I martiri di Chernobyl e la presunzione dell`uomo

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I martiri di Chernobyl e la presunzione dell`uomo
I martiri di Chernobyl e la presunzione dell’uomo
30 anni dopo il disastro. Editoriale di Giorgio Nebbia, membro del comitato scientifico di Green
Cross Italia
Il 26 aprile di trenta anni fa era una giornata di primavera come le altre, quando in una
sconosciuta cittadina dell’Ucraina - si seppe poi che si chiamava Chernobyl - una reattore
nucleare “prese fuoco”. Per un difetto nell’impianto di raffreddamento la temperatura del
nocciolo contenente l’uranio, il plutonio e i prodotti di fissione, aumentò al punto da provocare
l’incendio della massa di grafite che circondava il nocciolo e la sua fusione. Ne seguirono
l’esplosione dell’idrogeno che si era formato e la distruzione della struttura superiore del
reattore; dal tetto scoperchiato furono gettati nell’aria, per alcuni giorni, fiamme e fumi
radioattivi. Il fumo dell’incendio trascinò nell’atmosfera gli atomi radioattivi contenuti nel reattore,
una corrente di fumi e polveri che in parte ricaddero al suolo in Ucraina, in parte si diressero
verso nord, deviarono verso l’Europa centrale, poi scesero verso l’Europa meridionale e
raggiunsero l’Italia.
Da noi cominciò un dibattito se si potevano o no mangiare la verdura e le mozzarelle
contaminate dalla radioattività, un balletto sulle cifre della radioattività con l’unica
preoccupazione di non disturbare i commerci, gli interessi degli agricoltori, di non diffamare le
centrali nucleari. Per compiacere la giusta rabbia popolare alcuni uomini politici che avevano
decantato, fino al giorno prima, le bellezze dell'energia atomica, si convertirono rapidamente al
“partito antinuclearista”; una brutta storia italiana che impedì di prendere decisioni sensate e
rapide nell'interesse della salute dei cittadini. Naturalmente, come sempre avviene quando ci
sono disgrazie collettive, ci fu chi speculò andando a comprare grano radioattivo a basso
prezzo per rivenderlo fraudolentemente in Italia; ci fu chi importò rottami metallici radioattivi,
finiti poi chi sa dove.
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I martiri di Chernobyl e la presunzione dell’uomo
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terre
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