Mi mancano le sue camicie da stirare. L`ambivalenza e
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Mi mancano le sue camicie da stirare. L`ambivalenza e
Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 42 Mi mancano le sue camicie da stirare. L’ambivalenza e l’empowerment nell’intervento a favore delle vittime di violenza nelle relazioni affettive1. Elisa Corbari, Laura M. Gagliardi, Francesco Viecelli, Angelo Puccia2 Abstract (versione italiana) Le condizioni fondamentali affinché possa attuarsi un percorso di uscita dalla violenza sono molteplici: la capacità di autodeterminare il proprio percorso; la possibilità di confrontarsi con la propria ambivalenza e il proprio grado di coinvolgimento rispetto la relazione con il maltrattante. Il percorso di accompagnamento durante l’uscita dal ciclo della violenza delle vittime di maltrattamento che si presentano presso il Centro di Supporto alle Vittime di Reato per la provincia di Mantova, è condotto dagli operatori del servizio attraverso colloqui con la vittima che si basano sull’importanza del concetto di empowerment, ovvero il rafforzamento della capacità di autodeterminazione dell’individuo nel pieno riconoscimento delle proprie capacità e responsabilità. Tali colloqui vengono svolti attraverso l’ascolto empatico, il rafforzamento delle capacità decisionali della persona e l’individuazione delle sue risorse. La metodologia di lavoro del CSVR (Centro di Supporto alle Vittime di Reato per la provincia di Mantova) prevede, inoltre, il coinvolgimento della rete sociale, familiare e istituzionale, con l’obiettivo di avviare con la persona un percorso di consapevolezza e cambiamento. “Mi mancano le sue camicie da stirare”, affermazione di una donna vittima di violenza da parte del partner, indica molto bene la difficoltà della stessa, e delle vittime di violenza in generale, di riconoscere e superare la propria condizione di ambivalenza rispetto la situazione vissuta. Parole chiave: vittime, violenza, ambivalenza, empowerment, consapevolezza. 1 Il presente articolo è stato già oggetto di pubblicazione in una uscita precedente della rivista che attualmente l’ospita. Si è ritenuto di ripubblicarlo integralmente data la sua rilevanza rispetto al progetto VIS Network al quale la presente uscita è dedicata. 2 Centro di Supporto alle Vittime di Reato della provincia di Mantova, gestito da Associazione LIBRA Onlus. Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 43 La vittima: inquadramento vittimologico e riconoscimento Occorre innanzitutto chiarire cosa si intende con il termine vittima. Superando la classica definizione giuridica che considera la vittima come “persona offesa dal reato”, possiamo prendere in considerazione diverse definizioni. La Decisione Quadro del Consiglio dell’Unione Europea, numero 220 del 15 marzo 2001, descrive la vittima come la persona fisica che ha subito un pregiudizio fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati da atti od omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale. Viano3 individua quattro momenti significativi che contraddistinguono il passaggio allo status di vittima. 1. presenza di un danno: il concretizzarsi di stati di sofferenza causati dall’atto criminale; 2. percepirsi come vittima (auto-riconoscimento): l’accettarsi come vittima ovvero “riconoscere la vittimizzazione come un’esperienza immeritata e ingiusta”; 3. decidere se confidare ad una persona cara la propria esperienza vittimizzata oppure renderla pubblica attraverso il ricorso allo strumento della denuncia penale; 4. riconoscimento da parte della comunità (eteroriconoscimento): ricevere sostegno sociale, solidarietà e riconoscimento dalla comunità di appartenenza. La vittima può, inoltre, essere considerata come «un soggetto ‘espropriato’ di quella fondamentale aspettativa (la fiducia) avente valenza positiva che, in condizioni di incertezza, è capace di rassicurarla rispetto alle azioni ed alle comunicazioni che intrattiene con il contesto nel quale vive ed opera»4. L’esperienza vittimizzante intacca in maniera significativa la dimensione fiduciaria personale, facendo crollare la quotidianità e la prevedibilità degli eventi, caratteristiche principali del sentito umano di sicurezza. Al contempo, viene inevitabilmente compromessa la fiducia nei rapporti all’interno delle reti sociali di riferimento. Ciò accade, 3 E. VIANO, Vittimologia oggi: i principali temi di ricerca e di politica pubblica, in A. BALLONI, E. VIANO (a cura di), IV Congresso Mondiale di Vittimologia. Atti della giornata bolognese, Bologna 1989. 4 S. VEZZADINI, La violazione della fiducia nei processi di vittimizzazione: la mediazione è una risposta?, in A. BALLONI (a cura di), Cittadinanza responsabile e tutela della vittima, Bologna 2006, p. 77. Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 44 a maggior ragione, quando preesiste un legame affettivo o familiare tra vittima e autore di reato. La vittimizzazione rappresenta una interruzione del normale percorso di vita cui «si accompagna, in genere, la percezione di una identità violata e spezzata ed una diminuzione dell’autostima che necessitano di essere raccontate per essere riconosciute e oltrepassate, pena la sedimentazione di caratteristiche (quali la passività, la debolezza, il ripiegamento su se stessi) che aprono la strada a nuovi processi di vittimizzazione»5. Una vittima avverte perciò il bisogno di esprimere la propria sofferenza e di essere ascoltata. Nel 2011 la Commissione Europea, in una comunicazione diretta al Parlamento Europeo6, sottolineava l’importanza dell’attenzione nei confronti della violenza sulle donne. Se si parla di diritti delle vittime non si può non considerare la differenza di genere, che vede le donne particolarmente esposte a gravi forme di violenza, spesso non denunciate. Il Consiglio d’Europa stima un 20-25% di donne adulte europee vittime di violenza fisica almeno una volta nella vita; di questa parte, circa il 12-15% ha subito tali aggressioni all’interno di una relazione affettiva. Un ulteriore 10% riguarda invece donne vittime di violenza sessuale7. L’Unione Europea già in passato aveva emanato direttive atte a garantire maggiori tutele alle vittime; si pensi ad esempio alla direttiva 2004/80/CE del Consiglio relativa all’indennizzo delle vittime di reato. La figura della vittima, tuttavia, risulta ad ora ancora non tutelata in maniera adeguata, motivo per il quale, attraverso la Comunicazione al Parlamento Europeo COM (2011) 274 final, la Commissione Europea ha presentato un pacchetto di proposte al fine di rafforzare le misure nazionali a tutela delle vittime, afferenti ad ogni singolo stato europeo. Principio fondamentale di questa proposta è il garantire tutele minime alle vittime all’interno dell’Europa, indipendentemente dalla loro nazionalità e dal paese di residenza, senza perdere la tutela in un eventuale stato estero. Risulta, inoltre, molto importante il collegamento tra la tutela delle vittime e la riduzione del costo totale relativo ai reati. Il rafforzamento ed il rispetto dei diritti delle vittime ha un impatto positivo sia sulla vittima stessa che sulla società. Rispondere ai bisogni delle vittime riduce sia i costi tangibili conseguenti al reato, quali ad esempio i costi relativi all’assistenza sanitaria ed al sistema giudiziario, sia quelli 5 S. VEZZADINI, La vittima di reato tra negazione e riconoscimento, Bologna 2006, p. 58. 6 COM (2011) 274 final. 7 Council of Europe, Stocktaking study on violence against women, 2006. Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 45 intangibili, in primis la sofferenza della vittima e dei relativi familiari, e la rispettiva diminuzione della qualità di vita. La probabilità di recupero fisico, psicologico ed emotivo di una persona che viene adeguatamente supportata, rispettata e protetta è più alta. Ciò influisce ulteriormente sulle perdite economiche quali conseguenze del reato, ad esempio la necessità di maggiore assistenza sanitaria e di cure mediche, assenza dal posto di lavoro, ecc. Il pacchetto di proposte finalizzato a rafforzare le misure nazionali a tutela delle vittime e presentato attraverso la succitata Comunicazione al Parlamento Europeo COM (2011) 274 final ha inoltre individuato un range di bisogni afferenti alle vittime che dovrebbero essere soddisfatti nell’intento di supportare la vittima nel proprio recupero sia fisico che emotivo. Il primo punto è rappresentato dal bisogno della persona vittima di reato di essere riconosciuta e ricevere trattamenti rispettosi e dignitosi. Chiunque si trovi in una condizione di disagio derivante da esperienze vittimizzanti si aspetta un riconoscimento della propria condizione e della propria sofferenza. Di conseguenza, si aspetta di ricevere un trattamento consono da parte dei professionisti coi quali entra in contatto, ed in seconda istanza – non per importanza – da parte dei propri significativi (familiari, amici, vicinato, colleghi). Ciò che, purtroppo, spesso si nota a livello europeo è la mancanza di formazione rispetto alla metodologia più adatta per effettuare un corretto assessment dei bisogni della vittima. Secondariamente, la vittima necessita di protezione all’interno del procedimento penale e durante la fase di indagini, al fine di evitare procedure inadeguate quali interviste ripetute e con modalità che possono urtare la sensibilità della persona. Questa protezione va assicurata in primis alle classi di vittime maggiormente vulnerabili, quali ad esempio minori, donne, anziani. La Comunicazione europea numero 274 del 2011 ha inoltre reso esplicita la natura dei bisogni della vittima8. Essa può necessitare di supporto emotivo, pratico, amministrativo, sociale e legale. Nonostante i progressi fatti dai centri/servizi di supporto dedicati alle vittime, sia di tipo pubblico che privato, tali servizi non sono ovunque facilmente accessibili. 8 COM (2011) 274 final. Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 46 Il Parlamento Europeo9 ribadisce tale necessità di supporto, soprattutto dal primo momento dopo la commissione del crimine, indipendentemente dal fatto che tale reato sia stato denunciato o meno. I servizi di supporto alle vittime possono essere di tipo pubblico o privato e non dovrebbero prevedere troppe formalità che potrebbero ridurre gli accessi al servizio stesso. In ogni caso, come già ribadito, i servizi messi a disposizione da un Centro di supporto alle vittime non possono dipendere dalla presenza di una segnalazione presso autorità competenti, anzi spesso le forze di polizia stesse potrebbero rappresentare il tramite migliore per informare le vittime rispetto alla possibilità di ricevere supporto da servizi appositamente strutturati. Ulteriormente importante per una vittima risulta essere l’accesso alla giustizia, la possibilità di ricevere informazioni facilmente comprensibili circa i propri diritti, lo stato del processo ed i procedimenti giudiziari in generale. L’accesso alla giustizia non esclude la necessità della vittima di ricevere risarcimenti per il danno subito. Tali risarcimenti possono essere di tipo finanziario ma non solo, infatti proprio il concetto di giustizia riparativa racchiude in sé un significato che va oltre il mero risarcimento economico. Il paradigma di giustizia riparativa «affonda le sue radici nella comunità e si muove tra persone piuttosto che tra procedure»10. Tale paradigma si pone infatti l’obiettivo di superare la funzione prettamente punitiva della sanzione penale ponendo l’attenzione sulle possibili forme di offesa arrecata attraverso il reato. La partecipazione della vittima al conflitto offre alla stessa l’opportunità di ristabilire parte del controllo perso attraverso l’azione delittuosa, influendo inoltre sul proprio senso si sicurezza e fiducia. Il ciclo della violenza11 Avendo focalizzato il nostro discorso sulle vittime di violenza, in maggioranza rappresentate da donne, cerchiamo ora di capire meglio quale meccanismo permette che la donna 9 Directive 2012/29/EU of the European Parliament and of the Council of 25 October 2012 establishing minimum standards on the rights, support and protection of victims of crime, and replacing Council Framework Decision 2001/220/JHA. 10 G. SANDRI, M. TOSI, Proposte metodologiche per una “Società Riparativa”, in Crimen et Delictum. International Journal of Criminological and Investigative Sciences, VII (April 2014). 11 Si rinvia agli studi di Lenore E.A. Walker: The Battered Women, New York 1979; The Battered Women Syndrome, New York 1984; Abused Women and Survivor Therapy, Washington DC 1996. Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 47 stessa non esca da questa relazione violenta, ma ne resti intrappolata, spesso per lunghi periodi. Ciò che viene definito ciclo della violenza non è altro che la rappresentazione graduale di un percorso a fasi ben precise e riconoscibili, che vede nella prima fase, denominata fase di tensione, non necessariamente agiti violenti etero-diretti ma una condizione di continua irritabilità tra i partner che li porta alla seconda fase, denominata di attacco, durante la quale si concretizza la violenza vera e propria nelle diverse forme che può assumere. Dopo l’agito violento segue generalmente un momento di scuse e la cosiddetta fase della “Luna di miele”, momento questo estremamente complesso e critico sia per la vittima che per il maltrattante, durante il quale i partner tendono ad assumere atteggiamenti e comportamenti ambivalenti e incoerenti. L’agire violenza viene vissuto dall’abusante come modalità per ripristinare il controllo sulla situazione e sull'abusato. La perdita di controllo si trasforma in un attacco al proprio sé, durante il quale l’uomo teme l’annullamento, motivo per il quale è strettamente necessario attivarsi al fine di non soccombere. Il passaggio importante tra la prima fase e la seconda è il continuo attivarsi dell’attore della violenza al fine di annullare il sé della vittima, tramite violenze psicologiche sempre più pressanti, che portano la donna a convincersi che tali condotte siano dovute alle sue colpe e inadeguatezze, perdendo fiducia in se stessa, isolandosi e azzerando la propria capacità decisionale. Il passaggio tra il momento della violenza e la fase delle scuse e la successiva “Luna di miele” genera nella donna una sorta di smarrimento, che la porta a giustificare ogni comportamento dell’aggressore, incolpandosi per l’accaduto (annullamento). La fase della luna di miele viene definita dagli inglesi love bombing, in quanto l’autore della violenza attua meccanismi di seduzione e compiacimento dell'altro, finalizzati ad ammaliare, facendo vivere tale momento come un’illusione di amore ideale, che ripristina la speranza che le cose possano andare bene e perpetuando la relazione. Le fasi del ciclo della violenza, ripetendosi, portano gradualmente ad una alterazione della coscienza della vittima attraverso una marcata ambivalenza interiore, meccanismo che approfondiremo successivamente