la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e` reato di

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LA SOTTRAZIONE FRAUDOLENTA AL
PAGAMENTO DELLE IMPOSTE E’
REATO DI PERICOLO
a cura di Gianfranco Antico
Il reato di cui all'art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 20001, salvo che il fatto
costituisca più grave reato2, punisce colui il quale, al fine di sottrarsi al
pagamento delle II.DD. o dell’IVA ovvero di interessi o sanzioni relative a
dette imposte, di ammontare complessivo superiore a € 51.645 alieni
simulatamente o compia altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni, idonei
a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione.
Tale norma trova il suo immediato precedente nell'ipotesi prevista
dall'art. 97 del D.P.R. n. 602 del 1973, nel testo risultante dalle modificazioni
apportate con l'art. 15, comma 1, della L. n. 413 del 19913, e descrive una
fattispecie a consumazione anticipata, improntata ad un'evidente finalità
general preventiva.
Proprio in linea con i principi ed i criteri direttivi della legge delega n.
205/1999, è stato rafforzato il presidio penale in ordine ai comportamenti
fraudolenti, anche attraverso l’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, che si sostanzia
in una alienazione simulata che il debitore pone in essere per sottrarsi
volontariamente alla procedura di riscossione e cerca di ovviare alla scarsa
incisività del vecchio dettato normativo legato alla constatata inefficacia
dell'esecuzione esattoriale.
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ANTICO, Cassazione 3 agosto 2007, n. 32282: la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in “il
fisco” n. 45/2007, pag. 6537
2 Espressamente la circolare n. 154/2000, in ordine alla clausola "salvo che il fatto non costituisca reato più
grave, esclude il concorso con il reato di bancarotta fraudolenta documentale, ritenuto prevalente
rispetto all'ipotesi delittuosa in esame”.
3 L'art. 97 – titolato Frode nell’esecuzione esattoriale - dopo le modifiche di cui all'art. 15, L. n. 413/1991 così
disponeva: "Il contribuente che al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte, interessi, soprattasse e pene
pecuniarie dovuti, ha compiuto, dopo che sono iniziati accessi, ispezioni e verifiche o sono stati notificati gli
inviti e le richieste previsti dalle singole leggi di imposta ovvero sono stati notificati atti di accertamento o
iscrizioni a ruolo, atti fraudolenti su propri o su altrui beni che hanno reso in tutto o in parte inefficace la
relativa esecuzione esattoriale, è punito con la reclusione fino a tre anni. La disposizione non si applica se
l'ammontare delle somme non corrisposte non è superiore a lire 10 milioni".
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Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è violativa della Legge 633/1941 e pertanto perseguibile penalmente
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Il reato si rivolge alla riscossione di debiti erariali riconducibili alle
imposte sui redditi e all'imposta sul valore aggiunto ed investe tutti i
contribuenti sui quali grava un debito Irpef, Ires od Iva, indipendentemente
dal regime contabile al quale essi siano assoggettati.
Proprio per la natura del reato si ritiene applicabile il concorso di
persone di cui all’art. 110 del C.P. che si realizza nell'apporto partecipativo di
un terzo nel compimento della alienazione simulata o degli altri atti
fraudolenti richiesti dalla norma incriminatrice.
L’Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 154/E del 4 agosto
2000 (punto 3.4.) ha specificato, fra l’altro, che il reato si perfeziona con “la
semplice idoneità della condotta a rendere inefficace la procedura di
riscossione, e non anche l'effettiva verificazione dell'evento”.
La soglia di punibilità va riferita all'ammontare complessivo delle
imposte, degli interessi e delle sanzioni amministrative, il cui pagamento si
intendeva evitare.
