Tribunale Civile di Prato, sentenza 2 dicembre

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Tribunale Civile di Prato, sentenza 2 dicembre
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Civile di Prato riunito in Camera di Consiglio e composto dai seguenti magistrati:
1) Dott. Francesco Antonio Genovese Presidente
2) Dott. Leonardo Scionti Giudice
3) Dott. Lucia Schiaretti Giudice rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa n. 2034/2004 R. G. vertente tra:
M. C., elettivamente domiciliato in Co. Va. d'El. (SI), via Do. Mi. n. (...) presso lo studio
dell'avv.to Ot. Ra. che la rappresenta e difende come da mandato a margine del ricorso
introduttivo;
-ricorrentee
S. A., elettivamente domiciliato in Pr., via Gu. (...), presso lo studio dell'avv. Ro. Cu. che lo
rappresenta e difende come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;
-resistenteCon la partecipazione necessaria del P.M.
Avente ad oggetto: separazione giudiziale
Conclusioni:
per la M.: voglia il Tribunale, dichiarare l'addebito della separazione a A. S., in considerazione
del suo comportamento violento e contrario ai doveri che dal matrimonio derivano; assegnare
la casa coniugale, condotta in locazione, con tutti i mobili che la arredano, alla moglie;
dichiarare che il marito è tenuto a corrispondere alla moglie, a titolo di contributo per il
mantenimento, la somma di Euro 2.000,00 mensili, in considerazione delle difficoltà causate
dal marito alla Ca. della quale ella è titolare; dichiarare il marito tenuto a corrispondere Euro
67.965,50 per merci e beni strumentali della Ca. non restituiti alla comparente, ai risarcimento
dei danni ex art. 2043 c.c. per indebito uso del marchio nonché a rimborsare alla M. il valore
dei beni e degli indumenti asportati dal domicilio coniugale. Con vittoria di spese, diritti e
onorari.
Per S.: voglia il Tribunale, respingere ogni richiesta di controparte; assegnare la casa
coniugale a sé stesso; riconoscergli, in virtù del lavoro prestato presso la Ca. e del
conseguente ottimo avviamento che la stessa, anche grazie alla sua determinante opera
professionale ha avuto, un indennizzo pari a Euro 50.000,00 o alla maggiore o minore somma
che sarà ritenuta di giustizia; disporre a favore di S. un assegno mensile di Euro 1.500,00, in
considerazione del fatto che egli non potrà più lavorare presso la Ca. e che la sua personale
attività non ha prodotto reddito negli ultimi due anni; autorizzarlo a ritirare, presso la ditta Ca.
il contenuto di una vetrina espositiva con pezzi lavorati non in vendita che egli, a proprie
spese, ha restaurato e messo in mostra nella parte della ditta aperta al pubblico; respingere
la richiesta di risarcimento danni promossa da controparte. Con vittoria di spese, diritti e
onorari.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito della pronuncia non definitiva di separazione dei coniugi la causa è stata rimessa
sul ruolo per la pronuncia sull'addebito della separazione al marito e per la definizione delle
rispettive richieste economiche dei coniugi, come da conclusioni sopra riportate. Con
riferimento all'addebito al S., la M. allegava che il marito l'aveva coartata nell'avere rapporti
sessuali promiscui, l'aveva sottoposta a violenze fisiche e psicologiche, umiliata di fronte ai
dipendenti della loro azienda; le violenze erano aumentate dal momento in cui ella aveva
rifiutato di proseguire le pratiche sessuali alle quali erano dediti fino a rendere intollerabile la
prosecuzione del matrimonio. Il S. confermava le pratiche sessuali descritte dalla moglie ma
rilevava che si trattava di uno stile di vita condiviso da entrambi. Per quanto riguarda le
richieste economiche, entrambi i coniugi chiedevano un assegno di mantenimento e
proponevano domande di restituzione di beni come indicato in epigrafe. La causa veniva
istruita con produzioni documentali, audizioni di testi e richiesta di informative alla Guardia di
Finanza. All'udienza del 1 luglio 2008, la causa veniva trattenuta in decisione, con i termini di
legge alle parti per il deposito di conclusionali e repliche.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La separazione dei coniugi deve essere addebitata a S. che ha violato i doveri nascenti non
solo dal matrimonio quanto, piuttosto, dalle comuni regole di rispetto dell'altrui persona. E'
fatto pacifico che, nel corso del matrimonio, i coniugi S.-M. abbiano praticato l'amore di
gruppo, lo scambio di coppie ed ogni sorta di perversione sessuale; i testi escussi hanno
unanimemente riferito che il soggetto dominante nella coppia era il S., il quale, con il proprio
modo di fare, coartava la volontà della moglie anche nelle pratiche sessuali del tipo sopra
descritto. La durata del matrimonio (ben 22 anni), tuttavia, induce a ritenere verosimile che la
M., se pure non abbia per prima desiderato di tenere lo stile di vita sopra riferito, ciò
nonostante, non lo abbia in modo assoluto ripudiato; la frequenza e le modalità delle pratiche
sessuali, violente e promiscue, narrata dai coniugi è tale da far sorgere dubbi sul fatto che la
M. abbia potuto accettarle, come ha riferito, al solo scopo di non perdere il marito. Molta
attenzione merita, invece, l'atteggiamento generale tenuto dal S. nei confronti della moglie; i
testi escussi hanno narrato che egli usualmente le si rivolgeva in modo irriguardoso e violento
dicendole: "non capisci niente, non vali niente", anche in presenza dei dipendenti della ditta
Ca., di proprietà della M., e intimava i dipendenti a non fare riferimento alla moglie perché
comandava lui (testi M., A., C.); in più occasioni la M. aveva bisogno di assistenza, ad
esempio quando si sentiva male in casa, ed il padre la accompagnava all'ospedale mentre S.