nel presente articolo. Nel momento in cui la donna riesce a rendersi conto del suo essere vittima, gli effetti dell’annullamento della propria coscienza Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 48 (ambivalenza) vanno a sommarsi ad una diffusa sfiducia nelle proprie capacità (bassa autostima), alla paura e all’impotenza, il tutto amplificato dall’isolamento sociale nel quale si trova (spesso imposto dal partner abusante) e ad altre possibili variabili condizionanti, quali la presenza di figli minori o la dipendenza economica dall’autore della violenza. Tutti gli elementi sopra elencati influiscono sul permanere della donna all’interno della situazione vittimizzante. Spesso però la richiesta di aiuto che può portare alla fuoriuscita dalla violenza può generarsi dopo un attacco più violento rispetto ai precedenti, oppure nel momento in cui la vittima si rende conto che la situazione sta degenerando e gli attacchi violenti si stanno facendo sempre più ravvicinati. Tale momento risulta alquanto delicato in quanto l’ambivalenza della vittima non permette una oggettiva valutazione della situazione, perciò il rischio di ritorno all’interno della relazione violenta è molto alto. Il sentito delle vittime di violenza Il permanere della vittima all’interno di situazioni violente può portare, come detto, ad una particolare alterazione della coscienza e ad un completo annullamento del Sé: stati che accompagneranno la donna anche nel momento di uscita dalla violenza. Le donne che si rivolgono al Centro di Supporto alle Vittime di Reato per la provincia di Mantova12 frequentemente portano con sé vissuti che sono entrati a far parte della propria identità. Risulta perciò necessario, oltre ad assicurare la messa in sicurezza della vittima qualora il pericolo di violenza permanga, attivare percorsi condivisi con la persona, che abbiano come fine l’empowerment della donna, inteso come capacità di autodeterminarsi e di scegliere un percorso di vita personale. Ci si può chiedere quali siano le ragioni per cui una vittima di maltrattamenti reiterati e continuativi non riesca a separarsi dal proprio aggressore nonostante abbia oggettive ragioni per farlo. Gli operatori del CSVR di Mantova affermano che la ragione può essere legata alle “ambivalenze dei sentimenti” di questa persona, sentimenti contrastanti causati da una errata idea di sé, da bassa autostima e da un’errata ideazione delle relazioni di amore e di affetto. La vittima proietta sull’altro il proprio potere decisionale, non riconoscendo a se stessa alcuna possibilità di 12 Acronimo CSVR. Sportello fondato e gestito dal maggio 2012 dall’Associazione LIBRA Onlus – Rete per lo Studio e lo Sviluppo delle Dinamiche di Mediazione. Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 49 autodeterminazione. Per “l’Altro” prova sentimenti molto contrastanti, di forte rabbia e di grande ansia e paura dell’aggressività ma anche di non corresponsione delle aspettative altrui. Si crea in tal modo una dipendenza reciproca appunto ambivalente: “dipendo da lui, dalle sue decisioni, dal suo umore, dal suo riconoscimento, dalle sue valutazioni; lui ha bisogno di me, sono convinta che a suo modo mi ami, nonostante sia perennemente insoddisfatto; non mi abbandona anche se minaccia costantemente di farlo, se mi impegno riuscirò a soddisfarlo e quindi mi riconoscerà e mi amerà”. In questa simbiosi sempre più indissolubile la vittima prova sentimenti di soddisfazione nel momento in cui vi è apprezzamento e riconoscimento da parte dell’altro, ma contemporaneamente si sente impotente nei confronti di chi le agisce violenza e prova vergogna e rabbia per ciò che vive e subisce, e per la propria incapacità di modificare la relazione affettiva. Per comprendere meglio questa dinamica disfunzionale, è necessario per l’operatore che effettua l’ascolto al CSVR conoscere profondamente i meccanismi psicologici della vittima di violenza. L'esperienza maturata all'interno del Centro di Supporto alle Vittime di Reato per la provincia di Mantova ci porta ad affermare che le persone che subiscono maltrattamenti e non si allontanano dal partner abusante in genere hanno “bassa autostima” e si sentono profondamente “sbagliate”, pur giustificando il proprio ruolo di vittime incolpando l’aggressore sia per ciò che subiscono che per l’impossibilità di modificare ed uscire da tale relazione disfunzionale che loro stesse/i hanno contribuito a creare. Come sopra affermato, esse esprimono sentimenti di paura, vergogna, fallimento, timore del giudizio, convinzione della propria incapacità di soddisfare l’altro, ansia, senso di inadeguatezza e rabbia. Questo processo avviene in modo inconsapevole, creando un circolo vizioso molto potente: una “guerra” interiore tra il senso di colpa per non essere in grado di amare il partner secondo le aspettative da lui dichiarate e la rabbia e vergogna per non riuscire ad abbandonarlo. La vergogna può essere così forte da produrre sentimenti ambivalenti che possono portare altresì alla totale colpevolizzazione dell’altro, permettendo alla vittima meccanismi di de-responsabilizzazione e negazione, favorendo in tal modo la persistenza della vittimizzazione. Colpevolizzare l’altro permette di non dover riflettere sulla collusione generatasi all’interno della relazione violenta. È Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 50 il caso di ribadire che la dinamica violenta spiegata attraverso il Circle of Violence è un processo in cui sia la vittima sia l’abusante sono attori attivi portatori di responsabilità. Il partner maltrattante, inoltre, oltre a isolare la propria vittima, le rimanda continue immagini della stessa come persona inadeguata, debole, incapace nel proprio lavoro, nella gestione dei figli e nella quotidianità domestica, rinforzando la sua inadeguatezza, espressa soprattutto nella incapacità di uscire dalla relazione maltrattante. Il più grosso ostacolo alla separazione della donna dal partner maltrattante è la consapevolezza di non essere uscita prima da tale situazione, anche dopo rimandi provenienti da persone significative per lei (familiari, conoscenti, operatori dei servizi). L'atteggiamento dell'operatore, in questo caso, deve mirare a portare la donna a riconoscere, accettare e perdonare se stessa per le scelte fatte, evitando giudizi colpevolizzanti per la propria persona. Ecco che promuovere la consapevolezza nella vittima attraverso l’ascolto attivo di ogni espressione, anche se ambivalente, dei suoi sentimenti, acquisisce un significato determinante per il superamento dell'auto colpevolizzazione, in un processo di accettazione e perdono di sé, per le scelte fatte che l’hanno portata a rimanere in una situazione vittimizzante. Per comprendere meglio questo meccanismo è interessante prendere in considerazione il caso di una donna che, durante un percorso di sostegno psicologico, dopo essere stata abbandonata dal partner che per anni l’aveva tradita, umiliata, fatta sentire inadeguata e incapace di amare, dichiarava: “mi mancano tanto le sue camicie da stirare”. La donna sapeva chiaramente che gli anni passati con quel partner erano stati anni terribili, soffriva infatti di crisi di panico, era in un forte stato di stress e di depressione, raccontava di un matrimonio molto infelice, finito quando lui l’ha abbandonata. Eppure le mancavano le camicie da stirare: com'era possibile? Partendo dalla sua domanda ci siamo chiesti ad esempio come poteva giustificare a se stessa il non avere agito per tutelare