La posizione della dottrina
La migliore dottrina4 che ha avuto modo di occuparsi della questione
ha affermato che “il raggio di azione della nuova figura criminosa, quindi,
prescinde dalle vicende procedimentali dell'accertamento del rapporto
obbligatorio di imposta, rendendo punibili anche atti fraudolenti commessi in
un momento anteriore a quello in cui l'autore venga formalmente a conoscenza
del compimento di controlli da parte del Fisco. Inoltre, non sono più qualificate
come dovute le imposte alla cui riscossione coattiva l'agente intende sottrarsi.
Ai fini del perfezionamento del reato de quo, è richiesta altresì la semplice
idoneità della condotta a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva
e non anche l'effettiva verificazione di tale evento. In relazione a quest'ultimo
profilo, l'illecito di cui trattasi - teso a proteggere l'interesse alla percezione
dei tributi nella fase del recupero coattivo - si presenta come reato di pericolo
concreto e non di danno”.
Il delitto contempla una condotta esclusivamente commissiva,
consistente nell'alienazione simulata di beni del proprio patrimonio o il
compimento di altri atti fraudolenti sui beni propri o altrui preordinati al
fine di pregiudicare l'efficacia della riscossione coattiva: caso classico è
l’alienazione di un bene ovvero la costituzione di un usufrutto.
4 PAPPA, Il sistema sanzionatorio penale nella fase della riscossione delle imposte: il delitto di sottrazione
fraudolenta al pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, in "il fisco" n. 29/2004, pag. 4431.
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La stessa dottrina citata5 fa rientrare tra le alienazioni simulate
“l'affitto di azienda o di un ramo, il trasferimento dell'azienda, la fusione,
la scissione, lo scioglimento di società, la cessione di crediti, il riconoscimento di
passività inesistenti, la costituzione di ipoteche, eccetera. Rientra inoltre nella
nozione di alienazione simulata anche l'utilizzo di negozi indiretti”.
La linea di tutela penale richiede, ai fini della perfezione del delitto, la
semplice idoneità della condotta a rendere inefficace la procedura di
riscossione. “Da ciò deriva che il prescritto elemento intenzionale sussiste
quando il contribuente si comporta in modo idoneo ad addivenire ad un illecito
risparmio d'imposta. Esso può, tuttavia, derivare, nella fattispecie delineata
dalla nuova norma penale tributaria, anche dalle condotte pretesamente tenute
dal contribuente stesso prima dell'avvio dell'azione accertatrice a suo carico.
La sottrazione fraudolenta all'obbligo tributario non è più, pertanto, un reato
proprio di chi stia subendo il controllo fiscale nelle sue varie forme6”.
Per quanto riguarda il concetto di altri atti fraudolenti si fa riferimento 7
“al delitto di cui all'art. 388, comma 1, del codice penale, che ha una
formulazione analoga al delitto in esame. Secondo una ormai consolidata
giurisprudenza su questo delitto previsto dal codice penale, sono punibili atti
negoziali e non negoziali: circa i primi si afferma che il delitto è perfetto quando
sia dimostrata la divergenza tra l'interno volere del contribuente e la
dichiarazione negoziale; mentre la fraudolenza delle condotte non negoziali
consisterebbe nella materiale sottrazione dei propri beni alla garanzia del
credito erariale. In ordine alla prova della fraudolenza, si può ritenere
fondamentale la collocazione cronologica degli atti di disposizione patrimoniale.
Ad esempio, è dimostrato il fine fraudolento in caso di conferimento in società
di un immobile con contestuale cessione della quota sociale in data di poco
precedente a quella di inizio della esecuzione esattoriale, qualora risulti che la
quota sia stata venduta a persone della famiglia ad un prezzo di gran lunga
inferiore al valore reale8”. Sul punto, tale autorevole dottrina richiama le
valutazioni dello Scevola9, secondo il quale le figure della simulazione e
5 PAPPA, Il sistema sanzionatorio penale nella fase della riscossione delle imposte: il delitto di sottrazione
fraudolenta al pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, in "il fisco" n. 29/2004, pag. 4431.
