this is vittorio veneto film festival

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this is vittorio veneto film festival
THIS IS
VITTORIO
VENETO FILM
FESTIVAL
V
Martina De Bortoli
ittorio Veneto: città in provincia di
Treviso. Film: pellicola, membrana,
prodotto tipico dell’industria cinematografica. Festival: evento festivo, manifestazione
che comprende una pluralità di spettacoli
nell’ambito di un coerente progetto culturale. Ebbene, unendo tutte queste definizioni
troviamo il vero significato del Vittorio Veneto Film Festival, ovvero, un Festival Internazionale di Cinema per ragazzi dai 6 ai 25
anni.Vi chiederete, cos’ha questo Festival in
più rispetto a tutti gli altri? Ed ecco che per
rispondere a tutti i vostri dubbi e a tutte le
vostre domande entro in scena io. Mi chiamo
Martina, ho diciannove anni e faccio parte
dello staff organizzativo del Vittorio Veneto Film Festival da circa due anni. La mia
esperienza ebbe inizio durante la II° edizione
dell’evento dove fui selezionata per partecipare, durante le tre giornate previste, ad un
workshop di recitazione cinematografica tenuto dall’attrice Barbara Enrichi, esperienza
che implicava automaticamente la mia partecipazione alla 68° Mostra Internazionale
d’Arte Cinematografica del Cinema di Venezia; dove ho potuto, a piccoli passi, farmi
conoscere all’interno del gruppo e capire le
dinamiche per poter organizzare un evento
così grande. Non sono mai stata una persona
piena di spirito d’ iniziativa, e, proprio per
questo motivo non mi sono mai interessata a
nessuna attività alternativa alla scuola, fino
al momento in cui sono entrata in contatto
con questo ambiente che mi ha subito entusiasmata. Ho capito così di poter dare il mio
contributo per l’organizzazione del Vittorio
Veneto Film Festival grazie all’aiuto e al
supporto datomi dal direttore generale Elisa Marchesini. Il nostro gruppo di lavoro è
formato da circa venti ragazzi che si scambiano in continuazione idee sulla struttura
che dovrà prendere ogni edizione anche se è
molto complesso trovare sempre il riscontro
positivo di tutti e spesso lo è ancor di più
discutere senza litigare e andare d’accordo
malgrado la diversità ed il carattere di ognuno di noi. Ciò che rende meraviglioso questo
Festival è proprio l’impegno che si impone verso noi giovani, mettendoci sempre al
primo posto dandoci la possibilità di essere
noi stessi gli organizzatori e permettendo
ai mille ragazzi della giuria provenienti da
varie scuola d’Italia ed Europa di esprimere una loro preferenza sui film in concorso
(doppiati direttamente in sala). Un anno per
organizzare il Festival fatto dai giovani per
i giovani, che si rivela, ogni anno di più una
spirale di soddisfazioni ed emozioni che ci
spinge, ci sprona a fare sempre qualcosa di
più e a dare il meglio di noi stessi. Chiedete
alle vostre scuole di partecipare alla IV° edizione del Vittorio Veneto Film Festival che
avrà luogo dal 17 al 20 aprile 2013 a Vittorio
Veneto (Treviso).
Vi aspettiamo numerosi !!!!
GIORNATA
DELL’ARTE
Alexandra Barel
C
ome si svolgerà la
giornata
dell’arte
quest’anno? O forse
dovrei dire: all’Istituto
d’arte/Liceo artistico Bruno Munari sarà concessa
questa attività? Come mai
i neo - artisti di questa città e dintorni non vi hanno
potuto prendere parte per
molto tempo? A chi addossare la colpa? Sono
questi gli interrogativi che
si pongono gli studenti
della scuola che più di
qualsiasi altra ha diritto a
partecipare ad attività di
rilevanza artistico-creativa qual è appunto la giornata dell’arte, progetto che
per gli allievi dell’istituto
suddetto non va in porto da 4 anni oramai. I
quesiti sono molti, ma le risposte scarseggiano. Stando alla programmazione provvisoria
la giornata dell’arte si svolgerà la mattina del
25 maggio dalle ore 8.30 alle 11.30; il tema
di quest’anno verterà sugli anni ‘70: nascita
della creatività, progresso, emergenza degli
Hippy, cambiamento, trasgressione e ancora,
droga, alcol, sconvolgimento della musica e
degli ideali, vestiti stravaganti e coloratissimi. I laboratori che i nostri rappresentanti
di istituto hanno pensato per noi sono:
MUSICA: verranno suonate canzoni degli
anni ‘70 da gruppi e band che desiderano
esibire il loro talento;
PITTURA: con il prezioso aiuto di Alberto
Burri sarà dipinta una tela inerente al tema;
COMPOSIZIONE: si tratta di creare degli
oggetti mediante rifiuti o scarti con il fine ultimo di riciclare e contrastare il consumismo
nato proprio negli anni ‘70;
MODA: dar vita ad accessori e gioielli, sempre riutilizzando pezzi di scarto;
CINEMA: visione di un film girato in quegli
anni con relativa discussione al termine della
proiezione;
FUMETTO: si progetta una tavola di fumetto, ispirandosi agli artisti degli anni ‘70,
rielaborando a modo proprio le loro opere,
con l’intervento di un esperto esterno;
LETTERATURA: si svolgerà una discussione generale su tematiche fondamentali di
quel periodo;
SPORT: si terrà un torneo di pallavolo e di
calcetto.
