Mi mancano le sue camicie da stirare. L`ambivalenza e

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Mi mancano le sue camicie da stirare. L`ambivalenza e
Crimen et Delictum, IX (March 2015)
International Journal of Criminological and Investigative Sciences
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Mi mancano le sue camicie da stirare.
L’ambivalenza e l’empowerment
nell’intervento a favore delle vittime
di violenza nelle relazioni affettive1.
Elisa Corbari, Laura M. Gagliardi, Francesco Viecelli, Angelo Puccia2
Abstract (versione italiana)
Le condizioni fondamentali affinché possa attuarsi un
percorso di uscita dalla violenza sono molteplici: la capacità di
autodeterminare il proprio percorso; la possibilità di
confrontarsi con la propria ambivalenza e il proprio grado di
coinvolgimento rispetto la relazione con il maltrattante.
Il percorso di accompagnamento durante l’uscita dal
ciclo della violenza delle vittime di maltrattamento che si
presentano presso il Centro di Supporto alle Vittime di Reato
per la provincia di Mantova, è condotto dagli operatori del
servizio attraverso colloqui con la vittima che si basano
sull’importanza del concetto di empowerment, ovvero il
rafforzamento della capacità
di
autodeterminazione
dell’individuo nel pieno riconoscimento delle proprie capacità
e responsabilità. Tali colloqui vengono svolti attraverso l’ascolto
empatico, il rafforzamento delle capacità decisionali della
persona e l’individuazione delle sue risorse. La metodologia di
lavoro del CSVR (Centro di Supporto alle Vittime di Reato per
la provincia di Mantova) prevede, inoltre, il coinvolgimento
della rete sociale, familiare e istituzionale, con l’obiettivo di
avviare con la persona un percorso di consapevolezza e
cambiamento.
“Mi mancano le sue camicie da stirare”, affermazione di
una donna vittima di violenza da parte del partner, indica molto
bene la difficoltà della stessa, e delle vittime di violenza in
generale, di riconoscere e superare la propria condizione di
ambivalenza rispetto la situazione vissuta.
Parole chiave: vittime, violenza, ambivalenza, empowerment,
consapevolezza.
1
Il presente articolo è stato già oggetto di pubblicazione in una uscita precedente della
rivista che attualmente l’ospita. Si è ritenuto di ripubblicarlo integralmente data la sua
rilevanza rispetto al progetto VIS Network al quale la presente uscita è dedicata.
2
Centro di Supporto alle Vittime di Reato della provincia di Mantova, gestito da
Associazione LIBRA Onlus.
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La vittima: inquadramento vittimologico e
riconoscimento
Occorre innanzitutto chiarire cosa si intende con il
termine vittima. Superando la classica definizione giuridica che
considera la vittima come “persona offesa dal reato”, possiamo
prendere in considerazione diverse definizioni.
La Decisione Quadro del Consiglio dell’Unione
Europea, numero 220 del 15 marzo 2001, descrive la vittima
come la persona fisica che ha subito un pregiudizio fisico o
mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati da atti od
omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale.
Viano3 individua quattro momenti significativi che
contraddistinguono il passaggio allo status di vittima.
1.
presenza di un danno: il concretizzarsi di stati di
sofferenza causati dall’atto criminale;
2.
percepirsi come vittima (auto-riconoscimento):
l’accettarsi come vittima ovvero “riconoscere la vittimizzazione
come un’esperienza immeritata e ingiusta”;
3.
decidere se confidare ad una persona cara la
propria esperienza vittimizzata oppure renderla pubblica
attraverso il ricorso allo strumento della denuncia penale;
4.
riconoscimento da parte della comunità (eteroriconoscimento): ricevere sostegno sociale, solidarietà e
riconoscimento dalla comunità di appartenenza.
La vittima può, inoltre, essere considerata come «un
soggetto ‘espropriato’ di quella fondamentale aspettativa (la
fiducia) avente valenza positiva che, in condizioni di incertezza,
è capace di rassicurarla rispetto alle azioni ed alle
comunicazioni che intrattiene con il contesto nel quale vive ed
opera»4.
L’esperienza vittimizzante intacca in maniera
significativa la dimensione fiduciaria personale, facendo
crollare la quotidianità e la prevedibilità degli eventi,
caratteristiche principali del sentito umano di sicurezza. Al
contempo, viene inevitabilmente compromessa la fiducia nei
rapporti all’interno delle reti sociali di riferimento. Ciò accade,
3
E. VIANO, Vittimologia oggi: i principali temi di ricerca e di politica pubblica, in A.
BALLONI, E. VIANO (a cura di), IV Congresso Mondiale di Vittimologia. Atti della giornata
bolognese, Bologna 1989.
4
S. VEZZADINI, La violazione della fiducia nei processi di vittimizzazione: la mediazione è
una risposta?, in A. BALLONI (a cura di), Cittadinanza responsabile e tutela della vittima,
Bologna 2006, p. 77.
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a maggior ragione, quando preesiste un legame affettivo o
familiare tra vittima e autore di reato.
La vittimizzazione rappresenta una interruzione del
normale percorso di vita cui «si accompagna, in genere, la
percezione di una identità violata e spezzata ed una
diminuzione dell’autostima che necessitano di essere raccontate
per essere riconosciute e oltrepassate, pena la sedimentazione
di caratteristiche (quali la passività, la debolezza, il
ripiegamento su se stessi) che aprono la strada a nuovi processi
di vittimizzazione»5. Una vittima avverte perciò il bisogno di
esprimere la propria sofferenza e di essere ascoltata.
Nel 2011 la Commissione Europea, in una
comunicazione diretta al Parlamento Europeo6, sottolineava
l’importanza dell’attenzione nei confronti della violenza sulle
donne. Se si parla di diritti delle vittime non si può non
considerare la differenza di genere, che vede le donne
particolarmente esposte a gravi forme di violenza, spesso non
denunciate. Il Consiglio d’Europa stima un 20-25% di donne
adulte europee vittime di violenza fisica almeno una volta nella
vita; di questa parte, circa il 12-15% ha subito tali aggressioni
all’interno di una relazione affettiva. Un ulteriore 10% riguarda
invece donne vittime di violenza sessuale7.
L’Unione Europea già in passato aveva emanato
direttive atte a garantire maggiori tutele alle vittime; si pensi ad
esempio alla direttiva 2004/80/CE del Consiglio relativa
all’indennizzo delle vittime di reato. La figura della vittima,
tuttavia, risulta ad ora ancora non tutelata in maniera adeguata,
motivo per il quale, attraverso la Comunicazione al Parlamento
Europeo COM (2011) 274 final, la Commissione Europea ha
presentato un pacchetto di proposte al fine di rafforzare le
misure nazionali a tutela delle vittime, afferenti ad ogni singolo
stato europeo.
Principio fondamentale di questa proposta è il garantire
tutele minime alle vittime all’interno dell’Europa,
indipendentemente dalla loro nazionalità e dal paese di
residenza, senza perdere la tutela in un eventuale stato estero.
Risulta, inoltre, molto importante il collegamento tra la tutela
delle vittime e la riduzione del costo totale relativo ai reati.
Il rafforzamento ed il rispetto dei diritti delle vittime ha
un impatto positivo sia sulla vittima stessa che sulla società.