6
ARICI, Atti fraudolenti diretti a rendere inefficaci le azioni di riscossione delle imposte, in "il fisco" n. 25/
2000, pag. 8360. Cfr. A. TENCATI, Un'ipotesi evolutiva per la sottrazione fraudolenta all'obbligo tributario, in
"il fisco" n. 19/1998, pag. 6215
7 MASTROGIACOMO, Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, in "il fisco" n. 33/2000,
pag. 10278
8
Cfr. Trib. Rieti, 16 luglio 1986, in "Diritto e pratica tributaria", 1989, II, pag. 592
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del negozio indiretto sembrano le più confacenti al delitto in esame: è il
caso, ad esempio, di trasferimenti caratterizzati da simulazione assoluta che
comportino, di fronte a terzi, l'intestazione del bene ad una persona fisica
(prestanome) o giuridica (società di comodo); o di negozi giuridici indiretti
quali l'attribuzione fiduciaria a terzi della titolarità
del cespite con
conferimento del potere di amministrarlo e successivo obbligo di restituzione
a scopo conseguito.
Gli interventi giurisprudenziali
Come abbiamo anticipato, più volte la Corte di Cassazione si è
occupata della questione. In particolare:
- nella sentenza n. 381/17071 del 4 aprile 2006 (dep. il 18 maggio
2006), la III Sez. Penale della Corte di Cassazione ha ritenuto che per
la sussistenza del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di
imposte non occorre che il contribuente sia stato posto in qualche
modo in condizione di aspettarsi un'azione esecutiva da parte
degli uffici tributari, né che tale azione esecutiva sia in atto. Per i
Giudici di Cassazione, “l'art. 11, non contenendo più alcun riferimento
alle suesposte condizioni, supera, dunque, l'impostazione in base alla
quale il reato era configurabile solo se il contribuente era stato in qualche
modo posto in condizione di aspettarsi un'azione esecutiva da parte
degli uffici tributari. Per il perfezionamento del reato, infatti, si richiede
ora solo che l'atto simulato di alienazione o gli altri atti fraudolenti sui
beni siano idonei ad impedire il soddisfacimento totale o anche parziale
del Fisco. Si deve, pertanto, ritenere che l'intento del legislatore sia stato
non già quello di posticipare rispetto alla disciplina previgente la linea di
intervento penale ma, semmai, di anticiparla, anche se, in concreto, parte
della dottrina continua a ritenere necessario quantomeno in relazione
all'elemento soggettivo del reato, che, come disponeva la disposizione
precedente, l'interessato sia comunque a conoscenza dell'esistenza di
una procedura di accertamento nei confronti suoi - o delle società a
lui riconducibili - da parte degli organi preposti all'accertamento
tributario. In nessun caso può dunque condividersi l'opinione secondo cui
il reato sarebbe configurabile solo in presenza di un'azione esecutiva già
avviata”;
- sulla stessa lunghezza d’onda si colloca la sentenza n. 7/7916 del 10
gennaio 2007 (dep. il 26 febbraio 2007), della II Sez. Penale della
Cassazione, la quale ritiene infondata la censura con la quale si
9
SCEVOLA, Riscossione delle imposte e atti fraudolenti, in "il fisco" n. 46/1988, pag. 7278.