E’ probabile, ma non certo, che prenderà vita
anche un laboratorio di fotografia.
NOTA BENE: potrai scegliere soltanto uno
di questi laboratori e … guai a chi butta le
cartacce a terra ... servono a quelli di moda e
composizione!
LA STREET
ART
Il mondo: una galleria infinita per la
street art
L
Jessica Zaetta, Lisa Tiberi
a strada, quella che corre dietro ai passi, quella che è fatta di attimi immensi
e sfuggenti, quella che ti sorride dietro
all’angolo e non capisci se la luce che vedi
negli occhi dei passanti appartiene a loro o
se sono stelle filanti.” (Anonimo) La
street art offre la
possibilità di avere
un vasto pubblico,
quasi sempre facilmente superiore a
quello di una tradizionale galleria
d’arte. È questo
l’unico motivo per
cui gli artisti di
strada lavorano in
luoghi
pubblici?
Alcuni la praticano
come forma di sovversione, di critica
o come tentativo di
abolire la proprietà
privata, rivendicando e conquistando
le strade e le piazze;
altri più semplicemente vedono la città come
una mostra infinita in cui poter esporre le
proprie creazioni e in cui esprimere la propria arte. In molti non vedono la sostanziale
differenza tra Street Art e graffiti, differenza
che in realtà si riscontra nella tecnica e nel
soggetto. La Street Art inoltre, rispetto ai
graffiti, non è per forza vincolata dall’uso
della vernice spray ed è più figurativa.
Nell’esagerato numero di artisti di strada ne
abbiamo scelto qualcuno di più importante e
impressionante.
Gli artisti di strada
Blu è un artista italiano. Con questo
pseudonimo, Blu ha deliberatamente deciso
di nascondere la propria identità. Nel 2011
“The Observer” l’ha segnalato come uno dei
dieci migliori street artist in circolazione. Le
sue opere non sono mai svincolate dal contesto in cui si inseriscono poiché la pittura
di Blu è pittura nel paesaggio, urbano o industriale che sia e cerca sempre di dialogare
con la società che vi abita alla ricerca della
specificità di ogni luogo. Il grande merito
della prassi artistica di Blu è stato quello di
aver contribuito ad un radicale, anche se silenzioso, mutamento del mercato dell’arte
contemporanea.
Bansky (Bristol 1974 o 1975) è un artista e
writer inglese. È uno dei maggiori esponenti
della Street Art. Le sue opere sono spesso a
sfondo satirico e riguardano argomenti come
la politica, la cultura e l’etica. La tecnica che
preferisce per i suoi lavori di guerrilla art è
da sempre lo stencil, che proprio con Bansky
è arrivato a
riscuotere un
successo sempre maggiore
presso street
artists di tutto
il mondo.
Smug è un
artista
di
Glasgow che
si sta specializzando
in graffiti di soggetti foto-realistici. Dalla
scoperta dei graffiti 15 anni fa il lavoro di
Smug diventa velocemente un’ossessione
da perfezionista con linee spesse, lettere e
soggetti che ha sviluppato in uno stile più
foto-realistico, che è stato ampiamente esibito. I disegni di Smug sono lavori molto
meticolosi, per quanto riguarda la resa finale,
che prendono spunto da un eclettico bagaglio
di influenze, spesso trasformando soggetti
scomodi (non socialmente accettati o tabù)
in incredibili pezzi d’arte su tela e in contesti
industriali o abbandonati.
Julian Beever (1959) è un artista britannico.
Beveer crea disegni con
il gesso su pavimenti e
marciapiedi dalla metà
degli anni Novanta.