sé e i suoi figli, sopportando quella situazione di continua violenza psicologica. Come poteva accettare di essere stata usata, manipolata, umiliata, di non essersi mai sentita amata e, nonostante tutto, di essere rimasta con lui? Come poteva sentire la mancanza delle camicie da stirare e dichiarare di essere così legata alla propria casa ed ai lavori domestici da non riuscire a stare bene senza questi? Credendo che la maggior parte delle donne avrebbe desiderato danneggiare o bruciare le camicie del marito dopo l’abbandono, la sua dichiarazione ci ha fatto molto riflettere. Inizialmente abbiamo pensato che le camicie che stirava per il Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 51 marito e le sue doti di casalinga potessero essere l'unica cosa che giustificava a se stessa il fatto di essere ancora con lui, sebbene il marito, con parole e comportamenti, le rimandava di essere sempre stata una moglie inadeguata e incapace dal punto di vista affettivo. Attraverso le camicie ben stirate e la casa ben pulita, lei si riconosceva all’interno di un ruolo – quello, appunto, della moglie e della casalinga perfetta – e giustificava in tal modo il suo permanere all’interno del matrimonio, dopo quasi 30 anni, nonostante le umiliazioni e i soprusi sopportati e la rabbia nei confronti del marito. Da un’attenta analisi effettuata con lei abbiamo compreso che la mancanza delle camicie da stirare racchiudeva una forte ambivalenza. La donna si vergognava immensamente del fallimento del proprio matrimonio, incolpandosi di ciò, ma provava vergogna anche a causa della propria incapacità di separarsi, si sentiva debole e sbagliata nei confronti di tutti quelli che la vedevano così umiliata e incapace di reagire (in primis se stessa proiettata nello sguardo altrui). Era in gioco l’immagine di sé, sia che si separasse, sia che restasse con lui in quella relazione sbagliata. Le camicie da stirare giustificavano la propria non reazione di fronte alle umiliazioni del marito, nelle sue camicie ha posto l’unico valore della relazione; attraverso il proprio impegno e piacere nelle attività domestiche, poteva dirsi: “sto qui perché a me piace stirare le camice e tenere in ordine la casa, in questo modo dimostro a me stessa e a lui il mio amore”. In questo modo si sentiva meno usata, si riconosceva in un ruolo e riusciva a trovare la pace interiore necessaria per diminuire l’ambivalenza interna, ma nel contempo perpetuava la relazione patologica in un circolo vizioso molto potente (vergogna per non riuscire a separarsi / vergogna di separarsi). La nostra ipotesi è che proprio nella vergogna della non reazione di fronte a situazioni violente da un punto di vista psicologico e fisico si possa cercare il motore che mantiene la relazione patologica: perpetuare l’errore per giustificare l’errore stesso. Nel caso in esame, la donna, attraverso un opportuno percorso di supporto psicologico, è riuscita ad allontanarsi da quella situazione, affrontando la propria ambivalenza e rafforzando le proprie capacità di scelta (empowerment), ha capito il significato e la necessità di alcuni meccanismi di giustificazione rispetto alla situazione vissuta (per sopperire, infatti, al senso di vergogna e fallimento). È riuscita ad ammettere che avrebbe dovuto e sarebbe potuta uscire prima da quella relazione malata, ma che non lo ha fatto perché non ce la Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 52 faceva a sopportare il proprio senso di fallimento; ha accettato questo bisogno, riconoscendo che non c’era nulla di sbagliato in lei, ha riconosciuto la propria capacità di amare come indipendente dalle valutazioni del partner. Si è perdonata per essere rimasta con lui per tanto tempo, è uscita rinforzata e in pace con se stessa, ammettendo i propri limiti causati dalla vergogna e dall’imbarazzo della propria situazione, uscendo dall’isolamento e riconoscendo che in una relazione è necessario sentirsi amati e ricambiati. La perversione nelle relazioni affettive «Nel caso di rapporti di coppia che portano il marchio della perversione, il perverso relazionale fa vivere la donna in un mondo rovesciato, sottosopra, di cui, per molto tempo, la donna fa fatica a rintracciare le coordinate. Paralizzata dallo sguardo del serpente, non riesce a trovare l’uscita, a distinguere il sopra dal sotto, il davanti dal dietro. Il sovvertimento della logica e della verità, attuato dal perverso, rende la donna incapace di capire e contribuisce alla sua difficoltà di interrompere la relazione. Ciò che potrebbe venire chiamato collusione, nelle donne con partner maltrattanti, non è, di nuovo, che uno degli innumerevoli esiti del maltrattamento. Se si sostiene che la confusione, la perdita della capacità di giudicare, il colpevolizzarsi, l’essere protettiva con il partner, tutti gli elementi, cioè, che sono stati descritti come conseguenze dell’abuso, rappresentano i modi e le forme del meccanismo della collusione della donna verso il compagno, allora si scambiano – di nuovo! – le conseguenze con le cause»13. La paura dell’altro e l’ansia rispetto a un suo eventuale allontanamento sono sentimenti molto potenti che impediscono ulteriormente qualsiasi razionalizzazione e possibilità di chiedere aiuto. Per uscire dall'ambivalenza è necessario vederla, comprenderla, accettarla e alla fine perdonarsi. Si tratta di un percorso interiore di riparazione del danno subito dall’altro e da se stessi, in cui la richiesta di aiuto e il confronto con la società è fondamentale. Attraverso questo percorso si può arrivare a modificare l’idea e il modo di amare se stessi e di vivere all’interno di una relazione affettiva comprendendo che il controllo, la dipendenza, la gelosia, il possesso, il ricatto non corrispondono all’amore. 13 S. FILIPPINI, Relazioni perverse. La violenza psicologica nella coppia, Milano 2005. Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 53 Il CSVR LIBRA: un modello di intervento empowerment based L'empowerment, inteso come il rafforzamento della capacità di autodeterminazione della vittima, corrisponde al metodo di lavoro applicato da Associazione Libra per la gestione dei casi all’interno del Centro di Supporto alle Vittime di Reato per la provincia di Mantova14. L'approccio e il conseguente intervento si caratterizzano particolarmente per alcuni aspetti ritenuti cardine dal modello CSVR LIBRA: ascolto, consapevolizzazione della vittima sulle risorse interne (personali) e orientamento sulle tutele/servizi territoriali (risorse esterne); funge infine da collante un costante accompagnamento della vittima. Sebbene il presente lavoro sia focalizzato su un preciso profilo vittimologico, quello della vittima di violenza nelle relazioni affettive15, l'approccio summenzionato – l'empowerment appunto – è quello usato nei confronti di ogni altra tipologia di vittima. Prima di illustrare e analizzare le tipologie di intervento e le modalità con cui gli operatori del CSVR LIBRA operano quando attivati, riteniamo opportuno esplicitare le modalità di attivazione dello sportello. È possibile rivolgersi allo sportello presentandosi direttamente presso lo stesso durante gli orari di apertura; in alternativa, previo appuntamento telefonico, è possibile essere ricevuti durante tutta la settimana lavorativa, in orario concordato tra le parti. 14 Il CSVR LIBRA si configura come sportello che accoglie le vittime di reato nel rispetto della privacy e della situazione di vulnerabilità della persona, in conformità con le raccomandazioni e le direttive Europee in tema di norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato (DIR. 2012/29/EU). 