Rispondere ai bisogni delle vittime riduce sia i costi tangibili
conseguenti al reato, quali ad esempio i costi relativi
all’assistenza sanitaria ed al sistema giudiziario, sia quelli
5
S. VEZZADINI, La vittima di reato tra negazione e riconoscimento, Bologna 2006, p. 58.
6
COM (2011) 274 final.
7
Council of Europe, Stocktaking study on violence against women, 2006.
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intangibili, in primis la sofferenza della vittima e dei relativi
familiari, e la rispettiva diminuzione della qualità di vita.
La probabilità di recupero fisico, psicologico ed emotivo
di una persona che viene adeguatamente supportata, rispettata
e protetta è più alta. Ciò influisce ulteriormente sulle perdite
economiche quali conseguenze del reato, ad esempio la
necessità di maggiore assistenza sanitaria e di cure mediche,
assenza dal posto di lavoro, ecc.
Il pacchetto di proposte finalizzato a rafforzare le misure
nazionali a tutela delle vittime e presentato attraverso la
succitata Comunicazione al Parlamento Europeo COM (2011)
274 final ha inoltre individuato un range di bisogni afferenti alle
vittime che dovrebbero essere soddisfatti nell’intento di
supportare la vittima nel proprio recupero sia fisico che
emotivo.
Il primo punto è rappresentato dal bisogno della
persona vittima di reato di essere riconosciuta e ricevere
trattamenti rispettosi e dignitosi.
Chiunque si trovi in una condizione di disagio derivante
da esperienze vittimizzanti si aspetta un riconoscimento della
propria condizione e della propria sofferenza. Di conseguenza,
si aspetta di ricevere un trattamento consono da parte dei
professionisti coi quali entra in contatto, ed in seconda istanza –
non per importanza – da parte dei propri significativi (familiari,
amici, vicinato, colleghi). Ciò che, purtroppo, spesso si nota a
livello europeo è la mancanza di formazione rispetto alla
metodologia più adatta per effettuare un corretto assessment dei
bisogni della vittima.
Secondariamente, la vittima necessita di protezione
all’interno del procedimento penale e durante la fase di
indagini, al fine di evitare procedure inadeguate quali interviste
ripetute e con modalità che possono urtare la sensibilità della
persona. Questa protezione va assicurata in primis alle classi di
vittime maggiormente vulnerabili, quali ad esempio minori,
donne, anziani.
La Comunicazione europea numero 274 del 2011 ha
inoltre reso esplicita la natura dei bisogni della vittima8. Essa
può necessitare di supporto emotivo, pratico, amministrativo,
sociale e legale.
Nonostante i progressi fatti dai centri/servizi di
supporto dedicati alle vittime, sia di tipo pubblico che privato,
tali servizi non sono ovunque facilmente accessibili.
8
COM (2011) 274 final.
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Il Parlamento Europeo9 ribadisce tale necessità di
supporto, soprattutto dal primo momento dopo la commissione
del crimine, indipendentemente dal fatto che tale reato sia stato
denunciato o meno. I servizi di supporto alle vittime possono
essere di tipo pubblico o privato e non dovrebbero prevedere
troppe formalità che potrebbero ridurre gli accessi al servizio
stesso.
In ogni caso, come già ribadito, i servizi messi a
disposizione da un Centro di supporto alle vittime non possono
dipendere dalla presenza di una segnalazione presso autorità
competenti, anzi spesso le forze di polizia stesse potrebbero
rappresentare il tramite migliore per informare le vittime
rispetto alla possibilità di ricevere supporto da servizi
appositamente strutturati.
Ulteriormente importante per una vittima risulta essere
l’accesso alla giustizia, la possibilità di ricevere informazioni
facilmente comprensibili circa i propri diritti, lo stato del
processo ed i procedimenti giudiziari in generale.
L’accesso alla giustizia non esclude la necessità della
vittima di ricevere risarcimenti per il danno subito. Tali
risarcimenti possono essere di tipo finanziario ma non solo,
infatti proprio il concetto di giustizia riparativa racchiude in sé
un significato che va oltre il mero risarcimento economico.
Il paradigma di giustizia riparativa «affonda le sue
radici nella comunità e si muove tra persone piuttosto che tra
procedure»10. Tale paradigma si pone infatti l’obiettivo di
superare la funzione prettamente punitiva della sanzione
penale ponendo l’attenzione sulle possibili forme di offesa
arrecata attraverso il reato. La partecipazione della vittima al
conflitto offre alla stessa l’opportunità di ristabilire parte del
controllo perso attraverso l’azione delittuosa, influendo inoltre
sul proprio senso si sicurezza e fiducia.
Il ciclo della violenza11
Avendo focalizzato il nostro discorso sulle vittime di
violenza, in maggioranza rappresentate da donne, cerchiamo
ora di capire meglio quale meccanismo permette che la donna
9
Directive 2012/29/EU of the European Parliament and of the Council of 25 October
2012 establishing minimum standards on the rights, support and protection of victims
of crime, and replacing Council Framework Decision 2001/220/JHA.
10
G. SANDRI, M. TOSI, Proposte metodologiche per una “Società Riparativa”, in Crimen et
Delictum. International Journal of Criminological and Investigative Sciences, VII (April
2014).
11
Si rinvia agli studi di Lenore E.A. Walker: The Battered Women, New York 1979; The
Battered Women Syndrome, New York 1984; Abused Women and Survivor Therapy,
Washington DC 1996.
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stessa non esca da questa relazione violenta, ma ne resti
intrappolata, spesso per lunghi periodi.
Ciò che viene definito ciclo della violenza non è altro che
la rappresentazione graduale di un percorso a fasi ben precise e
riconoscibili, che vede nella prima fase, denominata fase di
tensione, non necessariamente agiti violenti etero-diretti ma una
condizione di continua irritabilità tra i partner che li porta alla
seconda fase, denominata di attacco, durante la quale si
concretizza la violenza vera e propria nelle diverse forme che
può assumere.
Dopo l’agito violento segue generalmente un momento
di scuse e la cosiddetta fase della “Luna di miele”, momento
questo estremamente complesso e critico sia per la vittima che
per il maltrattante, durante il quale i partner tendono ad
assumere atteggiamenti e comportamenti ambivalenti e
incoerenti.
L’agire violenza viene vissuto dall’abusante come
modalità per ripristinare il controllo sulla situazione e
sull'abusato. La perdita di controllo si trasforma in un attacco al
proprio sé, durante il quale l’uomo teme l’annullamento,
motivo per il quale è strettamente necessario attivarsi al fine di
non soccombere.
Il passaggio importante tra la prima fase e la seconda è
il continuo attivarsi dell’attore della violenza al fine di annullare
il sé della vittima, tramite violenze psicologiche sempre più
pressanti, che portano la donna a convincersi che tali condotte
siano dovute alle sue colpe e inadeguatezze, perdendo fiducia
in se stessa, isolandosi e azzerando la propria capacità
decisionale.
Il passaggio tra il momento della violenza e la fase delle
scuse e la successiva “Luna di miele” genera nella donna una
sorta di smarrimento, che la porta a giustificare ogni
comportamento dell’aggressore, incolpandosi per l’accaduto
(annullamento).
La fase della luna di miele viene definita dagli inglesi
love bombing, in quanto l’autore della violenza attua meccanismi
di seduzione e compiacimento dell'altro, finalizzati ad
ammaliare, facendo vivere tale momento come un’illusione di
amore ideale, che ripristina la speranza che le cose possano
andare bene e perpetuando la relazione.
