tobermory by saki

Transcript

tobermory by saki
traduzione di Angela Ragusa
illustrazioni di
Michele Ferri
orecchio acerbo
LAMPI
© 2007 orecchio acerbo s.r.l.
viale Aurelio Saffi, 54 - 00152 Roma
© 2007 Michele Ferri (per i disegni)
Traduzione dall’inglese di Angela Ragusa,
da “The Story Teller”, 1912
Saki traduzione di Angela Ragusa
illustrazioni di
Michele Ferri
Grafica orecchio acerbo
www.orecchioacerbo.com
orecchio acerbo
|LAMPI|
Era un pomeriggio afoso, lo scompartimento del treno era soffocante,
e alla fermata successiva, Templecombe, mancava quasi un’ora.
Lo scompartimento
era occupato da due bambine,
una più grande e l’altra più piccola,
e da un ragazzino.
In effetti c’erano anche una zia dei bambini
seduta in un angolo e,
nell’angolo opposto,
uno scapolo del tutto estraneo al loro gruppo,
ma erano le due bambine
e il ragazzino
a occupare interamente
lo scompartimento.
La conversazione di zia e bambini,
al tempo stesso limitata e insistente,
ricordava il ronzio di una mosca
decisa a non farsi scoraggiare.
Quasi tutte le frasi della zia sembravano iniziare con
e quasi tutte le frasi dei bambini con
NO
PERCHÉ?
.
Quanto allo scapolo, a voce alta non diceva una parola.
“No, Cyril, non fare così” disse la zia appena il ragazzino cominciò
a battere le mani sui cuscini del sedile, sollevando una nuvola di polvere a ogni colpo.
“Vieni a guardare fuori dal finestrino” aggiunse la zia.
Cyril obbedì con evidente riluttanza.
“PERCHÉ FA
chiese subito.
?”
O
P
M
A
C
L
E
U
Q
CORE DA
NNO USCIRE LE PE
“Probabilmente per portarle in un altro dove c’è più erba”
fu la poco convinta risposta.
“MA QUEL CAMPO ERA PIENO
D’ERBA!” protestò Cyril.
IRE!”
“NON C’ERA ALTRO CHE ERBA. ERBA A NON FIN
“Forse quella nell’altro campo è migliore” suggerì scioccamente la zia.
“PERCHÉ È MIGLIO
RE?” arrivò rapida
l’inevi
tabile domanda.
“Oh! Guarda quelle mucche!” esclamò la zia.
Praticamente tutti i campi attraversati fino allora
avevano ospitato mucche o torelli, ma a giudicare dal suo tono
lo si sarebbe detto un evento eccezionale.
“PERCHÉ L’ERBA NELL’ALTRO CAMPO È MIGLIO
RE?” insisté Cyril.
Le rughe sulla fronte dello scapolo erano sempre più profonde, il suo cipiglio sempre più cupo.
Doveva essere, decise in cuor suo la zia, un individuo duro e antipatico.
Quanto a lei, era chiaramente incapace di fornire una qualsivoglia spiegazione valida
riguardo all’erba nell’altro campo.
La bambina più piccola creò un diversivo mettendosi a recitare Sulla via di Mandalay.
Non ne conosceva che il primo verso, però sembrava decisa a sfruttare al massimo
la propria limitata cultura: continuava a scandirlo con voce sognante, eppure squillante e risoluta.
Come se, pensò lo scapolo, qualcuno l’avesse sfidata a ripeterlo per duemila volte senza mai fermarsi.
Chiunque fosse stato, sembrava destinato a perdere la scommessa.
“Su, venite qui ché vi racconto una storia” annunciò la zia
dopo che lo scapolo ebbe guardato due volte lei e una volta il freno d’emergenza.
A giudicare dallo scarso entusiasmo mostrato nel dirigersi verso l’angolo occupato dalla zia,
i bambini non dovevano nutrire grande stima per la sua abilità di narratrice.
Con i toni sommessi e confidenziali di chi racconta un segreto, la zia sciorinò una storia insulsa
e al tempo stesso noiosa, più volte interrotta dalle petulanti domande dei giovani ascoltatori,
su una bambina tanto buona e tanto brava e tanto amata da tutti, che veniva assalita da un toro furioso
e salvata dal pronto intervento degli ammiratori delle sue grandi virtù.
