunzioni da parte della legge che gli impediscono di
contattare la sua vittima.
Ricerca di contatto dopo l’intervento dell’autorità: lo
stalker continua ad entrare in contatto con la vittima anche
dopo l’intervento, ad es., delle Forze dell’Ordine.
Invio di lettere: lo stalker invia materiale scritto alla sua
vittima (lettere, cartoline, e-mail).
Telefonate: lo stalker effettua telefonate (in cui parla o
resta in silenzio) o lascia messaggi sulla segreteria
telefonica della vittima.
Invio di regali: i doni dello stalker (es. fiori, cioccolatini,
fotografie, vestiti) possono essere recapitati alla vittima,
per posta, a casa o al lavoro, o lasciati vicino a casa sua o
alla sua macchina, in modo che lei possa trovarli.
Stile della Sessualità: comportamenti che hanno alla base
una sessualità esplicita o implicita o riflettono un
potenziale contatto sessuale. Anche il furto o le azioni
distruttive ne fanno parte, se sono focalizzati sul possesso
personale della vittima.
La vittima è considerata come un mezzo: lo stalker usa
semplicemente la vittima per esprimere il proprio
desiderio di possesso o la propria rabbia; intende imporre i
propri sentimenti e desideri sessuali sulla vittima. Le
reazioni di rifiuto della vittima possono provocare azioni
drammatiche o attacchi verso oggetti che hanno una
rilevanza personale per lei.
Comunicazioni
a
contenuto
sessuale:
nelle
comunicazioni provenienti dallo stalker si osserva spesso
un contenuto osceno (ad es. lettere con riferimenti
sessuali, telefonate con respiri affannosi…)
Inviti: lo stalker esprime alla sua vittima il desiderio di
incontrarla, di avere con lei una relazione intima e può
invitarla a contattarlo.
Furto di proprietà personali: lo stalker si appropria di
oggetti di proprietà della vittima dalla sua casa, dal suo
giardino, dalla sua auto o dal suo posto di lavoro (ad es.
biancheria intima, fotografie personali…)
Distruzione di proprietà personali: lo stalker distrugge o
cerca di distruggere oggetti appartenenti alla vittima o a
lei associati.
Accesso alla casa della vittima: lo stalker riesce ad
intrufolarsi in casa della vittima in modo illegale o con
l’inganno (es. convincere i bambini a lasciare entrare un
amico della mamma)
6
Diffamazione: lo stalker diffonde in pubblico messaggi
offensivi, falsi o diffamatori sulla vittima.
Minacce: contenuti minacciosi o offensivi si possono
osservare nelle comunicazioni provenienti dallo stalker.
Le minacce possono essere dirette (es. minacce di morte
rivolte direttamente alla vittima) o indirette (es. far trovare
davanti a casa animali morti).
Confronto diretto: lo stalker minaccia direttamente la sua
vittima di usare violenza fisica contro di lei.
Stile dell’Aggressione: comportamenti che rimandano al
preteso controllo dello stalker sulla vittima: da un lato un
controllo indiretto, mediante l’osservazione della vittima e
il contatto con la sua famiglia o i suoi amici, dall’altro
forme più aggressive e distruttive, in cui cerca di imporre
un controllo diretto ed infliggere violenza fisica o
psicologica.
La vittima è considerata come un oggetto: lo stalker vede
la sua vittima come una sua proprietà; se egli non può
possederla, nessun altro potrà farlo. Vi è una totale
mancanza di empatia, la vittima è spogliata di ogni sua
dimensione umana. L’approccio crudele e socialmente
inadeguato di questo tipo di stalker mostra come essi
ritengano di poter forzare una relazione semplicemente
esercitando il controllo sulle condizioni esterne, ad es.
minacciando altre persone legate alla vittima.
Contatto con altri: lo stalker contatta una persona legata
alla vittima, al fine di ottenere informazioni su di lei, di
farle pervenire un messaggio o di minacciarla e insultarla.
Minacce ad altri: lo stalker minaccia di ferire o uccidere
persone legate alla vittima, ad es. familiari o amici.
Insulti contro la famiglia: lo stalker formula minacce, fa
osservazioni offensive o perseguita persone collegate con
la sua vittima (es. familiari, partner, ma anche colleghi o
vicini di casa).
Violenza sulla vittima: lo stalker manifesta violenza
fisica sulla sua vittima (es. percosse), che può sfociare
persino nell’omicidio.
Minaccia di suicidio: lo stalker può minacciare di
suicidarsi se la vittima non soddisferà le sue richieste.
Appostamenti: lo stalker passa ripetutamente in macchina
nei pressi dell’abitazione della vittima o del suo luogo di
lavoro.
L’introduzione dello stalking in Italia è nata in seguito alla comparazione e all’influenza subita dai
paesi di common e civil law nei quali la condotta tipica dello stalking trovava già da tempo
attuazione autonoma e collocazione sistematica. È bene precisare che, fino a quando non vi era la
fattispecie autonoma degli atti persecutori, le diverse condotte tenute dal molestatore integravano un
reato qualora rientrassero in fattispecie quali la violenza privata, la molestia alle persone, la
minaccia, le lesioni personali e altri reati della stessa natura.
Il suddetto decreto legislativo introduce quindi:
• l’art. 612 bis c.p. (Atti persecutori);
• l’art. 8 D.L. 11/2009 (Ammonimento);
• l’art. 282- ter c.p.p. (Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa) e
• l’art. 282- quater (Obblighi di comunicazione).
In base all’articolo 612 bis c.p. è punito con la reclusione dai sei mesi ai quattro anni chiunque, con
condotte reiterate, minacci (intrusione nella sfera altrui che può avvenire in qualunque modo) o
molesti (alterare in modo fastidioso o inopportuno l’equilibrio psichico di una persona ) taluno in
modo da cagionare un perdurante (richiesta una serialità del comportamento) e grave stato di ansia
o di paura tale da ingenerare, come visto precedentemente, un fondato timore per la sua o l’altrui
incolumità ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita (richiesta come
danno-conseguenza del comportamento dello stalker la prova di una situazione di disequilibrio
psicologico che assume carattere patologico e quindi obiettivo).