Le fasi del ciclo della violenza, ripetendosi, portano
gradualmente ad una alterazione della coscienza della vittima
attraverso una marcata ambivalenza interiore, meccanismo che
approfondiremo successivamente nel presente articolo. Nel
momento in cui la donna riesce a rendersi conto del suo essere
vittima, gli effetti dell’annullamento della propria coscienza
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(ambivalenza) vanno a sommarsi ad una diffusa sfiducia nelle
proprie capacità (bassa autostima), alla paura e all’impotenza, il
tutto amplificato dall’isolamento sociale nel quale si trova
(spesso imposto dal partner abusante) e ad altre possibili
variabili condizionanti, quali la presenza di figli minori o la
dipendenza economica dall’autore della violenza.
Tutti gli elementi sopra elencati influiscono sul
permanere della donna all’interno della situazione
vittimizzante. Spesso però la richiesta di aiuto che può portare
alla fuoriuscita dalla violenza può generarsi dopo un attacco più
violento rispetto ai precedenti, oppure nel momento in cui la
vittima si rende conto che la situazione sta degenerando e gli
attacchi violenti si stanno facendo sempre più ravvicinati.
Tale momento risulta alquanto delicato in quanto
l’ambivalenza della vittima non permette una oggettiva
valutazione della situazione, perciò il rischio di ritorno
all’interno della relazione violenta è molto alto.
Il sentito delle vittime di violenza
Il permanere della vittima all’interno di situazioni
violente può portare, come detto, ad una particolare alterazione
della coscienza e ad un completo annullamento del Sé: stati che
accompagneranno la donna anche nel momento di uscita dalla
violenza. Le donne che si rivolgono al Centro di Supporto alle
Vittime di Reato per la provincia di Mantova12 frequentemente
portano con sé vissuti che sono entrati a far parte della propria
identità.
Risulta perciò necessario, oltre ad assicurare la messa in
sicurezza della vittima qualora il pericolo di violenza
permanga, attivare percorsi condivisi con la persona, che
abbiano come fine l’empowerment della donna, inteso come
capacità di autodeterminarsi e di scegliere un percorso di vita
personale.
Ci si può chiedere quali siano le ragioni per cui una
vittima di maltrattamenti reiterati e continuativi non riesca a
separarsi dal proprio aggressore nonostante abbia oggettive
ragioni per farlo. Gli operatori del CSVR di Mantova affermano
che la ragione può essere legata alle “ambivalenze dei
sentimenti” di questa persona, sentimenti contrastanti causati
da una errata idea di sé, da bassa autostima e da un’errata
ideazione delle relazioni di amore e di affetto.
La vittima proietta sull’altro il proprio potere
decisionale, non riconoscendo a se stessa alcuna possibilità di
12
Acronimo CSVR. Sportello fondato e gestito dal maggio 2012 dall’Associazione LIBRA
Onlus – Rete per lo Studio e lo Sviluppo delle Dinamiche di Mediazione.
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autodeterminazione. Per “l’Altro” prova sentimenti molto
contrastanti, di forte rabbia e di grande ansia e paura
dell’aggressività ma anche di non corresponsione delle
aspettative altrui. Si crea in tal modo una dipendenza reciproca
appunto ambivalente: “dipendo da lui, dalle sue decisioni, dal
suo umore, dal suo riconoscimento, dalle sue valutazioni; lui ha
bisogno di me, sono convinta che a suo modo mi ami,
nonostante sia perennemente insoddisfatto; non mi abbandona
anche se minaccia costantemente di farlo, se mi impegno
riuscirò a soddisfarlo e quindi mi riconoscerà e mi amerà”. In
questa simbiosi sempre più indissolubile la vittima prova
sentimenti di soddisfazione nel momento in cui vi è
apprezzamento e riconoscimento da parte dell’altro, ma
contemporaneamente si sente impotente nei confronti di chi le
agisce violenza e prova vergogna e rabbia per ciò che vive e
subisce, e per la propria incapacità di modificare la relazione
affettiva.
Per comprendere meglio questa dinamica disfunzionale,
è necessario per l’operatore che effettua l’ascolto al CSVR
conoscere profondamente i meccanismi psicologici della vittima
di violenza.
L'esperienza maturata all'interno del Centro di Supporto
alle Vittime di Reato per la provincia di Mantova ci porta ad
affermare che le persone che subiscono maltrattamenti e non si
allontanano dal partner abusante in genere hanno “bassa
autostima” e si sentono profondamente “sbagliate”, pur
giustificando il proprio ruolo di vittime incolpando l’aggressore
sia per ciò che subiscono che per l’impossibilità di modificare ed
uscire da tale relazione disfunzionale che loro stesse/i hanno
contribuito a creare.
Come sopra affermato, esse esprimono sentimenti di
paura, vergogna, fallimento, timore del giudizio, convinzione
della propria incapacità di soddisfare l’altro, ansia, senso di
inadeguatezza e rabbia.
Questo processo avviene in modo inconsapevole,
creando un circolo vizioso molto potente: una “guerra”
interiore tra il senso di colpa per non essere in grado di amare il
partner secondo le aspettative da lui dichiarate e la rabbia e
vergogna per non riuscire ad abbandonarlo.
La vergogna può essere così forte da produrre
sentimenti ambivalenti che possono portare altresì alla totale
colpevolizzazione dell’altro, permettendo alla vittima
meccanismi di de-responsabilizzazione e negazione, favorendo
in tal modo la persistenza della vittimizzazione.
Colpevolizzare l’altro permette di non dover riflettere
sulla collusione generatasi all’interno della relazione violenta. È
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il caso di ribadire che la dinamica violenta spiegata attraverso il
Circle of Violence è un processo in cui sia la vittima sia l’abusante
sono attori attivi portatori di responsabilità.
Il partner maltrattante, inoltre, oltre a isolare la propria
vittima, le rimanda continue immagini della stessa come
persona inadeguata, debole, incapace nel proprio lavoro, nella
gestione dei figli e nella quotidianità domestica, rinforzando la
sua inadeguatezza, espressa soprattutto nella incapacità di
uscire dalla relazione maltrattante. Il più grosso ostacolo alla
separazione della donna dal partner maltrattante è la
consapevolezza di non essere uscita prima da tale situazione,
anche dopo rimandi provenienti da persone significative per lei
(familiari, conoscenti, operatori dei servizi). L'atteggiamento
dell'operatore, in questo caso, deve mirare a portare la donna a
riconoscere, accettare e perdonare se stessa per le scelte fatte,
evitando giudizi colpevolizzanti per la propria persona.
Ecco che promuovere la consapevolezza nella vittima
attraverso l’ascolto attivo di ogni espressione, anche se
ambivalente, dei suoi sentimenti, acquisisce un significato
determinante per il superamento dell'auto colpevolizzazione, in
un processo di accettazione e perdono di sé, per le scelte fatte
che l’hanno portata a rimanere in una situazione vittimizzante.
Per comprendere meglio questo meccanismo è
interessante prendere in considerazione il caso di una donna
che, durante un percorso di sostegno psicologico, dopo essere
stata abbandonata dal partner che per anni l’aveva tradita,
umiliata, fatta sentire inadeguata e incapace di amare,
dichiarava: “mi mancano tanto le sue camicie da stirare”.
