Laboratorio didattico di Storia

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Laboratorio didattico di Storia
Laboratorio didattico
Storia
150 Anni di unità: momenti di
riflessione e conoscenza
1861
2011
Classe IV sez. BL, a. s. 2010-2011
Presentazione del progetto
La storia, la “maestra di vita” per eccellenza, per adempiere al suo
dovere deve necessariamente non solo attenersi alla oggettiva
verità dei fatti (condizione assolutamente necessaria), ma deve
anche essere in grado di fornire spunti di riflessione, di
dibattito, divenendo punto d’inizio per l’interpretazione del
presente.
E’ quindi con questo intento che eventi storici di enorme
importanza come il Risorgimento e l’unit{ italiana vengono qui
affrontati e proposti in maniera chiara e diretta (sotto la forma
di linea del tempo), fornendo esempi pratici e diretti (i grandi
uomini e le grandi donne che, in ogni ambito, hanno saputo
distinguersi ed imprimere un indelebile segno nella storia),
senza il timore di cadere in vanagloriose autocelebrazioni o in
dannosi autolesionismi, fornendo un punto di vista innovativo e
propositivo e, soprattutto, proiettandosi verso il futuro.
Aree Tematiche
Lotta alla mafia
Questione femminile
Lavoro
Istruzione
Famiglia
Musica
Comunicazione, Cinema
Emigrazione/Immigrazione
Sport
Partiti e Politica
Ricerca
Moda
Lavoro
Fascismo
1848
1861
1900
1864
1919-1920
“Biennio
Rosso”
Prima
Internazionale
Agitazioni, rivolte, movimenti
popolari, inizio lotte sindacali e
rivendicazioni sociali.
Approfondimenti:
Grandi personalità: G. Agnelli, C. Olivetti, L.
Lama
1948
1970
Costituzione Statuto
dei
Lavoratori
2011
Oggi?
•Contraddizioni?
•Cambiamenti?
•Ci sono state delle costanti nella lotta per il
lavoro?
•Il cambiamento deve necessariamente
portare svantaggi a qualcuno?
Costituzione
La Costituzione repubblicana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, segna un punto
di svolta nello sviluppo della storia italiana, nascendo dopo il periodo più buio
che l’umanit{ avesse mai vissuto, e racchiudendo in sé le diverse anime del
Paese, accomunate però dal desiderio di unità, solidarietà e proiezione al
futuro.
Per questo motivo la Costituzione – in questo lavoro sulle linee del tempo –
assumer{ l’importante ruolo di “spartiacque” storico, divenendo punto di
riferimento e di partenza per analisi e osservazioni.
G. Agnelli
Imprenditore torinese, soprannominato “l’avvocato”. Fu fino alla sua morte il
principale dirigente della FIAT, forse il più celebre. Egli infatti fu responsabile
di una nuova politica aziendale, che da una parte portò negli anni 70-80
all’acquisizione di Lancia, Alfa Romeo e Ferrari, oltre
all’internazionalizzazione del marchio, con la produzione di diverse world
cars, ma dall’altra portò, negli anni ’90, la casa sull’orlo del fallimento, e lo
spinse a stringere accordi con GM. Si spegne a causa di un tumore, nel 2003.
C. Olivetti
Ingegnere ed industriale italiano, fu il fondatore della celeberrima azienda
Olivetti, rinomata in particolare per le proprie macchine da scrivere.
Degna di nota fu la sua politica aziendale: di fatto creò una meritocrazia, nella
quale i migliori operai vedevano ricompensata la propria abilità. Questa scelta
si rivelò vincente non solo umanamente, ma anche economicamente.
Socialista convinto, non interruppe la società nemmeno sotto il regime
fascista. Si spegne nel ‘43, nel cordoglio nazionale.
L. Lama
Figura di indiscusso rilievo nella politica italiana, Lama ricoprì nel corso della
sua vita numerose cariche, sia politiche (fu deputato e senatore per il PCI), sia
sindacali, per le quali è maggiormente ricordato. Partigiano durante la guerra,
quindi esponente di spicco del Partito Comunista fino al 1969: l'anno
successivo sarebbe infatti divenuto segretario della CGIL, carica in seguito
mantenuta sino al 1986. Grazie alle sue continue lotte il sindacato aumentò
notevolmente influenza e numero degli iscritti: tutt'ora ne è debitore. Diventa
successivamente senatore e sindaco di un paese di campagna. Si spegne nel
1996.
Istruzione
Fascismo
1861
1900
1921
Scuola radicalmente diversa da
come viene intesa oggi: non c’è il
diritto allo studio per tutti.
Approfondimenti:
Grandi personalità: B. Puoti, G. Casati, A.
Depretis, G. Gentile, P. Calamandrei, P.
Pasolini
1948
1968
CostituzioneMovimenti
Studenteschi
2011
Fenomeno dei
“cervelli
in fuga”
•Scopo e ruolo della scuola pubblica
•Importanza della ricerca fine a sé stessa
(serendipity)
•Istruzione e ricerca pubbliche di altissimo
livello, ma caratterizzate da croniche
mancanze strutturali
B. Puoti
Pur non essendo direttamente legato al futuro Regno d’Italia, a Puoti vanno
attribuite le basi di quello che sarà il futuro sistema scolastico italiano, con una
prima “laicizzazione” ed un forte orientamento verso il patriottismo ed i
classici.
Il suo “operato” rimane però confinato nella sola Napoli
G. Casati
A Gabrio Casati si deve la legge omonima, che nel 1859 decretò una prima
unificazione e suddivisione del sistema scolastico italiano, assimilabile a quella
odierna. Viene inoltre proseguita l’opera di “laicizzazione” della scuola
A. Depretis
Padre della Legge Coppino (1877), “perfezionamento della legge Casati: veniva ora
garantita l’istruzione elementare, resa gratuita, al fine di debellare la piaga
dell’analfabetismo nel paese. La scuola ora diventa indipendente dalle
istituzioni religiose cattoliche.
G. Gentile
Filosofo neo-idealista, sostenitore del regime fascista, a lui si deve la riforma
omonima (1923), che d{, sostanzialmente, al sistema scolastico l’ordinamento
mantenuto fino ad oggi, con minime modifiche. Mira a rendere elitaria
l’istruzione superiore. La riforma venne considerata “eccessivamente laica”, e
successivamente rivista, in seguito ai Patti Lateranensi.
P. Calamandrei
Padre della repubblica, nell’ambito scolastico è ricordato non tanto per una
riforma, quanto per il suo celebre, profetico discorso dell’11 febbraio 1950,
riguardo alla scuola pubblica, ed in particolare ai metodi con i quali la si può
danneggiare, favorendo scuole private.
Come lasciar cadere in rovina la scuola pubblica e favorire quella privata, secondo
Calamandrei:
•
•
•
1) Ignorare i loro bisogni, impoverirne i bilanci.
