Boxcar Bertha, sorella della strada

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Boxcar Bertha, sorella della strada
Boxcar Bertha, sorella della strada
“ Hobo, hobo da dove vieni? È stata la prima canzone che ho imparato da bambina”
Bertha Thompson
L' America anglosassone ha avuto i suoi eroi, celebrati e mitizzati con discontinua fedeltà nella letteratura,
nella musica, nel cinema: il pellerossa trucidato dal bianco invasore, il pioniere che cerca il riscatto sociale
nelle sconfinate pianure dell' Ovest, il fuorilegge che vale quanto la velocità della sua pistola. Ma un altro tipo
umano nasce in America, durante la conquista del West: il vagabondo, l'uomo sempre in fuga dalla società e
da se stesso, l'Hobo.
La cultura hobo nasce verso la fine dell' Ottocento, e si diffonde soprattutto negli Stati Uniti, durante la
Grande Depressione, coinvolgendo in particolare orfani e disoccupati. In una fase successiva questa cultura,
sensibilmente trasformata nelle motivazioni e nelle pratiche, troverà molti adepti anche tra i giovani
americani, irrequieti e insofferenti, spinti, da un' istanza libertaria (e non dalla necessità) ad evadere dalla
dominante cultura convenzionale. Tornando alle origini, l' Hobo, spesso fin da giovane, viaggiava solo o in
piccoli gruppi, salendo clandestinamente sui treni merci. In questo periodo le vie più battute erano quelle che
seguivano i cantieri e le grandi ferrovie in costruzione, attraversando gli Stati Uniti, in direzione est-ovest, o
nord-sud, secondo la stagione dei raccolti. L'Hobo viaggiava per migliaia di miglia di rete ferroviaria che egli
stesso contribuiva in gran parte a costruire, disteso con delle tavole sui respingenti o sugli assali delle ruote:
“il suo tetto era il cielo, la sua casa la notte stellata”. Poteva essere il disoccupato, l'agricoltore rovinato dal
maltempo o dagli usurai, il giocatore al verde, il reduce di un legame fallito, il ricercato per furti, il vagabondo
per vocazione, colui che cercava di organizzare il movimento sindacalista degli International Workers, i
famosi Wobblies (anche se il vero Hobo, non si legava a nessun movimento, pur partecipando alle sue lotte).
L'hobo in fin dei conti non faceva altro che difendere la sua versione del mito americano dell'individualismo:
la fuga, tragica e insieme gioiosa e vitale, fatta di uno strano miscuglio di coraggio, fierezza e rassegnazione,
è figlia di una fluidità, tipicamente americana. Una fluidità di due tipi: quella materiale e orizzontale,
attraverso il paese, e quella economica e verticale, all'insù o all'ingiù. Movimenti che non si possono
considerare separatamente perché, quasi sempre, uno deriva dall'altro e viceversa. L'Hobo, il vagabondo on
the road, suggestivo personaggio della storia e del mito americani, è sempre stato considerato in vesti
maschili, ma nelle memorie di Bertha Thompson, americana, vagabonda per nascita e per vocazione, si
rivela legato ad un ambiente straordinario, anche se poco noto: quello delle sisters of the road.
Non conta sapere quale sia il capolinea di un treno merci, forse perché ci si salta sopra e si riparte,
rischiando ogni volta la vita, non pensando mai a dove o a come andrà a finire: si prende un treno qualsiasi
perché si sono persi tutti gli altri o anche perché, come nel caso di Bertha Thompson, meglio nota come
Boxcar Bertha, semplicemente le servirà per “imparare a vivere”. Figlia di una coppia di radicali, sostenitori
tra l'altro del libero amore, Bertha, cresce nei primi decenni del Novecento, in un campo hobo nel South
Dakota. Tra operai delle ferrovie, vagabondi e agitatori politici, in luoghi marginali ma pregni di vita, ogni sera
sente discutere di libertà sessuale, scioperi e socialismo. Fiera della sua famiglia, che non ha mai definito
sfortunata (“non si è mai considerata tale perché non ha mai conosciuto infamia e non si è mai vergognata di
nulla”), trascorre l'infanzia in piena libertà, sempre tra uomini e donne che vagavano sulle strade. Bambole e
giocattoli non ne ha mai avuti, ma in compenso non le sono mancate le emozioni. Impara a leggere
sillabando le parole sulle fiancate dei carri merci, apprende i primi rudimenti di geografia chiedendo ai
passanti di raccontarle di viaggi e di città, ha imparato i numeri contando le lunghe file dei carri di treni merci.
Le favole che la emozionavano non erano le storie di re e principesse, ma quelle degli operai della ferrovia,
dei vagabondi e dei passaggi sui vagoni per cercare lavoro nei campi di grano del Minnesota, le storie
mozzafiato delle corse con slitte in Alaska e quelle delle “sbronze nelle bettole di New Orleans”. Negli scali
ferroviari, i conducenti la lasciavano salire sulla locomotiva con loro e a dodici anni aveva già viaggiato
avanti e indietro, da una città all'altra, sui vagoni vuoti. A quindici anni era già da sola sulla strada,
coraggiosa e impaziente di viaggiare, alla ricerca di avventura, il nomignolo che le avevano dato, “Boxcar”,
non era casuale, visto che si riferiva proprio ai vagoni che la ospitavano nei suoi viaggi di libertà. Quando
Boxcar Bertha aveva trent'anni, il clamoroso crollo dell'economia americana del 1929 aveva disintegrato per
sempre sogni e illusioni. Per milioni di americani impoveriti, l'unica occasione per sopravvivere era la strada,
una fuga senza meta per gli spazi immensi di una nazione che comunque non si riusciva ad odiare. Quando
ci si fermava per qualche tempo, lo si faceva nei quartieri malfamati, nei sobborghi, negli angoli più bui delle
città, dove c'erano oasi di resistenza, dove la solidarietà e il senso della comunità erano più diffusi. Nel corso
dei suoi viaggi e della sua vita, Bertha, vagabonda di professione, diventa la compagna di anarchici e
sindacalisti, amica di poeti rivoluzionari, ma anche di ladri e alcolizzati, assistente sociale, madre, ma
soprattutto sister of the road. Per le “sorelle della strada” non solo era importante viaggiare gratis, vera e
propria “questione di principio”, ma era ancora più importante organizzarsi, istruirsi ed essere uguali agli
uomini, rendendosi da questi indipendenti. Aiutarsi a vicenda era indispensabile per affrontare storie di vita
che si assomigliavano tutte: niente lavoro, famiglia disastrata, nessuna prospettiva di matrimonio, “curiosità
di sapere quello che altre sorelle stavano facendo”, voglia di vivere e di essere libere: la loro era una
sorellanza ben diversa da quella delle femministe borghesi. Nelle crisi, che non sono mai soltanto
economiche, c'è sempre qualcuno che paga più degli altri, le donne prima di tutti, e l'unicità di una donna
come Boxcar Bertha, sta nel suo cercare nel disordine della fuga, della fame e della disperazione, tra le
macerie, non soltanto un motivo per sopravvivere, ma anche un nuovo e concreto modello di
emancipazione. Bertha Tompson ha scritto anche una splendida autobiografia nella quale narra, con un
linguaggio trasgressivo e passionale, l'incredibile vicenda di una vagabonda e delle sue compagne di strada,
i suoi viaggi clandestini, le sue lotte per sopravvivere, la vocazione alla libertà di una giovane donna che
decide di raccontare le miserie dell' America degli anni Venti, ma soprattutto il sogno quotidiano di una
fermata che si spera sempre non sia l'ultima.
Arianna Pansini