La donna sapeva chiaramente che gli anni passati con
quel partner erano stati anni terribili, soffriva infatti di crisi di
panico, era in un forte stato di stress e di depressione,
raccontava di un matrimonio molto infelice, finito quando lui
l’ha abbandonata. Eppure le mancavano le camicie da stirare:
com'era possibile?
Partendo dalla sua domanda ci siamo chiesti ad esempio
come poteva giustificare a se stessa il non avere agito per
tutelare sé e i suoi figli, sopportando quella situazione di
continua violenza psicologica. Come poteva accettare di essere
stata usata, manipolata, umiliata, di non essersi mai sentita
amata e, nonostante tutto, di essere rimasta con lui? Come
poteva sentire la mancanza delle camicie da stirare e dichiarare
di essere così legata alla propria casa ed ai lavori domestici da
non riuscire a stare bene senza questi?
Credendo che la maggior parte delle donne avrebbe
desiderato danneggiare o bruciare le camicie del marito dopo
l’abbandono, la sua dichiarazione ci ha fatto molto riflettere.
Inizialmente abbiamo pensato che le camicie che stirava per il
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marito e le sue doti di casalinga potessero essere l'unica cosa che
giustificava a se stessa il fatto di essere ancora con lui, sebbene
il marito, con parole e comportamenti, le rimandava di essere
sempre stata una moglie inadeguata e incapace dal punto di
vista affettivo.
Attraverso le camicie ben stirate e la casa ben pulita, lei
si riconosceva all’interno di un ruolo – quello, appunto, della
moglie e della casalinga perfetta – e giustificava in tal modo il
suo permanere all’interno del matrimonio, dopo quasi 30 anni,
nonostante le umiliazioni e i soprusi sopportati e la rabbia nei
confronti del marito.
Da un’attenta analisi effettuata con lei abbiamo
compreso che la mancanza delle camicie da stirare racchiudeva
una forte ambivalenza. La donna si vergognava immensamente
del fallimento del proprio matrimonio, incolpandosi di ciò, ma
provava vergogna anche a causa della propria incapacità di
separarsi, si sentiva debole e sbagliata nei confronti di tutti
quelli che la vedevano così umiliata e incapace di reagire (in
primis se stessa proiettata nello sguardo altrui). Era in gioco
l’immagine di sé, sia che si separasse, sia che restasse con lui in
quella relazione sbagliata. Le camicie da stirare giustificavano
la propria non reazione di fronte alle umiliazioni del marito,
nelle sue camicie ha posto l’unico valore della relazione;
attraverso il proprio impegno e piacere nelle attività
domestiche, poteva dirsi: “sto qui perché a me piace stirare le
camice e tenere in ordine la casa, in questo modo dimostro a me
stessa e a lui il mio amore”. In questo modo si sentiva meno
usata, si riconosceva in un ruolo e riusciva a trovare la pace
interiore necessaria per diminuire l’ambivalenza interna, ma nel
contempo perpetuava la relazione patologica in un circolo
vizioso molto potente (vergogna per non riuscire a separarsi /
vergogna di separarsi).
La nostra ipotesi è che proprio nella vergogna della non
reazione di fronte a situazioni violente da un punto di vista
psicologico e fisico si possa cercare il motore che mantiene la
relazione patologica: perpetuare l’errore per giustificare l’errore
stesso.
Nel caso in esame, la donna, attraverso un opportuno
percorso di supporto psicologico, è riuscita ad allontanarsi da
quella situazione, affrontando la propria ambivalenza e
rafforzando le proprie capacità di scelta (empowerment), ha
capito il significato e la necessità di alcuni meccanismi di
giustificazione rispetto alla situazione vissuta (per sopperire,
infatti, al senso di vergogna e fallimento). È riuscita ad
ammettere che avrebbe dovuto e sarebbe potuta uscire prima da
quella relazione malata, ma che non lo ha fatto perché non ce la
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faceva a sopportare il proprio senso di fallimento; ha accettato
questo bisogno, riconoscendo che non c’era nulla di sbagliato in
lei, ha riconosciuto la propria capacità di amare come
indipendente dalle valutazioni del partner. Si è perdonata per
essere rimasta con lui per tanto tempo, è uscita rinforzata e in
pace con se stessa, ammettendo i propri limiti causati dalla
vergogna e dall’imbarazzo della propria situazione, uscendo
dall’isolamento e riconoscendo che in una relazione è necessario
sentirsi amati e ricambiati.
La perversione nelle relazioni affettive
«Nel caso di rapporti di coppia che portano il marchio
della perversione, il perverso relazionale fa vivere la donna in
un mondo rovesciato, sottosopra, di cui, per molto tempo, la
donna fa fatica a rintracciare le coordinate. Paralizzata dallo
sguardo del serpente, non riesce a trovare l’uscita, a distinguere
il sopra dal sotto, il davanti dal dietro. Il sovvertimento della
logica e della verità, attuato dal perverso, rende la donna
incapace di capire e contribuisce alla sua difficoltà di
interrompere la relazione. Ciò che potrebbe venire chiamato
collusione, nelle donne con partner maltrattanti, non è, di
nuovo, che uno degli innumerevoli esiti del maltrattamento. Se
si sostiene che la confusione, la perdita della capacità di
giudicare, il colpevolizzarsi, l’essere protettiva con il partner,
tutti gli elementi, cioè, che sono stati descritti come conseguenze
dell’abuso, rappresentano i modi e le forme del meccanismo
della collusione della donna verso il compagno, allora si
scambiano – di nuovo! – le conseguenze con le cause»13.
La paura dell’altro e l’ansia rispetto a un suo eventuale
allontanamento sono sentimenti molto potenti che impediscono
ulteriormente qualsiasi razionalizzazione e possibilità di
chiedere aiuto. Per uscire dall'ambivalenza è necessario vederla,
comprenderla, accettarla e alla fine perdonarsi. Si tratta di un
percorso interiore di riparazione del danno subito dall’altro e da
se stessi, in cui la richiesta di aiuto e il confronto con la società è
fondamentale.
Attraverso questo percorso si può arrivare a modificare
l’idea e il modo di amare se stessi e di vivere all’interno di una
relazione affettiva comprendendo che il controllo, la
dipendenza, la gelosia, il possesso, il ricatto non corrispondono
all’amore.
13
S. FILIPPINI, Relazioni perverse. La violenza psicologica nella coppia, Milano 2005.
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Il CSVR LIBRA: un modello di intervento empowerment
based
L'empowerment, inteso come il rafforzamento della
capacità di autodeterminazione della vittima, corrisponde al
metodo di lavoro applicato da Associazione Libra per la
gestione dei casi all’interno del Centro di Supporto alle Vittime
di Reato per la provincia di Mantova14.
L'approccio e il conseguente intervento si caratterizzano
particolarmente per alcuni aspetti ritenuti cardine dal modello
CSVR LIBRA: ascolto, consapevolizzazione della vittima sulle
risorse interne (personali) e orientamento sulle tutele/servizi
territoriali (risorse esterne); funge infine da collante un costante
accompagnamento della vittima.
Sebbene il presente lavoro sia focalizzato su un preciso
profilo vittimologico, quello della vittima di violenza nelle
relazioni
affettive15,
l'approccio
summenzionato
–
l'empowerment appunto – è quello usato nei confronti di ogni
altra tipologia di vittima.