Le sue opere vengono
create utilizzando una
proiezione
chiamata
anamorfosi per creare
l’illusione
tridimensionale quando viene
visto da una determinata angolazione. È
soprannominato Pavement Picasso. Oltre a
queste opere, Beever,
esegue pitture murali
con vernici acriliche e
riproduzioni di opere
famose. Lavora come
free-lance e crea murales a richiesta. Ha lavorato in parecchi Paesi.
Ozmo si forma all’Accademia delle Belle
Arti di Firenze e dai primi anni Novanta,
dopo un esordio nel mondo del fumetto, si
concentra sulla pittura e sul writing: uno
speciale sul suo lavoro pubblicato da Aelle,
periodico di cultura hip-hop di quegli anni
ne farà uno dei riferimenti del graffiti writing
made in Italy. Ozmo, insieme a un piccolo
gruppo di amici, gettò le basi per quella che
è diventata l’arte di strada o Street Art di cui
è uno degli indiscussi pionieri.
Christian Guèmi in arte C215. Parliamo di
stencil art: a qualcuno verrà in mente una
cosa tipo di quelle letterone metalliche che
si usavano alle scuole elementari. Si colorava l’interno vuoto e comparivano lettere,
animali, palloncini. In qualche maniera il
succo è lo stesso, ovviamente la “maschera”
è prodotta dall’artista che poi la sfrutta nella
sua formidabile opzione di impressione super-rapida sul luogo che ha scelto.
MIRÒ
Mirò: poesia e luce da Maiorca a
Genova.
M
Roberta De Min
acchie, grafismi, schizzi, impronte,
abrasioni e chiodi. Strumenti attraverso i quali è espresso lo sperimentalismo
di Joan Mirò, grande artista catalano che
lasciò un segno unico ed originale nell’ambito delle nuove forme espressive europee.
I suoi capolavori sono esposti nella mostra
al Palazzo Ducale intitolata “Mirò! Poesia e
luce”, la quale presenta vari oli, terrecotte,
bronzi ed acquerelli che illustrano gli ultimi
trent’anni di vita dell’artista (quando si ispi-
mostra sono presenti anche dipinti risalenti
agli ultimi anni di vita dell’artista, quando
dipingeva con le dita stendendo il colore con
i pugni e si cimentava nella pittura materica; sono esposte anche alcune sculture, risultato delle sperimentazioni che Mirò fece
nell’arco della sua vita con diversi materiali
e tecniche, come il collage. È fondamentale,
infine, l’importanza del luogo di lavoro per
l’artista; per questo motivo sono stati ricostruiti nell’ambiente espositivo della mostra,
gli interni dello studio nel quale creò i suoi
capolavori e sono esposti anche tutti gli strumenti che egli usava nella sua attività artistica. Quella di Mirò è una produzione molto
intensa ed originale, che si può realmente
apprezzare attraverso un’osservazione profonda. A tal riguardo la mostra risulta ben
organizzata, in quanto attraverso l’ausilio di
apparecchi audiovisivi, la lettura dell’opera
e del suo messaggio è facilitata, permettendo
così allo spettatore di sentirsi coinvolto da
un’arte particolare, apparentemente banale
ma in realtà molto complessa e significativa.
L’ARTE DEL
MANGA
Solo “Putinot” o qualcosa di più?
Federica Donadel, Mattia Pizzaia
rò al linguaggio gestuale ed alla calligrafia
dell’arte orientale). Tra i vari dipinti esposti vi sono: gli oli Donna nella via, il bronzo
Donna e vari schizzi provenienti da Palma
di Maiorca. L’esposizione lascia intravedere
il legame di Mirò con Maiorca, che rappresentava per l’artista la poesia e la luce (da
questo il titolo della mostra). Dal momento
in cui Miró si trasferisce a Palma, comincia
un intenso periodo di lavoro, durante il quale ha inizio il mutamento della sua arte, che
si allontana dallo stile figurativo. Negli anni
Sessanta e Settanta, immagini e titoli dei lavori rimandano ai suoi temi prediletti come
donne, paesaggi e uccelli; in questi anni dipinge anche a terra, si stende sopra le proprie
tele producendo spruzzi e gocciolamenti. In
G
ozaimasu mina-san! (Per gli ignoranti: Buongiorno a tutti!) Chi di voi ha
mai visto un cartone animato giapponese
o letto un fumetto, disegnato sempre con
lo stile giapponese? Ebbene, penso che ognuno di noi abbia, almeno una volta, avuto
l’occasione di prendere in mano, oppure vedere, una di queste opere d’arte. Si, arte...