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-
sostiene che non sarebbe configurabile il reato di cui all'art.11 del
D.Lgs. n. 74 del 2000 in assenza di una procedura di riscossione in
atto. “Il dato testuale della norma evocata non consente dubbi sul fatto
che il riferimento alla procedura di riscossione appartiene al momento
intenzionale non alla struttura del fatto. Le ragioni di tale configurazione
emergono con chiarezza dalla relazione governativa al decreto, che
evidenzia come rispetto alla previsione punitiva dell'art. 97, sesto
comma, del D.P.R. n. 602/1973, come sostituito dall'art. 15, comma 4,
lettera b), della L. n. 413/1991 - di cui quella in esame costituisce lo
sviluppo - sia stata dal legislatore voluta proprio la soppressione del
presupposto rappresentato dall'avvenuta effettuazione di accessi,
ispezioni o verifiche, o dalla preventiva notificazione all'autore della
manovra di inviti, richieste, atti di accertamento o iscrizioni a ruolo:
presupposto che aveva contribuito, in effetti, a limitare fortemente le
capacità di presa dell'incriminazione". Dacché, deliberatamente, "da
linea della tutela penale è stata opportunamente avanzata, richiedendo,
ai fini della perfezione del delitto, la semplice idoneità della condotta a
rendere inefficace la procedura di riscossione - idoneità da apprezzare,
in base ai principi, con giudizio ex ante - e non anche l'effettiva
verificazione di tale evento";
ed ancora i Giudici di Cassazione, nella sentenza n. 659/32282 del
2007 affermano che la norma “non mira a punire il mero inadempimento
di un'obbligazione tributaria (come, ad esempio, si verificava nell'art. 2
della L. n. 516/1982, con riferimento al sostituto d'imposta) o di
sanzioni ed interessi alla stessa riconducibili, dopo che è stato
regolarmente assolto il preventivo obbligo della dichiarazione, ma mira a
sanzionare, in virtù di quel favor fisci che caratterizza l'incriminazione
de qua, il compimento di attività fraudolente, finalizzate a far venire
meno le garanzie di un'efficace riscossione dei tributi da parte dell'Erario.
Bene protetto pertanto è l'interesse a rendere possibile la riscossione da parte dell'Erario - delle imposte, delle sanzioni amministrative e degli
interessi dovuti dal contribuente, attraverso l'intangibilità della garanzia
patrimoniale rappresentata dai beni dell'obbligato. L'interesse tutelato
dalla norma è pertanto riconducibile nell'alveo dell'art. 53 della
Costituzione, concernente la regolare ed efficace percezione dei tributi
(lato sensu) da parte dello Stato”. La Corte opera una lettura combinata
con il vecchio art. 97, comma 4, del D.P.R. n. 602/73, il quale
“richiedeva che la condotta determinasse la effettiva inefficacia - totale o
parziale - dell'attività di riscossione”, mentre l’attuale dettato normativo,
“ai fini della punibilità degli atti di alienazione simulata o degli altri atti
fraudolenti, ritiene sufficiente che gli stessi siano idonei a porre in
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pericolo la riscossione del credito da parte dell'Erario”. Il legislatore ha
quindi anticipato la tutela penale, che attualmente è collegata alla
semplice "messa in pericolo" del diritto di riscossione dell'Erario (reato
di pericolo concreto). Prosegue la Corte: “il compito di accertare la
sussistenza della predetta situazione di pericolo appartiene al giudice, il
quale dovrà verificare - caso per caso, cioè in concreto - se la condotta
del soggetto agente, sulla base delle circostanze dallo stesso conoscibili
al momento (cioè attraverso un giudizio ex ante), abbia avuto o no
efficacia potenzialmente depauperatoria. Da ciò consegue che non è
necessaria l'esistenza di una procedura esecutiva in atto o la previa
effettuazione di accessi della polizia tributaria o la notificazione di atti di
accertamento da parte degli uffici finanziari, né la verifica dell'inefficacia
dell'esecuzione esattoriale”. A supporto della tesi, la Cassazione, oltre a
richiamare la posizione della dottrina, fa propria la giurisprudenza
della stessa Corte (cfr. Cass. n. 17071 del 2006; n. 7916 del 2007), “la
