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Ceausescu:
quando cade una dittatura
ROMANIA
Era il 1989, l’anno della protesta in Piazza Tienanmen, della caduta del Muro di Berlino e della rivoluzione in Romania.
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Un anno che avrebbe cambiato il mondo e l’Europa.
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Il 25 di-
tore che aveva smantellato il debito estero riducendo un
intero popolo alla fame, che aveva osato sfidare il grande vicino sovietico rifiutandosi di partecipare all’invasione della Cecoslovacchia, che non aveva esitato a criticare l’occupazione in Afghanistan, a intrattenere rapporti diplomatici con Israele e in permanente sfida antisovietica, aveva perso anche il rispetto formale dei governi occidentali che in passato lo avevano onorato. Erano finiti i tempi delle foto ufficiali ritoccate, dei reportage a Bucarest, detta la petit Paris de l’est, con tanto di lodi al potente satrapo.
cembre Nicolae ed Elena Ceausescu furono giudicati a seguito di un processo sommario e condannati a morte.
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Una piccola squadra
Una fine ingloriosa per lo
scialbo ex ciabattino olteno e per la sua consorte tutta lussi e sfarzi.
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testo e foto di Marina Gersony
a redazione in corso Sempione 2 era un po’ defilata,
tre piccoli locali nella sede milanese della Rai: una
manciata di redattori, tre registi, un paio di assistenti ai programmi e una serie di collaboratori necessari alla realizzazione di quello che per molti anni è stato il più
seguito appuntamento della televisione italiana dopo il
telegiornale della sera: Linea Diretta di Enzo Biagi con
produttore Franco Iseppi, collaboratore storico nonché
futuro direttore generale dell’azienda.
L
All’epoca ero una giovane aspirante giornalista. In redazione facevo un po’ di tutto, parlavo diverse lingue, così
mi misero a seguire i rapporti con l’estero. Fissavo gli appuntamenti per le interviste, traducevo i testi, ogni tanto assistevo in rigoroso silenzio i due registi Luciano
Arancio o Marcello Ugolini nei turni di montaggio. Ero
onorata e intimidita di lavorare gomito a gomito con il
grande giornalista italiano. Per me, come per molti giovani che si accostavano alla professione, era una figura
carismatica da cui si poteva soltanto imparare. E io di imparare avevo una gran voglia. Il mio sogno era di partire,
lontano, via dalla redazione e dalla routine.
Fui presto accontentata. Era il 1989, l’anno della protesta
in Piazza Tienanmen, della caduta del Muro di Berlino e
della rivoluzione in Romania. Un anno che avrebbe cambiato il mondo e l’Europa. I fatti in Romania si succedettero con tale rapidità che Biagi decise di partire al più presto per realizzare uno speciale di approfondimento.
seppi, con il pragmatismo che lo ha sempre contraddistinto, mise in piedi una piccola squadra
alla velocità della luce: un paio di giornalisti, la
troupe, il regista Enrico Bosio e la sottoscritta. Mi trovavo al posto giusto nel momento giusto. Il massimo per
un’aspirante reporter. Arrivata a Bucarest come prima
cosa acquistai per una pugno di lei una decina di quadernetti rosa dalla carta ruvida e porosa. Ed è con una certa
emozione che oggi rileggo i miei appunti di allora.
I
Il ritorno dei reali
tterrammo all’aeroporto di Otopeni in una fredda mattina di febbraio. Tra i passeggeri Margarita, principessa ereditaria di Romania e custode
della Corona rumena. Primogenita dell’ex sovrano Michele, bella donna dagli occhi grandi ed espressivi, venne accolta da una piccola folla esultante.
Ma anche con un certo imbarazzo da parte delle autorità che in quel momento avevano altro a cui a pensare che
non ai reali. Un loro ritorno al potere avrebbe forse potuto rappresentare un valido baluardo contro il pericolo di una restaurazione comunista, ma le priorità erano
ben altre. Margarita ci raccontò della sua infanzia, delle quattro sorelle nate in esilio e della speranza che il
suo Paese potesse risorgere «libero, democratico e non
affamato».
A
Bucarest.
Margarita, emozionata,
scende dall’aereo
accolta da una folla esultante.
A morte il dittatore
l 25 dicembre Nicolae ed Elena Ceausescu furono giudicati a seguito di un processo sommario
e condannati a morte. Fu l’atto finale della rivoluzione rumena del 1989. Una fine ingloriosa per lo scialbo ex ciabattino olteno e per la sua consorte tutta lussi e
sfarzi che meriterebbe un capitolo a parte. Come lo meriterebbero i tre rampolli – Valentin, Zoe e Nicu – i parenti e il seguito di quella che è passata alla storia come
una delle più efferate dinastie del secolo scorso. Il ditta-
I
Bucarest.