Prima di illustrare e analizzare le tipologie di intervento
e le modalità con cui gli operatori del CSVR LIBRA operano
quando attivati, riteniamo opportuno esplicitare le modalità di
attivazione dello sportello. È possibile rivolgersi allo sportello
presentandosi direttamente presso lo stesso durante gli orari di
apertura; in alternativa, previo appuntamento telefonico, è
possibile essere ricevuti durante tutta la settimana lavorativa, in
orario concordato tra le parti.
14
Il CSVR LIBRA si configura come sportello che accoglie le vittime di reato nel rispetto
della privacy e della situazione di vulnerabilità della persona, in conformità con le
raccomandazioni e le direttive Europee in tema di norme minime in materia di diritti,
assistenza e protezione delle vittime di reato (DIR. 2012/29/EU).
15
Riteniamo più appropriato usare la definizione “violenza nelle relazioni affettive”
anziché “violenza domestica”, non perché quest’ultima non sia ritenuta corretta, ma
perché la prima ci permette di allargare lo spettro dei “luoghi” all’interno dei quali la
violenza può svilupparsi. Tale scelta è altresì motivata e orientata dai recenti dispositivi
normativi nazionali che con la L. 119/2013, conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza
e per il contrasto della violenza di genere. Le principali novità di tale norma riguardano
la relazione affettiva: rilevante sotto il profilo penale e' da ora in poi la relazione tra due
persone a prescindere da convivenza o vincolo matrimoniale (attuale o pregresso),
permettendo alle tutele e agli interventi rivolti alle vittime di uscire dal solo vincolo
coniugale.
Crimen et Delictum, IX (March 2015)
International Journal of Criminological and Investigative Sciences
54
È possibile, inoltre, l’invio da parte di altro servizio
pubblico/privato territoriale oppure, per urgenze, è attivo un
numero di cellulare h24.
Dall’attivazione dello sportello – maggio 2012 – al
settembre 2014, il CSVR ha registrato 45 accessi, con un forte
incremento degli stessi dopo un’azione di formazione
organizzata da Associazione LIBRA Onlus nel periodo marzomaggio 2013, all’interno del progetto Out of Violence – Rete di
supporto per l’uscita dalla violenza, gestito in collaborazione con
l’Istituto di Criminologia FDE di Mantova e con l’Azienda
Ospedaliera Carlo Poma di Mantova, grazie anche al supporto
del Dipartimento Pari Opportunità – Presidenza del Consiglio
dei Ministri.
Il progetto ha finanziato una formazione finalizzata a
sensibilizzare gli operatori sanitari sulle tematiche della
violenza, sui principali segnali che possono mettere in allarme i
sanitari rispetto a eventuali situazioni di abuso o
maltrattamento, sulla normativa che prevede la segnalazione
d’ufficio alle forze di polizia e sull’eventuale percorso di uscita
dalla situazione violenta dopo l’accesso presso la struttura
sanitaria.
Una ulteriore formazione è stata portata avanti grazie al
progetto europeo Victim Supporting: a NETWORK to support and
aid crime victims (VIS), sotto il coordinamento della Provincia di
Livorno in qualità di capofila.
Gli incontri formativi, rivolti ai professionisti del Terzo
Settore, alle Forze di Polizia, ai Servizi a livello locale, nonché ai
professionisti forensi, si sono tenuti nella prima sessione alla
fine del 2013 e nella seconda sessione nel periodo marzo-aprile
2014.
Nello specifico, la seconda sessione è stata accreditata
come formazione continua per le professioni sanitarie ed ha
garantito così la formazione di ulteriori operatori delle
principali Aziende Ospedaliere della provincia di Mantova.
Tali corsi formativi comprendevano 48 ore di
formazione per ogni ciclo e 8 ore finali di workshop, utili quale
scambio finale e condivisione degli obiettivi formativi.
Come si può notare dal grafico in Figura I, anche a
seguito della formazione organizzata all’interno di VIS si è visto
un incremento degli accessi al CSVR, significativo del fatto che
maggiore sensibilizzazione e formazione possono essere
Crimen et Delictum, IX (March 2015)
International Journal of Criminological and Investigative Sciences
55
strumenti fondamentali al fine di intercettare vittime di reati,
nel caso specifico rappresentate nella maggior parte da vittime
di violenza.
Figura I – Trend accesso vittime al CSVR (set. 2013 – set. 2014)
Le fasi dell’intervento “con” la vittima
Entrando nel vivo dell’intervento, giova – ai fini
esplicativi – declinare passo per passo le fasi e le precauzioni a
cui gli operatori fanno riferimento nel supporto alla vittima.
Solitamente, anche se non in modo esclusivo, la richiesta d’aiuto
perviene tramite un preventivo contatto telefonico al recapito
dedicato. Durante questo primo contatto, l’operatore è
addestrato a cogliere gli elementi essenziali del racconto e ha
l’obiettivo primario di capire se la persona si trova in situazione
di pericolo immediato e/o di rischio per la propria incolumità o
dei propri cari (re-offending risk analysis). Anche quando
l’intervento è richiesto per tramite di terzi – ad esempio
personale sanitario del pronto soccorso, forze dell’ordine, ecc. –
l’operatore ha come primo interesse quello di comprendere
appieno quale sia lo “stato di sicurezza” e il rischio per
l’incolumità della vittima e di eventuali famigliari, specialmente
se minori, disabili o anziani. Ciò con particolare attenzione se
stiamo affrontando una caso di violenza in un contesto affettivo.
Oltre al fattore “sicurezza” vi sono ben altri tre fattori su
cui l’intero intervento del CSVR LIBRA si focalizza: a) supporto
emotivo; b) informazione/orientamento; c) tutela diritti.
È previsto un ascolto iniziale del vissuto della vittima,
partendo dal presupposto che la storia personale recente e
passata racchiude le ragioni della perpetuata violenza. A tale
primo incontro partecipano due operatori appositamente
formati sull’ascolto empatico che fungono da “facilitatori” del
colloquio. Durante il processo di accoglienza l’operatore terrà
Crimen et Delictum, IX (March 2015)
International Journal of Criminological and Investigative Sciences
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un atteggiamento non giudicante e senza imporre soluzioni.
Ricordiamo che il giudizio è un processo automatico e naturale
nell'individuo e che per l'operatore la sospensione del giudizio
richiede apposita formazione e percorsi di supervisione.
Al colloquio non è posto limite di durata, proprio per
lasciare alla persona la libertà di esprimere appieno il suo
disagio, né è prevista la fornitura di soluzioni risolutive, anzi
l'operatore non deve mai sostituirsi alla vittima
nell’'individuazione del percorso di uscita dalla situazione che
genera disagio. Deve invece cercare di promuovere in essa la
capacità di individuare autonomamente le vie da percorrere,
rafforzando in tal modo la capacità di autodeterminarsi. Il
rischio, infatti, è quello che la vittima riproponga quei
meccanismi di delega – perpetuati all'interno della relazione
violenta – sull'operatore. Lasciare che sia la vittima a scegliere
quali siano le mosse da fare significa permetterle di acquisire
fiducia in se stessa e quindi rafforzare la sua autostima; ciò le
permetterà di non riproporsi quale soggetto debole/vulnerabile
nel continuum del rapporto affettivo o in un nuovo rapporto16.