Il delitto è punito a querela della persona offesa, da presentarsi entro sei mesi. Tuttavia è stato
previsto all’art. 8 del d.l. 11/2009 l’ammonimento, misura di prevenzione anch’essa di natura
7
anglosassone (c.d. order of protection) con il quale si prevede che, fino a che non sia proposta la
querela, la persona offesa possa esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza. Con il decreto
sicurezza, attraverso tale strumento, il legislatore ha previsto una forma di tutela anticipata
all’instaurazione del procedimento penale. La persona offesa del reato di stalking può infatti
scegliere di non presentare immediatamente querela, ma di chiedere al questore di ammonire lo
stalker. Si tratta quindi di una misura di prevenzione adottata dal questore, che ha limitati poteri di
indagine, e con cui si ammonisce il futuro stalker di interrompere qualsiasi interferenza creata
sinora nella vita della vittima. Se il soggetto ammonito compirà altri atti persecutori, nei suoi
confronti si procederà d’ufficio (come nei casi di reato a danno di minorenni e persone con
disabilità).
Sempre il decreto legge ha inserito anche all’art. 282 –ter c.p.p. una misura cautelare coercitiva che
prevede il divieto di avvicinamento o l’obbligo di mantenere una certa distanza dai luoghi
abitualmente frequentati dalla vittima e, in casi di particolare esigenze di tutela, anche da quelli
frequentati da persone a lei vicine. A ciò può aggiungersi, inoltre, il divieto di comunicare, con
qualsiasi mezzo, con i congiunti della persona offesa o con le persone legate ad essa da relazione
affettiva.
Mentre il provvedimento del 2001 mirava, come testimoniato dall’introduzione della misura
cautelare dell’allontanamento dalla casa famigliare posta a tutela della vittima che spartisce il tetto
con il suo carnefice, a tutelare dalla violenza intra-familiare, con il nuovo intervento si è estesa
analoga tutela anche ai casi in cui non vi sia, o non vi sia più, una relazione fra la persona offesa e
l’imputato. Infatti, la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa
introdotta dal decreto sicurezza, avente contenuto analogo all’ordine previsto dal comma 2 dell’art.
282 bis per i casi di allontanamento dalla casa famigliare, è applicabile a qualsiasi soggetto
indipendentemente dalla convivenza con la vittima. Il reato di stalking risulta aggravato quando sia
commesso a seguito di una precedente unione matrimoniale, o anche solo di una semplice relazione
affettiva, risultando così puniti più gravemente gli atti persecutori commessi da chi abbia
precedentemente condiviso una relazione con la vittima, indipendentemente dalla natura coniugale
o semplicemente affettiva dell’unione, rispetto a quelli commessi dall’estraneo. Infatti, la pena è
aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia
stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. La condivisione di una relazione diventa
quindi elemento idoneo a giustificare l’aumento di pena, secondo una prospettiva ormai
completamente ribaltata rispetto a quella entro cui si inseriva fino al 1981 il c.d. delitto d’onore,
previsto dall’abrogato art. 587 c.p., in cui il rapporto coniugale con la vittima poteva assurgere ad
elemento attenuante della responsabilità del reo che avesse agito per tutelare l’onore proprio o della
famiglia.
Sul piano procedurale si osserva inoltre l’ampliamento della sfera di applicabilità dell’istituto
dell’incidente probatorio, con l’inserimento dell’art. 392, n. 1 bis c.p.p.; con tale norma, al fine di
evitare alle vittime di stalking di dover rivivere in dibattimento le passate e dolorose vicende che
hanno una forte implicazione psicologica, si consente di assumere la loro testimonianza già nella
fase delle indagini preliminari nelle forme dell’incidente probatorio.
Relativamente alle “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”, la legge n. 154/01 ha
introdotto, con l’art. 282 bis c.p.p., un rimedio coercitivo volto ad arginare il fenomeno della
violenza domestica. L’art. 282 bis c.p.p. introduce infatti la misura cautelare dell’allontanamento
dalla casa familiare, consistente nella prescrizione rivolta all’accusato di lasciare la casa familiare
ovvero di non farvi rientro, nel caso in cui l’indagato si trovi in luogo (anche di detenzione) diverso
dal domicilio domestico e nella prescrizione di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che
procede (che, se concessa, può prevedere modalità di visita).
Si tratta di una misura sottoposta ai presupposti generali di applicabilità delle misure cautelari
contenute nell’art. 274 c.p.p. ed ai limiti di pena previsti dall’art. 280 c.p.p.. È prevista però
un’eccezione, avuto riguardo non alla misura della pena, bensì al titolo di reato per cui si procede.
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Infatti, la misura può essere concessa anche in deroga ai limiti di pena, qualora si proceda per una
tipologia di reati intra-familiari, tassativamente indicati, commessi in danno dei prossimi congiunti
o del convivente che sono:
• la violazione degli obblighi di assistenza familiare (ex art. 570 c.p.),
• l’abuso di mezzi di correzione (ex art. 571 c.p.),
• la prostituzione minorile (in particolare nell’ipotesi di cui al comma 2 dell’art. 600-bis c.p.),
la pornografia minorile (nell’ipotesi di cui al comma 4 dell’art. 600-ter c.p.),
• la detenzione di materiale pornografico (ex art. 600-quater c.p.), la violenza sessuale
(nell’ipotesi di cui al comma 3 dell’art. 609-bis),
• gli atti sessuali con minorenne (nell’ipotesi attenuata di cui al comma 3 dell’art. 609-quater
c.p.),
• la corruzione di minorenne (ex art. 609-quinquies c.p.),
• la violenza sessuale di gruppo (nell’ipotesi attenuata in virtù del richiamo dell’art. 609-bis,
comma 3 c.p.).
Accanto alla misura principale, il legislatore ha previsto una prescrizione accessoria per il caso in
cui esistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti: in
particolare, l’obbligo di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona
offesa (segnatamente il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi
congiunti), a meno che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro, nel qual caso il giudice
dispone le relative modalità o limitazioni.