Negli altri stati è cosi, mentre in Italia il Manga/Anime non è considerato arte. Il Manga
(“immagini libere”) non è altro che la versione giapponese del fumetto; la differenza
è palese se mettiamo a confronto un fumetto
italiano, tanto che si nota subito... la nostra
versione è più “realistica e proporzionata”,
come del resto gli artisti italiani del passato
sono sempre stati abituati a fare, mentre la
controparte nipponica possiede delle caratteristiche speciali, quali: occhi enormi, volti
ingranditi rispetto alle proporzioni reali...
Tutto ciò per fare in modo che il personaggio
riesca a trasmettere più emozioni. L’Anime
(abbreviazione di Animation) invece, è la
versione cinematografica del manga, praticamente è come vedere un manga alla televisione, con personaggi dinamici anziché
statici. Dopo questa introduzione, che spero
basti a spiegare di cosa stiamo trattando, torniamo all’argomento principale. Manga/Anime Arte. Perché negli altri stati sì, mentre
in Italia no? “Manga? Cosa? Noi italiani abbiamo già il rinascimento, il manierismo, ed
è un arte molto più realistica, proporzionata,
elaborata, complessa, è patrimonio culturale,
ecc.” Verissimo. Inutile negarlo; ora però,
vorrei fermarmi e fare una riflessione. Sin
dal giorno in cui son nato, non ho MAI avuto
l’occasione di vedere un mio coetaneo, o un
compaesano, che dipingesse un quadro in
stile rinascimentale/manierista o addirittura
in stile bizantino (Ricordatevi i mosaici e le
facce ieratiche piatte, mi raccomando.), piuttosto, vedo gente che disegna storie a fumetto... Essere legati alle tradizioni è una cosa
più che giusta, ma se si vanno ad insultare e
ad offendere le tradizioni altrui no (infatti, ho
sentito attribuire il termine “Putinot”, e, dato
che in Giappone il Manga è parte del patrimonio artistico del loro paese, sarebbe
paragonabile come dire “Giotto è un tizio
che fa due strisce col pennello”. E’ una
bestemmia all’arte in ambo i casi!). La
scuola Comics di Padova inoltre, in una
campagna per il sostegno a favore dei fumettisti e i Mangaka italiani, ha scritto: E’
molto corretto l’utilizzo dell’espressione
“svalutazione culturale”. In Italia all’arte
sequenziale non viene infatti riconosciuto
un adeguato valore artistico, come invece
avviene in altri Paesi, nonostante lo studio, la passione e la dedizione che stanno
dietro alle opere a fumetto. Esiste addirittura un disegno di legge per la tutela di
queste persone, ma purtroppo non è mai
stato trattato in sede parlamentare. Non
penso che ora sia più possibile affermare
che l’arte del Manga, ma anche l’arte del
fumetto in generale, non debba essere
considerato tale, specie quando c’è addirittura un disegno di legge. Com’è possibile poi, che quest’arte coinvolga a tal
punto, da spingere dei paesi italiani (vedi
Luccacomics, Romics,ecc.) a tenere delle
vere e proprie gallerie d’arte del Manga e
Fumetto? Addirittura, il coinvolgimento
è tale da indurre la gente a travestirsi da personaggi dei Manga/Anime stessi! (in gergo
Cosplay) Avete mai visto qualcuno travestito
da San Giorgio, o un qualsiasi altro person-
aggio di un quadro rinascimentale da qualche
parte? Io no. Forse, solo forse, a carnevale.
Secondo me quest’arte è una forma di espressione, che permette di raccontare le proprie
storie, alterando la realtà, e presentando un
mondo più o meno diverso... Insomma, è un
modo di raccontare storie, desideri, sogni, il
tutto attraverso le proprie mani e fantasia.
Sicuramente siamo più legati all’arte rinascimentale che in questa nuova forma d’arte
chiamata “Manga/Anime”, d’altronde è estranea alla nostra cultura e viene dal paese
del Sol Levante.. Però non offendiamoci se
una persona proveniente dall’oriente parla
dei quadri rinascimentali come fossero delle
cose da nulla, quando noi abbiamo considerato “Putinot” la loro arte. Pensiamoci, magari
provate a informarvi sull’argomento, vedete
quanto tempo, passione e dedizione ci vuole
per poter creare un Manga prima di creare ulteriore “Svalutazione culturale”. Sayonara!
THE STRAIGHT
STORY-DAVID
LYNCH
Opus n.8: un viaggio per ritrovare
relazioni perdute.
Diana Bernardi, Nicole Chiaradia
“Ho combattuto in trincea nella seconda
guerra mondiale... Perché dovrei aver paura
a dormire in un campo di mais?” Così dice
Alvin, un 73 enne testardo, a una ragazza in-
movie che ha tutto per essere fuori moda:
lentezza, malinconia della vecchiaia, scrittura di classica semplicità, personaggi positivi, ritmo disteso senza eventi drammatici.