Attraverso successivi colloqui, finalizzati al sostegno
emotivo della persona, dopo una prima consulenza orientativa
legale e/o ad azioni di corretta informazione durante le fasi di
indagine e processo in cui la vittima di reato è coinvolta, si
comincerà con la persona la costruzione di un percorso di
fuoriuscita dalla condizione vittimizzante.
L’attivazione della rete dei servizi, il coinvolgimento –
quando possibile – della famiglia e dei “vicini”, nell’ottica del
rafforzamento dei legami di comunità e delle relazioni su cui la
vittima può tornare a fare affidamento, è sicuramente la parte
più significativa promossa per aiutare la persona ad uscire
dall’isolamento relazionale, economico, psicologico e sociale e
ricostruirsi una vita dignitosa. Su questo ultimo concetto è
importante soffermarsi per evidenziare quanto, a opinione degli
autori del presente lavoro – al di là dell’intervento istituzionale
degli operatori e dei servizi territoriali, che per sua natura non
potrà e non dovrà essere perpetuo – sia importante costruire o
ricostruire con la persona la cosiddetta ragnatela sociale17.
16
Il CSVR LIBRA, nel recepire le migliori pratiche a livello internazionale in materia di
supporto alle vittime di violenza, non dimentica di porre attenzione – e, quindi, di
individuare interventi – anche nei confronti dell'autore della violenza, “il maltrattante”, e
nei confronti della comunità di riferimento in cui persiste la dinamica violenta. A tali
interventi sarà dedicato successivo capitolo, ritenendo – per ragioni oramai condivise da
una ventennale letteratura scientifica in materia – di non poter affrontare, e quindi
tentare di sconfiggere o quanto meno abbassare, l'impatto della violenza nelle relazioni
affettive senza porre profonda attenzione anche all'abusante e alla comunità dei
significativi.
17
G. SANDRI, A. PUCCIA , M. BARDI, L. CARACCIOLO, E. CORBARI, M.L GAGLIARDI, A. MORSELLI, F.
SAVAZZI, I. SQUINZANI, M. TOSI, Innes: legami di sicurezza in Crimen et Delictum.
International Journal of Criminological and Investigative Sciences, VII (April 2014).
Crimen et Delictum, IX (March 2015)
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57
L’espressione inerisce a quel tessuto di relazioni solidaristiche e
positivamente orientate che fungono da nuovo contesto di vita
per chi si trova in una condizione di sofferenza o disagio e che
in ogni momento e/o situazione permettono di avere
interazioni e relazioni al di fuori di quella con l’offensore.
La ragnatela sociale è inoltre in grado di funzionare
come antenna contro ulteriori episodi di violenza, di sopruso e
di isolamento. Infatti, coloro che ne fanno parte – tutta la
comunità – attraverso un processo di partecipazione alla vita
sociale, possono intercettare il bisogno precocemente e
intervenire anche con funzione preventiva sia a tutela della
vittima che sull’abusante. Detta teoria risulta particolarmente
applicabile ed efficace nell’ambito sia della prevenzione
general-preventiva che general-specifica e ci porta ad una
riflessione non scontata, soprattutto quando applicata al
contrasto e alla prevenzione della violenza nelle relazioni
affettive.
È possibile infatti ritenere molto più efficace –
supponiamo anche molto più efficiente in termini di costeffectiveness – la costante vicinanza dimostrata da buone
relazioni di vicinato/di comunità rispetto all’intervento a
posteriori dei servizi (sebbene specializzati e di vitale
importanza per le vittime), in quanto è noto che quest’ultimi si
attivano a seguito di una situazione già potenzialmente molto
compromessa e di elevata complessità.
Il vissuto emotivo: la vittima e l’operatore
Le
ore
immediatamente
successive
alla
violenza/vittimizzazione
rivestono
un'importanza
determinante per la vittima. Spesso la vittima di violenza nelle
relazioni affettive alterna sentimenti di auto colpevolizzazione
con momenti di completa vittimizzazione, relegando il suo
ruolo a persona impotente e incapace di prendere decisioni
all’interno della coppia (deficit dell’autostima).
In questa fase di grande fragilità e debolezza, le
sensazioni di sconfitta, di rabbia e di impotenza giocano un
ruolo fondamentale nella presa di consapevolezza e nella
volontarietà della persona verso la richiesta di aiuto. Tale
richiesta “deve” trovare necessariamente una risposta negli
operatori, che prontamente rinforzi l'autodeterminazione della
vittima; lasciandole tuttavia spazio di riflessione e la
disponibilità continua ad accogliere le sue emozioni e le sue
richieste, anche se ambivalenti. Ciò è fondamentale per
l’aumento dell’autostima nella vittima e per l’inizio del processo
Crimen et Delictum, IX (March 2015)
International Journal of Criminological and Investigative Sciences
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di ricostruzione di un’idea di sé diversa (empowerment),
evitando il rischio per la persona accolta di restare nuovamente
vittima delle ingerenze degli operatori in sostituzione di quelle
dell’aggressore.
Durante gli incontri di supporto, anche per l’operatore
vi è il rischio di percepire altrettanto duplici sentimenti,
passando dalla rabbia alla compassione. Per capire tale
ambivalenza non possiamo non accennare alle emozioni che la
relazione di aiuto può suscitare nei professionisti coinvolti. Il
vissuto violento che la vittima trasmette agli operatori può
ingenerare sentimenti di angoscia, vulnerabilità e impotenza.
Instaurare una relazione basata sull’accoglienza e
sull’ascolto empatico è un processo molto importante e delicato
in quanto, nella sua interezza, può essere influenzato da difese
psicologiche che l’operatore potrebbe inconsciamente mettere
in atto quali fattori protettivi personali e sociali per la gestione
delle esperienze traumatiche. La necessità di difesa dal vissuto
traumatico può scaturire dalla paura, in quanto la violenza
pervade uno dei bisogni fondamentali dell’essere umano: la
sicurezza.
Un altro elemento importante all’interno della relazione
di aiuto nei confronti delle vittime di violenza è sicuramente la
rabbia, sentimento che invade chi agisce la violenza
(maltrattante) e ricorre nelle vittime a seguito del senso di
impotenza, rimanendo latente. La rabbia potrebbe inoltre
manifestarsi anche nell’operatore d’aiuto per effetto della
riprovazione avvertita a causa del legame che la vittima
continua ad avere con il maltrattante. Risulta pertanto
importante non confondere i propri sentimenti con quelli della
vittima, ricorrendo a continue “definizioni di identità”
all’interno della relazione professionale. Anche il dolore viene
continuamente affrontato all’interno della relazione con la
persona vittima di violenza ed è necessario che l'operatore lo
rielabori attraverso la condivisione con altri colleghi e la
supervisione da parte di professionisti terzi imparziali. La
presenza di due addetti durante i colloqui è infatti finalizzata a
destrutturare eventuali carichi emotivi troppo pesanti e a
cogliere il vissuto e la narrazione in modo più completo e
oggettivo possibile.
La promozione di spazi di ascolto accoglienti ed
empatici, la possibilità di tempi di sospensione della relazione
problematica attraverso l’accoglienza temporanea presso centri
e rifugi protetti sul territorio e gli stimoli di riflessione sulla
relazione affettiva sono gli strumenti usati dal CSVR di LIBRA
durante tutto il percorso di supporto.