2)Attenuare sorveglianza e controllo sulle scuole private.
3)Dare alle scuole private denaro pubblico.
P. Pasolini
Poeta, scrittore e regista, legato all’ideologia di sinistra, fu uno dei maggiori
intellettuali italiani del secolo scorso, sicuramente il più poliedrico, noto per la
vastità dei campi in cui si è cimentato. Autore di opere di denuncia, profonda fu la
sua analisi della società italiana del dopo guerra e sessantottina. In particolare, fra i
suoi lavori di interesse socio-politico maggiore troviamo la critica all’
“imborghesimento” dei giovani studenti, secondo il bolognese perfettamente
uniformati alla società contro la quale si ribellavano (si veda, al merito, la poesia Il P.
C. I. ai giovani!).
Tragica, ed ancora misteriosa, fu la sua morte: il suo corpo venne trovato senza vita,
con evidenti segni di percosse, vicino alla spiaggia di Ostia. Tutt’ora non ne sono
state chiarite completamente le dinamiche.
ABOLIAMO LA SCUOLA DELL’OBBLIGO E LA TV
di PIER PAOLO PASOLINI
“1) Abolire immediatamente la scuola media d’obbligo.
2) Abolire immediatamente la televisione.
Quanto agli insegnanti e agli impiegati della televisione possono anche non essere mangiati, come
suggerirebbe Swift: ma semplicemente possono essere messi sotto cassa integrazione.
La scuola d’obbligo è una scuola di iniziazione alla qualità di vita piccolo borghese: vi si insegnano delle
cose inutili, stupide, false, moralistiche, anche nei casi migliori ( cioè quando si invita adulatoriamente ad
applicare la falsa democraticità dell’autogestione, del decentramento, ecc.: tutto un imbroglio). Inoltre
una nozione è dinamica solo se include la propria espansione e approfondimento: imparare un po’ di
storia ha senso solo se si proietta nel futuro la possibilità di una reale cultura storica. Altrimenti, le
nozioni marciscono: nascono morte, non avendo futuro, e la loro funzione dunque altro non è che creare,
col loro insieme, un piccolo borghese schiavo al posto di un proletario o di un sottoproletario libero ( cioè
appartenente ad un’altra cultura, che lo lascia vergine a capire eventualmente nuove cose reali, mentre è
ben chiaro che chi ha fatto la scuola d’obbligo è prigioniero del proprio infimo cerchio di sapere, e si
scandalizza di fronte ad ogni novità ……….. E’ stata la televisione che ha praticamente ( essa non è che un
mezzo) concluso l’era della pietà e iniziato l’era dell’edonè. Era in cui i giovani insieme presuntuosi e
frustrati a causa della stupidità e insieme dell’irraggiungibilit{ dei modelli proposti loro dalla scuola e
dalla televisione, tendono inarrestabilmente ad essere o aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino
all’infelicit{ ( che non è una colpa minore). Ora, ogni apertura a sinistra sia della scuola che della
televisione non è servita a nulla: la scuola e il video sono autoritari perché statali, e lo Stato è la nuova
produzione ( produzione di umanità).”
Partiti e Politica
Fascismo: perdita di tutti i
diritti – Resistenza
clandestina di poche
formazioni politiche
Fondazione
Partito Socialista Italiano
(primo partito “di massa”)
1861
1892
1919-1921-1922
“Mani Pulite”
1990
1948
Costituzione
Diversa concezione della politica
(partiti “feudi elettorali”)
No suffragio universale
Destra storica/Sinistra storica
Fondazione
Partito Popolare Italiano
Partito Nazionale Fascista
Partito Comunista Italiano
Area liberale
Democrazia Cristiana (ex P. P. I.)
Partito Comunista Italiano
Dal 1953, però, la D. C. non ha
mai avuto la maggioranza
parlamentare assoluta, quindi fu
sempre necessaria l’alleanza con
partiti “minori” (es. P. L. I., P. S.
I., P. R. I.)
Approfondimenti:
Grandi personalità: A. De Gasperi, A. Moro,
B. Craxi, G. Andreotti, A. Gramsci, P.
Togliatti, E. Berlinguer, S. Pertini
Creazione sistema partitico di
interessi privati
(Questione Morale)
2011
Questione Morale
I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei
problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono
interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i
bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa
si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la
maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sottoboss".
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti
di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi
giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di
questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia
una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è
drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono
viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito
bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione
amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio
viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta
soltanto di riconoscimenti dovuti.
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della
politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale,
nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno
con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno
semmplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano.
Ecco perché gli altri partiti possono profare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la
questione morale andando alle sue cause politiche. [...] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si
continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di
soffocare in una palude.
(E. Berlinguer, Intervista a “La Repubblica”, 28/07/1981)
A. De Gasperi
Alcide De Gasperi (Pieve Tesino, 3 aprile 1881– Borgo
Valsugana, 19 agosto 1954) è stato un grande politico
italiano. Prima esponente del Partito Popolare
Italiano e poi fondatore della Democrazia Cristiana
con il suo scritto Le idee ricostruttive della
Democrazia Cristiana, è stato il primo Presidente
del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana.
Viene oggi considerato come uno dei padri della
Repubblica e, insieme al francese Robert Schuman,
al tedesco Konrad Adenauer e all'italiano Altiero
Spinelli, dell'Unione Europea.
De Gasperi nacque in una famiglia povera: infatti i
suoi genitori dovettero chiedere un sussidio allo
Stato per farlo studiare. Si iscrisse all'Imperial Regio
Ginnasio superiore di Trento. Fin da giovanissimo
partecipò ad attività politiche d'ispirazione
cristiano-sociali: nel periodo degli studi universitari, a Vienna e ad Innsbruck, fu
leader del movimento studentesco e protagonista delle lotte degli studenti trentini,
che miravano ad ottenere un'università in lingua italiana per le minoranze italofone
dell'impero. Dovette scontare per queste sue attività anche un giorno di reclusione ad
Innsbruck.
Nel 1905 entrò a far parte della redazione del giornale Il Trentino e in breve tempo assunse la
carica di direttore.
Partecipò attivamente nel Parlamento Austriaco e poi, nel 1919 aderì al Partito Popolare
Italiano promosso da don Luigi Sturzo; solo nel 1921 venne eletto deputato a Roma, in quanto
il Trentino fino a quell'epoca era stato sottoposto a regime commissariale.
Al tempo delle dimissioni di Don Sturzo da segretario del PPI De Gasperi era capogruppo alla
Camera. Nel 1925 assunse la segreteria del partito popolare.
