Non è la cartella a fare il reato

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Non è la cartella a fare il reato
Lunedì 2 Marzo 2015
FISCO
13
L’orientamento di recenti sentenze della Cassazione in casi di sottrazione fraudolenta
Non è la cartella a fare il reato
Basta che la riscossione sia avviata con iscrizione a ruolo
I principi
Pagina a cura
LUCA NISCO
DI
L’
operazione di scissione societaria con la
quale vengono assegnati a una società
di nuova costituzione tutti i
rapporti, a esclusione di quelli
fiscali, e i beni immobili non
già gravati di ipoteca, seguita
dalla vendita dei beni immobili
in favore di una società terza,
di fatto sotto il controllo del
contribuente debitore, integra
il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Per la consumazione del
reato, peraltro, non è necessario che sia stata notificata al
contribuente una cartella di
pagamento, essendo sufficiente
che la procedura di riscossione
si possa dire già avviata con
l’iscrizione a ruolo dell’imposta
non versata.
Sono questi i principi desumibili da due recenti sentenze
della Corte di cassazione rese in
relazione a fattispecie ricadenti
nell’alveo dell’art. 11 del dlgs n.
74/2000. La prima sentenza, la
n. 7618 del 19 febbraio 2015,
aveva a oggetto un’imputazione per bancarotta fraudolenta
a latere della quale erano state
effettuate delle alienazioni preordinate al rientro in possesso
di fatto da parte dell’imputato
dei beni già di proprietà di una
società avente debiti fiscali. La
seconda sentenza, la n. 5918 del
10 febbraio 2015, aveva, invece,
a oggetto l’alienazione simulata di beni immobili da parte di
un contribuente in favore della
consorte nell’imminenza della
notifica di una cartella di pagamento, la quale peraltro recava
un importo inferiore all’intero
carico tributario dovuto dal
contribuente, collocandosi al
di sotto della soglia di rilevanza penale (50 mila
euro).
È evidente come siano
numerose le fattispecie
che possono ricadere
nell’ambito applicativo
del reato di sottrazione
fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11,
dlgs n. 74/2000), che sanziona con la pena della
reclusione da 6 mesi a 4
anni chiunque, al fine di
sottrarsi al pagamento
di imposte sui redditi o
sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relative a dette imposte di
ammontare complessivo
a 50 mila euro, aliena simulatamente o compie
altri atti fraudolenti sui propri
o altrui beni idonei a rendere
in tutto o in parte inefficace la
procedura di riscossione coattiva. La pena è incrementata
da 1 a 6 anni laddove l’ammontare delle imposte, sanzioni e
interessi sia superiore a 200
mila euro.
Il reato, come strutturato, si
L’operazione di scissione societaria con la quale vengono assegnati ad una società di nuova costituzione
rapporti attivi e beni immobili, seguita dalla vendita di
tali beni in favore di una società terza, di fatto sotto il
controllo del contribuente debitore, integra il reato di
sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte
Per la consumazione del reato di sottrazione fraudoCorte di cassazione lenta al pagamento delle imposte non è necessario
III sez. penale
che sia stata notificata al contribuente una cartella di
pagamento, essendo sufficiente che la procedura di
sentenza
5918/2015
riscossione si possa dire già avviata con l’iscrizione a
ruolo dell’imposta non versata
Corte di cassazione
VI sez. penale
sentenza
7618/2015
La competenza sottintende dolo
L’intento di sottrarsi al pagamento delle
imposte e di vanificare l’esecuzione tributaria coattiva costituisce il fulcro per
la sussistenza del dolo specifico, anche
se presuppone molte volte il possesso,
da parte del contribuente, di complesse e
numerose nozioni e conoscenze in ambito
legale, e tributario, che non rappresentano
certo un bagaglio conoscitivo comune. È
questa la ragione per cui è opportuno che
i professionisti che si trovano ad assistere
i contribuenti nell’effettuazione di atti dispositivi o operazioni straordinarie, talora
molto articolate e complesse, acquisiscano informazioni e documentazione utile a
comprendere quale sia l’effettiva posizione
dei propri assistiti nei confronti dell’Erario, onde evitare di potere essere eventualmente imputati per concorso, sempre che
ovviamente siano a conoscenza del fine di
sottrarsi al pagamento delle imposte perseguito dall’autore del reato.
Nella prospettiva del dolo specifico, è di
particolare interesse la sentenza della Corte di cassazione n. 39079 del 23 settembre
2013, avente a oggetto l’imputazione per il
reato di cui all’art. 11 del dlgs n. 74/2000 nei
configura quale reato di pericolo che si perfeziona nel momento in cui vengono posti in
essere gli atti simulati o fraudolenti, non essendo necessario
il verificarsi di un danno effettivo per l’Erario, consistente
nella mancata riscossione ed
essendo, invece, sufficiente la
mera idoneità della condotta,
confronti di un contribuente, in quel caso
dottore commercialista, che si difendeva
adducendo, tra le altre argomentazioni, che
gli atti traslativi reputati quali fraudolenti
erano stati posti in essere anteriormente
all’insorgenza del debito tributario, sebbene in prossimità degli esiti di una verifica
condotta sulla sua posizione personale.