Innovativa è sicuramente la previsione di misure provvisorie a contenuto patrimoniale, introdotta
nel comma 3 dell’art. 282-bis c.p.p. Il giudice può ingiungere (l’ordine ha efficacia di titolo
esecutivo), contestualmente o successivamente alla misura dell’allontanamento, il pagamento
periodico di un assegno a favore delle persone conviventi, qualora quest’ultime, per effetto della
misura cautelare coercitiva, rimangano prive di mezzi. Non è infatti infrequente che le persone
accusate di abusi familiari rappresentino al contempo la sola fonte di reddito della famiglia. Viene
così riconosciuto, per la prima volta, un contributo economico al convivente anche in mancanza di
figli, non previsto in alcuna ipotesi nella legislazione precedente in materia di famiglia. Il giudice
stabilisce le modalità ed i termini del pagamento, ordinando, se necessario, che l’assegno sia versato
al beneficiario da parte del datore di lavoro dell’obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui
spettante.
La sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori di cui all’art. 288 c.p.p. è una misura
cautelare interdittiva.
Vi è la possibilità di commisurare il quantum dell’interdizione in funzione delle esigenze cautelari,
giacché al giudice è consentito di sospendere in tutto o in parte l’esercizio dei poteri che concorrono
a formare la potestà genitoriale. La temporanea perdita può, quindi, riguardare specifici segmenti di
potere, un singolo potere e non altri, oppure l’applicazione della misura ad un figlio e non ad altri.
Per la determinazione del contenuto della misura prevista dall’art. 288 c.p.p., bisogna avere
riguardo al complesso dei poteri e delle facoltà inerenti alla potestà dei genitori, disciplinati dagli
artt. 315 e ss. c.c..
La misura appare utile quando, ad esempio, si vuole evitare che l’imputato possa porre in essere
un’attività direttamente o indirettamente pericolosa per l’inquinamento del materiale probatorio: la
sospensione della potestà dei genitori può contribuire, infatti, a sottrarre chi vi è soggetto a possibili
intimidazioni (di natura psicologica od economica), che gli impedirebbero di deporre liberamente in
un processo a carico del genitore.
Sotto il profilo civilistico, se la violenza si riversa contro i figli ed è causa di pregiudizio per i
medesimi, il giudice potrà emettere dei provvedimenti limitativi o ablativi della potestà familiare; se
invece la violenza si riversa nei confronti del coniuge, il coniuge potrà iniziare le procedure per la
9
separazione o per il divorzio. A questi rimedi si è aggiunta anche la misura degli ordini di
protezione introdotta dalla legge n. 154/2001.
Nei casi di violenza intra-familiare rilevanti sono i provvedimenti limitativi o ablativi della potestà e
i provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare (sia da parte del minore che dei genitori). A
tal proposito, significativi sono i cambiamenti introdotti dalla legge n. 149 del 2001 riguardo al
testo degli artt. 330 e 333 c.c.
I rimedi di natura civilistica a tutela dei minori, principalmente rientrano negli artt. 330 e 333 c.c..
La legge 18 marzo 2001 n. 149, benché volta principalmente a modificare la disciplina
dell’adozione e dell’affidamento dei minori, ha introdotto anche alcune modifiche al titolo VIII del
libro I del codice civile.
Si è dato al giudice il potere di emettere un ordine di allontanamento del genitore violento dalla casa
familiare, permettendo in questo modo che gli altri appartenenti al nucleo familiare possano, con il
semplice allontanamento di colui che ha posto in essere i fatti pregiudizievoli, mantenere unita la
famiglia nel luogo dove essa ha i propri interessi, le proprie relazioni e gli affetti indispensabili per
mantenere un contatto positivo con la realtà.
Il diritto penale prevede infine delle pene accessorie, che conseguono alla condanna e che possono
incidere suoi rapporti famigliari, tra queste certamente la decadenza dalla potestà parentale prevista
dagli artt. 34 c.p e 32 comma 2 c.p.
La decadenza della potestà dei genitori consegue, in primo luogo, in caso di condanna all’ergastolo
ex art. 32 comma 2 c.p.
In tema di reati familiari, alcuni dei casi indicati dalla legge che prevedono esplicitamente la pena
accessoria della perdita della potestà genitoriale sono previsti dall’art. 609 nonies c.p., in tema di
violenza sessuale, per cui la condanna per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-ter,
609-quater, 609 quinquies e 609-octies c.p. comporta la perdita della potestà del genitore quando la
qualità di genitore è elemento costitutivo del reato.
Il contenuto della pena accessoria in oggetto riproduce il modello delineato dall’art. 34 c.p., che
prevede appunto la decadenza della potestà dei genitori (oltre alla sospensione dell’esercizio della
stessa), ossia la perdita dei poteri che la legge riconosce ai genitori nei confronti del figlio.
Il terzo comma dell’art. 34 c.p., che prevede la privazione di ogni diritto spettante al genitore sul
figlio, si riferisce al diritto di amministrare i beni del minore (ex art. 320 c.c.) ed all’usufrutto legale
sui medesimi beni (ex art. 324 c.c.).
La sospensione dalla potestà genitoriale ex art. 32 comma 3 c.p. ed ex art. 34 comma 2 e 4 c.p. non
consegue automaticamente: il giudice è libero di determinare che alla condanna della reclusione per
un tempo pari o superiore ai cinque anni non consegua la sospensione della potestà genitoriale.
La sospensione consegue anche nell’ipotesi di delitti commessi con abuso di autorità parentale (ex
34 comma 2 c.p.) e può essere inflitta per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta.
Quindi questa pena accessoria potrebbe essere applicata, per esempio, nel caso di condanna per reati
di maltrattamenti su minori ex art. 572 c.p.
Secondo l’art. 34 comma 4 c.p., la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori importa
anche l’incapacità di esercitare, durante la sospensione, qualsiasi diritto che al genitore spetti sui
beni del figlio in base alle norme del titolo IX del libro I del codice civile.