Dopo l'iniziale sostegno del suo partito nella prima parte del governo Mussolini, tanto che
nel 1923 i popolari cercarono inizialmente di trovare un compromesso sulla legge Acerbo, De
Gasperi tenne un discorso alla Camera dei Deputati il 15 luglio 1923 esplicando il suo
atteggiamento verso quella legge. Successivamente si oppose all'avvento del fascismo finché,
isolato dal regime, fu arrestato alla stazione di Firenze l'11 marzo 1927, mentre si stava
recando in treno a Trieste. Al processo che seguì venne condannato a 4 anni di carcere e ad
una forte multa.
Dopo la scarcerazione, alla fine del luglio 1928, venne continuamente sorvegliato dalla polizia
e dovette trascorrere un periodo di grandi difficoltà economiche e isolamento sia morale che
politico.
Nel 1942-43, durante la Seconda guerra mondiale, compose, insieme ad altri, l'opuscolo Le
idee ricostruttive della Democrazia Cristiana in cui esprimeva le idee alla base del futuro
partito della Democrazia Cristiana di cui sarebbe stato cofondatore.
Una volta liberato il sud Italia ad opera delle forze anglo-americane, entrò a far parte in
rappresentanza della Democrazia Cristiana (DC) nel Comitato di Liberazione Nazionale.
Durante il governo guidato da Ivanoe Bonomi fu ministro senza portafoglio, mentre dal
dicembre del 1944 al dicembre del 1945 venne nominato ministro degli esteri. Nello stesso
anno fonda il Centro Nazionale Sportivo Libertas.
Nel 1954 Giovanni Guareschi pubblicò sul giornale umoristico Candido due lettere
attribuite a De Gasperi datate 1944. Queste lettere erano indirizzate al generale
Alexander di base al Comando Alleato di Salerno, avevano l'intestazione della
Segreteria di Stato Vaticano e arrecavano, sotto, la presunta firma di De Gasperi.
Ben due notai di Locarno in Svizzera comparandola con la firma vera dello statista
ne attribuirono la paternità a De Gasperi senza ombre di dubbio. In questi
documenti, De Gasperi avrebbe chiesto agli Angloamericani di bombardare la
periferia della città di Roma, al fine di demoralizzare la popolazione ed indurla ad
atti ostili contro i tedeschi. Guareschi venne condannato per diffamazione e passò
un anno e mezzo in carcere che volle scontare interamente, sebbene gli
prospettarono il perdono nel caso avesse ritrattato,ma lui non volle,
compromettendo la sua salute . Al processo De Gasperi non si presentò mai per
smentire quelle lettere e i giudici non richiesero nessuna perizia calligrafica . In
diverse occasioni è stato detto, a torto , che Guareschi dichiarò di essersi sbagliato
ma questa dichiarazione fu smentita dallo stesso Guareschi e dagli stessi figli
categoricamente.
Nel 1945 fu nominato presidente del Consiglio dei Ministri, l'ultimo del Regno
d'Italia. Durante tale governo fu proclamata la Repubblica e perciò fu anche il primo
governo dell'Italia repubblicana, e guidò un governo di unità nazionale, che durò
fino alle elezioni del 1948.
12 giugno del 1946 De Gasperi cumulò nella sua persona le due cariche di capo del
Governo (presidente del Consiglio dei ministri) e di capo provvisorio dello Stato fino al 1º
luglio, quando Enrico de Nicola, eletto Capo provvisorio dello Stato il 28 giugno
dall'Assemblea Costituente, prese ufficialmente possesso della carica.
Il 10 agosto 1946 intervenne a Parigi alla Conferenza di pace, dove ebbe modo di
contestare, attraverso un elegante e impeccabile discorso, le dure condizioni inflitte
all'Italia dalla Conferenza.
Le elezioni del 18 aprile del 1948 furono tra le più accese della storia repubblicana, visto
lo scontro tra la D. C. ed il Fronte Popolare, composto da socialisti e comunisti. De
Gasperi riuscì a guidare la DC ad uno storico successo, ottenendo il 48% dei consensi (il
risultato più alto che qualsiasi partito abbia mai raggiunto in Italia) e fu nominato
Presidente del primo Consiglio dei ministri dell'Italia repubblicana. Con una tale
maggioranza, la DC era in grado di governare da sola, ma De Gasperi sollecitò invece la
collaborazione di laici liberali, socialdemocratici e repubblicani. In un'Italia oberata dal
ricordo di vent'anni di dittatura fascista e spaventosamente logorata dalla Seconda guerra
mondiale, De Gasperi affrontò con dignità politica le trattative di Pace con le potenze
vincitrici, riuscendo a confinare le inevitabili sanzioni principalmente all'ambito del
disarmo militare, ed evitando la perdita di territori di confine come l'Alto-Adige e la Valle
d'Aosta. Cercò inoltre di risolvere a vantaggio dell'Italia la questione della sovranità di
Trieste e dell'Istria, ove ebbe meno fortuna. Finanziò una rivista, Terza generazione, il cui
scopo era di unire i giovani al di là dei partiti e superare la divisione tra fascisti e
antifascisti.
Mantenne la carica di presidente del Consiglio fino all'agosto 1953, dimettendosi a
causa del fallimento della legge elettorale, denominata dai suoi avversari legge
truffa. Convinto sostenitore della necessità di un'integrazione europea, e critico
nei confronti dell'ingresso dell'Italia nella NATO, cui avrebbe di gran lunga
preferito la creazione di una Comunità Europea di Difesa, Alcide De Gasperi si
spense il 19 agosto 1954.
La sua scomparsa improvvisa, lontano dal clamore e dall'attenzione dei palazzi
romani, suscitò vasta commozione in tutta Italia; il lungo tragitto in treno con cui
la salma raggiunse Roma per le esequie di Stato, fu rallentato da numerose soste
impreviste perché le masse erano accorse da ogni parte per rendere omaggio alla
salma. Dentro e fuori alla chiesa dove si celebrò il funerale furono presenti
rappresentanze di tutti i partiti, fatta eccezione per i deputati del MSI i quali, visto
il passato di antifascista di De Gasperi, si rifiutarono di presenziare al suo funerale.
Attualmente si trova sepolto a Roma, nel porticato della Basilica di San Lorenzo
fuori le Mura.
Poco dopo la sua morte, iniziarono le richieste di avviare per lui il processo di
beatificazione.
È in corso a Trento la fase diocesana del processo di canonizzazione, che è stata
aperta nel 1993, per cui la Chiesa cattolica ha assegnato ad Alcide De Gasperi il
titolo di Servo di Dio.
A. Moro
Membro di spicco della DC, è tristemente
ricordato per il suo rapimento (e la
successiva uccisione), avvenuta ad opera
delle Brigate Rosse. “Controparte” di
Berlinguer, aveva intavolato con il leader
comunista delle trattative che avrebbero
potuto portare al gi{ citato “governo di
unit{ nazionale”.
