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Il Sole 24 Ore
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NORME E TRIBUTI
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Il Sole 24 Ore
18 GIUGNO 2015
Tribunale di Roma. L’addebito esclude il mantenimento - Contano le modalità della relazione e la lesione di
immagine
La pubblica violazione del dovere coniugale ha reso intollerabile il ménage
La violazione del dovere di fedeltà coniugale - forse contrariamente a quanto si crede - è
spesso un elemento determinante nelle cause di separazione, sopratutto quando rende
intollerabile la convivenza. Lo ha ribadito il Tribunale di Roma nella sentenza del 9 gennaio
2015 (giudice Galterio). Conseguenze pratiche: addebito della separazione e niente assegno
di mantenimento al coniuge fedifrago.
Entrambi i protagonisti del giudizio avrebbero voluto addebitare all'altro la responsabilità
della separazione per infedeltà. L'istruttoria ammessa sul punto specifico, da un lato ha portato
il tribunale a rigettare le richieste avanzate dalla moglie in danno del marito, incentrate su una
«colpa basata sul sentirsi trascurata» per avere il marito «profuso ogni impegno alla
costruzione del suo profilo professionale e di un solido impianto economico», avendo egli
assunto gli incarichi di primario ospedaliero e di professore universitario, oltre a svolgere
l'attività libera professionale. Secondo la signora, il coniuge aveva condiviso con lei
pochissimo tempo libero e pochi momenti ludici, oltre ad averla lasciata sola a provvedere alla
crescita dei figli.
Il giudice, però, ha rilevato come di fatto un tale menage sia stato «l'inevitabile conseguenza di
una pattuizione implicita, sin dai primi anni del matrimonio, che vedeva l'uno impegnato a
provvedere al fabbisogno economico della famiglia e l'altra dedita all'espletamento dei compiti
materiali di genitore», per altro aiutata in questo da una collaboratrice domestica fissa, pagata
dal marito.
Al contrario, la violazione del dovere di fedeltà da parte della moglie si è rivelata una
circostanza provata non solo dalle assunzioni testimoniali, che hanno confermato «il dedotto
illecito, ovvero la relazione sentimentale da costei intrattenuta» con un soggetto «amico di
famiglia» ma, ha osservato il tribunale, come «la sequenza temporale delle dichiarazioni
stragiudiziali e la confessione resa dalla ricorrente in corso di causa (che ha ammesso la
relazione)» porti inequivocabilmente a escludere che la nascita della sua relazione risalga a
poco prima della separazione, ma al contrario dimostri che fosse già in corso nel biennio
precedente il giudizio.
Questa certezza, unitamente all'assiduità della frequentazione, all'intimità del rapporto e al
fatto che la cerchia di amici della coppia ne fosse a conoscenza, portano coerentemente il
giudice a considerare «concreta ed assorbente» l'esistenza del nesso di causalità, in relazione
alla disgregazione dell'unione coniugale, riaffermando l'attualità della valenza del principio di
diritto per il quale «la violazione del dovere di fedeltà coniugale, con modalità tali, per la
ripetitività degli incontri, per i sotterfugi ideati e per la noncuranza mostrata renda, in sé,
intollerabile» la prosecuzione della convivenza coniugale sia per la violazione del patto di
fiducia e di reciproca dedizione posto a fondamento del vincolo coniugale, sia per la lesione
dell'immagine di rispettabilità ed onorabilità che, nel contesto sociale, deve accompagnare lo
status del coniuge.
È escluso, quindi, che il marito debba sobbarcarsi l'assegno di mantenimento, mentre
l'omissione di ogni prova circa il dedotto stato di bisogno ha impedito anche il riconoscimento
in favore della richiedente di un importo a titolo di alimenti.
Regolati così i rapporti tra i coniugi, l'esistenza di figli ancora non autosufficienti ha obbligato
il tribunale ad applicare i parametri di legge in tema di contributo al mantenimento,
riconoscendo come questo debba esser calibrato sugli specifici parametri indicati
«dall'articolo 337-ter che ha reiscritto con l'entrata in vigore del Dlgs 154/2013 il testo
previgente dell'articolo 155 Codice civile».
Di conseguenza e alla luce dei redditi paterni è stato così stabilito l'importo di 4.000 euro
mensili a favore delle due figlie, da corrispondere alla madre convivente con una diversa
ripartizione: integralmente per la minore e per i due terzi per la figlia maggiorenne, potendo
l'importo di 500 euro essere versato dal padre direttamente nelle sue mani.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Giorgio Vaccaro
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