Il fenomeno dello Stalking dal punto di vista della psicologia evoluzionistica
L’interesse per il fenomeno dello stalking era presente ancor prima che la persecuzione
interpersonale di carattere passionale/sessuale prendesse questo nome. In un caso di omicidio
avvenuto nel 1999 e raccontato da M.C. Zanconi nel libro “Processi penali e processi psicologici”,
ci si è ad esempio trovati di fronte ad un uomo che perseguitava la donna che lo aveva lasciato fino
ad ucciderla, perché ella si sottraeva alla sua volontà di riappacificazione. La vittima, con la quale
10
l’uomo aveva una relazione sentimentale da circa tre anni, fu uccisa con numerose coltellate al
cuore, ai polmoni e all’aorta. Il padre della vittima, fin da subito, mostrò di ritenere che l’assassino
della figlia fosse l’ex fidanzato, il quale non aveva accettato l’interruzione della relazione amorosa e
che da tempo era più volte ricorso a minacce di morte contro la ragazza e i suoi familiari. Dopo un
iniziale corteggiamento discreto, l’uomo in un secondo momento aveva iniziato ad assumere
atteggiamenti possessivi ed esclusivi, impedendo alla donna di avere una qualsiasi vita di relazione;
la scelta di interrompere un rapporto diventato ormai insostenibile era sembrata alla ragazza
inevitabile. L’uomo, però, non l’aveva accettata e aveva iniziato perseguitare lei e i suoi familiari,
con telefonate e appostamenti, fino a minacce di morte per indurla a tornare con lui; minacce che,
alla fine, si sono concretizzate. All’epoca della trattazione di questo caso, nonostante il
comportamento dell’uomo non sia stato qualificato come stalking, vi era consapevolezza, nel
difensore della vittima, che questo potesse rientrare all’interno della categoria. L’assassino era uno
stalker perché agiva per mero spirito di possesso, travalicando la mera gelosia e con una tale
determinazione e violenza espressa in un atteggiamento drammaticamente punitivo nei confronti
della donna, tanto che anche la sentenza di condanna ha riconosciuto l’essere andato oltre il delitto
passionale, con una ferocia definita “bestiale”.
In un altro caso, risalente al 1995, il perseguitante era una donna, che fu però uccisa dall’uomo. Si
trattava di due insegnanti elementari, entrambi sposati, che avevano iniziato una relazione amorosa
extraconiugale; la donna non si rassegnava di fronte al fatto che lui volesse allontanarsi, vista
l’insistenza di lei alla continuazione del legame e le minacce anche di fronte agli scolari, ai bidelli
etc. In particolare, dopo sei anni, l’uomo intendeva troncare la relazione tanto da avere richiesto un
trasferimento e un periodo di aspettativa, ma la donna non ne voleva sapere e non smetteva di
“tormentarlo”: lo seguiva continuamente in automobile ovunque andasse, anche fino alla sua
abitazione, faceva telefonate mute ad ogni ora del giorno e della notte e lo apostrofava con parole
ingiuriose anche all’interno dell’ambiente scolastico, alla presenza degli alunni. Lui, esasperato, la
uccise al parco di Monza con quattro colpi di pistola.
È infine proprio di questi giorni la notizia, apparsa sul Corriere della Sera, che una ragazza di 24
anni è stata accoltellata in strada, a pochi passi da casa, colpita con alcuni fendenti al collo.
L’aggressore, secondo quanto riferito dalla stessa vittima, sarebbe l’ex fidanzato, il quale non si
rassegnava alla fine della loro relazione.
Un avvocato che voglia correttamente operare in questo campo, per compiere un’operazione di
contrasto e, in ipotesi, anche di difesa dello stalker, deve anche comprendere il fenomeno. Vista la
gravità degli avvenimenti connessi a queste persecuzioni, è necessario trovare delle teorie
esplicative per comprendere perché/come detto fenomeno si produca, anche per ridurne
l’accadimento. Esso si innesta per lo più in rapporti interpersonali preesistenti (ma ci sono anche gli
stalker di persone famose, in cui la relazione interpersonale non preesiste, - es. dicembre 2000:
Dante Soiu, un pizzaiolo di Columbus (Ohio), che per un anno aveva perseguitato l’attrice Gwyneth
Paltrow inviandole lettere a sfondo sessuale, e-mail, giocattoli, riviste e libri porno viene
riconosciuto colpevole del reato di stalking e condannato a una pena da 6 mesi a 3 anni di carcere
da scontare in ospedale psichiatrico; giugno 2009: Andrea Spinelli 36enne romano che avrebbe per
anni molestato la showgirl Michelle Hunziker è condannato a 9 mesi e a un risarcimento pari a
10mila euro per danni morali. L’imputato ha dovuto rispondere di accuse gravi come l’invio alla
presentatrice presso la redazione di “Striscia la Notizia” nel 2005, di una mail di minacce e
all’indirizzo della presentatrice svizzera di una busta contenente una lametta e delle frasi offensive e
minatorie) e ha normalmente tre finalità:
1. Impedire che la relazione preesistente venga interrotta
2. Riottenere che la relazione preesistente ormai interrotta venga ripristinata
3. Ottenere la disponibilità dell’altro/a al rapporto sentimentale/sessuale
11
La psicologia evoluzionistica propone un modello esplicativo dell’aggressività umana che sia
integrativo, offrendo gli strumenti per comprendere come e perché certi fattori ambientali
influenzino e siano a loro volta influenzati dagli aspetti psicologici alla base del comportamento
umano. Anche il comportamento aggressivo sarebbe quindi evocato da particolari problemi adattivi
presenti in determinati contesti evolutivi, secondo la logica costi-benefici, rappresentandone la
soluzione. Cerchiamo di vedere in che modo: come sostenuto da Dawkins (1977), la logica sottesa
all’evoluzione è quella dei geni, che hanno come unico interesse quello di riprodurre quante più
copie possibili di se stessi e che quindi progettano organismi che hanno come scopo primario
l’aumento del successo riproduttivo. I nostri circuiti cerebrali sarebbero stati progettati per produrre
risposte comportamentali appropriate alle circostanze ambientali. Tuttavia, il nostro è un cervello
plasmato dalla selezione naturale per essere adatto a sopravvivere in epoca preistorica. Un
mutamento genetico spontaneo, per affermarsi nella specie, ha bisogno di molte generazioni di
individui che, grazie a questo mutamento, acquisiscano un tratto anatomico o comportamentale che
li avvantaggi nella riproduzione all’interno di un determinato ambiente. Negli ultimi diecimila anni,
cioè dalla scoperta e dalla diffusione dell’agricoltura, dobbiamo ritenere che non siano stati possibili
adattamenti evolutivi, sia per il breve tempo intercorso, sia per i continui mutamenti ambientali
prodotti culturalmente.