Margarita, principessa ereditaria di Romania
e custode della Corona rumena.
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Un Paese allo sbando
A SINISTRA Il reverendo László Tökés è considerato
uello che si presentò ai nostri occhi era un Paese
desolato, misero, incolore, una terra di nessuno
dove regnava l’anarchia: strade semideserte, fangose, calpestate da passanti frettolosi e anacronistici carri trainati da cavalli. Ogni tanto si vedeva arrancare qualche vecchia Oltcit o una Dacia prodotta dalle officine della Intreprinderea de autoturisme Pitesti, create nel 1967
in cooperazione con i francesi della Renault. A metà mattina lo scenario cambiava. Arrivavano grappoli di contadini, studenti e operai arrampicati sui trattori che facevano il segno di vittoria e urlavano slogan. Le donne
aspettavano di fronte ai negozi vuoti che proprio in quei
giorni si stavano rifornendo di nuove merci. Per il momento c’era da accontentarsi delle solite lampadine da
venticinque watt, dei quaranta litri di benzina al mese,
altrimenti mercato nero. Ricordo un’anziana che sbraitava contro un nemico invisibile. Stefania, la nostra interprete, mi disse che ce l’aveva con «quei bastardi della Securitate che avevano avvelenato le riserve d’acqua».
Era una delle tante voci che circolavano in quei giorni,
alcune facevano semplicemente parte della mitologia, un
residuo della strategia del terrore tanto cara al dittatore.
Sui convogli della metropolitana, sui tetti, dalle finestre
sventolavano le bandiere con il buco al centro, dove era
stato tagliato il simbolo del regime comunista; sventola-
l’uomo che ha innescato la rivoluzione del 1989.
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A DESTRA Vasile Malutan, il pilota che ha convinto Ceausescu
a un atterraggio di emergenza in campagna con la scusa
che l’elicottero era stato intercettato dalla contraerea.
A FRONTE A SINISTRA Enzo Biagi di fronte alla “Casa Poporului”,
il palazzo del parlamento durante una ripresa.
A DESTRA Ovunque piccoli altari improvvisati
e illuminati da ceri per piangere i morti della rivoluzione.
A FRONTE IN BASSO Bucarest. Contadini, studenti e operai
arrampicati sui trattori festeggiano la nuova Romania libera.
vano ovunque, vicino ai piccoli altari improvvisati e illuminati da ceri, a segnare i luoghi dove erano morte tante, troppe persone. A Berceni, un triste quartiere della periferia, il parco giochi era stato smantellato per scavare
le tombe: a poco più di un mese dalla morte di Ceausescu le lacrime continuavano a impregnare la poltiglia di
neve marcia e fango. Parlai con un ragazzino che poteva
avere sì e no 18 anni. Aveva una pistola Tokarev infilata
nella cintura dei pantaloni, faceva impressione. Così come i militari imberbi con i kalashnikov a tracolla. Uno di
loro mi mostrò una vignetta con Ceausescu disegnato come un vampiro con i canini grondanti sangue. Ci capivamo a gesti, qualche parola, uno sguardo e via. Piata Vic-
toriei, la piazza dove si erano tenute le prime grandi manifestazioni, continuava a essere un luogo di aggregazione, l’agorà dove condividere paure e stati d’animo confusi: da un lato l’euforia per la libertà conquistata, dall’altra il timore di non saperla gestire. “L’uomo utilizza
la propria vita per raggiungere la libertà. Una volta ottenuta, però, cerca immediatamente qualcun altro a cui affidarla”, diceva Dostoevskij. Quale sarebbe stato il futuro della Romania? Di sera, nella mia stanza d’albergo, accesi il televisore, quasi un reperto archeologico: adesso
la televisione si chiamava Televisione Romena Libera e
i suoi annunciatori portavano tutti una fascia al braccio
con i colori della nazione: blu, giallo e rosso. Scinteia
(Scintilla), il giornale che quotidianamente pubblicava
dozzine di foto del Conducator, era stato ribattezzato Advarul (Verità).
Verso la democrazia
lloggiavamo all’Hotel Intercontinental, una sorta di quartier generale dove passava di tutto: giornalisti, cineoperatori, osservatori, spacciatori di
banconote false, militari, avventurieri, legionari, puttane, gente armata, volontari, agenti israeliani. La nostra
tabella di marcia era serrata e seguivamo uno schema preciso. Dovevamo ricostruire i fatti e gli antefatti, capire il
presente e cercare di intuire il futuro attraverso gli incon-
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tri con i nuovi membri del governo, i giornalisti, gli artisti, la gente comune. Per ottimizzare il lavoro ci eravamo
divisi in due gruppi: a Biagi le grandi interviste, a noi
quelle più consone alla nostra più acerba esperienza.
