Sentenza della Corte di Cassazione n. 39079 del 23/09/2013

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Sentenza della Corte di Cassazione n. 39079 del 23/09/2013
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La sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte al vaglio della
Corte di Cassazione. Nota alla sentenza n. 39079 del 23/09/2013.
SOMMARIO: 1. La sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte
quale reato di pericolo. 2. Rapporto tra sottrazione fraudolenta al
pagamento delle imposte e obbligazione tributaria. 3.
Precedenti
giurisprudenziali.
1. La sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte quale reato di pericolo.
Nella sentenza n. 39079 del 23/09/2013 la Corte di Cassazione analizza il reato di
sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte previsto e punito dall’art. 11 del
d.lgs. n. 74/2000.
Nella fattispecie de qua, il ricorso per Cassazione era stato proposto avverso una
ordinanza del Tribunale delle Libertà di Udine che aveva a sua volta rigettato la
richiesta di revoca del provvedimento di sequestro preventivo pronunciato dal Gip
del Tribunale di Udine.
Nella fattispecie, il Gip aveva ritenuto sussistente il fumus del reato di cui all’art. 11
del d.lgs. n. 74/2000 nei confronti di un contribuente dottore commercialista per
avere quest’ultimo compiuto complessi atti fraudolenti al fine di sottrarsi al
pagamento delle maggiori imposte accertate, oltre interessi e sanzioni, per gli anni
di imposta 2005-2010 (più di 4 milioni di euro). In particolare, gli atti fraudolenti
sono consistiti in:
1.
cessione di immobili (tra cui la casa di abitazione) a favore di una società
nell’aprile 2008;
2.
annullamento del capitale per perdite e successiva ricapitalizzazione da parte
della socia di minoranza, a sua volta convivente del contribuente.
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Ciò detto, occorre partire dalla norma di cui all’art. 11, primo comma, del d.lgs. n.
74/2000, che, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 29, comma 4, del d.l. n.
78/2010, recita: “E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al
fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di
interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare
complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri
atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte
inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l'ammontare delle imposte,
sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un
anno a sei anni”.
Il fatto tipico previsto dalla disposizione appena citata è rappresentato
dall’alienazione simulata o da altri atti fraudolenti compiuti al fine di occultare i
propri beni e dunque idonei a rendere del tutto inefficace la procedura di riscossione
coattiva da parte dell’Amministrazione finanziaria.
La norma non contiene alcun riferimento al momento nel quale devono intervenire
gli atti dispositivi fraudolenti. Ciò costituisce una innovazione rispetto alla analoga
fattispecie prevista all’art. 97, comma 6, del DPR n. 602/1973, che, invece,
disponeva: “Il contribuente che, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte,
interessi, soprattasse e pene pecuniarie dovuti, ha compiuto, dopo che sono iniziati
accessi, ispezioni e verifiche o sono stati notificati gli inviti e le richieste previsti
dalle singole leggi di imposta ovvero sono stati notificati atti di accertamento o
iscrizioni a ruolo, atti fraudolenti sui propri o su altrui beni che hanno reso in
tutto o in parte inefficace la relativa esecuzione esattoriale, è punito con la
reclusione fino a tre anni”.
Come si vede, la punibilità del contribuente presupponeva che l’Amministrazione
finanziaria:
-
avesse già compiuto accessi, ispezioni e verifiche, oppure
-
avesse notificato gli inviti e le richieste previsti dalle singole leggi di imposta,
oppure
-
avesse notificato atti di accertamento o iscrizioni a ruolo.
Inoltre, la norma richiedeva quale elemento essenziale, ai fini della configurabilità
del reato, una procedura di riscossione in atto e la effettiva vanificazione, per effetto
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dell’atto dispositivo, della riscossione medesima. Pertanto, il legislatore
configurava un reato di danno e non già di pericolo.
Diversamente, l’art. 11, primo comma, del d.lgs. n. 74/2000 non richiede che siano
iniziate o siano in corso attività di verifica o di accertamento né tanto meno che sia
pendente una procedura di riscossione.