Questo approccio facilita l'espressione dei propri
sentimenti da parte della vittima, anche se inizialmente
Crimen et Delictum, IX (March 2015)
International Journal of Criminological and Investigative Sciences
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contraddittori e ambivalenti, e risulta indispensabile nel
processo di rafforzamento dell’identità e della capacità di
autodeterminarsi. L’individuazione delle proprie risorse
(personali, sociali, istituzionali, economiche) e l’aumento della
consapevolezza delle proprie scelte durante il percorso di uscita
dalla violenza sono elementi fondamentali per la promozione di
un effettivo e duraturo cambiamento nello stile di vita e nei
comportamenti che la persona metterà in atto per uscire dal
ruolo di vittima (“io non posso fare niente per cambiare questa
situazione”) e per divenire individuo con autonome capacità
decisionali che non dipende più dall’altro, dai suoi giudizi, dai
suoi ricatti, dai suoi bisogni.
Essere pienamente coscienti di quale sia stato il proprio
ruolo all’interno della relazione maltrattante, nonché
comprenderne le ragioni, è un passaggio fondamentale per il
cambiamento. Domande quali: cosa devo e non riesco a
giustificare a me stessa? Cosa non accetto di me? Perché
dipendo da quella relazione?, permettono alla vittima un’auto
analisi, ovvero di vedere, di comprendere ed infine di provare
ad accettare proprie responsabilità non risolte delle quali si
prova profonda vergogna. Il modello di intervento a supporto
delle vittime di violenza promosso dal CSVR di LIBRA permette
di capire e di perdonarsi, ossia di fare pace con Sé, finalmente
liberi dalla relazione malata e disfunzionale.
Il modello del CSVR di LIBRA prevede, previo consenso
scritto della persona, una fase di follow-up a distanza di 3 e 6
mesi dopo la chiusura del caso. Tale fase risulta in certa misura
importante, permettendo essa stessa di valutare l’efficacia della
presa in carico sul breve e medio periodo, al fine di considerare
assieme alla persona seguita un eventuale ulteriore intervento
del CSVR e monitorare la situazione.
Il follow-up, per alcune situazioni, risulta invece alquanto
complicato da attuare, specialmente laddove la persona seguita
dal CSVR abbia deciso di interrompere il percorso per rientrare
nella relazione violenta. In tali casi vi è sempre il rischio di
contattare la persona mentre è in presenza del partner
maltrattante, inficiando così la possibilità per la stessa di
mantenere un contatto col CSVR laddove ne avvertisse la
necessità.
M.B.E.: Analisi di un caso emblematico gestito dal CSVR
Il modello di intervento sul quale si basa l’attività del
CSVR di Associazione LIBRA nasce dall’esperienza maturata
attraverso il supporto a numerose vittime di reati.
Crimen et Delictum, IX (March 2015)
International Journal of Criminological and Investigative Sciences
60
Ogni caso che si è presentato al Centro è stato oggetto di
riflessione da parte degli operatori per la verifica ed
eventualmente la modifica dell’approccio che lo stesso
garantiva a supporto delle vittime, questo perché l’analisi
postuma di alcuni casi ha evidenziato una buona efficacia del
modello di intervento empowerment based, soprattutto in
relazione a situazioni di violenza domestica18.
A titolo di esempio, il caso di una donna, M.B.E.,
originaria della Repubblica Dominicana, ha portato il Centro ad
attuare un lungo percorso di empowerment rivolto alla stessa. La
donna si è infatti rivolta al CSVR nel novembre 2013, dopo
essere stata portata in Pronto Soccorso all’Ospedale “Carlo
Poma” di Mantova a seguito di maltrattamenti reiterati da parte
del compagno.
In tale occasione gli operatori del CSVR hanno
incontrato la donna, informandola sui suoi diritti, sulla
possibilità di sporgere querela nei confronti del compagno e
sull’eventualità di contattare i servizi sociali del Comune di
residenza al fine di attivare un percorso di presa in carico della
stessa che potesse comprendere anche una residenzialità, dal
momento che aveva dichiarato di non poter più tornare a casa.
Dopo diversi colloqui in sede ospedaliera e l’attivazione
dei servizi sociali di riferimento, la donna aveva comunque
deciso di rientrare presso la propria residenza, essendo
alquanto confusa e in una condizione di forte ambivalenza: in
lotta tra la consapevolezza di doversi allontanare
dall’abitazione e la speranza in un cambiamento da parte del
partner, il quale a sua volta, dopo ogni episodio di violenza,
prometteva di non reiterare la propria condotta violenta.
Preso atto della decisione della donna, gli operatori del
CSVR hanno dichiarato alla stessa piena disponibilità nei suoi
confronti qualora avesse avuto ulteriore necessità di contatto,
evitando di giudicare quella che per molti è da considerarsi una
“scelta errata”.
La signora, nei giorni a seguire, ha richiamato il CSVR in
diverse occasioni, avendo necessità di parlare della propria
situazione e di “chiedere conferme” rispetto alla decisione di
rientrare presso l’abitazione del compagno, denotando ancora
una bassa capacità di emanciparsi dalla simbiosi che la legava a
lui, essendo nel pieno del “circolo della violenza”.
18
L’opportunità della supervisione scientifica, promossa dall’equipe dell’Istituto di
Criminologia di Mantova (FDE) sui casi del CSVR, permette una costante analisi sul
metodo e sui singoli processi adottati durante l’intervento presso il Centro. Questa
attività, che chiameremo review, è promossa al fine di determinare se gli interventi sono
o meno efficaci e quali siano le costanti e le variabili che in ogni caso si alternano. La
review è finalizzata alla modellizzazione dell’approccio empowerment-based e alla
validazione ai fini della sua esportabilità e replicabilità.
Crimen et Delictum, IX (March 2015)
International Journal of Criminological and Investigative Sciences
61
Nel mese di maggio dell’anno 2014 il CSVR è stato
ricontattato dallo stesso ospedale a seguito di un ulteriore
accesso della donna, la quale riferiva, ancora una volta, percosse
da parte del compagno. Anche in tale occasione il CSVR si è
attivato tempestivamente presso la struttura ospedaliera per
incontrare la donna.
Sono stati di nuovo attivati i servizi sociali del Comune
di residenza e una associazione del territorio mantovano che si
occupa di residenzialità per donne in difficoltà, costituendo così
una prima rete di supporto a livello locale.
M.B.E. ha preso in considerazione la possibilità di essere
ospitata presso la struttura solo dopo diversi colloqui con gli
operatori della rete coinvolta a supporto; obiettivo di tali
incontri risultava appunto quello di garantire alla donna
strumenti per valutare al meglio la situazione e poter
eventualmente scegliere percorsi alternativi per se stessa.
Successivamente la donna è stata inserita in una
struttura protetta collocata fuori dal Comune di residenza e
attualmente sta attendendo lo spostamento in una comunità di
accoglienza per donne situata fuori provincia, dove potrà essere
accompagnata verso un percorso lavorativo adeguato.
I progressi attuali effettuati dalla donna possono essere
sintetizzati nell’acquisizione di capacità di analisi rispetto alla
relazione col partner maltrattante e aumento della propria
consapevolezza sulle ragioni che facevano sì che lei la
mantenesse; la capacità di analisi, nello specifico, risulta utile al
fine di garantire alla stessa strumenti adeguati per poter
allacciare altri rapporti affettivi, abbassando il rischio di
ricaduta in relazioni disfunzionali.