Ogni tanto i due gruppi si riunivano e alla sera si cenava
tutti insieme per fare il punto. I primi incontri si svolsero a Bucarest, nelle sale del parlamento, dove si respirava un’aria pesante. Il Fronte di salvezza nazionale – dopo che il Pc era stato dichiarato fuorilegge – aveva assunto la guida del Paese, nominando un governo di transizione che avrebbe dovuto rimanere in carica fino allo
svolgimento delle libere elezioni nel mese di aprile. Un
paio di settimane prima del nostro arrivo il Fronte si era
già spaccato: il numero due Dumitru Mazilu era stato accusato di aver sobillato la folla per silurare il presidente
del Fronte, Ion Iliescu, politico favorevole a una normalizzazione senza traumi. Silviu Brucan definito l’anti-Ceausescu, ma filocomunista nonostante il partito fosse stato messo al bando, rischiava di perdere la poltrona: era
uno dei pochi a dichiararsi contrario all’emarginazione
degli esponenti del Pc non troppo compromessi con il
passato regime. Ex ambasciatore Usa e presso l’Onu, ex
responsabile della televisione romena, anche lui inviso
al Conducator e caduto in disgrazia, finendo tra i sorvegliati speciali della Securitate, aveva le idee chiare: «La
transizione non sarà un processo indolore, sarà duro, lento e faticoso». Gli scettici in effetti non mancavano, soprattutto tra gli esuli romeni, convinti che il Fronte avesse in realtà progettato un colpo di Stato e stesse cercando di mantenere un controllo autoritario. Come dire:
hanno ucciso il cane, ma conservato le catene. Intanto la
nuova dirigenza aveva smantellato la Securitate, annullato la sistematizzazione delle campagne e preso una serie di provvedimenti tra cui la legalizzazione dell’aborto, l’abolizione della pena di morte, la fine del razionamento degli alimenti, l’approvvigionamento elettrico garantito e le riforme sociali. Era solo l’inizio di un lungo
cammino per un popolo che per troppo tempo aveva disimparato ad amare e a rispettare se stesso.
Le amiche di Nicu
eci amicizia con Daniela Vladescu, cantante
d’operetta e ultima compagna di Nicu, ultimogenito di Elena e Nicolae Ceausescu. Pur restando
nell’ombra, aveva saputo essergli discretamente vicina
anche nella disgrazia, dopo il suo arresto. Nicu era l’en-
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Doina Cornea,
dissidente,
è una delle
fondatrici
del Partito
nazionale
contadino.
scherzato. Anche se lei probabilmente non aveva motivo per essere felice. Nicu era stato catturato mentre scappava a bordo di una macchina guidata da una donna, la
sua amante del momento. Non ho avuto il coraggio di
chiedere se la donna – come già si sapeva – fosse lei.
Il molto reverendo Tökés
a meta successiva, dopo Bucarest, era Timisoara;
350mila abitanti, un calderone multietnico vicino al confine con l’allora Jugoslavia e con l’Ungheria. La caduta di Ceausescu era iniziata qui, il 17 dicembre, quando la sua polizia di Stato aveva aperto il
fuoco su alcuni pacifici dimostranti. A scatenare la furia
omicida era stata la ribellione di un umile e oscuro pastore luterano, figlio di ungheresi trapiantati da decenni
in Transilvania: László Tökés, colpevole di aver denunciato alla televisione il genocidio culturale di Ceausescu
contro la minoranza magiara: «Ceausescu iniziò ad attuare il piano di sterminio di tutti i villaggi ungheresi della Transilvania con la deportazione della popolazione in
nuove zone urbane», disse. «Non potevo tacere. Ero diventato un personaggio scomodo. Mi battevo per il rispetto dei più elementari diritti, per questo sono stato
perseguitato. Quando la polizia è venuta per arrestarmi,
la gente si è ribellata».
Tökés e la moglie incinta furono torturati perché non volevano sottoscrivere l’accusa di essere al servizio di una
potenza straniera: «Non hanno avuto pietà di noi, siamo
vivi per miracolo». Liberato dopo la rivolta, il reverendo
era ormai diventato un eroe nazionale. Sono uscita turbata da quell’incontro. Immersa nei miei pensieri, sono
salita su un auto che non era quella della troupe. Mi sono ritrovata in macchina con un brutto ceffo che si è offerto di accompagnarmi in albergo. Durante il tragitto mi
ha offerto una cassetta con delle “immagini forti”. Una
volta giunti nella hall ho visionato il materiale con Enrico Bosio (il regista), preoccupatissimo per avermi “persa” per strada. Decidemmo di acquistare la cassetta per
un’ottantina di dollari, poteva essere una bufala ma anche del materiale prezioso: erano le immagini macabre
di alcuni cadaveri riesumati per dimostrare che le cifre
dei morti effettivi della rivoluzione erano inferiori rispetto a quelle ufficialmente fornite ai media stranieri. Il tizio, forse un agente o un semplice imbroglione, scomparve nel nulla. Immagino che la cassetta sia finita in qualche andito polveroso della Rai.