“SE NON ERA BUON
A NON LA SALVAVA
NO?” indagò la ba
mbina
più grande.
“Si direbbe che la sua storia non abbia riscosso grande successo”
giunse inatteso il commento dello scapolo rintanato nel suo angolo.
Esattamente la domanda che lo scapolo aveva sulla punta della lingua.
“Be’, sì” ammise titubante la zia “però, se non l’avessero ammirata tanto, forse se la sarebbero presa più comoda.”
“È LA STORIA PIÙ SCEMA CHE AB
BIA MAI SENTITO” affermò con
profonda convinzion
e la bambina.
“COSÌ SCE
ASCOLTA
I
D
O
S
S
E
M
S
MA CHE HO
carò Cyril.
n
ri
”
O
IT
B
U
R L A Q UA S I S
La bambina più piccola non fece commenti, ma già da un pezzo aveva ripreso a borbottare il suo verso preferito.
La zia s’inalberò all’istante,
pronta a respingere
l’attacco inaspettato.
“Non è facile raccontare
storie che i bambini possano
al tempo stesso comprendere
e apprezzare” replicò gelida.
“Se permette, non sono d’accordo”
obiettò lo scapolo.
“In tal caso ci provi lei,
a raccontarne una” ribatté la zia.
“SÌ, CI RACCO
N T I U N A S TO R
ordinò la ba
IA”
mbina più g
rande.
“C’era una volta...”
esordì lo scapolo “...una ragazzina di nome Bertha che era straordinariamente buona.”
Il momentaneo guizzo d’interesse dei bambini declinò all’istante: a quanto pareva,
chiunque le raccontasse, tutte le storie erano insopportabilmente uguali.
“Bertha faceva sempre quello che le veniva detto e diceva sempre la verità,
non si sporcava mai i vestiti, ingurgitava farinate al latte come fossero bomboloni,
imparava le lezioni a menadito ed era sempre educatissima.”
“ERA CARINA?” chiese la bambin
a più grande.
“Non quanto voi” fu la pronta risposta “però era orribilmente buona.”
Questo suscitò un’immediata reazione positiva nei giovani ascoltatori: quell’‘orribilmente’ collegato
alla bontà era una novità che prometteva bene. Sembrava introdurre una nota veritiera
assente dai racconti zieschi di avventure infantili.
“Bertha era così buona” proseguì lo scapolo “che vinse ben tre medaglie:
una per l’obbedienza, un’altra per la puntualità e la terza per la buona condotta, e le teneva sempre
appuntate sul vestito. Erano di metallo, e belle grosse, e tintinnavano l’una contro l’altra a ogni passo.
E dato che nessun altro bambino della sua città aveva mai conquistato tre medaglie,
era chiaro a tutti che Bertha doveva essere eccezionalmente buona.”
“ORRIBILMENTE BUONA” precisò Cyril.
“Dappertutto non si faceva che parlare della sua bontà,
e alla fine ne venne a conoscenza anche il Principe
di quel paese. E subito decise che, come premio per le sue tante virtù,
le avrebbe permesso di visitare una volta alla settimana
il parco reale appena fuori città. Era un parco stupendo,
e nessun bambino aveva mai avuto il privilegio di metterci piede,
perciò per Bertha quello era un grandissimo onore.”
“E IL PRINCIPE FU
POI UCCISO
DA UNA PECORA O
DA UNA PENDOLA
?”
s’informò Cyril.
“DI CHE COLORE?”
“È ancora vivo, perciò non possiamo sapere
se il sogno avesse detto il vero”
fu la disinvolta risposta. “Comunque,
anche se nel parco non c’erano pecore,
c’erano invece maialetti in quantità
che scorrazzavano dappertutto.”
?” chiese
O
C
R
A
P
L
E
N
E
OR
“C’ERANO PEC
Cyril.
“PERCHÉ NO?”
arrivò l’inevitabile domanda.
La zia si concesse un sorrisetto stranamente simile a un ghigno.
“Non c’erano pecore” rispose pronto lo scapolo “perché una volta
la Regina aveva sognato che il figlio sarebbe stato ucciso da una pecora, o da una pendola
che gli sarebbe finita sulla testa. Ragion per cui il Principe non teneva
né pecore nel parco né pendole nel palazzo.”