quale ha sottolineato che il riferimento alla procedura di esecuzione
appartiene al momento intenzionale e non alla struttura del reato. Il
legislatore, come risulta dalla stessa relazione, ha deliberatamente
soppresso il presupposto rappresentato, sotto la previgente normativa,
dall'effettuazione di accessi, ispezioni eccetera, proprio al fine di
apprestare una tutela avanzata”. E pertanto, sbaglia chi esclude la
configurabilità del reato per la mancanza di una procedura
esecutiva in atto (resta fermo che la condotta incriminata presuppone
l'esistenza di un credito d'imposta in misura non inferiore ad euro
51.645). Per i giudici Supremi, “non è necessario che il credito
d'imposta, che costituisce un elemento costitutivo del reato (per una
parte della dottrina configurerebbe un semplice presupposto di fatto),
sia stato definitivamente accertato, ma è pur sempre indispensabile che
sia concretamente configurabile e che il contribuente sia comunque a
conoscenza dello stesso, posto che la fattispecie in questione è
caratterizzata dal dolo specifico di sottrarsi al pagamento delle imposte
sui redditi o sul valore aggiunto”. Tuttavia, osserva la Corte, “la
decisione definitiva
delle Commissioni tributarie, pur nel rispetto
dell'autonomia dei due giudizi, non può essere ignorata dal giudice
penale allorché il credito per il quale è apprestata la tutela in esame
venga escluso, posto che trattasi di sentenza che a norma dell'art. 238bis del C.p.p. può essere valutata ai fini della prova del fatto in essa
accertato, sia pure nei limiti di cui agli artt. 197 e 192 comma terzo.
D'altra parte, l'art. 479 del C.p.p. consente al giudice del dibattimento
di sospendere il processo penale quando la decisione sull'esistenza del
reato dipende dalla definizione di una controversia civile o
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amministrativa di particolare complessità. Ora non v'è dubbio che
l'accertamento in sede civile di una simulazione sia controversia di
particolare complessità al pari di quella dell'accertamento di un credito
d'imposta in misura superiore ad euro 51.645”. E’ vero che “le sentenze
tributarie non ancora definitive non vincolano in alcun modo il giudice
penale”, ma, secondo una certa giurisprudenza (Cass. n. 3540 del
1999) “potrebbero essere acquisite a norma dell'art. 234 del codice di
procedura penale, ed essere liberamente valutate dal giudice come
semplici elementi di giudizio soggetti al libero convincimento e finalizzate
a realizzare lo scopo primario del processo penale ossia l'accertamento
del fatto”. Alla stregua delle considerazioni svolte, la Cassazione
annulla con rinvio l'ordinanza impugnata, con carico al giudice del
rinvio di riesaminare la fattispecie applicando i principi dianzi
enunciati “ed in particolare non potrà escludere la configurabilità del
reato per la sola mancanza di una procedura esecutiva in atto ma dovrà
valutare nel complesso la situazione tenendo comunque presente che
l'esistenza del credito deve essere estremamente probabile, ancorché non
definitivamente accertata. Al fine di affermare o escludere la
configurabilità del credito d'imposta potrebbe anche apprezzare
liberamente le decisioni delle Commissioni tributarie ancorché non ancora
definitive”;
con la sentenza – n. 14720 del 6 marzo 2008, depositata il 9 aprile
2008 - la Corte di Cassazione10 afferma che per la configurabilità del
reato è necessario, il dolo specifico (ovvero il fine di sottrarsi al
pagamento del proprio debito tributario) e una condotta fraudolenta
atta a vanificare l'esito dell'esecuzione tributaria coattiva; la fattispecie
si presenta diversa rispetto all'omologa contemplata dal vecchio art. 15
della legge n. 413/1991, in quanto a fronte della necessità della
sussistenza dell'elemento soggettivo (dolo specifico: fine di evasione) e
della condotta materiale (attività fraudolenta), la nuova fattispecie non
richiede che l'amministrazione finanziaria abbia già compiuto
un'attività di verifica, accertamento o iscrizione a ruolo, né la
vanificazione della riscossione tributaria coattiva.