Pur ribaltando la propria prospettiva, Lynch
non altera il suo inconfondibile stile: lascia
allo spettatore il tempo di pensare, commuoversi, immergersi nei colori del paesaggio,
guardare un temporale e il cielo stellato.
“Straight” è il cognome del protagonista,
ma sta anche per: diritto, semplice, onesto.
POCHE IMMAGINI
per raccontare una vita intera
S
cinta in mezzo a un campo di mais. Siamo a
metà del film prodotto nel 1999, dal regista
David Lynch. È la vera storia di un 73enne
deciso a far visita al fratello, con il quale non
ha mai avuto un grande rapporto e con cui
non parla da dieci anni in seguito ad una lite.
Alvin Straight, che cammina con due bastoni
e non ha la patente, decide di affrontare un
viaggio, intenzione questa che crea giuste
angosce alla figlia Rose. Ma il vecchio è irremovibile. Il viaggio non è facile, il mezzo
che ha scelto è un trattore piuttosto malconcio e la strada è lunga: da Laurens nell’Iowa
a Mt.Zion nel Wisconsin. Molti gli incontri,
compresa una coppia stralunata di fratelli
meccanici (in perfetto stile Lynch). Il regista ha inteso dimostrare di saper costruire
e dirigere una storia più realistica e lontana
dai film visionari che lo hanno da sempre
caratterizzato. Opus n. 8 di Lynch, prodotto
dalla montatrice Mary Sweeney (che firma
la sceneggiatura, ispirata a una storia vera,
con John Roach) anche con finanziamenti
francesi, è il film più controcorrente e meno
hollywoodiano degli anni ‘90. È un road
Sara Paludi
teve McCurry, uno dei più grandi fotografi del nostro tempo, in una mostra a
Genova. Una successione continua di racconti, dall’innocenza di un bambino alla saggezza di un vecchio, dai pianti di una guerra
ai sorrisi di una pace e soprattutto la povertà
di un mondo, che noi non conosciamo. Affascinante, incredibile, spettacolare: non basta
un aggettivo per descrivere questa bellissima
mostra. Fotografie fantastiche, poche immagini perraccontare una vita intera, in un allestimento scenografico che non poteva essere
migliore. Camminando in mezzo alle foto
di McCurry capisci che nonostante viviamo
nello stesso mondo e siamo fisicamente tutti
uguali, siamo anche completamente diversi
perché le realtà, le culture e gli ideali si distinguono mostrando nella loro diversità la
vera essenza della bellezza, e raccontando i
mille modi di vivere nel nostro mondo.
S
Giampietro Dal Cin
teve McCurry: non solo uno dei più
grandi fotografi del nostro secolo, ma
un punto di riferimento per grandi e piccoli.
Nelle sue fotografie, infatti, ogni persona si
può riconoscere. Questa mostra è un lungo
percorso
dentro ai molteplici
aspetti dell’universo; vita, cultura, orrore e
amore:
questi
i diversi temi
trattati dall’artista. L’uomo ne
è il protagonista
assoluto, con i
suoi drammi e
le sue emozioni.
McCurry non ci
vuole far dimenticare gli orrori
che
accadono
continuamente
nel mondo, perché la fotografia
è qualcosa di immutabile ed eterno ma allo stesso
tempo semplice
e chiara. McCurry ha raggiunto un grande
obbiettivo, facendoci sorridere, stupire ma
anche commuovere, con un singolo istante
di una grande storia.
IL ROMANZO DI
COLLODI
I
Mirella Edotti, Irene Da Ros
l romanzo “Le avventure di Pinocchio,
storia di un burattino”, inizialmente, viene
pubblicato a puntate sul “Giornale per bambini” dal 1881; solo nel 1893 venne stampato
in forma completa e definitiva con l’ aggiunta
delle illustrazioni di Enrico Mazzanti. In quel
periodo l’ Italia aveva conquistato da poco
l’indipendenza e aveva bisogno di trovare un’
identità nazionale con un sistema ideologico
comune, infatti questo romanzo divenne il
“Manuale del perfetto cittadino” per il suo
valore pedagogico. Pinocchio è un burattino impertinente, sfaticato, sprovveduto
e alquanto bugiardo, si
“butta” in tutto ciò che
gli procura divertimento. Si trova in
situazioni sempre più
difficili e pericolose:
viene impiccato,
ma si salva; rischia
di finire fritto in
padella; è costretto a
fare la guardia ad un
pollaio. Il burattino passa da
una disavventura all’ altra, fino al
momento in cui si rende conto di
avere dei “doveri”, primo fra tutti
quello di occuparsi del
padre ormai anziano. Si mette
quindi alla ricerca di Geppetto,
che riesce a rintracciare nel corpo
di un pescecane. A questo punto Pinocchio, prende coscienza delle sue
responsabilità: mette in salvo Geppetto e decide di lavorare per aiutare
la fata, da cui ha spesso ricevuto aiuto, che
giace inferma all’ ospedale. L’ affetto verso
i suoi cari a la consapevolezza del dovere,
trasformano lentamente il burattino, che si umanizza e diventa un ragazzo responsabile. Oggi
alcuni modi di dire ancora in uso
quali : “Naso di Pinocchio” e “Lasciarsi manovrare come un burattino” ci ricordano che la storia inventata da Collodi è
sempre attuale!