B. Craxi
Esponente del PSI, fu il primo socialista a ricoprire la carica di presidente del
consiglio (1983-1987). Giudicato colpevole di reati di corruzione e finanziamento
illecito, in seguito all’inchiesta Mani Pulite, che determinò il crollo del
bipolarismo italiano, già logorato, fugge in Tunisia nel 1994, dove resterà fino alla
morte. Dopo di lui, la politica italiana è destinata a cambiare radicalmente.
Figura “ambigua”, veniva descritto da un imbarazzato Berlinguer come “un buon
giocatore di poker”.
G. Andreotti
Celebre esponente della DC, ha rivestito numerose cariche politiche nella sua
carriera pluridecennale( fra le quali la presidenza del consiglio dei ministri per
ben sette volte e svariati ministeri). Nel 2003 viene processato per mafia. È
stato prescritto. Nel 2008 gli viene dedicato un film, Il Divo.
G. Matteotti
Giacomo Matteotti nacque il 22 maggio 1885 a Fratta Polesine, un piccolo paese non distante
da Rovigo. Era una famiglia di modesta estrazione la sua e Giacomo era ancora uno studente
del liceo Celio di Rovigo quando la politica entrò nella sua vita.Giacomo ha solo 17 anni quando
perde il padre, il fratello maggiore Matteo l'aveva avviato già da tempo alle idee del socialismo,
spinto anche da un forte sentimento di solidarietà verso i contadini del Polesine, condannati
ad una vita di estrema miseria e sfruttamento. Nel 1907 consegue la laurea in giurisprudenza
presso l'università di Bologna. Tre anni dopo è eletto al consiglio provinciale di Rovigo; da qui
in poi inizierà il suo percorso politico che lo porterà ad assumere una dedizione a tempo pieno
in questo ambito. Matteotti è un socialista riformista: non crede nei cambiamenti violenti e
rivoluzionari, bensì in quelli più democratici da realizzarsi gradualmente nelle
amministrazioni locali e nell'impegno sindacale. Dimostra di essere un amministratore
competente e un abile organizzatore sia nell'attività politica, sia nel suo pubblico servizio.
Durante la prima guerra mondiale è un convinto sostenitore della neutralità italiana, lanciando
appelli alla pace: questa posizione porta Matteotti a essere minacciato dai nazionalisti, poi per
un discorso tenuto al consiglio provinciale di Rovigo, contro la guerra (1916) viene condannato
e internato in Sicilia.
Terminato il conflitto mondiale continua a dedicarsi all'attività politica:fu eletto in Parlamento
per la prima volta nel 1919, in rappresentanza della circoscrizione Ferrara-Rovigo. Fu rieletto
nel 1921 e nel 1924. Nel 1921 pubblicò una famosa "Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in
Italia", in cui si denunciavano, per la prima volta, le violenze delle squadre d'azione fasciste
durante la campagna elettorale delle elezioni del 1921.
Nell'ottobre del 1922 Matteotti fu espulso dal Partito Socialista Italiano con la corrente
riformista di Filippo Turati. Nel 1924 venne pubblicato a Londra un suo libro: The fascisti
exposed; a year of fascist domination, in cui riportava meticolosamente gli atti di violenza
fascista contro gli oppositori. Nella introduzione del libro esplicitamente ribatteva alle
affermazioni fasciste, che affermavano l'uso della violenza squadrista utile allo scopo di
riportare il paese ad una situazione di legalità e normalità col ripristino dell'autorità dello
Stato dopo le violenze socialiste del biennio rosso, affermando la continuazione delle
spedizioni squadriste contro gli oppositori anche dopo un anno di governo fascista. Inoltre
sosteneva che il miglioramento delle condizioni economiche e finanziarie del paese, che
stava lentamente riprendendosi dalle devastazioni della guerra, era dovuto non all'azione
fascista, quanto alle energie popolari, tuttavia a beneficiarne sarebbero stati solo gli
speculatori ed i capitalisti, mentre il ceto medio e proletario ne avrebbe ricevuto una quota
proporzionalmente bassa a fronte dei sacrifici. Il 30 maggio 1924 Matteotti prese la parola
alla Camera dei deputati per contestare i risultati delle elezioni tenutesi il precedente 6
aprile. Egli tenne un discorso al fine di denunciare una nuova serie di violenze, illegalità ed
abusi commessi dai fascisti per riuscire a vincere le elezioni. Al termine del discorso, dopo le
congratulazioni dei suoi compagni, rispose loro con una premonizione: « Io il mio discorso
l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me. » In un'altra occasione aveva
pronunciato una frase che si sarebbe rivelata profetica:« Uccidete pure me, ma l'idea che è in
me non l'ucciderete mai » Il 10 giugno 1924, a soli dieci giorni dal discorso pronunciato alla
Camera, Giacomo Matteotti fu rapito a Roma. Il suo corpo fu ritrovato in stato di
decomposizione il 16 agosto alla macchia della Quartarella, un bosco nel comune di Riano a
25 km da Roma. A tutt'oggi il rapimento e il successivo assassinio di Matteotti presentano
numerosi lati oscuri.
Furono intentati tre procedimenti giudiziari contro gli squadristi materialmente responsabili
del rapimento e dell'omicidio: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto
Malacria e Amleto Poveromo. Di questi, Dumini, Volpi e Poveromo furono condannati per
omicidio preterintenzionale alla pena di anni 5, mesi 11 e giorni 20 di reclusione, nonché
all'interdizione perpetua dai pubblici uffici, mentre per Panzeri, che non partecipò attivamente
al rapimento, Malacria e Viola ci fu l'assoluzione. In nessuno dei tre processi venne mai
accertata la responsabilità diretta di Mussolini, ma tutti coloro che sono stati riconosciuti
implicati nell'omicidio furono esponenti o sostenitori del regime fascista. Mussolini stesso, il
giorno seguente al discorso del deputato socialista, scrisse sul “Popolo d’Italia” che la
maggioranza era stata troppo paziente e che la mostruosa provocazione di Matteotti meritava
qualcosa di più di una risposta verbale. Il 3 gennaio 1925, alla Camera, Mussolini respinse
inizialmente l’accusa di un suo coinvolgimento nel delitto Matteotti, successivamente, con un
improvviso cambio di tono, si assunse personalmente sia la responsabilità dei fatti avvenuti e
sia di aver creato il clima di violenza in cui tutti i delitti politici compiuti in quegli anni erano
maturati, trovando anche parole per riaffermare, i fronte ad alleati ed avversari, la sua posizione
di capo indiscusso del fascismo.
A. Gramsci
Antonio Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891 - Roma, 27
aprile 1937) fu uno dei maggiori uomini politici e
pensatori dell’Italia del XX secolo. Di famiglia
proletaria, compiuti gli studi liceali a Cagliari, si
iscrisse nel 1911 alla facoltà di lettere di Torino dove
seguì le lezioni di U. Cosmo, A. Farinelli e L.