Ebbene, in tale circostanza la Corte, nel
precisare la non necessarietà dell’avvio della procedura di riscossione coattiva per la
configurazione del reato, ha aggiunto che
ciò è tanto più corretto quando il protagonista della complessa operazione è un
dottore commercialista, ossia un professionista consapevole del significato dell’obbligazione tributaria, dei suoi presupposti
e dell’eventualità del suo accertamento
successivo, cui consegue l’attività di riscossione da parte dell’Erario. In sostanza,
afferma la Corte, la consapevolezza (ancor
maggiore per un professionista) dell’aver
eluso i doveri fiscali connota ogni attività
dispositiva compiuta dal contribuente come
altamente indiziaria dell’attività simulatorio/fraudolenta, nonché volta a prevenire la
realizzazione della pretesa fiscale (che ben
si conosce come fondata) indipendentemente dal momento storico del suo accertamento, secondo le sequenze procedimentali
adottate dall’Amministrazione finanziaria.
Per i professionisti del settore tributario,
nella visione della Suprema corte, il dolo è
come se fosse in re ipsa, senza necessità di
ulteriori approfondimenti a riguardo.
valutata ex
ante e dunque
nel momento
in cui vengono
compiuti gli
atti, a frustrare la procedura
di riscossione.
L’ e l e m e n t o
psicologico è
costituito dal
dolo specifico,
rappresentato
dal fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi e
Iva, nonché correlati interessi
e sanzioni; da quanto precede
emerge che il reato non dovrebbe potersi configurare in
materia di Irap, non trattandosi di un’imposta sui redditi
in senso tecnico, così come affermato anche dalla Suprema
Corte con la recente sentenza
n. 4906 del 2 febbraio 2015, né
in materia di imposte indirette
diverse dall’Iva.
Per quanto attiene alla condotta incriminata, alienazione simulata o compimento di
atti fraudolenti, la giurisprudenza di legittimità ha avuto
modo di esaminare svariate
fattispecie, giungendo a considerare quali fraudolenti gli
atti di costituzione di un fondo
patrimoniale, se non giustificato dalla situazione familiare del contribuente e privo di
ragioni attendibili (sent. n.
40561/2012; n. 5824/2007),
nonché gli atti di cessione di
azienda e di riorganizzazione
societaria, in quanto idonei, se
non a impedire, quantomeno a
ostacolare il recupero del cre-
dito da parte dell’Erario (sent.
n. 37415/2012; n. 49091/2012;
n. 45737/2012).
Elemento nodale della questione, che può ingenerare molti dubbi in virtù dei tecnicismi
e delle peculiarità del settore
tributario, è il momento a decorrere dal quale il contribuente può dirsi a conoscenza di un
debito nei confronti del Fisco,
con la conseguenza che gli atti
successivamente compiuti potrebbero essere classificati nel
novero di quelli preordinati
alla frustrazione delle ragioni
creditorie di quest’ultimo. La
giurisprudenza di legittimità
è concorde sulla configurabilità del reato in assenza di
un preventivo compimento di
attività di verifica o accertamento (da ultimo, sentenza
m
n. 45730/2012) e, addirittura,
n
giunge ad affermare la non
g
necessarietà di una procedun
rra di riscossione in atto (sent.
39079/2013). Tali considerazioni necessitano di attente valun
ttazioni in ragione dell’entrata
a regime della disciplina degli
accertamenti c.d. «esecutivi», di
cui all’art. 29 del dl n. 78/2010,
che divengono tali decorsi sessanta giorni dalla notifica e che
non richiedono né l’iscrizione a
n
rruolo né la notifica di una carttella di pagamento, potendo
llegittimare l’avviso dell’espropriazione forzata decorsi 180
p
giorni dalla loro presa in carico
g
da parte di Equitalia. La diversificazione delle fasi e dei procedimenti tributari e l’assenza
di sincronia tra la consumazione del reato e la realizzazione
n
della pretesa tributaria sono
suscettibili di produrre effetti
palesemente dannosi in capo
p
ai contribuenti.
Dal punto di vista delle difese esperibili, appare possibile
soffermarsi, oltre che sull’assenza dell’elemento soggettivo,
sulla non qualificabilità degli
atti dispositivi del patrimonio
come simulati o fraudolenti,
nel primo caso evidenziando la
n
congruità ed effettività sia del
prezzo sia del suo pagamento,
p
nel secondo caso provando le
n
rragioni di natura commerciale
e/o familiare per cui gli atti sono
stati posti in essere. Altra linea
difensiva individuabile è la prova della inidoneità della condotta a frustrare la procedura di riscossione delle somme da parte
dell’Erario, che potrebbe essere
fornita dimostrando la capienza
del patrimonio residuo dopo gli
atti dispositivi, la permanenza
delle somme eventualmente
incamerate nella disponibilità
del contribuente o, nel caso di
società, anche l’esistenza di un
congruo accantonamento in
bilancio.
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