Ai fini della integrazione della fattispecie incriminatrice basta unicamente che la
condotta risulti idonea a rendere in tutto o in parte inefficace una procedura di
riscossione coattiva, “idoneità da apprezzare, in base ai principi, con giudizio ex
ante – e non anche (per) l’effettiva verificazione di tale evento”.
Il reato de quo si configura, dunque, come reato di pericolo e non già come reato
di danno, non essendo più richiesto l’effetto di vanificare realmente la procedura di
riscossione coattiva, ma essendo sufficiente solo la idoneità della condotta
fraudolenta a raggiungere questo effetto.
Per quanto concerne l’elemento materiale del reato, infine, la Corte evidenzia come
esso può identificarsi non solo con una condotta istantanea ma anche con una
condotta suscettibile di essere posta in essere in tempi e con atti diversi e plurimi, i
quali solo nella loro lettura complessiva sono idonei a ledere la garanzia
patrimoniale dell’Erario. Nella fattispecie, come visto, il contribuente aveva posto
in essere due atti esecutivi della medesima condotta fraudolenta, particolarmente
sofisticati e compiuti con la collaborazione di un soggetto a lui legato da vincolo
affettivo.
2. Rapporto tra sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e
obbligazione tributaria.
Al riguardo si discute quali sono gli effetti del successivo adempimento
dell’obbligazione tributaria a seguito, ad esempio, di adesione all’avviso di
accertamento. Ebbene, secondo Corte di Cassazione n. 36290 del 6 ottobre 2011, è
irrilevante un adempimento successivo. Infatti, la lesione del diritto di credito del
Fisco non è elemento necessario della fattispecie, potendo configurarsi il reato
anche qualora, dopo il compimento degli atti fraudolenti, intervenga il pagamento
dell’imposta e dei relativi accessori.
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Altra ipotesi è quella per cui l’avviso di accertamento notificato al contribuente
venga successivamente annullato dalla Commissione tributaria con conseguente
dichiarazione di inesistenza/illegittimità della pretesa erariale. Sul punto, Corte di
Cassazione n. 5824 del 6/02/2008 ha stabilito che è irrilevante penalmente
l’annullamento dell’avviso di accertamento in quanto “si deve avere riguardo alla
situazione esistente al momento della effettuazione dell’atto di alienazione o
fraudolento”.
Tale indirizzo interpretativo, tuttavia, come evidenziato dallo Studio del Consiglio
Nazionale del Notariato n. 149-2012/C, sembra contrastare con l’art. 49, secondo
comma, c.p. secondo cui “La punibilità è esclusa quando, per la inidoneità
dell'azione o per l'inesistenza dell'oggetto di essa, è impossibile l'evento dannoso o
pericoloso”.
Nella fattispecie, in particolare, difetterebbe il debito tributario e, dunque, non
potrebbe assolutamente operare una procedura di riscossione coattiva.
Per quanto concerne il requisito della “idoneità”, esso non sussiste laddove il
patrimonio del contribuente è comunque oggettivamente sufficiente a soddisfare il
debito tributario. Opinando diversamente, si giungerebbe all’assurdo per cui
qualunque soggetto, per il solo fatto di essere debitore nei confronti dell’Erario per
una somma superiore a € 50.000,00, pur essendo titolare di un patrimonio cospicuo,
non potrebbe compiere atti di disposizione del proprio patrimonio pena altrimenti la
contestazione del reato de quo.
Come è stato evidenziato dallo Studio del Consiglio Nazionale del Notariato n.
149-2012/C, poiché la norma parla di “riscossione coattiva”, non è rilevante solo la
capienza del patrimonio in termini quantitativi, ma lo è anche la sua composizione
in termini qualitativi, con riguardo alla possibilità di successo della esecuzione da
parte dell’Amministrazione finanziaria.
Nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione afferma come “ai fini della
configurabilità del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte è
necessario, sotto il profilo psicologico, il dolo specifico (ovvero il fine di sottrarsi
al pagamento del proprio debito tributario) e, sotto il profilo materiale, una
condotta fraudolenta atta a vanificare l’esito dell’esecuzione tributaria coattiva la
quale non configura un presupposto della condotta, in quanto è prevista dalla
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legge solo come evenienza futura che la condotta, idonea, tende a neutralizzare. A
tal uopo non solo non è necessario che la procedura di riscossione coattiva abbia
avuto avvio, ma anche che i prodromi di essa, ossia l’accertamento tributario, sia
già stato posto in essere attraverso le verifiche e le successive contestazioni”.