Einaudi, approfondendo gli studi di glottologia con
M. Bartoli. Contemporaneamente si iscrisse al
Partito Socialista, di cui divenne segretario della
locale federazione nel 1917, e collaborò a Il grido del
popolo e, dal 1916, all'Avanti! soprattutto come
critico teatrale. Schieratosi a favore della linea
bolscevica di Lenin, insieme con Togliatti, Terracini
e Tasca fondò nel 1919 il settimanale Ordine nuovo,
a sostegno della strategia dei consigli di fabbrica,
organismi di autodecisione proletaria che, in caso
di situazione rivoluzionaria, avrebbero dovuto
assumere il ruolo dei Soviet. L'insuccesso di tali
organismi, in occasione dello sciopero generale e
dell'occupazione delle fabbriche del 1920, spinse
Gramsci e il suo gruppo a porsi il problema della
creazione di un partito rivoluzionario
all'avanguardia del proletariato.
Dalla scissione del gruppo gramsciano di Ordine nuovo e del Partito Socialista
nacque a Livorno, nel 1921, il Partito Comunista d'Italia (aderente alla III
Internazionale). Nel 1922, recatosi a Mosca come capo della delegazione italiana al
IV Congresso dell'Internazionale, Gramsci conosce una cittadina Sovietica Giulia
Schucht, con la quale si sposa e da cui ebbe due figli, Delio e Giuliano. Dopo un
soggiorno a Vienna nel 1923, per conto dell'Internazionale, Gramsci, eletto
deputato, rientrò nel 1924 in Italia dove condusse una strenua lotta contro il
fascismo e contemporaneamente, con l'appoggio dell'Internazionale, rafforzò la
posizione del proprio gruppo all'interno del partito, conquistandone
definitivamente la dirigenza al Congresso di Lione del 1926. Ma lo scioglimento di
tutti i partiti e la rigida applicazione delle leggi eccezionali fasciste lo portarono, lo
stesso anno, all'arresto. Condannato a 5 anni di confino a Ustica, venne poi deferito
al Tribunale Speciale che lo condannò a 20 anni e 4 mesi di reclusione. Tuttavia,
nonostante i disagi e le privazioni sofferte nella casa di pena di Turi, presso Bari, e il
precario stato di salute, Gramsci rifiutò di inoltrare domanda di grazia,
concentrandosi in un'attività di elaborazione teorica dei principi del marxismo. Nel
1934 le pressioni di un comitato internazionale antifascista indusse il governo a
trasferire Gramsci al carcere-ospedale di Formia e poi alla clinica Quisisana di
Roma, dove morì colpito da emorragia cerebrale.
Il suo pensiero, dove ideologia, filosofia e prassi politica trovavano una profonda
unità, era volto verso la comprensione della reale situazione italiana dell'epoca e
nella certezza della possibilità di trasformarla in senso socialista. Gramsci
considerava il fascismo come punto massimo di crisi della società borghese, lo
definì “ massima espressione della dittatura del capitale”, poiché alla classe
dominante, cui era sfuggita l'egemonia sociale, intellettuale e morale, per la
perdita del consenso delle masse, rimaneva solo la forza coercitiva. La
valorizzazione del concetto di cultura, non più vista come fatto aristocratico, ma
come mezzo per acquistare consapevolezza della realtà, portò Gramsci a elaborare
la nozione di "organizzazione della cultura" che metteva in luce la necessità di
esplicare rapporti profondi fra organizzazione economico-sociale e visione del
mondo, fra lotta di classe e scoperta scientifica e artistica. La convinzione che la
cultura aveva le sue radici nel terreno storico-pratico nel quale era contenuta, lo
indusse a individuare la funzione del nuovo intellettuale nella società
contemporanea come portatore ed elaboratore professionale dell'ideologia del
"blocco storico", cioè della forza politica formata dall'unione di una classe con
classi o gruppi alleati, di cui egli stesso era espressione.
La straordinaria varietà dei suoi interessi ha fatto sì che nel pensiero gramsciano
fosse presente gran parte della problematica politico- culturale del secondo
dopoguerra: conquistare la maggioranza politica di un Paese vuol dire che le forze
sociali, che di tale maggioranza sono espressione, dirigono la politica di quel
determinato paese e dominano le forze sociali che a tale politica si oppongono. Ecco
che nasce il concetto di egemonia culturale, secondo il quale le classi dominanti
impongono i propri valori politici, intellettuali e morali a tutta la società, con
l'obiettivo di saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso.«Un
gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a liquidare o a
sottomettere anche con la forza armata, ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un
gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere
governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del
potere); dopo, quando esercita il potere ed anche se lo tiene fortemente in pugno,
diventa dominante ma deve continuare ad essere anche dirigente».La crisi
dell'egemonia si manifesta quando, anche mantenendo il proprio dominio, le classi
sociali politicamente dominanti non riescono più a essere dirigenti di tutte le classi
sociali, non riuscendo più a risolvere i problemi di tutta la collettività e a imporre la
propria concezione del mondo. A quel punto, la classe sociale subalterna, se riesce a
indicare concrete soluzioni ai problemi lasciati irrisolti dalla classe dominante, può
diventare dirigente e, allargando la propria concezione del mondo anche ad altri
strati sociali, può creare un nuovo «blocco sociale», cioè una nuova alleanza di
forze sociali, divenendo egemone.
Le classi subalterne - sottoproletariato, proletariato urbano, rurale e anche parte
della piccola borghesia - non sono unificate e la loro unificazione avviene solo
quando giungono a dirigere lo Stato, altrimenti svolgono una funzione
discontinua e disgregata nella storia della società civile dei singoli Stati, subendo
l'iniziativa dei gruppi dominanti anche quando ad essi si ribellano. Il «blocco
sociale», l'alleanza politica di classi sociali diverse, formato, in Italia, da
industriali, proprietari terrieri, classi medie, parte della piccola borghesia, non è
omogeneo, essendo attraversato da interessi divergenti, ma una politica
opportuna, una cultura e un'ideologia o un sistema di ideologie impediscono che
quei contrasti di interessi, permanenti anche quando siano latenti, esplodano
provocando la crisi dell'ideologia dominante e la conseguente crisi politica
dell'intero sistema di potere.
In Italia tra le forze che contribuiscono alla conservazione di tale blocco sociale è
la Chiesa cattolica, che si batte per mantenere l'unione dottrinale tra fedeli colti e
incolti, tra intellettuali e semplici, tra dominanti e dominati, in modo da evitare
fratture irrimediabili che tuttavia esistono e che essa non è in realtà in grado di
sanare, ma solo di controllare: «la Chiesa romana è sempre stata la più tenace
nella lotta per impedire che ufficialmente si formino due religioni, quella degli
intellettuali e quella delle anime semplici», una lotta che ha fatto risaltare «la
capacità organizzatrice nella sfera della cultura del clero» che ha dato «certe
soddisfazioni alle esigenze della scienza e della filosofia, ma con un ritmo così
lento e metodico che le mutazioni non sono percepite dalla massa dei semplici,
sebbene esse appaiano "rivoluzionarie" e demagogiche agli "integralisti"».