La differenza tra strategie maschili e femminili è legata ad una specifica asimmetria, che si spiega
con la teoria dell’investimento parentale (Trivers, 1972): un uomo può avere moltissimi figli poiché
è fertile per quasi tutta la vita ed il costo per la riproduzione è per lui minimo; una donna, al
contrario, ha a disposizione un numero limitato di ovuli nel corso di un limitato periodo di fertilità,
ed è inoltre impegnata in un periodo di gestazione di nove mesi a cui segue il periodo
dell’allattamento. Per massimizzare il successo riproduttivo, l’uomo cercherà la quantità e sarà più
competitivo sessualmente (più donne fecondate = più figli che perpetueranno i suoi geni), mentre la
donna preferirà la qualità e sarà quindi più selettiva nella scelta del partner (che garantisca le risorse
necessarie all’allevamento di un numero limitato di figli).
Geni che predispongano gli uomini ad un atteggiamento di proprietà (Wilson & Daly, 1992) nei
confronti della donna e che, pertanto, tendono a mettere in atto tutte le misure possibili per impedire
alla loro partner di essere fecondate da altri uomini, si saranno affermati facilmente nella specie.
Questi stessi geni devono essere responsabili delle violente emozioni a cui gli uomini vanno
incontro quando percepiscono possibili minacce alla fedeltà della loro partner.
Il termine stalking già rimanda al nostro passato ancestrale. Esso deriva infatti dal linguaggio
tecnico della caccia (stalker è il cacciatore in agguato della preda) e letteralmente è traducibile con
“fare la posta”, “inseguire”, “cacciare”, “seguire le tracce della preda”; individua un insieme di
comportamenti ripetuti ed intrusivi di sorveglianza e controllo nei confronti di una vittima
designata, che risulta infastidita e/o preoccupata da tali attenzioni non gradite. Si tratta di un
fenomeno tipicamente relazionale caratterizzato, come abbiamo visto, da:
a. Una serie di comportamenti diretti ripetutamente verso uno specifico individuo, per un
periodo continuativo di alcune settimane
b. Tali atteggiamenti devono risultare intrusivi e sgraditi per la vittima
c. Devono provocare in quest’ultima una sensazione di ansia, disagio e paura e una forte
limitazione della libertà personale
Le tre finalità dello stalking precedentemente esposte rimandano ad altrettante ipotesi esplicative
del comportamento aggressivo e, in particolare, dell’aggressività predatoria (Buss & Duntley,
2006):
1. Dissuadere il proprio partner dall’essere infedele: alla base delle manifestazioni violente
verso il partner, vi sarebbe un’estrema gelosia. Per quanto aberrante, certi uomini
maltrattano, molestano o perfino uccidono le loro mogli per impedire loro di interrompere la
12
relazione ed intraprenderne una nuova con un altro uomo, inducendole a credere che non
troveranno mai un partner più desiderabile di quello che hanno attualmente.
2. Recuperare una relazione con un partner precedente: l’aggressione può essere parte di una
strategia designata a riconquistare un partner che ha interrotto una relazione sentimentale.
Apparentemente, l’uso dell’aggressività per attrarre nuovamente un partner può sembrare
contro intuitiva. Tuttavia, in questo contesto, essa può funzionare come rinforzo negativo:
l’aggressione costituisce il rinforzatore negativo che viene meno quando la relazione si è
ristabilita. L’oggetto dell’aggressività – il partner desiderato – è incoraggiato ad
intraprendere una relazione con l’aggressore al fine evitare di continuare ad essere sua
vittima. Infatti, una delle funzioni dello stalking è appunto quella di recuperare un partner
che ci ha lasciato (Duntley e Buss, 2006). Quando la partner di un uomo ha abbandonato al
relazione, il comportamento di stalking contro di lei le infligge costi notevoli per ogni suo
tentativo di relazionarsi con altri uomini, e contemporaneamente dissuade altri uomini da
cercare il contatto con lei.
3. Ottenere partner sessuali altrimenti inaccessibili: l’aggressione sessuale spazia dal toccare il
corpo di una donna senza il suo permesso, all’usare minacce, fino al forzarla fisicamente ad
avere un rapporto sessuale contro la sua volontà. Il comportamento aggressivo consente
all’uomo di ottenere un contatto sessuale che altrimenti gli sarebbe precluso.
La violenza in famiglia
Un’ulteriore spia di quanto finora esposto possiamo averla se consideriamo il fenomeno della
violenza in famiglia, a proposito del quale già abbiamo osservato le tutele previste dal legislatore. In
essa, come vedremo, gli autori sono per lo più maschi che si dimostrano aggressivi verso le
femmine, per motivi prevalentemente passionali. La famiglia è il primo luogo di socializzazione; in
essa si coltivano gli affetti e l'amore è il sentimento dominante: come mai diviene allora anche
teatro di violenze?
Un primo punto è che le persone, fatta eccezione per i coniugi che si presume si siano sposati
volontariamente, non scelgono la famiglia nella quale vivono: i figli ci sono nati ed i suoceri vi
entrano spesso loro malgrado. Così, possono crearsi situazioni familiari in cui un individuo convive
con i suoi parenti non per scelta autonoma ma perché vi si ritrova e in presenza di condizioni che gli
impediscono di abbandonare eventualmente il nucleo familiare, quali, ad esempio, la mancanza di
mezzi di sussistenza autonomi, la minore età o la salute precaria.
