EcoBergamo 20maggio - ventotene film festival
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EcoBergamo 20maggio - ventotene film festival
L’ECO DI BERGAMO 56 VENERDÌ 20 MAGGIO 2016 Festival di Cannes «Pericle il nero» Al regista Stefano Mordini il Premio Vento d’Europa È stato consegnato a Cannes, all’Italian Pavilion, il Premio Vento d’Europa a Stefano Mordini, regista di «Pericle il nero». «Per lo sguardo acuto del documentarista sublimato nel cinema di narrazione, abile ad indagare la complessità umana e l’introspezione dei personaggi, da solitudini e isolamento dalle convenzioni della Provincia Meccanica alla malinconica meschinità criminale dell’antieroe di Pericle il Ner» si legge nella motivazione di Loredana Commonara, direttore artistico del Ventotene Film Festival. Ritratto di Romania con disastro Democrazia e corruzione. Due film raccontano la crisi morale del Paese a trent’anni dalla caduta di Ceausescu Non si sa ancora se il film di Puiu sarà mai distribuito nel suo Paese, intanto potrebbe vincere la Palma d’oro CANNES MARCO DELL’ORO Cristi Puiu è il regista che undici anni fa ha fatto conoscere al mondo la vitalità del cinema romeno vincendo il Certain Régard qui a Cannes con il bellissimo «La morte di Dante Lazarescu». Due anni dopo Cristian Mongiu vinceva la Palma d’oro (la prima per la Romania) con «Quattro mesi, tre settimane, due giorni» e passava alla Storia. I due sono tornati sulla Croisette e hanno fatto un figurone: ad oggi sono i candidati più accreditati per la vittoria finale. Di «Sieranevada» di Puiu vi abbiamo giù parlato, è la ricostruzione esilarante e disperata di un requiem ortodosso, quello per il padre di un neurologo la cui famiglia si riunisce per le esequie, uscendone devastata. «Bacalaureat» di Mongiu racconta invece la discesa agli inferi di un padre che cede alla corruzione pur di aiutare la figlia. Entrambe le pellicole sono la Polaroid della Romania trent’anni dopo la caduta di Ceausescu, un Paese in preda a una crisi morale profondissima. Un po’ di tempo fa, non molto, si parlava molto del cinema dell’inquietudine morale, una corrente che veniva dall’Est Europa ed era incarnata soprattutto da Krzystof Kieslowski, autore del «Decalogo». Tema non proprio frequentatissimo qui a Ovest, ma che invece continua a ossessionare chi ha vissuto tanti anni sotto il comunismo. Puiu e Mungiu guardano la loro Romania dritta negli occhi, senza abbassare lo sguardo di fronte alle sue porcherie, con l’angoscia data dalla consapevolezza che il tempo passa e i problemi restano. In «Bacalaureat» un medico cinquantenne di ottima reputazione ha un’amante bella e gio- LA CRITICA Delicatezza giapponese e questioni di famiglia ANDREA FRAMBROSI Una scena del film «Bacalaureat» di Cristian Mongiu vane, una paziente che lui ha operato (un primo dubbio, non essendo lui propriamente un Adone: lei sta con lui per amore o per interesse?). Sua figlia è una brillante studentessa e lui le ha tracciato le basi per un futuro radioso lontano dalla Romania (ma la nonna sussurra: «Se i migliori emigrano chi cambierà questo Paese?»). Per ottenere la borsa di studio in una grande università inglese le basta prendere la maturità (il Bacalaureat del titolo) a pieni voti. Una semplice formalità per la secchiona, ma il fato si mette di traverso e la vigilia dell’esame la ragazza viene aggredita e quasi stuprata. Impossibile, in queste condizioni, sostenere l’esame. E qui comincia la discesa all’inferno del padre, borghese piccolo piccolo che non si rassegna al destino cinico e baro. In un attimo l’affanno dei dubbi sostituisce la stagione delle certezze, la figlia ha subìto un’ingiustizia profonda e lui deve rimediare a uno stupido baco dell’esistenza. Salvare la figlia diventa un’ossessione. In cambio di un rene nuovo (lui farà il trapianto) un uomo influente è disposto a metterlo in contatto con il preside, che gli spiegherà come contraffare la prova d’esame. Il medico accetta, non sa ancora che finirà schiacciato dall’ingranaggio che lui stesso ha messo in moto. Lo stile del regista ci restituisce un malessere pressoché fisico, la crudeltà dei fatti cui assistiamo diventa l’angoscia dei sentimenti. Guardandolo, quel che vediamo è un uomo che giorno dopo giorno annega nel male (etico) e ne è maltrattato come se fosse vittima di un dolo- re (fisico). La satira sulla corruzione vira presto nel giallo, ma questo non toglie il carattere di denuncia della pellicola. Perché sembra proprio che in Romania siano tutti corrotti. O meglio, come dicono loro, servizievoli, sempre disposti a fare un favore a qualcuno, ma solo perché poi il beneficiario si senta in obbligo di restituire. La moglie ha subìto il suo tradimento, ma gli impartisce una lezione memorabile perché per lei le parole dovere e onore hanno