La frattura tra gli intellettuali e i semplici può essere sanata da quella politica che
«non tende a mantenere i semplici nella loro filosofia primitiva del senso comune, ma
invece a condurli a una concezione superiore della vita». L'azione politica realizzata
dalla «filosofia della prassi» - così Gramsci chiama il marxismo, non solo per
l'esigenza di celare quanto scrive alla repressiva censura carceraria - opponendosi alle
culture dominanti della Chiesa e dell'idealismo, può condurre i subalterni a una
«superiore concezione della vita. Se afferma l'esigenza del contatto tra intellettuali e
semplici non è per limitare l'attività scientifica e per mantenere una unità al basso
livello delle masse, ma appunto per costruire un blocco intellettuale-morale che renda
politicamente possibile un progresso intellettuale di massa e non solo di scarsi gruppi
intellettuali». La via che conduce all'egemonia del proletariato passa dunque per una
riforma culturale e morale della società.
Tuttavia l'uomo attivo di massa - cioè la classe operaia, - non è, in generale,
consapevole né della funzione che può svolgere né della sua condizione reale di
subordinazione; il proletariato, scrive Gramsci, «non ha una chiara coscienza teorica
di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma. La sua
coscienza teorica anzi può essere in contrasto col suo operare»; esso opera
praticamente e nello stesso tempo ha una coscienza teorica ereditata dal passato,
accolta per lo più in modo acritico. La reale comprensione critica di sé avviene
«attraverso una lotta di egemonie politiche, di direzioni contrastanti, prima nel
campo dell'etica, poi della politica per giungere a una elaborazione superiore della
propria concezione del reale». La coscienza politica, cioè l'essere parte di una
determinata forza egemonica, «è la prima fase per una ulteriore e progressiva
autocoscienza dove teoria e pratica finalmente si unificano».
P. Togliatti
Palmiro Togliatti nasce a Genova il 26 marzo del 1893; muore
a Jalta il 21 agosto 1964.
Nel 1911 si iscrive alla facolt{ di Giurisprudenza dell’Universit{
di Torino dove conosce Antonio
Gramsci, studente di lettere nello stesso ateneo. Nel 1914
entra nel PSI. A differenza dei suoi
compagni di partito, quando scoppia la prima guerra
mondiale, Togliatti è interventista; è
convinto, come molti democratici, che l’Italia debba
completare il processo risorgimentale.
Togliatti è uno dei collaboratori de ‘L’Ordine Nuovo’, il giornale fondato da Gramsci nel 1919,
che è vicino alle posizioni di Lenin. Proprio nel 1919, a Mosca, nasce la III Internazionale alla
quale possono aderire i partiti che accettano i ‘ventuno punti’, deliberati dal suo II congresso,
nel luglio del 1920: qualunque partito voglia aderire all’Internazionale deve cambiare il
proprio nome con quello di comunista, e deve espellere i riformisti.
Il 15 gennaio1921si aprì a Livorno il XVII Congresso socialista e il giorno 21 la minoranza
comunista, tra cui Togliatti insieme a Gramsci, Bordiga e Tasca, lascia il PSI si costituisce in
partito, il Partito comunista d'Italia.
Come tutti i partiti, anche quello comunista è messo fuori legge dal regime di Mussolini. I
suoi esponenti sono rinchiusi in prigione o costretti a fuggire. Togliatti si trasferisce in URSS
nel febbraio del 1926. Dopo l’arresto di Gramsci, l’8 novembre dello stesso anno, Togliatti
diventa segretario del partito, carica che ricopre fino alla morte.
Nel 1937 è segretario della III Internazionale. Torna in Italia il 27 marzo del 1944. Di fronte ai
conflitti che agitano il Comitato di Liberazione Nazionale, Togliatti propone ai partiti
antifascisti di abbandonare la pregiudiziale antimonarchica, di combattere insieme contro il
fascismo e di affrontare la questione istituzionale solo dopo la liberazione del paese: è la
cosiddetta ‘svolta di Salerno’, dal nome della capitale provvisoria del Regno del Sud. Si tratta
di una delle grandi intuizioni di chi, come lui, da un lato è a capo di un movimento che fa
della rivoluzione proletaria il proprio mito fondativo; dall’altro è il leader di quel ‘partito
nuovo’, che non è più la piccola formazione leninista degli anni Venti, ma si candida a
diventare un grande partito di massa. Nel giugno del 1946, in qualità di Ministro della
Giustizia, Togliatti propone l’amnistia per gli ex fascisti e nel marzo del 1947 si batte per
l’approvazione dell’art. 7 della Costituzione: quello che stabilisce che i rapporti fra Stato e
Chiesa vengano regolati dal Concordato stipulato nel 1929 fra la S. Sede e il regime fascista. Il
18 aprile del 1948, il PCI e il PSI, alleati nel Fronte Democratico Popolare, perdono le elezioni.
La DC ottiene il 48,5 % dei voti e lega il paese al blocco occidentale, all’Europa e alla NATO.
Due mesi dopo, Antonio Pallante, un giovane di estrema destra, spara contro il segretario del
PCI e lo ferisce gravemente. Nel paese si diffonde la notizia. Il cordoglio per Togliatti si
trasforma in una manifestazione nazionale di protesta contro il governo. La CGIL vorrebbe
proclamare lo sciopero generale. È lo stesso Togliatti insieme con i dirigenti del PCI a
impedire che la protesta degeneri in un sussulto rivoluzionario.
Ma l’anno più drammatico per la politica di Togliatti e per l’intero movimento operaio è il
1956. A febbraio, durante il XX congresso del partito comunista sovietico, il segretario
Kruscev denuncia il culto della personalità di Stalin e i crimini commessi dal dittatore
georgiano.
Per la prima volta il leader comunista si esprime contro l’idea di una guida unica e unitaria
del movimento operaio, e a favore dell’indipendenza dei partiti comunisti dal PCUS. Ma
quando nel novembre del 1956, i carro armati sovietici entrano a Budapest e reprimono nel
sangue la rivolta d’Ungheria, ‘l’Unit{’ scrive che è necessario tutelare la rivoluzione e reagire
contro i reazionari. È il momento di maggiore distacco fra il PCI e il PSI dalla fine della
seconda guerra mondiale. Il PSI, infatti, condanna risolutamente l’intervento sovietico e, di
lì a pochi anni, dà vita con la DC alla stagione del centrosinistra.