PINOCCHIO
La fiaba diventa
romanzo di formazione
Alessia Posocco, Giulia Poletto
C
arlo Lorenzini, detto Collodi, a Firenze
nel 1883 con l’aiuto dell’amico
illustratore Enrico Mazzanti pubblica “Le
Avventure di Pinocchio”. Collodi non vuole
che il romanzo venga dedicato esclusivamente all’età infantile, infatti nella sua prima
versione il protagonista muore impiccato,
solo in seguito, infatti, si giunge al classico
finale che tutti noi conosciamo. Il momento
in cui viene pubblicato il romanzo è particolare per l’Italia che da circa un ventennio si
è costituita come una nazione unitaria senza
però essere riuscita a superare i suoi secolari
problemi, prima fra tutti un netto divario tra
nord e sud e tra le diverse classi sociali. Si
può pensare perciò che Collodi con questo
romanzo volesse far riflettere sulle conseguenze dei comportamenti umani, in particolare dei politici e delle persone importanti
dell’epoca, incapaci di trovare soluzioni adeguate ai problemi di quella particolare fase
storica, caratterizzata da una grande depressione economica, accentuata dal rapido
processo di meccanizzazione che alienava
l’individuo. Il libro di Collodi mira, infatti, a promuovere l’autonomia creativa
dell’individuo e l’acquisizione di una lenta
ma progressiva consapevolezza nell’agire.
Questo il motivo principale del grande successo del libro, ieri come oggi. Il romanzo,
mettendo in evidenza il fatto che Pinocchio
si ribella al padre, invita a riflettere anche
sul classico conflitto generazionale, sulle
conseguenze di certe scelte avventate, per le
quali si può incappare in innumerevoli sfortune. Fiducia, rispetto e dialogo oggi come
allora sono le strade da percorrere per una
crescita individuale corretta e per una società
più giusta. L’opera è stata proposta prevalentemente ai bambini come fiaba, perché i
protagonisti sono perlopiù irreali, ma con i
loro comportamenti trasmettono insegnamenti fondamentali, ne è un esempio il grillo
parlante che simboleggia la nostra coscienza.
Oggi ha ancora senso leggere questo romanzo perché, nonostante siano passati molti
anni da quel 1883, tanti dei problemi di allora non sono ancora stati risolti e per farlo c’è
bisogno di riformare le coscienze e ritrovarsi
in una vera identità nazionale.
INTERVISTA AL PROF. BIAGGIONI
esperto conoscitore del burattino più famoso del mondo.
Irene Da Ros, Mirella Edotti
I
n occasione dei festeggiamenti per il centotrentesimo anno dall’uscita a puntate del
testo di Pinocchio realizzato da Carlo Lorenzini, in arte Collodi, abbiamo intervistato il
professor Rodolfo Biaggioni, esperto conoscitore dell’opera, ritenuta un testo fondamentale per la cultura italiana ed in particolare per la formazione dei ragazzi.
Ricorda alcune illustrazioni che l’hanno
colpita?
Come nasce e come si sviluppa la storia di
Pinocchio?
Ebbero molto successo queste storie?
Per la storia Collodi trae spunto, con ogni
probabilità, dalle immagini così, ad esempio,
le figure dei conigli neri ricordano gli incappucciati della Confraternita della Misericordia, oppure la fatina richiama le stampe fuori
registro dei santini raffiguranti la Madonna,
diventando perciò turchina.
Come si decise di continuare l’opera e perché?
Nella versione a puntate si decise di terminare il racconto con
l’uccisione di Pinocchio, ma visto appunto che la storia ebbe
successo e i bambini
volevano sentire altre
storie decisero di continuarlo, intitolandolo
non più “La storia di un burattino”, ma “ Le avventure di
Pinocchio”.