L’ultima pronuncia
10
Nella fattispecie in questione in cui era stato stipulato un contratto simulato di sale and lease back, idoneo a
configurare gli atti fraudolenti richiesta dal dettato normativo di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, in quanto
sembra piuttosto configurabile un vero e proprio leasing finanziario e quindi il giudice di merito avrebbe dovuto
valutare non solo la simulazione oggettiva (veridicità e congruità del prezzo pattuito) ma anche la simulazione
soggettiva (interposizione fittizia di persone).
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Con sentenza n. 25147 del 17 giugno 2009 (ud. del 22 aprile 2009) la
Corte di Cassazione - Sez. III pen. – ha affermato che l’alienazione di un
bene immobile a terzi, costituiti in società, il cui legale rappresentante sia
il coniuge convivente, è condotta idonea a configurare il reato previsto di
sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’art. 11, D.Lgs.
n. 74/2000. La fattispecie incriminatrice integra un reato di pericolo e non
di danno. La condotta non richiede infatti l’intervenuta attività di verifica, di
accertamento o di riscossione tramite iscrizione a ruolo. E’ dunque
sufficiente il pregiudizio patrimoniale alle ragioni dell’Erario in quanto e
l’esecuzione è una mera evenienza.
La Corte, una volta ritenuta non sussistente la nullità del decreto di
citazione a giudizio, in quanto nel capo di imputazione, esiste un concreto
e compiuto riferimento alla condotta ascritta all’imputato, sicchè quegli è
stato messo in grado di formulare in modo esauriente ed efficace le proprie
difese nel rispetto del contraddittorio, è entrata nello specifico della
questione.
La Corte ribadisce, richiama e fa proprio l’orientamento ormai
consolidato, secondo il quale, “la fattispecie di sottrazione fraudolenta al
pagamento di imposte, di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, è diversa
rispetto all’omologa fattispecie, oggi abrogata, di cui al D.P.R. n. 602 del 1973,
art. 97, comma 6, (come modificato dalla L. n. 413 del 1991, art. 15, comma
40), in quanto - a fronte della identità sia dell’elemento soggettivo costituito
dal fine di evasione ed integrante il dolo specifico, che della condotta
materiale rappresentata dall’attività fraudolenta - la nuova fattispecie, da
un lato, non richiede che l’amministrazione tributaria abbia già compiuto
un’attività di verifica, accertamento o iscrizione a ruolo e, dall’altro, non richiede
l’evento che, nella previgente previsione, era essenziale ai fini della
configurabilità del reato, ossia la sussistenza di una procedura di riscossione
in atto e la effettiva vanificazione della riscossione tributaria coattiva”.
Essendo un reato "di pericolo" e non più "di danno", l’esecuzione
esattoriale “non configura un presupposto della condotta illecita, ma è
prevista solo come evenienza futura che la condotta tende (e deve essere
idonea) a neutralizzare. Ai fini della perfezione del delitto, pertanto, è
sufficiente la semplice idoneità della condotta a rendere inefficace (anche
parzialmente) la procedura di riscossione - idoneità da apprezzare con giudizio
ex ante - e non anche l’effettiva verificazione di tale evento vedi Cass.: Sez.
3^, 9.4.2008, n. 14720; Sez. 5^, 26.2.2007, n. 7916 e Sez. 3^, 18.5.2006, n.
17071)”.
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8
“Nella vicenda in esame i giudici del merito hanno congruamente verificato
la idoneità della condotta ad impedire, quanto meno parzialmente, il
soddisfacimento del credito erariale (stante raffermata esiguità del valore
dell’altro immobile di proprietà dell’imputato che non è stata smentita con
elementi concreti in ricorso) e - quanto all’elemento soggettivo del reato risulta che lo stesso imputato,già nell’anno *2000*, era perfettamente
consapevole della sussistenza del proprio ingente debito fiscale ed aveva
ritenuto di non avvalersi della possibilità di condono fiscale, perchè
"finanziariamente impraticabile" per carenza di liquidità”.
Gianfranco Antico
29 Giugno 2009
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