Nel frattempo Togliatti ordinava l'estromissione dal partito delle componenti rivoluzionarie
e oltranziste, facenti capo alla figura di Pietro Secchia. Sempre nell'ottica di attuare un
deciso repulisti del partito dagli elementi indesiderati o scomodi, l'VIII congresso segna la
liquidazione dell'ala "di destra" del partito, nelle persone di Fabrizio Onofri e Antonio
Giolitti. Spalleggiato da Luigi Longo, Togliatti controbatte affannosamente alle richieste di
effettiva libertà di opinione e discussione nel partito e alla solidarietà espressa nei confronti
della rivolta popolare in Ungheria da parte di Giolitti. Quest'ultimo è costretto comunque a
lasciare il partito non trovando eco alle sue parole nel blocco granitico del PCI, che perde
così una personalità politica e un intellettuale di primissimo piano tra la generazione dei
politici "nuovi". Segna inoltre l'incrinarsi di una lunghissima fase che aveva visto gli
intellettuali e la cultura italiana identificarsi nel PCI, in una sua identificazione con le forze
più dinamiche e innovative del Paese. Alle elezioni del 1963 il PCI ottenne il 25,3% dei voti
in entrambe le Camere, fallendo tuttavia l'assalto alla maggioranza relativa. Togliatti morì a
Jalta per una emorragia cerebrale nell’agosto dello stesso anno.
S. Pertini
Fu esponente di spicco del PSI e settimo presidente della Repubblica Italiana,
dal 1978 al 1985. Viene ricordato, analogamente a Togliatti, per la sua attività
antifascista/partigiana di non indifferente entità, che lo portò più volte a
rischiare la vita. Rimane forse fra i politici più amati nella cultura popolare
italiana.
E. Berlinguer
“Il mondo, anche questo terribile, intricato
mondo di oggi può essere conosciuto,
interpretato, trasformato, e messo al
servizio dell’uomo, del suo benessere, della
sua felicità. La lotta per questo obiettivo è
una prova che può riempire degnamente
una vita.”
Enrico Berlinguer nasce il 25 maggio del 1922 a Sassari. Nella cittadina
sarda trascorre l’infanzia e l’adolescenza, frequenta il liceo classico
Azuni e nel 1940 si iscrive alla facolt{ di Giurisprudenza. Nell’agosto
del 1943 aderisce al PCI. Inizia allora il suo impegno politico con la
partecipazione alle lotte antifasciste dell’Italia badogliana dove impera
la guerra civile. Nel gennaio del 1944 viene arrestato con l’accusa di
essere il principale istigatore delle manifestazioni per il pane, che si
sono svolte nei mesi precedenti. Resta in carcere quattro mesi.
A settembre si trasferisce a Roma con la famiglia, poi a Milano dove lavora nel Fronte della gioventù, il movimento
politico fondato da Eugenio Curiel per coordinare l’arcipelago delle organizzazioni giovanili antifasciste. La sua
carriera politica nel PCI comincia nel gennaio del 1948, quando a ventisei anni entra nella direzione del partito e
meno di un anno dopo diventa segretario generale della FGCI, la Federazione giovanile comunista. È un uomo
instancabile che gli amici descrivono timido e introverso. Un giovane dirigente comunista, lontano dalla mondanità e
dai clamori della politica, che nel 1956 lascia l’organizzazione giovanile e l’anno dopo sposa a Roma Letizia Laurenti.
All’XI Congresso, nel gennaio del 1966, Berlinguer si fa interprete delle esigenze di tutto il partito presentandosi come un
mediatore di prima grandezza. È un successo personale, confermato due anni dopo dalle elezioni del 1968 in cui è
capolista nel Lazio. Un successo che esplode e si diffonde dopo i fatti di Praga. Berlinguer condanna l’intervento sovietico
in Cecoslovacchia e respinge «il concetto che possa esservi un modello di società socialista unico e valido per tutte le
situazioni». Lo strappo è senza precedenti. Nel 1969 a Mosca, alla conferenza internazionale dei partiti comunisti,
dichiara apertamente il dissenso dei comunisti italiani nei confronti della politica stalinista.
Ormai è vicesegretario del PCI. Al congresso del 1969, Berlinguer appoggia la linea movimentista e introduce uno dei
temi più importanti del suo progetto politico. Ai delegati presenta il partito come una forza centrale della società
italiana, una forza fra le istituzioni e i cittadini, che deve essere coinvolta nella formazione e nella gestione dei processi
democratici del paese perché ne è parte decisiva. Il PCI che vuole Berlinguer non è solo il partito della classe operaia:
deve candidarsi a guidare il paese, ponendo fine alla conventio ad excludendum per cui i comunisti di fatto sono esclusi
dal governo.
Nel 1972 Berlinguer diviene segretario del PCI e al XII congresso riprende la formula togliattiana della collaborazione fra
le grandi forze popolari: comunista, socialista e cattolica.
I tempi sembrano maturi per un cambiamento radicale della politica italiana. Nel 1976 accanto alla proposta del
compromesso storico, Berlinguer esplicita l’altro tema della sua politica di dirigente comunista: rompe con il Partito
Comunista sovietico. A Mosca, davanti a 5 mila delegati Berlinguer parla del valore della democrazia e del pluralismo,
sottolinea l’autonomia del PCI dall’URSS e condanna l’interferenza dei sovietici nelle questioni dei partiti socialisti e
comunisti degli altri paesi. È l’eurocomunismo.
Con il compromesso storico e l’eurocomunismo, Berlinguer porta il PCI, dopo le elezioni del 1976, al primo governo della
solidariet{ nazionale. Si tratta di un monocolore democristiano che si regge sulla «non sfiducia», cioè sull’astensione dei
vecchi partners di governo ai quali si aggiungono i comunisti. A sinistra, molti sottolineano che non è questa la ratio del
compromesso storico e che il PCI non riuscirà ad ottenere ciò che ha chiesto ai democristiani in cambio della non
sfiducia. E, infatti, le elezioni del 1977 non lo premiano. Nel gennaio 1978 Berlinguer incontra Aldo Moro, il leader
democristiano con cui ha costruito il governo della solidariet{ nazionale e gli chiede di agevolare l’entrata dei comunisti
al governo. Ma ad opporsi sono in molti: la destra democristiana, il Vaticano, gli amici americani, la destra italiana. E
intanto nel paese il terrorismo miete le sue vittime; due mesi dopo le BR rapiscono e uccidono Moro. È la fine della
solidariet{ nazionale e del progetto di Berlinguer. Il PCI torna all’opposizione.
Nel 1981, in un’intervista a Eugenio Scalfari, Berlinguer accusa la classe politica italiana di corruzione, sollevando la
cosiddetta questione morale. Denuncia l’occupazione da parte dei partiti delle strutture dello Stato, delle istituzioni,
dei centri di cultura, delle Università, della Rai, e sottolinea il rischio che la rabbia dei cittadini si trasformi in rifiuto
della politica. È l’analisi di un grande leader politico che l’11 giugno del 1984 a Padova, mentre conclude la campagna
elettorale per le elezioni europee, viene colpito da un ictus. Il suo funerale è stato il più imponente della storia d’Italia,
dopo quello di Giovanni Paolo II. A Roma erano milioni i cittadini che lo salutarono l’ultima volta.