Certamente, l’ultima illustrazione di Pinocchio impiccato, fatta da Ugo Flores, un poeta, un storico dell’arte e un illustratore siciliano. Questa illustrazione fu pubblicata nell’
edizione a puntate.
Si, in seguito alle avventure di Pinocchio ci
furono le Pinocchiedi, dei seguiti di Pinocchio, delle continuazioni della storia originale, scritte da Collodi nipote (Paolo Lorenzini). Oggi Pinocchio è diventato parte delle
figure fiabesche, è stato riprodotto in teatro e
al cinema, ebbe davvero molto successo, più
di quello che si aspettava , infatti ai primi del
’ 900 fu pubblicato in Inghilterra e in Russia,
con 250 traduzioni e scritto anche in diversi
dialetti. Divenne appunto una cosa internazionale, non più solamente italiana, tanto che
la cantante francese Meaghan Jette Martin
per i settant’anni del film di Disney scrisse
anche una canzone su Pinocchio.
Dunque possiamo dire che Pinocchio ha
segnato la cultura italiana?
Certamente ha influenzato molto la cultura
italiana, per esempio il Campo dei Miracoli
a Pisa, venne chiamato così da D’Annunzio
proprio in ricordo del campo dei miracoli di
Pinocchio!
Ringraziamo il professor Biaggioni per la
sua disponibilità, ricordando che egli avrebbe il desiderio di fare un’esposizione con i
vecchi Pinocchi. Chiunque abbia materiale
riguardante questo tema, può portarlo al professor Biaggioni.
in un videogioco e devo dire che mi ha attirato da subito.”
ARTE ILLEGALE?
“Quando hai iniziato a fere graffiti?”
Valentina Papanicolaou, Rita Spinazzè, Umberto De Bastiani
I
l parere di un giovane writer, autore di alcuni graffiti sparsi in paese, e di un nostro
coetaneo. Il graffitismo per molte persone è
un fenomeno recente e nato tra i giovani di
quartiere, ma in realtà è una delle prime forme
d’arte che l’uomo ha utilizzato. E’ cominciata con l’arte rupestre infatti, l’abitudine
di “scrivere sui muri” degli umani. In tutto
il mondo ci sono tracce del passaggio dei
“graffitari”: dalla preistoria alle piramidi,
dall’antica Roma (Pompei) ai giorni nostri.
Quello a cui pensano tutti quando si parla di
graffitismo, è una manifestazione artistica
nata negli anni ‘70 in un quartiere di New
York e diffusa rapidamente in quasi tutte le
città, compresa Vittorio Veneto.
sieme ad un amico. Ci sentivamo entrambi
emozionati e nel contempo spaventati, pensavamo che potesse entrare qualcuno da un
momento all’altro nonostante fosse un luogo
abbastanza appartato e per questo motivo
abbiamo fatto molto di fretta senza pensare
a dare il meglio di noi… Alla fine però eravamo contenti, riusciti nel nostro intento
ad abbellire un luogo grigio e dimenticato.
Non tutti infatti fanno scarabocchi a caso
sui muri, e mi dispiace che la maggior parte
delle persone la pensi così.”
(anonimo)
“Quando hai iniziato a fare graffiti?”
“Dove lo hai fatto e che impressione ti ha
dato?”
“L’ho fatto in un edificio abbandonato in-
“Di solito disegno cartoni animati di vario
genere, oppure il mio nome o una parola che
per me ha qualche significato particolare in
quel momento. Preferisco disegnare parole
perché i disegni più complessi non mi vengono gran che bene sui muri…”
“Sei mai stato colto in flagrante mentre
creavi una delle tue opere?”
“Non faccio graffiti così frequentemente da
dire di essere a rischio, in genere li faccio di
notte e in posti che ritengo sicuri e adatti a
svolgere il lavoro con sufficiente calma. Per
fortuna fino ad ora non sono mai stato scoperto.”
“Come procedi per fare un graffito? Come
ti sei immerso in questa passione?”
“I graffiti in genere li faccio prima su carta
per vedere come sono le mie idee, capire
come bilanciare il disegno e modificarlo se
qualcosa non mi convince.
Mi è sempre piaciuto disegnare ma la prima
volta che ho sentito parlare di graffiti è stato
“Se potessi scegliere un posto dove fare un
graffito, dove e cosa disegneresti?”
“Aprirei un luogo in cui ognuno può fare il
suo graffito, oppure nella stazione della mia
città. Penso sia molto grigia e un bel graffito rallegrerebbe l’atmosfera, per esempio la
foresta amazzonica disegnata su tutte le pareti dell’edificio.”
“Bell’idea! E per te i graffiti sono una forma d’arte solo giovanile?”