Ciò, sottolineano i giudici, vale ancor di più nel caso di specie laddove il
contribuente è un dottore commercialista, cioè “un professionista ben consapevole
del significato dell’obbligazione tributaria, dei suoi presupposti e dell’eventualità
del suo accertamento successivo con la conseguente attività riscossiva da parte
dell’Erario e dei suoi agenti (dolo specifico)”.
In particolare, “la consapevolezza (ancor maggiore per un professionista) dell’aver
eluso i doveri fiscali connota ogni attività dispositiva compiuta dal contribuente,
come altamente indiziaria dell’attività simulatorio/fraudolenta e colta a prevenire
la realizzazione della pretesa fiscale (che ben si conosce come fondata)
indipendentemente dal momento storico del suo accertamento”.
3. Precedenti giurisprudenziali
Sulla irrilevanza della procedura di riscossione coattiva così come della
effettuazione di accessi, ispezioni, verifiche o della notifica di atti di accertamento,
si è pronunciata Cassazione penale n. 45730 dell’8/11/2012. Secondo gli ermellini
“La sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte disciplinata dall'art. 11 del
D.Lgs. n. 74/2000 presenta delle palesi difformità rispetto alla così detta frode
nell'esecuzione esattoriale delineata nell'art.97, comma 6, del D.P.R. n. 602/1973
(modificato dalla L. n. 413/1991). La nuova fattispecie, nata dall'intenzione del
legislatore di arretrare il momento della punibilità e avanzare dunque la tutela,
non presuppone più la determinazione di un effettivo danno per l'Erario. E'
sufficiente, infatti, che la condotta sia idonea a rendere in tutto o in parte inefficace
la procedura di riscossione coattiva, mentre si prescinde dalla concreta
verificazione dell'evento. Il reato, pertanto, non è di danno ma di pericolo
concreto, con valutazione dell'idoneità della condotta da compiere, con giudizio ex
ante, caso per caso. Conseguentemente, affinché si ritenga perfezionato il delitto in
questione, non necessita che via sia, in corso di svolgimento, una procedura
esecutiva tributaria. Parimenti, non si richiede che sussistano le condizioni già
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previste per la punibilità ai sensi del richiamato art. 97 (compimento di atti
fraudolenti sui propri o altrui beni dopo che sono iniziati accessi, ispezioni e
verifiche o sono stati notificati inviti e richieste ovvero sono stati notificati atti di
accertamento o iscrizioni a ruolo)”.
Sul concetto di idoneità della condotta a neutralizzare una futura ed eventuale
riscossione coattiva si è pronunciata Cassazione n. 28567 del 28/26/2012. Secondo
la predetta sentenza, non è rilevante il fatto che il contribuente abbia ceduto
l’immobile ad un terzo allo scopo di permettere a quest’ultimo di ottenere un
finanziamento da parte di un Istituto di credito. Ciò in quanto, “la nuova fattispecie
delittuosa costituisce reato di pericolo e non più di danno e l'esecuzione
esattoriale, quindi, non configura un presupposto della condotta illecita, ma è
prevista solo come evenienza futura che la condotta tende a neutralizzare. Ai fini
della perfezione del delitto, pertanto, è sufficiente la semplice idoneità della
condotta a rendere inefficace (anche parzialmente) la procedura di riscossione idoneità da valutare con giudizio ex ante - e non anche l'effettiva verificazione di
tale evento”.
In merito, invece, al profilo materiale del reato, si segnala Cassazione penale n.
19595 del 18/05/2011 secondo cui la condotta di sottrazione fraudolenta può
assumere le più diversificate modalità, potendo estrinsecarsi attraverso l'abuso di
strumenti giuridici rientranti solo in apparenza nella fisiologia della vita aziendale o
societaria.
Nel caso esaminato dalla Corte, si trattava di cessioni aziendali e di scissioni
societarie simulate, operazioni multiple poste in essere, in apparenza, allo scopo di
effettuare una ristrutturazione aziendale.
Lecce, 24 aprile 2014
Avv. Leonardo Leo