Un secondo punto riguarda il conflitto generazionale: nell'ambito di una stessa famiglia convivono
più generazioni e ciò può facilitare scontri dovuti a modi diversi di vedere e di affrontare la vita.
Questa osservazione sembra trovare particolare riscontro per quanto riguarda il rapporto tra genitori
e figli: i maltrattamenti diretti sia agli uni che agli altri ed atti estremi quali i parricidi sembrano
spesso nascere da divergenze di opinioni o da tentativi di ostacolare i progetti di vita del congiunto.
Un'ulteriore fonte di conflitto è la presenza in famiglia di persone di sesso diverso, cosa che
richiede una definizione reciproca e consensuale dei ruoli maschili e femminili. Non a caso i
maltrattamenti alle donne hanno spesso origine nella visione distorta che il marito ha della propria
compagna: quest'ultima, in quanto donna, è talvolta definita come soggetto senza diritti né poteri ed
è obbligata ad obbedire e a soddisfare il suo “padrone”; ciò in un'epoca di forte emancipazione
femminile è spesso all'origine di conflitti familiari. Per quanto concerne le violenze di coppia
reciproche, sembra che il problema non sia legato tanto alla definizione dei ruoli, quanto alla “lotta”
per il controllo di una particolare situazione.
Un altro fattore facilitante la violenza familiare è la vicinanza fisica. I congiunti, infatti, vivono in
spazi ristretti e questo può determinare un comportamento di difesa del proprio territorio. Esistono
vari studi che dimostrano che gli uomini, così come gli animali, tendono a definire un loro territorio
personale: l'uso non autorizzato da parte di altri dei propri spazi e delle proprie risorse può essere
vissuto come un'intrusione e quindi scatenare un comportamento di difesa territoriale. Quest'ultima
13
si può manifestare con un attacco verbale o attraverso comportamenti “bloccanti” fino a sfociare in
aperte aggressioni fisiche. L'importanza della gestione degli spazi è stata evidenziata dalla
prossemica, una disciplina che studia i diversi significati legati alla distanza interpersonale, la quale
ha evidenziato che esistono, in ordine decrescente di contatto fisico, una distanza sociale, una
amicale ed una distanza intima (Gulotta, 1984).
Le statistiche
A 6 mesi dal provvedimento che introduce anche in Italia il reato di stalking (23 febbraio 2009),
si contano 520 arresti e 2950 persone denunciate (www.poliziadistato.it, 10.11.2009).
Secondo i dati raccolti dal Servizio analisi criminale della Direzione centrale della polizia
criminale, le vittime del fenomeno sono per l'80,03 % donne, contro il 19,97 % di uomini (figura
1a). Una ricerca condotta negli Stati Uniti, circa una decina di anni fa, dal NVAW (National
Violence Against Women), su un campione formato da 8.000 uomini e 8.000 donne, ha accertato
che l’ 80 % delle vittime erano giovani donne, di età media intorno ai 28 anni. Tra le vittime si
osserva la netta prevalenza di donne tra i 18 ed i 24 anni. Tuttavia, laddove lo stalker risulta
essere un ex partner il target di età delle vittime diviene statisticamente significativo tra i 35 ed 44
anni, se non altro perché in questo range sono più frequenti separazioni e divorzi. In Italia, dalla
ricerca condotta dall’ONS (Osservatorio Nazionale Stalking) è emerso un dato sostanzialmente
coincidente con la ricerca statunitense: circa l’80% delle vittime sono donne, e, per converso, la
maggior parte degli stalkers sono uomini (il 70% è la percentuale italiana, rispetto all’87%
americano, figura 1b).
90%
80,03%
80%
70%
70%
60%
50%
40%
30%
M
30%
F
19,97%
20%
10%
0%
Vittima
S talker
Figura 1. Sesso della vittima (a) e dell’autore (b) di stalking in Italia (elaborazione dati tratti da
www.poliziadistato.it e da Osservatorio Nazionale Stalking).
Normalmente il persecutore è un maschio di età compresa tra i 18 e i 50 anni (il 55% un’età
compresa tra i 18 e i 25 anni). In Italia le vittime di stalking sono prevalentemente donne con
un’età compresa più frequentemente tra i 18 ed i 24 anni (20%), tra i 35 ed i 44 (6,8%) o dai 55
anni in poi (1,2%) (dal sito www.stalking.it). Un’indagine australiana ha osservato, tramite un
sondaggio rivolto a 6300 donne, che è più probabile che la molestia sia commessa da un uomo;
risulta inoltre che il 2,6% delle vittime sposate o legate stabilmente riferisce non solo che il reo
risulta essere il coniuge o l’ex- partner, ma anche di aver subito violenza da questi. La violenza
fisica, spesso di natura sessuale, è quindi un tratto distintivo della vita della vittima (dal sito
www.stalking.it). Nella maggior parte dei casi, la vittima conosce lo stalker, mentre solo una
minoranza risulta essere stata perseguitata da uno sconosciuto, e ciò è significativo dell’origine o
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causa del “comportamento deviato”: l’intento e l’atto persecutorio nascono, per lo più, da un
legame affettivo/sentimentale finito male, spesso interrotto per volontà della vittima e non
accettato. I soggetti pienamente capaci, così come quelli riconosciuti infermi di mente, hanno la
tendenza a rivolgere l’aggressività preferibilmente contro le persone conosciute.
Come si può vedere dalle statistiche citate, vengono comunemente rispettati i ruoli tradizionali: il
persecutore è il maschio che seduce e che trattiene la femmina ed il tutto avviene durante i periodi
in cui entrambi (persecutore e perseguitato) sono sessualmente fertili. In accordo con l’ipotesi
secondo la quale l’obiettivo ancestrale dell’aggressività predatoria del maschio è quello di
massimizzare il successo riproduttivo, si comprende come mai le aggressioni avvengano, più
frequentemente, verso donne in età fertile. Le donne tendono infatti ad essere vittime di questi
episodi di maltrattamento o molestia soprattutto durante il periodo fecondo, quando, sempre
secondo una logica evoluzionistica, c’è il rischio che un’eventuale loro infedeltà porti alla
generazione di prole con un patrimonio genetico diverso da quello del partner, il quale correrebbe
così il rischio di impegnare risorse nell’allevamento di figli non suoi, perpetuando un patrimonio
genetico diverso dal proprio.