Alla zia quasi sfuggì un’esclamazione ammirata.
IORI?”
F
O
N
C’ERA
N
O
N
HÉ
“PERC
“Perché se li erano mangiati i maialetti”
rispose pronto lo scapolo.
“I giardinieri avevano avvertito il Principe
che avrebbe dovuto fare una scelta: o i maialetti
o i fiori, e lui aveva scelto i maialetti.”
“Neri col muso bianco,
bianchi a pallini neri,
tutti neri, grigi a pallini bianchi,
e alcuni tutti bianchi.”
Il narratore fece una pausa per permettere
alla fantasia infantile dei suoi ascoltatori
di apprezzare appieno lo splendore
dei tesori custoditi nel parco, e poi riprese:
“Bertha ci restò malissimo quando
scoprì che nel parco non c’erano fiori.
Con le lacrime agli occhi aveva promesso
alle zie di non coglierne neanche uno,
e aveva tutte le intenzioni
di mantenere la promessa,
perciò ovviamente si sentì
alquanto sciocca
scoprendo che non c’erano
fiori da cogliere”.
L’innegabile buongusto del Principe suscitò un mormorio di approvazione: fin troppi avrebbero deciso il contrario.
“Nel parco c’erano molte altre meraviglie: laghetti pieni di pesci dorati, azzurri e verdi;
alberi dov’erano appollaiati pappagalli stupendi capaci di sfornare battute geniali su due zampe;
colibrì che canticchiavano canzonette alla moda. Bertha passeggiava avanti e indietro,
godendosela immensamente e pensando: ‘Se non fossi così straordinariamente buona non avrei avuto
il permesso di entrare in questo parco stupendo e ammirarlo in tutto il suo splendore’;
e a ogni passo le tre medaglie tintinnavano l’una contro l’altra, ricordandole la sua eccezionale bontà.
Proprio allora un grosso lupo entrò di soppiatto nel parco,
deciso a procurarsi un maialino grasso per cena.”
“DI CHE COLORE ERA, IL LUPO?” chiesero i bambini, con un immediato aumento d’interesse.
“Color fango dalla testa alla coda, con la lingua nera e occhi grigio pallido scintillanti
d’indicibile ferocia. La prima cosa che il lupo avvistò nel parco fu il grembiulino di Bertha,
così candido e immacolato da essere visibile a grande distanza. Appena vide il lupo avvicinarsi quatto quatto,
Bertha cominciò ad augurarsi che il Principe non le avesse mai dato il permesso di visitare il parco.
Naturalmente scappò a gambe levate, e il lupo la inseguì a grandi
balzi e rimbalzi… finché Bertha raggiunse un boschetto di mirto e s’infilò nel cespuglio più fitto.”
“Anche il lupo entrò nel boschetto
e si mise ad annusare fra i rami, la lingua nera penzoloni
e gli occhi grigio pallido scintillanti di collera.
‘Se non fossi stata così straordinariamente buona’
pensava intanto Bertha terrorizzata,
‘ora me ne starei sana e salva in città’.”
“Comunque
il profumo del mirto era così
forte che, per quanto si affannasse
ad annusare e fiutare, il lupo non riuscì a individuare
il suo nascondiglio; e il boschetto era così fitto
che avrebbe potuto girarlo per dritto e per rovescio
e passarle davanti senza neanche vederla,
così alla fine decise che avrebbe fatto meglio a lasciarla perdere
e acchiappare invece un maialetto.”
“Ma vedendo il lupo aggirarsi annusando
a pochi passi da lei, Bertha cominciò
a tremare da capo a piedi e, mentre
tremava, la medaglia per l’obbedienza
tintinnò contro quelle per la buona condotta
e la puntualità. Il lupo stava giusto per andarsene
quando sentì il tintinnio e si bloccò,
drizzando le orecchie:
le medaglie tintinnarono di nuovo…
in un cespuglio proprio lì vicino!
Senza esitare balzò nel cespuglio,
gli occhi grigio pallido scintillanti
di ferocia e di trionfo, ne tirò fuori Bertha…
…e se la mangiò tutta,
fino all’ultimo boccone.”
SE A
I
C
C
U
“
Q UA
E
H
C
N
“LA STORIA ERA INIZIATA MALE
“È LA ST
LCH
ALET
E MAI
TO? ”
“No, i maialetti la scamparono tutti.”