Il percorso di consapevolizzazione rispetto alla propria
condizione è stato molto lungo, la donna è rientrata a casa più
volte dichiarando di amare il suo compagno e ogni volta è
ritornata in ospedale a seguito di nuovi episodi di violenza. La
presenza costante degli operatori del Centro di Supporto alle
Vittime di Reato per la provincia di Mantova, l’assenza di
manifestazioni di giudizio rispetto ai suoi continui rientri a casa,
l’accoglienza verso i suoi sentimenti ambivalenti, l’ascolto
costante e l’aver creduto in lei ogni volta sono stati fattori
fondamentali per arrivare alla sua decisione di allontanarsi dal
tetto coniugale. Era infatti necessario accogliere i sentimenti di
rabbia, di paura verso il compagno e del futuro senza di lui, di
dipendenza, di vergogna per il fallimento della relazione, di
colpa e di impossibilità di modificare la relazione per
permetterle pian piano di capire che in lui non c’era amore e che
nemmeno il suo era amore per sé.
Crimen et Delictum, IX (March 2015)
International Journal of Criminological and Investigative Sciences
62
In questo caso, attraverso domande e ascolto empatico,
M.B.E. è arrivata a discolpare se stessa di essere stata legata a lui
per tanto tempo e, grazie alla possibilità di essere accolta in una
struttura protetta, è riuscita a separarsi da lui fisicamente ed
emotivamente.
Durante l’ultimo colloquio la stessa ha espresso
soddisfazione per essersi allontanata dal partner e incredulità al
pensiero di come fosse possibile che lo avesse amato così tanto
per poi essere arrivata a provare indifferenza nei suoi confronti.
Questo distacco emotivo le ha permesso di prendersi cura di sé
anche dal punto di vista sanitario e fare progetti diversi per il
futuro, riconoscendo anche il desiderio di intraprendere nuove
relazioni, consapevole che nei rapporti affettivi sia necessario
sia amare se stessi che sentirsi amati dall’altro.
Conclusioni e prossime mete per l’empowerment degli
operatori e della comunità
Nell’ipotesi di migliorare e incrementare gli strumenti a
disposizione del CSVR, gli operatori stessi hanno valutato
positivamente l’utilizzo e l’elaborazione, da parte delle vittime,
di un diario, quale modalità per registrare in maniera costante i
propri pensieri e poterne poi discutere assieme durante i
colloqui.
La modalità della scrittura può essere infatti molto utile
al fine di accentuare l’ambivalenza degli stati d’animo e dei
pensieri della vittima; tali elaborati saranno poi presi in esame
assieme agli operatori del CSVR, al fine di analizzare in maniera
congiunta le motivazioni di tali cambiamenti nel pensiero e
negli stati d’animo.
Ulteriore strumento che LIBRA intende promuovere e
per il quale si stanno attualmente valutando le opportune
modalità logistiche, metodologiche e organizzative, risulta
essere quello del “gruppo di riflessione e rielaborazione tra
vittime”.
Tali gruppi, composti in maniera eterogenea al fine di
aumentare la possibilità di confronto tra chi vi partecipa,
saranno accuratamente formati, selezionando le persone più
idonee (per tipologia di storia personale, di reato subito, di
elaborazione del vissuto, ecc.). La partecipazione sarà proposta
in forma facoltativa e solo quando verrà ritenuto
sufficientemente solido il percorso intrapreso verso
l’autodeterminazione della persona.
Il gruppo può favorire una dinamica diversa per le
vittime, creando una esperienza di condivisione con persone
con le quali si possono facilmente identificare (e possibilmente
Crimen et Delictum, IX (March 2015)
International Journal of Criminological and Investigative Sciences
63
vedere propri vissuti da un’altra prospettiva), differenziandosi
rispetto all’identificazione che potrebbe esserci con un
operatore, circostanza che avviene in maniera più casuale.
Il gruppo offre inoltre la possibilità ai membri di
assumere ruoli diversi e quindi di trovarsi nella situazione di
aiutare l’altro o essere per lo stesso una guida. Questo può, in
maniera positiva, ulteriormente influenzare il processo di
empowerment.
Inoltre, un aspetto molto significativo di questo tipo di
dinamiche è il fatto che il gruppo può agire come fattore di
controllo su ogni suo membro, facendo in modo che, ad
esempio, ci siano meno possibilità che le vittime adottino
strategie di negazione, minimizzando il problema oppure
aumentando l’entità dello stesso e della propria responsabilità
nella relazione violenta.
L’elaborazione del diario e la partecipazione al gruppo
di riflessione rappresentano per il CSVR due modalità
utilissime per la rielaborazione del vissuto e, quindi, per
arrivare ad una consapevolizzazione, elementi che sostengono
il percorso di supporto e di empowerment, accelerandone i tempi
e migliorando l’efficacia degli interventi sia in termini
quantitativi che qualitativi.
Entrambi
gli
strumenti
promuovono
l’autodeterminazione, permettendo alle persone di cercare un
proprio percorso, al di là del Centro e degli operatori stessi;
utilizzando il racconto (scritto e orale) e richiedendo una
partecipazione attiva e autonoma delle persone, tali strumenti
permettono l’attivazione delle risorse interne della persona.
La metodologia empowerment based e gli strumenti di
lavoro implementati, seppure declinati in questo contesto
nell’ambito delle vittime di violenza, possono essere applicati
nel supporto delle vittime di reato lato sensu. Questo – a parere
di chi scrive – in quanto la mancanza di capacità di
autodeterminazione, di fiducia in se stessi e l’ambivalenza dei
sentimenti e delle sensazioni sono fattori comuni riscontrabili in
persone che hanno subito reati.
In conclusione, si rileva l’importanza fondamentale
della formazione e della sensibilizzazione degli operatori sul
territorio, in primis di quelli dell’ambito sanitario e sociale,
essendo spesso gli stessi i primi che entrano in contatto con le
vittime di violenza.
Ulteriore sensibilizzazione andrebbe pensata – e il CSVR
la sta attualmente programmando in collaborazione con
l’Azienda Sanitaria Locale per la provincia di Mantova –
nell’ambito dei medici di medicina generale e dei pediatri,
Crimen et Delictum, IX (March 2015)
International Journal of Criminological and Investigative Sciences
64
essendo gli uni e gli altri un punto di riferimento importante per
la popolazione e per il nucleo familiare in particolare.
Citando nuovamente la teoria della ragnatela sociale,
proprio per tale principio, è risultato – per l’esperienza di
Associazione LIBRA Onlus – estremamente importante e utile il
coinvolgimento degli operatori del terzo settore, dell’ambito
sanitario, degli enti pubblici e dei volontari delle associazioni
del territorio mantovano – appunto, nessuno escluso – nella
formazione in ambito vittimologico che l’associazione stessa ha
portato avanti nel contesto del progetto VIS. La formazione ha
garantito in primis l’incontro e lo scambio di opinioni tra
professionisti e volontari, creando tra loro il legame
fondamentale al fine di collaborare in maniera attiva per la
gestione dei casi di vittime che accedono al CSVR o che vengono
segnalate al medesimo da parte dei Servizi o di altre
associazioni del territorio.
Da ultimo, sarebbe necessario un percorso di
supervisione per gli operatori che sono costantemente a
contatto con le vittime di reato, per mantenere la necessaria
lucidità e capacità di accoglienza ed empatia, utile per l’efficacia
del percorso.
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