Il fenomeno dello stalking si produce solo in quella realtà in cui alle donne è consentito di
abbandonare l’uomo, sia pure a costi socio-emotivi alti e ovviamente difficilmente si può
manifestare laddove il controllo dell’uomo sulla donna (massimo del marito sulla moglie) non
consente alcuna alternativa: si consideri, in proposito, che il fenomeno dello stalking non esiste
nel mondo musulmano, dove non avrebbe ragion d’essere per le sue finalità di ripristino di una
relazione che, in quel contesto, non può essere interrotta dalla donna. Si è di fronte, in ogni caso,
ad una manifestazione di possesso da parte dell’uomo: nelle epoche successive all’avvento
dell’agricoltura, le acquisizioni evoluzionistiche sono spesso diventate elementi di barbarie
piuttosto che di sopravvivenza; in particolare, il senso di proprietà che l’uomo ha sviluppato nei
confronti della donna ha rappresentato per millenni fonte di soprusi e violenze ingiustificabili, che
si perpetuano ancor oggi, spesso mascherati da credenze religiose o residui culturali.
Come nel caso dello stalking, anche l’analisi delle statistiche relative alla violenza in famiglia dà
credito all’ipotesi esplicativa offerta dalla psicologia evoluzionistica. Facendo riferimento al
rapporto Eures-Ansa, verranno citati, ove disponibili, i dati aggiornati al 2008; tuttavia, essendo il
rapporto 2009 ancora in fase di elaborazione nel momento in cui si scrive, si farà riferimento anche
al rapporto Eures-Ansa 2007, relativo all’anno 2006.
Focalizzandosi nello specifico sul fenomeno della violenza familiare, si può osservare come sia
proprio la famiglia l’ambito principale in cui maturano gli omicidi: osservando le diverse variabili
relative all’incidenza dell’omicidio familiare sul totale degli omicidi, nel 2008 il 32,9% degli
omicidi con autore noto, tra quelli censiti, è riferibile all’ambito familiare. Tuttavia si rileva, negli
anni, una tendenza progressivamente decrescente degli omicidi familiari in Italia, con 226 vittime
nel 2000 e 171 nel 2008, benché il fenomeno sia comunque molto frequente, con un omicidio che
ogni due giorni avviene in questo contesto.
Analizzando il profilo della vittima, si può osservare come la prima e forse più importante tra le
variabili che definiscono la specificità dell’omicidio familiare sia la prospettiva di genere: come nel
caso dello stalking, le vittime tra le donne sono sempre più numerose di quelle tra gli uomini, i quali
invece rappresentano la quasi totalità degli autori. Come si può vedere in figura 2, infatti, sono
soprattutto donne le vittime degli omicidi in Italia (75% dei casi contro il 25% uomini), mentre la
fascia di età più colpita è quella compresa tra i 25 e i 54 anni (50,3% dei casi), cui seguono le
vittime anziane (22,8% gli over 64) e i minori (8,2%) (tabella 2). Si osservi come le fasce di età
più colpite siano, anche in questo caso, quelle in età fertile.
15
80%
75%
70%
60%
50%
Maschi
40%
30%
Femmine
25%
20%
10%
0%
Sesso della vittima
Figura 2. Vittime degli omicidi in famiglia nel 2008 in Italia (elaborazione dati Eures-Ansa, rapporto 2009)
Tabella 2. Età delle vittime degli omicidi nel 2008 in Italia (dati Eures-Ansa, rapporto 2009, in elaborazione)
Età in anni
<18
18-25
25-54
>64
%
8,2
8,2
50,3
22,8
Relativamente al profilo dell’autore, possiamo osservare che l’autore degli omicidi in famiglia è in
8 casi su 10 un uomo (i dati relativi al 2008 indicano un’incidenza pari all’83%), di età
prevalentemente compresa tra i 25 e i 44 anni. La violenza omicida espressa dalla componente
maschile investe un gran numero di figure: coniugi, ex coniugi o partner (che sono le vittime
predominanti), genitori, figli, fratelli/sorelle, ma anche rivali amorosi o familiari di diverso grado.
Nell'analizzare il movente dell'omicidio, prevale tra i moventi censiti (tabella 3) quello passionale o
del possesso (26,3% delle vittime), seguito dai conflitti relazionali del quotidiano (23,4%), da
motivi economici (11,7%), da raptus difficilmente spiegabili dai comportamenti precedenti l’evento
omicidiario (11,7%), dai disturbi mentali del responsabile (8,8%) e dalle situazioni di disagio o
grave malattia della vittima (6,4%). Il movente passionale è conseguente, nella maggior parte dei
casi, alla decisione della donna di abbandonare il partner e, in numero più limitato, alla gelosia
patologica dell’autore. In generale, gli omicidi passionali hanno una lunga maturazione: la carica
aggressiva dell’autore si autoalimenta in una difficile quotidianità, fino a sfociare nell’azione
omicida che, spesso, si verifica in presenza o in conseguenza di avvenimenti che assumono una
valenza simbolica di rinforzo e diventano fattori scatenanti (ad es. la sentenza di separazione o
divorzio, l’affidamento dei figli stabilito dal Giudice o l’instaurarsi di nuove relazioni della partner).
Tabella 3. Movente degli omicidi in famiglia nel 2008 in Italia (dati Eures-Ansa, rapporto 2009)
Movente
Passionale
Conflitti quotidiani
Interesse/Denaro
%
26,3
23,4
11,7
16
Raptus
Disturbi psichici o mentali dell’autore
Disagio o grave malattia della vittima
Altro
11,7
8,8
6,4
11,7
Focalizzandoci sull’aspetto relazionale, risulta particolarmente interessante la variabile della
convivenza tra la vittima e l’autore. Facendo riferimento ai dati relativi al 2006, nella tabella 4 si
può osservare come il rapporto di convivenza caratterizzi soprattutto gli eventi che colpiscono le
vittime anziane (78,9 %) o minori (88,9%), mentre per le fasce giovani, in cui si concentrano gli
omicidi passionali, il rapporto di convivenza non risulta essere un fattore di rischio (nel 2006, il
69,2% delle vittime dai 18 ai 24 anni e il 55,6% delle vittime dai 25 ai 34 anni non conviveva con
l’omicida). Ciò può essere spiegato dal fatto che questi omicidi, spesso, sono proprio conseguenza
della fine di una relazione.