” decretò la bambina più picco
la “PERÒ È FINITA PROPRIO
BIA MAI SEN
B
A
E
H
C
A
L
L
E
B
IÙ
ORIA P
TITO” disse
BENE.”
zione la bamb
n
vi
n
co
e
d
n
ra
g
con
NTITO” affermò Cyr
SE
I
MA
A
BI
AB
E
CH
A
LL
BE
IA
OR
ST
CA
NI
L’U
“È
ina più grande.
il.
La zia, però, era di ben altra opinione.
“Una storia assolutamente disdicevole da raccontare ai bambini!
In questo modo lei ha cancellato l’effetto di anni di oculati insegnamenti.”
“Di lei non restarono che le scarpe, pochi brandelli di vestiti, e le tre medaglie per la bontà.”
“Però” ribatté lo scapolo, radunando i bagagli e preparandosi
a lasciare lo scompartimento “sono riuscito a tenerli tranquilli per dieci minuti…
il che è molto più di quanto sia stata capace di fare lei.”
‘Povera infelice!’ mormorò fra sé scendendo sul marciapiede della stazione di Templecombe.
‘Per i prossimi sei mesi o giù di lì, quei bambini la tormenteranno in pubblico con la richiesta di storie disdicevoli!’
quaranta racconti (raccolti in sei volumi pubblicati da John Lane, lo stesso editore di Oscar Wilde) che scrisse a partire dal
1904, ci sono moltissimi protagonisti bambini alle prese con adulti presuntuosi, stupidi e autoritari. E sempre ai bambini
o agli adolescenti è affidato il compito di scompigliare le convenzioni ipocrite dei “grandi”, portando nelle loro vite l’impensabile, l’inopportuno, insomma tutto ciò che è fuori luogo. Lo fanno, naturalmente, con diversi gradi di crudeltà e con assoluta mancanza di innocenza: perché l’ironia spietata, lo humor nero, la satira feroce e a volte macabra della società
edoardiana sono il marchio di fabbrica di Saki, definito da Graham Greene “il miglior umorista inglese del secolo XX”.
Saki di Francesca Lazzarato
Molto prima di scrivere racconti, il giovane Munro si era arruolato nella polizia birmana per seguire le orme paterne, ma
la salute incerta l’aveva costretto a prendere altre strade: in primo luogo il giornalismo e poi la letteratura (tra le altre cose, scrisse tre romanzi brevi e alcune commedie). Ma il desiderio di servire in qualche modo l’Inghilterra dovette restargli dentro per tutta la vita, visto che allo scoppio della prima guerra mondiale si arruolò come soldato semplice e rifiutò
una promozione che lo avrebbe allontanato dal fronte. Morì a quarantacinque anni in una trincea francese, colpito dalla
pallottola di un cecchino, e non molto tempo dopo sua sorella Ethel bruciò tutte le sue lettere e carte personali (era anche lei una di quelle donne che, diceva Saki, “se richieste di parlare della loro anima, avrebbero probabilmente descritto il proprio salotto”?)
Fu sempre Ethel a rivelare che Hugo aveva preso il suo pseudonimo dal Rubáiyát di Omar Khayyam: Saki era infatti il nome di uno dei personaggi, un giovane coppiere. C’è però chi preferisce pensarla in un altro modo, perché così si chiamano anche certe scimmiette dalla lunga coda provenienti dal Sudamerica e identiche a quella che incontriamo nel
racconto The Remoulding of Groby Lington: silenziosa e dolce all’apparenza, ma con una doppia natura per nulla tranquillizzante. Identificarsi con una scimmia, del resto, non sarebbe stato poi così strano per Saki, che adorava gli animali e dedicò loro una raccolta di racconti intitolata Beasts and Superbeasts. Sin da piccolo amava disegnare leoni che
divoravano missionarie molto somiglianti a zia Augusta, e leggendo le sue storie di gatti parlanti e furetti provvidenziali si
intuisce facilmente che, a suo parere, se gli esseri umani si comportassero come animali il mondo sarebbe migliore.
È molto probabile che, se non fosse per le sue terribili zie materne Augusta e Charlotte, la vita e l’opera letteraria di Hugo Hector Munro (1870-1916), meglio noto con lo pseudonimo di Saki, sarebbero state molto diverse.