15 Riteniamo più appropriato usare la definizione “violenza nelle relazioni affettive” anziché “violenza domestica”, non perché quest’ultima non sia ritenuta corretta, ma perché la prima ci permette di allargare lo spettro dei “luoghi” all’interno dei quali la violenza può svilupparsi. Tale scelta è altresì motivata e orientata dai recenti dispositivi normativi nazionali che con la L. 119/2013, conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere. Le principali novità di tale norma riguardano la relazione affettiva: rilevante sotto il profilo penale e' da ora in poi la relazione tra due persone a prescindere da convivenza o vincolo matrimoniale (attuale o pregresso), permettendo alle tutele e agli interventi rivolti alle vittime di uscire dal solo vincolo coniugale. Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 54 È possibile, inoltre, l’invio da parte di altro servizio pubblico/privato territoriale oppure, per urgenze, è attivo un numero di cellulare h24. Dall’attivazione dello sportello – maggio 2012 – al settembre 2014, il CSVR ha registrato 45 accessi, con un forte incremento degli stessi dopo un’azione di formazione organizzata da Associazione LIBRA Onlus nel periodo marzomaggio 2013, all’interno del progetto Out of Violence – Rete di supporto per l’uscita dalla violenza, gestito in collaborazione con l’Istituto di Criminologia FDE di Mantova e con l’Azienda Ospedaliera Carlo Poma di Mantova, grazie anche al supporto del Dipartimento Pari Opportunità – Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il progetto ha finanziato una formazione finalizzata a sensibilizzare gli operatori sanitari sulle tematiche della violenza, sui principali segnali che possono mettere in allarme i sanitari rispetto a eventuali situazioni di abuso o maltrattamento, sulla normativa che prevede la segnalazione d’ufficio alle forze di polizia e sull’eventuale percorso di uscita dalla situazione violenta dopo l’accesso presso la struttura sanitaria. Una ulteriore formazione è stata portata avanti grazie al progetto europeo Victim Supporting: a NETWORK to support and aid crime victims (VIS), sotto il coordinamento della Provincia di Livorno in qualità di capofila. Gli incontri formativi, rivolti ai professionisti del Terzo Settore, alle Forze di Polizia, ai Servizi a livello locale, nonché ai professionisti forensi, si sono tenuti nella prima sessione alla fine del 2013 e nella seconda sessione nel periodo marzo-aprile 2014. Nello specifico, la seconda sessione è stata accreditata come formazione continua per le professioni sanitarie ed ha garantito così la formazione di ulteriori operatori delle principali Aziende Ospedaliere della provincia di Mantova. Tali corsi formativi comprendevano 48 ore di formazione per ogni ciclo e 8 ore finali di workshop, utili quale scambio finale e condivisione degli obiettivi formativi. Come si può notare dal grafico in Figura I, anche a seguito della formazione organizzata all’interno di VIS si è visto un incremento degli accessi al CSVR, significativo del fatto che maggiore sensibilizzazione e formazione possono essere Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 55 strumenti fondamentali al fine di intercettare vittime di reati, nel caso specifico rappresentate nella maggior parte da vittime di violenza. Figura I – Trend accesso vittime al CSVR (set. 2013 – set. 2014) Le fasi dell’intervento “con” la vittima Entrando nel vivo dell’intervento, giova – ai fini esplicativi – declinare passo per passo le fasi e le precauzioni a cui gli operatori fanno riferimento nel supporto alla vittima. Solitamente, anche se non in modo esclusivo, la richiesta d’aiuto perviene tramite un preventivo contatto telefonico al recapito dedicato. Durante questo primo contatto, l’operatore è addestrato a cogliere gli elementi essenziali del racconto e ha l’obiettivo primario di capire se la persona si trova in situazione di pericolo immediato e/o di rischio per la propria incolumità o dei propri cari (re-offending risk analysis). Anche quando l’intervento è richiesto per tramite di terzi – ad esempio personale sanitario del pronto soccorso, forze dell’ordine, ecc. – l’operatore ha come primo interesse quello di comprendere appieno quale sia lo “stato di sicurezza” e il rischio per l’incolumità della vittima e di eventuali famigliari, specialmente se minori, disabili o anziani. Ciò con particolare attenzione se stiamo affrontando una caso di violenza in un contesto affettivo. Oltre al fattore “sicurezza” vi sono ben altri tre fattori su cui l’intero intervento del CSVR LIBRA si focalizza: a) supporto emotivo; b) informazione/orientamento; c) tutela diritti. È previsto un ascolto iniziale del vissuto della vittima, partendo dal presupposto che la storia personale recente e passata racchiude le ragioni della perpetuata violenza. A tale primo incontro partecipano due operatori appositamente formati sull’ascolto empatico che fungono da “facilitatori” del colloquio. Durante il processo di accoglienza l’operatore terrà Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 56 un atteggiamento non giudicante e senza imporre soluzioni. Ricordiamo che il giudizio è un processo automatico e naturale nell'individuo e che per l'operatore la sospensione del giudizio richiede apposita formazione e percorsi di supervisione. Al colloquio non è posto limite di durata, proprio per lasciare alla persona la libertà di esprimere appieno il suo disagio, né è prevista la fornitura di soluzioni risolutive, anzi l'operatore non deve mai sostituirsi alla vittima nell’'individuazione del percorso di uscita dalla situazione che genera disagio. Deve invece cercare di promuovere in essa la capacità di individuare autonomamente le vie da percorrere, rafforzando in tal modo la capacità di autodeterminarsi. Il rischio, infatti, è quello che la vittima riproponga quei meccanismi di delega – perpetuati all'interno della relazione violenta – sull'operatore. Lasciare che sia la vittima a scegliere quali siano le mosse da fare significa permetterle di acquisire fiducia in se stessa e quindi rafforzare la sua autostima; ciò le permetterà di non riproporsi quale soggetto debole/vulnerabile nel continuum del rapporto affettivo o in un nuovo rapporto16. Attraverso successivi colloqui, finalizzati al sostegno emotivo della persona, dopo una prima consulenza orientativa legale e/o ad azioni di corretta informazione durante le fasi di indagine e processo in cui la vittima di reato è coinvolta, si comincerà con la persona la costruzione di un percorso di fuoriuscita dalla condizione vittimizzante. L’attivazione della rete dei servizi, il coinvolgimento – quando possibile – della famiglia e dei “vicini”, nell’ottica del rafforzamento dei legami di comunità e delle relazioni su cui la vittima può tornare a fare affidamento, è sicuramente la parte più significativa promossa per aiutare la persona ad uscire dall’isolamento relazionale, economico, psicologico e sociale e ricostruirsi una vita dignitosa. Su questo ultimo concetto è importante soffermarsi per evidenziare quanto, a opinione degli autori del presente lavoro – al di là dell’intervento istituzionale degli operatori e dei servizi territoriali, che per sua natura non potrà e non dovrà essere perpetuo – sia importante costruire o ricostruire con la persona la cosiddetta ragnatela sociale17. 