“Se ti chiedessero di fare un progetto per
riempire un muro per esempio di una scuola, come procederesti?”
“Beh… farei sicuramente qualcosa di molto
colorato e solare. La scuola è già un posto
poco apprezzato, un luogo in cui i giovani
vanno solo perché costretti, quindi cercherei
di renderlo piacevole almeno ai loro occhi
così raggiungerei due obbiettivi: avrei reso
quel posto più apprezzabile e avrei fatto capire alle persone che i graffiti non sono così
malvagi.”
Intervista a un Writer
“Il mio primo graffito l’ho fatto a 12-13 anni
ed è stato il mio nome. Essendo il mio primo
tentativo devo dire che l’effetto finale non ha
soddisfatto le mie aspettative. Col tempo per
fortuna sono migliorato!”
“Il tema principale dei tuoi graffiti?”
strade non mi dispiacerebbe affatto. Penso
però che quei graffiti che si vedono in giro,
dove si possono distinguere solamente parolacce o disegni volgari, siano solo delle aggiunte a tutto il brutto che c’è nelle città. Tra
spazzatura, palazzi grigi eccetera… mancavano solo queste “porcherie”!”
Intervista ad un osservatore
“Cosa pensi dei graffiti? Li consideri una
forma d’arte? Da incoraggiare o denigrare?”
“Li considero una forma d’espressione da
incoraggiare, ma penso che ogni persona
che esprime il suo essere o il suo pensiero in
modo creativo stia facendo dell’arte. Qualsiasi cosa è arte, ovviamente entro i limiti dei
diritti umani!”
“Cosa ne pensi dei writers?”
“Non ho un unico pensiero, ci sono molte
varianti. Ovviamente penso che chi si metta
lì con la volontà di abbellire, decorare o di
esprimere un pensiero in modo creativo abbia una gran voglia di fare e vedere nella
mia città dei graffiti mentre cammino per le
“E’ un’arte che definirei “nuova” ma non
solo giovanile, chiunque può farne parte e
secondo me i graffiti più belli e con significati profondi sono quelli fatti da persone
più mature e con più esperienza. La considererei quindi un’arte universale, come tutte
d’altronde.”
Ringraziamo gli intervistati che ci hanno
dato una mano ad entrare in un mondo dove,
nonostante le idee contrastanti, ci si può immergere in una forma d’arte alternativa che
colora le nostre città ormai da tempo.
MADE EXPO
Chiude con un grande risultato per il
mondo delle costruzioni
Francesco Da Ros, Elisa Bonaldo
Milano Architettura Design Edilizia è Made
Expo, la fiera internazionale che Milano
vuole portare all’attenzione mondiale, come
risposta a precise esigenze emerse nel settore. Made Expo è la fiera di edilizia e architettura più visitata in Italia perché affronta i
diversi aspetti del settore con un approccio a
360°, che consente l’incontro tra tutti gli at-
tori coinvolti: chi progetta, chi realizza e chi
utilizza il prodotto finale. Quest’anno anche
alcune classi del nostro Istituto “Bruno Munari” hanno visitato l’Expo nell’uscita del 18
ottobre 2012 (prima del blocco!) organizzata
dal Professore Preziosilli per visitare la fiera
di Architettura e Design. All’arrivo le classi
si sono divise e hanno fatto visita ai diversi
padiglioni con una certa libertà: noi di 3^A
ci siamo recati ai settori in cui esponevano
le diverse tipologie di pavimentazioni, serramenti, isolamenti e vari prodotti riguardanti
l’edilizia. Molto interessante l’edificio in cui
la mostra è stata allestita, una “vela” di vetro,
larga oltre 30 metri e lunga un chilometro e
mezzo sostenuta da strutture autoportanti
in acciaio, taglia l’asse centrale del centro
espositivo collegando la Porta Est e la Porta
Ovest della Fiera per mezzo di una passerella coperta che si alza a sette metri da terra, è
uno dei più importanti luoghi di incontro per
avvenimenti di questo genere , progettato da
Fuksas, uno dei più noti architetti e designer
italiani, di fama internazionale. In conclusione la giornata, nonostante la stanchezza,
è stata apprezzata da tutti gli studenti e ha
riscosso un vivo interesse.
LA VOCE DEL POETA
Giovanni Filardo
La vita
Sono ore, queste, date al nostro tempo
di solitudine.
Metafore dentro il vuoto dei giorni,
ombre silenti che in fondo all’anima
si posano.
Muti confini il cuore degli uomini,
specchio nel cui sguardo si compiace.
Un magico gioco di bimbi, la vita,
intima traccia che nell’attesa si frantuma.
Giovanni Filardo