rimaneva a letto, noncurante dei problemi della moglie (teste M.), oppure quando non si
sentiva bene al ristorante a Vi. e S. diceva a tutti i presenti di non aiutarla perché scherzava
(teste A.). Il modo del S. di trattare la M. risulta, senz'altro, irrispettoso della persona della
moglie e viola il dovere di rispetto reciproco che si deve al coniuge non solo in quanto tale ma
in quanto persona perché è idoneo a diminuire in modo progressivo la stima di sé in capo
all'altro. L'atteggiamento sopra riferito, ripetuto nel tempo per tutta la durata del matrimonio
(22 anni), unito alla circostanza che la M. aveva manifestato l'intenzione di cessare le pratiche
di scambismo (teste O.) ed il M. era diventato ostile nei suoi confronti, già da soli vengono
ritenuti dal Tribunale la causa della impossibilità di proseguire la vita coniugale e, dunque,
della rottura del matrimonio. La separazione deve, quindi, essere addebitata ad S. L'addebito
della separazione esclude, dunque, che il S. abbia diritto all'assegno di mantenimento
richiesto alla M. (cfr. Cass. 495589). Venendo, invece, alle richieste della M. nei confronti del
S., il Tribunale osserva quanto segue: ai fini della quantificazione dell'assegno di
mantenimento a favore del coniuge al quale non sia addebitabile la separazione, il giudice del
merito deve accertare, quale indispensabile elemento di riferimento ai fini della valutazione di
congruità dell'assegno, il tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza,
quale situazione condizionante la qualità e quantità delle esigenze del richiedente,
accertando le disponibilità patrimoniali dell'onerato. Con riferimento al tenore di vita dei
coniugi durante il matrimonio, nessuna allegazione è stata fatta dalle parti; l'unica
informazione che è possibile ricavare dagli atti è che essi vivevano in un appartamento in
affitto in relazione al quale il S. riceveva lo sfratto nel 2004 e che la M. stipulava un nuovo
contratto di locazione, circostanza che, peraltro, esime il Tribunale dal pronunciarsi
sull'assegnazione della casa coniugale. Anche con riferimento ai redditi dei coniugi, le
informazioni acquisite dalla Guardia di Finanza non sono di grande utilità per la ricostruzione
delle entrate di nessuno dei due in quanto i dati fiscali delle società loro intestate riportano
utili molto bassi e, comunque, i redditi della M. risultano superiori a quelli del S. (cfr. relazione
G di F.) e rendono inverosimile la sistematica sottrazione da parte del marito della clientela
della ditta della moglie. Tardive, e comunque, non provate poi, sono tutte le richieste di
restituzione e risarcimento danni prospettate dalle parti nelle conclusioni rassegnate. Le
spese del presente giudizio devono essere integralmente poste a carico del S. al quale è
stata addebitata la separazione.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando nella causa separazione giudiziale tra i coniugi S. e M., così
provvede:
- addebita la separazione ad S.;
- dichiara inammissibili le domande di restituzione e risarcimento proposte da entrambe le
parti;
- condanna S. al pagamento, in favore di M., delle spese processuali che liquida in Euro
3.500,00 per diritti, Euro 5.200,00 per onorari, oltre accessori di legge.