ancora importanza. Per lui no, per lui meno, perché insieme alla parola speranza non hanno resistito alla dittatura di Ceausescu, alla povertà diffusa, alla corruzione endemica e, forse, alla sua mediocrità. Il regista racconta tutto senza mai giudicare, con uno stile che ricorda Michael Haneke e i fratelli Dardenne, insiste anzi sul- BONJOUR CROISETTE Bloom. A loro disposizione i 78 membri dell’equipaggio, due piste di atterraggio per elicotteri, una suite di 465 metri quadrati con tetto retrattile, giardino privato, due camere, due sale da bagno, un ufficio, una sala da pranzo. In più, sullo yacht, discoteca con due piste da ballo, biblioteca internazionale, cinema, ristorante, acquario gigante, galleria d’arte, banca, due piscine, salone per i massaggi, diverse Jacuzzi, sauna e hamman. Evidentemente troppo grosso per attraccare in porto, dispone di tre grandi motoscafi per la bisogna, «nascosti» nel suo ventre. Vedere il Festival dal mare? Bastano 175 mila euro uesta volta non c’è stato verso, senza invito non ci hanno lasciato entrare. La festa era stata organizzata a bordo dell’Eclipse, il mega yacht del miliardario russo Roman Abramovich, proprietario (tra il molto altro) del Chelsea, la squadra di calcio inglese. Q Arrivato da Gibilterra, l’Eclipse è in rada davanti a Golfe-Juan, dieci minuti di gommone dalla Croisette. Definirlo una barca è difficile: misura 162 metri e mezzo di lunghezza ed è costato 900 milioni di euro. È il secondo mega yacht più grande del mondo, dopo quello di 180 metri dello sceicco Zayed Al Nahyane, presidente degli Emirati arabi uniti. Tra le numerosi doti del signor Abramovich spicca l’ospitalità. Una notte a bordo del suo palazzo galleggiante costa 175 mila euro. Fino all’altro ieri, accoglieva la top model americana Kendall Jenner, come testimonia l’ottimo lavoro dei paparazzi dei giornali locali. Prima di lei, ci avevano passato un paio di notti la cantante Usa Kate Perry e il fidanzato Orlando l’umanità di un padre che si umilia per il bene della figlia senza accorgersi che sta provocando il suo rimprovero, il suo disgusto. Nonostante la democrazia ritrovata, la Romania è proprio malmessa. Quel che dicono i due registi ha dell’incredibile. Cristian Mongiu accompagna i suoi film personalmente quando escono nelle sale, città grandi o piccole o villaggi di campagna, pur di promuoverli. Perché sul totale degli incassi delle sale cinematografiche, il 47 per cento è appannaggio della produzione hollywoodiana, il 36 di quella europea e solo il 13 romena. Ancora un mese fa ignorava in quante copie il suo film sarebbe stato distribuito. Cristi Puiu sta ancora peggio perché non sa se il suo film uscirà mai in Romania. Intanto, rischia di vincere la Palma d’Oro. L’Eclipse di Roman Abramovich M. D. O. La bontà di un Festival, e quello di Cannes che si sta svolgendo in questi giorni ne è una conferma, si misura anche dalla ricchezza delle sezioni che ruotano introno a quella principale del concorso. Abbiamo già sottolineato più volte come spesso le sorprese più belle vengano proprio da lì. Ma dalla selezione ufficiale di Un certain regard, sezione parallela a quella maggiore del concorso, arrivano anche delle belle conferme. Come quella del nuovo, bellissimo film, del regista giapponese Kore-Eda Hirokazu, «Dopo la tempesta». Un regista, Kore-Eda, che anche gli spettatori italiani hanno cominciato a conoscere grazie a opere come «Padri e figli» o al più recente «Little Sister». Anche in questo suo nuovo lavoro il regista giapponese ci porta al cuore di una vicenda familiare raccontata, come nelle sue corde, soprattutto scandagliando i legami affettivi tra padre e figlio per allargare poi il discorso a quelli tra marito e moglie, tra il giovane padre e l’anziana madre dove, ad essere messa in scena, è proprio la delicata trama dei rapporti e dei sentimenti che lega tra di loro le persone. Ryota e Kyoko sono divorziati. Si vedono una volta al mese quando la donna, Kyoko, porta il figlio Shingo al padre. Ryota, che dopo il primo romanzo non ha pubblicatopiùnienteechesbarcaillunario come improbabile investigatore privato, vorrebbe riallacciare i rapporti, ma la moglie si sta già rifacendo una vita. L’arrivo di un tifone li costringe a passare una notte tutti insieme a casa dell’anziana madre di Ryota. Il mattino dopo ci sarà una spiegazione definitiva. Con il suo stile delicato e rarefatto, il regista racconta la trama dei rapporti familiari legando il passato e il presente in un intelligente lavoro di introspezione. Al centro di tutto la riflessione su come si diventa quello che si è, di come accettare che la vita che si sognava non si sia avverata, di come affrontare la vita giorno per giorno e, una volta adulti, prendere atto, per esempio, che in una coppia non basta più solo l’amore.