Tabella 4. Vittime di omicidio in famiglia in base all'età della vittima e alla convivenza con l'autore nel 2006 in
Italia (dati Eures-Ansa, rapporto 2007)
Età in anni
<17
18-24
25-34
35-44
45-54
55-64
>64
Valori percentuali
Non convivente
11,1
69,2
55,6
36,4
40,6
22,7
21,1
Convivente
88,9
23,1
40,7
59,1
53,1
77,3
78,9
Info non disponibile
7,7
3,7
4,5
6,3
Se si considerano nello specifico gli omicidi tra conviventi, si può osservare (figura 3) come la
maggior parte delle donne uccise in famiglia risulti convivente con l'autore, al contrario degli
uomini.
80%
70,90%
70%
55,70%
60%
50%
41%
Maschio
40%
Femmina
26,10%
30%
20%
10%
0%
Convivente
Non convivente
Figura 3. Vittime di omicidio in famiglia in base al sesso della vittima e alla convivenza con l'autore nel 2006 in
Italia (elaborazione dati Eures-Ansa, rapporto 2007)
17
Come si evince dalla figura 4, è nel rapporto “orizzontale” che si conta la percentuale più elevata di
vittime di omicidio (35,9 % delle vittime tra i coniugi o conviventi, 13,3 % tra gli ex). Nei diversi
rapporti di coppia, la vittima è, anche in questo caso, prevalentemente di sesso femminile. Si
osserva una prevalenza di vittime maschili solo negli omicidi commessi tra parenti al di fuori del
rapporto di coppia (figli, fratelli o altri parenti) e, ovviamente, nel caso di rivali, in cui il maschio
uccide un altro maschio che insidia la sua partner (figura 5).
C oniuge/C onvivente
E x c oniuge/E x
G enitore
F iglio/a
A ltri parenti/affini
F ratello/S orella
P artner/amante
R ivale
Non rilevato
Nonno/a
F iglio/a ac quis ito/a
A ltro
S uoc ero/a
35,9
13,3
11,8
10,8
7,7
5,1
3,6
3,6
2,1
V alore %
1
1
1
1
0
10
20
30
40
Figura 4. Vittime di omicidio in famiglia in base alla relazione con l'autore principale nel 2006 in Italia
(elaborazione dati Eures-Ansa, rapporto 2007)
Mas c hio
T otale
Non rilevato
A ltro
Nonno/a
F iglio/a ac quis ito/a
S uoc ero/a
R ivale
P artner/amante
F ratello/S orella
Altri parenti/affini
F emmina
G enitore
C omiuge/C onvivente
E x c oniuge/E x
partner
F iglio/a
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
Figura 5. Relazione vittima/autore in base al sesso delle vittime nel 2006 in Italia (elaborazione dati Eures-Ansa,
rapporto 2007)
Come già sottolineato, la dimensione di coppia rappresenta, tra gli omicidi in famiglia, il contesto in
cui si concentra la maggioranza dei casi. In Italia, dal 2000 al 2006, gli omicidi di coppia hanno
superato costantemente le 100 unità (con la sola eccezione del 2005, quando sono stati 80). Nel
2006, al momento dell’omicidio, autore e vittima erano prevalentemente coniugati e conviventi
(57,3%). Se consideriamo che l’11% degli omicidi di coppia è avvenuto tra conviventi non
coniugati, risulta che la convivenza caratterizza, complessivamente, il 69% degli eventi. Il 25,2%
degli omicidi è invece avvenuto dopo la fine della relazione di coppia (figura 6).
18
Figura 6. Omicidi di coppia in base alla relazione al momento dell'omicidio nel 2006 in Italia (elaborazione dati
Eures-Ansa, rapporto 2007)
Negli omicidi di coppia, le donne costituiscono le vittime quasi esclusive (91,4%, a fronte
dell’8,7% di uomini). Nel complesso degli omicidi familiari, le donne rappresentano il 68,7 %
(dati riferiti al 2006). Il sesso prevalente della vittima è sempre quello femminile.
Un ultimo dato interessante riguarda gli omicidi di coppie separate: in 15 casi su 16 per i quali si
dispone di un’informazione credibile (pari al 93,8% del fenomeno noto), il soggetto attivo nella
decisione della separazione intervenuta è la vittima dell’omicidio; solo in un caso è stato l’autore
dell’omicidio a volere la separazione (figura 7). Nella quasi totalità dei casi è quindi il partner
che non accetta la fine della relazione a manifestare aggressività verso l’altro, opponendosi alla
sua decisione, fino ad arrivare all’omicidio. Come abbiamo visto precedentemente, tali dinamiche
possono rappresentare l’esito di una estrema volontà di possesso e possono trovare una
spiegazione nella psicologia evoluzionistica .
38,5%
Vittima
57,7%
Autore
Info non disponibile
3,8%
Figura 7. Omicidi di coppia separata: il soggetto "attivo" nella separazione nel 2006 in Italia (elaborazione dati
Eures-Ansa, rapporto 2007)
19
La spiegazione evoluzionistica del comportamento umano non pretende in alcun modo di fornirne
una giustificazione. Anche se l’aggressione può essere ricondotta a meccanismi evolutivi, non si
sostiene certo che essa non possa essere prevenuta o che si debba semplicemente accettare il suo
verificarsi. L’obiettivo della psicologia evoluzionistica, come quello di ogni scienza, è di
contribuire alla comprensione del fenomeno d’interesse. Indagare l’aggressività dell’uomo nei
confronti della donna secondo questa prospettiva non giustifica né promuove questi atti.
Bibliografia:
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20
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21