16 Il CSVR LIBRA, nel recepire le migliori pratiche a livello internazionale in materia di supporto alle vittime di violenza, non dimentica di porre attenzione – e, quindi, di individuare interventi – anche nei confronti dell'autore della violenza, “il maltrattante”, e nei confronti della comunità di riferimento in cui persiste la dinamica violenta. A tali interventi sarà dedicato successivo capitolo, ritenendo – per ragioni oramai condivise da una ventennale letteratura scientifica in materia – di non poter affrontare, e quindi tentare di sconfiggere o quanto meno abbassare, l'impatto della violenza nelle relazioni affettive senza porre profonda attenzione anche all'abusante e alla comunità dei significativi. 17 G. SANDRI, A. PUCCIA , M. BARDI, L. CARACCIOLO, E. CORBARI, M.L GAGLIARDI, A. MORSELLI, F. SAVAZZI, I. SQUINZANI, M. TOSI, Innes: legami di sicurezza in Crimen et Delictum. International Journal of Criminological and Investigative Sciences, VII (April 2014). Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 57 L’espressione inerisce a quel tessuto di relazioni solidaristiche e positivamente orientate che fungono da nuovo contesto di vita per chi si trova in una condizione di sofferenza o disagio e che in ogni momento e/o situazione permettono di avere interazioni e relazioni al di fuori di quella con l’offensore. La ragnatela sociale è inoltre in grado di funzionare come antenna contro ulteriori episodi di violenza, di sopruso e di isolamento. Infatti, coloro che ne fanno parte – tutta la comunità – attraverso un processo di partecipazione alla vita sociale, possono intercettare il bisogno precocemente e intervenire anche con funzione preventiva sia a tutela della vittima che sull’abusante. Detta teoria risulta particolarmente applicabile ed efficace nell’ambito sia della prevenzione general-preventiva che general-specifica e ci porta ad una riflessione non scontata, soprattutto quando applicata al contrasto e alla prevenzione della violenza nelle relazioni affettive. È possibile infatti ritenere molto più efficace – supponiamo anche molto più efficiente in termini di costeffectiveness – la costante vicinanza dimostrata da buone relazioni di vicinato/di comunità rispetto all’intervento a posteriori dei servizi (sebbene specializzati e di vitale importanza per le vittime), in quanto è noto che quest’ultimi si attivano a seguito di una situazione già potenzialmente molto compromessa e di elevata complessità. Il vissuto emotivo: la vittima e l’operatore Le ore immediatamente successive alla violenza/vittimizzazione rivestono un'importanza determinante per la vittima. Spesso la vittima di violenza nelle relazioni affettive alterna sentimenti di auto colpevolizzazione con momenti di completa vittimizzazione, relegando il suo ruolo a persona impotente e incapace di prendere decisioni all’interno della coppia (deficit dell’autostima). In questa fase di grande fragilità e debolezza, le sensazioni di sconfitta, di rabbia e di impotenza giocano un ruolo fondamentale nella presa di consapevolezza e nella volontarietà della persona verso la richiesta di aiuto. Tale richiesta “deve” trovare necessariamente una risposta negli operatori, che prontamente rinforzi l'autodeterminazione della vittima; lasciandole tuttavia spazio di riflessione e la disponibilità continua ad accogliere le sue emozioni e le sue richieste, anche se ambivalenti. Ciò è fondamentale per l’aumento dell’autostima nella vittima e per l’inizio del processo Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 58 di ricostruzione di un’idea di sé diversa (empowerment), evitando il rischio per la persona accolta di restare nuovamente vittima delle ingerenze degli operatori in sostituzione di quelle dell’aggressore. Durante gli incontri di supporto, anche per l’operatore vi è il rischio di percepire altrettanto duplici sentimenti, passando dalla rabbia alla compassione. Per capire tale ambivalenza non possiamo non accennare alle emozioni che la relazione di aiuto può suscitare nei professionisti coinvolti. Il vissuto violento che la vittima trasmette agli operatori può ingenerare sentimenti di angoscia, vulnerabilità e impotenza. Instaurare una relazione basata sull’accoglienza e sull’ascolto empatico è un processo molto importante e delicato in quanto, nella sua interezza, può essere influenzato da difese psicologiche che l’operatore potrebbe inconsciamente mettere in atto quali fattori protettivi personali e sociali per la gestione delle esperienze traumatiche. La necessità di difesa dal vissuto traumatico può scaturire dalla paura, in quanto la violenza pervade uno dei bisogni fondamentali dell’essere umano: la sicurezza. Un altro elemento importante all’interno della relazione di aiuto nei confronti delle vittime di violenza è sicuramente la rabbia, sentimento che invade chi agisce la violenza (maltrattante) e ricorre nelle vittime a seguito del senso di impotenza, rimanendo latente. La rabbia potrebbe inoltre manifestarsi anche nell’operatore d’aiuto per effetto della riprovazione avvertita a causa del legame che la vittima continua ad avere con il maltrattante. Risulta pertanto importante non confondere i propri sentimenti con quelli della vittima, ricorrendo a continue “definizioni di identità” all’interno della relazione professionale. Anche il dolore viene continuamente affrontato all’interno della relazione con la persona vittima di violenza ed è necessario che l'operatore lo rielabori attraverso la condivisione con altri colleghi e la supervisione da parte di professionisti terzi imparziali. La presenza di due addetti durante i colloqui è infatti finalizzata a destrutturare eventuali carichi emotivi troppo pesanti e a cogliere il vissuto e la narrazione in modo più completo e oggettivo possibile. La promozione di spazi di ascolto accoglienti ed empatici, la possibilità di tempi di sospensione della relazione problematica attraverso l’accoglienza temporanea presso centri e rifugi protetti sul territorio e gli stimoli di riflessione sulla relazione affettiva sono gli strumenti usati dal CSVR di LIBRA durante tutto il percorso di supporto. Questo approccio facilita l'espressione dei propri sentimenti da parte della vittima, anche se inizialmente Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 59 contraddittori e ambivalenti, e risulta indispensabile nel processo di rafforzamento dell’identità e della capacità di autodeterminarsi. L’individuazione delle proprie risorse (personali, sociali, istituzionali, economiche) e l’aumento della consapevolezza delle proprie scelte durante il percorso di uscita dalla violenza sono elementi fondamentali per la promozione di un effettivo e duraturo cambiamento nello stile di vita e nei comportamenti che la persona metterà in atto per uscire dal ruolo di vittima (“io non posso fare niente per cambiare questa situazione”) e per divenire individuo con autonome capacità decisionali che non dipende più dall’altro, dai suoi giudizi, dai suoi ricatti, dai suoi bisogni. Essere pienamente coscienti di quale sia stato il proprio ruolo all’interno della relazione maltrattante, nonché comprenderne le ragioni, è un passaggio fondamentale per il cambiamento. Domande quali: cosa devo e non riesco a giustificare a me stessa? Cosa non accetto di me? Perché dipendo da quella relazione?, permettono alla vittima un’auto analisi, ovvero di vedere, di comprendere ed infine di provare ad accettare proprie responsabilità non risolte delle quali si prova profonda vergogna. Il modello di intervento a supporto