L
fant terrible, il più chiacchierato e perfido erede della dinastia. I genitori volevano fare di lui un grande uomo politico. A soli 30 anni ricevette l’incarico di segretario dell’Unione della gioventù e in seguito fu nominato dal padre capo del Partito comunista del distretto di Sibiu. Le
cronache lo descrivevano come un tipo losco, spesso alterato dai fumi dell’alcol e della droga. Fra le sue numerose conquiste si annoveravano la cantante Janine Matei,
boicottata dalla madre Elena e sparita nel nulla e la nota
ginnasta Nadia Comaneci. Nicu aveva posato gli occhi su
di lei poco dopo i trionfi dell’Olimpiade di Montreal nel
1976. Qualche anno dopo, nell’81, Nicu la “vuole”, indifferente al fatto che sia sposata con Geolgai, un calciatore della squadra della Dinamo. Nessuna donna o ragazza romena che avesse attirato la sua attenzione morbosa
avrebbe potuto sottrarsi. Dopo una lunga relazione con
Nicu, Nadia fuggì negli Stati Untiti. A Bucarest intervistammo sua madre Alexandria, una donna dallo sguardo indurito, che ci chiese di essere pagata per raccontare. Ci accordammo per una manciata di lei, in fondo nulla di male: da noi, in Italia, li chiamano “gettoni di presenza”. «Da quando mi figlia se ne è andata, la Securitate mi ha minacciato e ha perquisito la casa dietro ordine
di Nicu, furioso perché mia figlia, la favorita del suo harem, aveva osato sfidarlo scappando in Occidente». Nadia, che era stata insignita dell’onorificenza di “Eroina
del lavoro socialista”, preferì la libertà a scapito di lusso,
privilegi e alte frequentazioni. Nulla avrebbe potuto cancellare il terrore che le incuteva il suo amante-aguzzino.
Nella mia stanza d’albergo Daniela e io abbiamo riso e
Doina Cornea
L’indomani siamo partiti per Cluj-Napoca per incontrare Doina Cornea, dissidente incallita e fra le fondatrici
del Partito nazionale contadino. Ricordo un viaggio movimentato a bordo di un Antonov scassato delle linee aeree Tarom, con delle galline starnazzanti in gabbia negli
alloggiamenti sopra le nostre teste.
Ci aspettava una cittadina dalla storia movimentata, dove l’incontro di lingue e religioni aveva lasciato un patrimonio culturale di prim’ordine, mortificato da Ceausescu. Doina Cornea ci disse subito che «non c’era più bisogno del controllo centrale».
Era già uscito il primo numero del nuovo giornale, Renasterea (Risveglio), guidato da questa donna minuta e forte come l’acciaio. Doina Cornea, allora sessantenne, era
diventata la più celebre dissidente romena: aveva tra i
suoi programmi la centralità religiosa e una politica agraria che ponesse fine alla distruzione ordinata da Ceausescu nelle campagne.
Ritorno a casa
egli ultimo giorni a Bucarest ho avuto modo di
conoscere altre persone: il calciatore Gheorghe
Hagi della Steaua, un paio di sportivi e una serie
di intellettuali non asserviti al potere o ridotti al silenzio.
Penso al vignettista satirico Mihai Stanescu, che mi regalò un paio di vignette fulminanti; la straordinaria pittrice Maria Constantinescu, di cui conservo gelosamente un
paio di magnifici quadri, ma anche personaggi come il
politico del Fronte Gelu Voican Voiculescu, il pilota che
ha convinto il Conducator a un atterraggio di emergenza
in campagna con la scusa che l’elicottero era stato intercettato dalla contraerea e altri protagonisti della rivoluzione che meriterebbero un altro racconto. Sono salita
sull’aereo per Milano lasciandomi una serie di interrogativi alle spalle. Il processo che aveva portato alla condanna a morte il tiranno dei Carpazi avrebbe distrutto il sistema che lo aveva generato? L’esercito avrebbe mantenuto la calma con i civili? La democrazia avrebbe avuto
qualche chance? L’ultima immagine che conservo è quella di un membro del governo provvisorio. Nei miei appunti sui quadernetti rosa trovo la seguente annotazione:
“La divisa militare e l’aria da rivoluzionario che avevo
notato al mio arrivo erano state sostituite da un ammiccante pullover stile Vaclav Havel e da un’espressione più
o meno borghese alla nostra partenza”. Il resto è storia.
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