Quando arrivò in Inghilterra dalla Birmania in cui era nato, Hugo aveva solo due anni: il padre, ispettore generale della
polizia imperiale birmana, come tanti altri funzionari coloniali aveva inviato i tre figli in patria perché crescessero da “veri inglesi”. E poi i bambini erano orfani di madre, quindi era sembrato naturale affidarli alla nonna e alle zie zitelle, “fermamente decise a fare nel modo giusto le cose sbagliate”. Fu soprattutto Augusta, che i ragazzi Munro chiamavano
L’Autocrate, a rendere la vita difficile al piccolo Hugo Hector, e molti anni dopo lo scrittore l’avrebbe trasformata nella zia
infame che tormenta il fragile Corradino nel racconto Sredni Vashtar e che, con immensa soddisfazione dei lettori, alla
fine della storia viene “giustiziata” da un furetto.
Una volta in pensione, Munro padre si riprese i figli per viaggiare con loro attraverso l’Europa, ma Hugo era ormai un adolescente che detestava le donne in genere e le zie in particolare (comprese quelle altrui), e che non sarebbe mai guarito
dalla sciagurata infanzia vittoriana attorno alla quale ruota buona parte della sua opera. Non per niente negli oltre cento-
Alcuni critici, basandosi non tanto sulla sua scarna biografia (a causa del falò di Ethel, di lui non sappiamo molto, oltre
al fatto che gli piacevano la buona cucina, il balletto e i viaggi) quanto sulla natura “politicamente scorretta” dei suoi scritti, lo considerano un dandy geniale, sì, ma misogino, antisemita e militarista. Basta però leggere i racconti di Saki per
capire che si tratta di giudizi fin troppo superficiali: Hugo Hector Munro era semplicemente un uomo del suo tempo, un
inglese conservatore appartenente alle classi alte, ma anche un outsider capace di osservare con distacco l’ambiente
da cui proveniva e di ritrarlo con rara, tagliente cattiveria, senza concessioni al lieto fine o a consolazioni dell’ultima ora.
Era inoltre un maestro di stile, un esempio di brevità e di efficacia: nessuno come lui sapeva raccontare storie indimenticabili con altrettanta economia di mezzi, e non c’è da stupirsi che tra i suoi eredi (che, tuttavia, non lo hanno mai veramente eguagliato) ci siano Roald Dahl e Tom Sharpe.
Ed è stato proprio Sharpe a scrivere, in una prefazione ai racconti sakiani:“Sono stato un perplesso Saki-dipendente dal
momento in cui, in una sera d’estate del 1938, il signor Wright, un professore della mia scuola, lesse a voce alta il racconto Tobermory a un’intera classe di bambini di soli dieci anni. Da allora ho continuato a lasciarmi affascinare da Saki
e continuo ad appassionarmi alla deliziosa irrealtà del suo universo. Cominci uno qualsiasi dei suoi racconti e lo finisci.
E una volta finito devi cominciarne un altro, e quando li hai letti tutti non li dimentichi più”.
orecchio acerbo
LAMPI
Racconti brevi e folgoranti dei classici della letteratura fantastica, d’avventura e noir.
Esposti alla luce delle immagini che, come un lampo nella notte, improvvisamente rovescia la visione delle cose.
Nella stessa collana:
CAPITAN OMICIDIO di Charles Dickens illustrazioni di Fabian Negrin
ISIS di Silvina Ocampo illustrazioni di Pablo Auladell
Stampato su carta Fedrigoni Arcoprint E. W. | Finito di stampare nell’aprile 2007 da Telligraf, Civita Castellana (Viterbo)
Lo scompartimento di un treno
in un pomeriggio d’estate.
Tre ragazzini irrequieti
rivolgono mille perché
a una zia incapace
di dare risposte,
che si rifugia nella favola
di una bambina
buona, brava, ubbidiente
e amata da tutti
per le sue straordinarie virtù:
un vero disastro.
Un solitario viaggiatore si offre
allora di narrare lui una storia...
Un racconto sull’arte
di raccontare ai ragazzi,
contro i luoghi comuni
e le convenzioni degli adulti.
Un apologo
sull’arte di farsi ascoltare,
che è innanzi tutto
saper ascoltare gli altri.
euro 15,00