delle vittime di violenza promosso dal CSVR di LIBRA permette di capire e di perdonarsi, ossia di fare pace con Sé, finalmente liberi dalla relazione malata e disfunzionale. Il modello del CSVR di LIBRA prevede, previo consenso scritto della persona, una fase di follow-up a distanza di 3 e 6 mesi dopo la chiusura del caso. Tale fase risulta in certa misura importante, permettendo essa stessa di valutare l’efficacia della presa in carico sul breve e medio periodo, al fine di considerare assieme alla persona seguita un eventuale ulteriore intervento del CSVR e monitorare la situazione. Il follow-up, per alcune situazioni, risulta invece alquanto complicato da attuare, specialmente laddove la persona seguita dal CSVR abbia deciso di interrompere il percorso per rientrare nella relazione violenta. In tali casi vi è sempre il rischio di contattare la persona mentre è in presenza del partner maltrattante, inficiando così la possibilità per la stessa di mantenere un contatto col CSVR laddove ne avvertisse la necessità. M.B.E.: Analisi di un caso emblematico gestito dal CSVR Il modello di intervento sul quale si basa l’attività del CSVR di Associazione LIBRA nasce dall’esperienza maturata attraverso il supporto a numerose vittime di reati. Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 60 Ogni caso che si è presentato al Centro è stato oggetto di riflessione da parte degli operatori per la verifica ed eventualmente la modifica dell’approccio che lo stesso garantiva a supporto delle vittime, questo perché l’analisi postuma di alcuni casi ha evidenziato una buona efficacia del modello di intervento empowerment based, soprattutto in relazione a situazioni di violenza domestica18. A titolo di esempio, il caso di una donna, M.B.E., originaria della Repubblica Dominicana, ha portato il Centro ad attuare un lungo percorso di empowerment rivolto alla stessa. La donna si è infatti rivolta al CSVR nel novembre 2013, dopo essere stata portata in Pronto Soccorso all’Ospedale “Carlo Poma” di Mantova a seguito di maltrattamenti reiterati da parte del compagno. In tale occasione gli operatori del CSVR hanno incontrato la donna, informandola sui suoi diritti, sulla possibilità di sporgere querela nei confronti del compagno e sull’eventualità di contattare i servizi sociali del Comune di residenza al fine di attivare un percorso di presa in carico della stessa che potesse comprendere anche una residenzialità, dal momento che aveva dichiarato di non poter più tornare a casa. Dopo diversi colloqui in sede ospedaliera e l’attivazione dei servizi sociali di riferimento, la donna aveva comunque deciso di rientrare presso la propria residenza, essendo alquanto confusa e in una condizione di forte ambivalenza: in lotta tra la consapevolezza di doversi allontanare dall’abitazione e la speranza in un cambiamento da parte del partner, il quale a sua volta, dopo ogni episodio di violenza, prometteva di non reiterare la propria condotta violenta. Preso atto della decisione della donna, gli operatori del CSVR hanno dichiarato alla stessa piena disponibilità nei suoi confronti qualora avesse avuto ulteriore necessità di contatto, evitando di giudicare quella che per molti è da considerarsi una “scelta errata”. La signora, nei giorni a seguire, ha richiamato il CSVR in diverse occasioni, avendo necessità di parlare della propria situazione e di “chiedere conferme” rispetto alla decisione di rientrare presso l’abitazione del compagno, denotando ancora una bassa capacità di emanciparsi dalla simbiosi che la legava a lui, essendo nel pieno del “circolo della violenza”. 18 L’opportunità della supervisione scientifica, promossa dall’equipe dell’Istituto di Criminologia di Mantova (FDE) sui casi del CSVR, permette una costante analisi sul metodo e sui singoli processi adottati durante l’intervento presso il Centro. Questa attività, che chiameremo review, è promossa al fine di determinare se gli interventi sono o meno efficaci e quali siano le costanti e le variabili che in ogni caso si alternano. La review è finalizzata alla modellizzazione dell’approccio empowerment-based e alla validazione ai fini della sua esportabilità e replicabilità. Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 61 Nel mese di maggio dell’anno 2014 il CSVR è stato ricontattato dallo stesso ospedale a seguito di un ulteriore accesso della donna, la quale riferiva, ancora una volta, percosse da parte del compagno. Anche in tale occasione il CSVR si è attivato tempestivamente presso la struttura ospedaliera per incontrare la donna. Sono stati di nuovo attivati i servizi sociali del Comune di residenza e una associazione del territorio mantovano che si occupa di residenzialità per donne in difficoltà, costituendo così una prima rete di supporto a livello locale. M.B.E. ha preso in considerazione la possibilità di essere ospitata presso la struttura solo dopo diversi colloqui con gli operatori della rete coinvolta a supporto; obiettivo di tali incontri risultava appunto quello di garantire alla donna strumenti per valutare al meglio la situazione e poter eventualmente scegliere percorsi alternativi per se stessa. Successivamente la donna è stata inserita in una struttura protetta collocata fuori dal Comune di residenza e attualmente sta attendendo lo spostamento in una comunità di accoglienza per donne situata fuori provincia, dove potrà essere accompagnata verso un percorso lavorativo adeguato. I progressi attuali effettuati dalla donna possono essere sintetizzati nell’acquisizione di capacità di analisi rispetto alla relazione col partner maltrattante e aumento della propria consapevolezza sulle ragioni che facevano sì che lei la mantenesse; la capacità di analisi, nello specifico, risulta utile al fine di garantire alla stessa strumenti adeguati per poter allacciare altri rapporti affettivi, abbassando il rischio di ricaduta in relazioni disfunzionali. Il percorso di consapevolizzazione rispetto alla propria condizione è stato molto lungo, la donna è rientrata a casa più volte dichiarando di amare il suo compagno e ogni volta è ritornata in ospedale a seguito di nuovi episodi di violenza. La presenza costante degli operatori del Centro di Supporto alle Vittime di Reato per la provincia di Mantova, l’assenza di manifestazioni di giudizio rispetto ai suoi continui rientri a casa, l’accoglienza verso i suoi sentimenti ambivalenti, l’ascolto costante e l’aver creduto in lei ogni volta sono stati fattori fondamentali per arrivare alla sua decisione di allontanarsi dal tetto coniugale. Era infatti necessario accogliere i sentimenti di rabbia, di paura verso il compagno e del futuro senza di lui, di dipendenza, di vergogna per il fallimento della relazione, di colpa e di impossibilità di modificare la relazione per permetterle pian piano di capire che in lui non c’era amore e che nemmeno il suo era amore per sé. Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 62 In questo caso, attraverso domande e ascolto empatico, M.B.E. è arrivata a discolpare se stessa di essere stata legata a lui per tanto tempo e, grazie alla possibilità di essere accolta in una struttura protetta, è riuscita a separarsi da lui fisicamente ed emotivamente. Durante l’ultimo colloquio la stessa ha espresso soddisfazione per essersi allontanata dal partner e incredulità al pensiero di come fosse possibile che lo avesse amato così tanto per poi essere arrivata a provare indifferenza nei suoi confronti. Questo distacco emotivo le ha permesso di prendersi cura di sé anche dal punto di vista sanitario e fare progetti diversi per il futuro, riconoscendo anche il desiderio di intraprendere nuove relazioni, consapevole che nei rapporti affettivi sia necessario sia amare se stessi che sentirsi amati dall’altro. Conclusioni e prossime mete per l’empowerment degli operatori e della comunità Nell’ipotesi di migliorare e incrementare gli strumenti a disposizione del CSVR, gli operatori stessi hanno valutato positivamente l’utilizzo e l’elaborazione, da parte delle vittime, di un diario, quale modalità per registrare in maniera costante i propri pensieri e poterne poi discutere assieme durante i colloqui. La modalità della scrittura può essere infatti molto utile al fine di accentuare l’ambivalenza degli stati d’animo e dei pensieri della vittima; tali elaborati saranno poi presi in esame assieme agli operatori del CSVR, al fine di analizzare in maniera congiunta le motivazioni di tali cambiamenti nel pensiero e negli stati d’animo. Ulteriore strumento che LIBRA intende promuovere e per il quale si stanno attualmente valutando le opportune modalità logistiche, metodologiche e organizzative, risulta essere quello del “gruppo di riflessione e rielaborazione tra vittime”. Tali gruppi, composti in maniera eterogenea al fine di aumentare la possibilità di confronto tra chi vi partecipa, saranno accuratamente formati, selezionando le persone più idonee (per tipologia di storia personale, di reato subito, di elaborazione del vissuto, ecc.). La partecipazione sarà proposta in forma facoltativa e solo quando verrà ritenuto sufficientemente solido il percorso intrapreso verso l’autodeterminazione della persona. Il gruppo può favorire una dinamica diversa per le vittime, creando una esperienza di condivisione con persone con le quali si possono facilmente identificare (e possibilmente Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 63 vedere propri vissuti da un’altra prospettiva), differenziandosi rispetto all’identificazione che potrebbe esserci con un operatore, circostanza che avviene in maniera più casuale. Il gruppo offre inoltre la possibilità ai membri di assumere ruoli diversi e quindi di trovarsi nella situazione di aiutare l’altro o essere per lo stesso una guida. Questo può, in maniera positiva, ulteriormente influenzare il processo di empowerment. Inoltre, un aspetto molto significativo di questo tipo di dinamiche è il fatto che il gruppo può agire come fattore di controllo su ogni suo membro, facendo in modo che, ad esempio, ci siano meno possibilità che le vittime adottino strategie di negazione, minimizzando il problema oppure aumentando l’entità dello stesso e della propria responsabilità nella relazione violenta. L’elaborazione del diario e la partecipazione al gruppo di riflessione rappresentano per il CSVR due modalità utilissime per la rielaborazione del vissuto e, quindi, per arrivare ad una consapevolizzazione, elementi che sostengono il percorso di supporto e di empowerment, accelerandone i tempi e migliorando l’efficacia degli interventi sia in termini quantitativi che qualitativi. Entrambi gli strumenti promuovono l’autodeterminazione, permettendo alle persone di cercare un proprio percorso, al di là del Centro e degli operatori stessi; utilizzando il racconto (scritto e orale) e richiedendo una partecipazione attiva e autonoma delle persone, tali strumenti permettono l’attivazione delle risorse interne della persona. La metodologia empowerment based e gli strumenti di lavoro implementati, seppure declinati in questo contesto nell’ambito delle vittime di violenza, possono essere applicati nel supporto delle vittime di reato lato sensu. Questo – a parere di chi scrive – in quanto la mancanza di capacità di autodeterminazione, di fiducia in se stessi e l’ambivalenza dei sentimenti e delle sensazioni sono fattori comuni riscontrabili in persone che hanno subito reati. In conclusione, si rileva l’importanza fondamentale della formazione e della sensibilizzazione degli operatori sul territorio, in primis di quelli dell’ambito sanitario e sociale, essendo spesso gli stessi i primi che entrano in contatto con le vittime di violenza. Ulteriore sensibilizzazione andrebbe pensata – e il CSVR la sta attualmente programmando in collaborazione con l’Azienda Sanitaria Locale per la provincia di Mantova – nell’ambito dei medici di medicina generale e dei pediatri, Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 64 essendo gli uni e gli altri un punto di riferimento importante per la popolazione e per il nucleo familiare in particolare. Citando nuovamente la teoria della ragnatela sociale, proprio per tale principio, è risultato – per l’esperienza di Associazione LIBRA Onlus – estremamente importante e utile il coinvolgimento degli operatori del terzo settore, dell’ambito sanitario, degli enti pubblici e dei volontari delle associazioni del territorio mantovano – appunto, nessuno escluso – nella formazione in ambito vittimologico che l’associazione stessa ha portato avanti nel contesto del progetto VIS. La formazione ha garantito in primis l’incontro e lo scambio di opinioni tra professionisti e volontari, creando tra loro il legame fondamentale al fine di collaborare in maniera attiva per la gestione dei casi di vittime che accedono al CSVR o che vengono segnalate al medesimo da parte dei Servizi o di altre associazioni del territorio. Da ultimo, sarebbe necessario un percorso di supervisione per gli operatori che sono costantemente a contatto con le vittime di reato, per mantenere la necessaria lucidità e capacità di accoglienza ed empatia, utile per l’efficacia del percorso. Bibliografia BARDI M., Vittime e risarcimento: un percorso tra riflessioni criminologiche e vincoli normativi in Crimen et Delictum. International Journal of Criminological and Investigative Sciences, VII (April 2014), pp. 54-85. FILIPPINI S., Relazioni perverse. La violenza psicologica nella coppia, Milano 2005. SANDRI G., PUCCIA A., BARDI M., CARACCIOLO L., CORBARI E., GAGLIARDI M.L., A. MORSELLI, SAVAZZI F., SQUINZANI I., TOSI M., INNES: legami di sicurezza, in Crimen et Delictum. International Journal of Criminological and Investigative Sciences, VII (April 2014), pp. 10-24. SANDRI G., TOSI M., Proposte metodologiche per una “Società Riparativa”, in Crimen et Delictum. International Journal of Criminological and Investigative Sciences, VII (April 2014), pp. 26-53. VEZZADINI S., La violazione della fiducia nei processi di vittimizzazione: la mediazione è una risposta?, in A. BALLONI (a cura di), Cittadinanza responsabile e tutela della vittima, Bologna 2006. Crimen et Delictum, IX (March 2015) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 65 VEZZADINI S., La vittima di reato tra negazione e riconoscimento, Bologna 2006. VIANO E., Vittimologia oggi: i principali temi di ricerca e di politica pubblica, in A. BALLONI, E. VIANO (a cura di), IV Congresso Mondiale di Vittimologia. Atti della giornata bolognese, Bologna 1989. WALKER L.E.A., The Battered Women, New York 1979. WALKER L.E.A., The Battered Women Syndrome, New York 1984. WALKER L.E.A., Abused Washington DC 1996. Women and Survivor Therapy, Normativa e documenti COM (2011) 274 final Council of Europe, Stocktaking study on violence against women, 2006. Directive 2012/29/EU of the European Parliament and of the Council of 25 October 2012 establishing minimum standards on the rights, support and protection of victims of crime, and replacing Council Framework Decision 2001/220/JHA.