Enrico Berlinguer è stato sicuramente uno
dei leader più amati di tutta la storia politica
italiana: ancora oggi, a quasi trent’anni dalla
scomparsa, il suo pensiero rimane attuale e
il suo esempio morale è (dovrebbe essere) di
guida per i suoi successori.
Oltre al lascito politico, Berlinguer ha
segnato anche la storia culturale-sociale
italiana: innumerevoli sono le poesie, le
canzoni, i film a lui dedicati.
Canto per la morte di Enrico Berlinguer
Altri morir{ all’Hilton o al Raphael,
nel letto di un’attrice o in casa di un banchiere,
altri sullo yacht o sull’elicottero di un petroliere,
altri in ginocchio ai piedi di un finanziere;
il capo del partito operaio
muore lottando come un San Michele
contro i draghi imbevuti di tossico e fiele:
muore Enrico chiamando all’unit{ i compagni,
tra le mani dei compagni,
tra le rosse bandiere. Compagni, non abbassate le bandiere,
il Partito non muore, Enrico vive tra le nostre mille schiere!
Muore l’uomo giusto,
il rigore della coscienza è quello della classe dei lavoratori,
piange a Padova con tutto il popolo Bepi Tola,
piangono i resistenti di Concetto Marchesi,
i partigiani di Egidio Meneghetti
quando si annunzia con emozione
«L’onorevole Berlinguer è mancato di vivere!».
Asciutta terra scabra alimenta tenacia,
generazioni del Sulcis, della Gallura, della Nurra,
del Campidano, della Barbagia, minatori, pescatori, pastori
distillano adusto rigore, tenerezze
di solitudini, fra acque e nuraghi giochi,
libertà, lotte per la giustizia:
asciutta terra scabra distilla te, Enrico!
Un uomo – la Resistenza, il Dovere, la Pace –
ha vegliato con Ingrao, con Pecchioli,
un Uomo al grido «Enrico ci manca» risponde:
«Ci manca Enrico ma non il suo esempio.»
«Lo porto via con me, come un amico fraterno,
come un compagno di lotta!»
(ringhiano come i cani
reggicode, P2, guerrafondai: sanno che non
prevarranno mai).
Il Presidente accompagna Enrico a Tessera,
la folla piange, getta fiori, applaude,
il Presidente piange con l’Italia vera.
Il sole che tramonta sull’Appia
arrossa le immagini sorridenti di Enrico,
fiocchi di papaveri cadono sul compagno di lotta.
Il Comitato Centrale accoglie Enrico.
Immobile, in lacrime, un carabiniere saluta,
mille voci chiamano l’uomo del popolo,
il costruttore di un mondo senza guerra:
compagni, in alto le bandiere,
Enrico è sempre in testa alle nostre mille schiere!
(…)
(…)
Un garofano rosso per deporre,
a te, sono venuto, al cuore sardo,
al tuo sorriso mite, a te implacabile
continuatore del rinnovamento,
a te spartano nuovo socialista
rispettoso di ogni libertà
per la presente e futura umanità.
L’emozione che circonfonde è sentimento d’amore
per chi ha lottato sulle piazze e in Parlamento,
anche muro contro muro, lealtà contro truffa e muffa,
lavoratori contro ingannatori e falsari
domestici e internazionali. Bandiere al vento
con Enrico verso cieli sereni e chiari.
Davanti al picchetto d’onore
passano Cossiga, Scalfaro che manda un bacio,
Zaccagnini, De Martino, Capucci, Moravia,
il generale Bisognero, il popolo d’Italia
delle officine, dei campi, della scuola, una nazione:
nella storia d’Italia è questa
la più grande manifestazione.
Tredici giugno, chi mai ti dimenticherà?
Anche chi vide la guerra, la pace,
non vide sì grande popolo commosso:
«Vivrai sempre», «non ti dimenticheremo»,
«Enrico sei morto insieme a noi» gridano
quando Enrico esce per sempre dalle Botteghe Oscure
per entrare nella storia delle epoche future.
(…)
Siamo ancora sulla strada di quel tristo governo
e accompagniamo te, «virtù del comunismo d’Europa»:
tutti i popoli d’Italia, tutte le lingue, tutti i lavori
sono con te a San Giovanni perché l’Italia non scivoli indietro;
questo dice ancora il tuo tenero, dolcissimo volto.
(…)
La folla applaude con un boato il Presidente.
Nilde Iotti solenne ricorda tutti i presenti,
il sentimento nazionale e popolare accoglie Craxi con
un fischio potente.
Incarnavi, Enrico, dicono altri, la virtù del nostro
tempo,
la coscienza democratica e la coscienza di classe,
col tuo sguardo un po’ triste il riscatto epico delle
masse.
Con voce ferma Pajetta ricorda:
«Caro compagno Berlinguer, ti ringraziamo per tutto
quello che hai fatto,
parlasti sempre lo stesso linguaggio a Pechino a
Mosca, Roma e Strasburgo;
sappiamo come vuoi essere ricordato, a Padova
con un ultimo sforzo lo hai gridato».
Il Presidente accarezza la bara
come ultimo commiato.
(…)
Antonio Piromalli
Ricerca
Fondazione Fondazione
INFN
ESA
1861
1900
1921
1934
1948 1951
1975
Lancio Zarja
(ISS)
1998
2011
Costituzione
I ragazzi di via
Panisperna
1954
L’Italia nello
spazio
Fondazione
CERN
“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e
la ricerca scientifica e tecnica”
Alcuni dati…
Approfondimenti:
Grandi personalità: E. Fermi, E. Majorana
Italia nello spazio
Astronauti:
Umberto Guidoni (STS-100)
Roberto Vittori (Sojuz TM-34, TMA6, STS-134)
Paolo Nespoli (STS-120, Expedition
26/27)
MPLM e Nodes
Leonardo MPLM
Raffaello MPLM
Donatello MPLM
Harmony Module (Node 2)
Tranquillity Module (Node 3)
Budget ESA 2011
CA: 0.5%, 20.5 M€
UK: 6.6%, 265.3 M€
Income from Member States and Canada
2975.0 M€ (74.5%)
Income from EU
777.9M€ (19.5%)
Income from European Cooperating States (ECSA)
7.9 M€ (0.2%)
Other income
233.0 M€ (5.8%)
Total
3993.8 M€ (100%)
CH: 2.4%, 96.2 M€
SE: 1.5%, 59.9 M€
Income from EU, ECSA
and Other: 25,5%, 1018.8
M€
ES: 5.1%, 201.9 M€
PT: 0.4%, 15.8 M€
M€: Million Euro
NO: 1.6%, 63.2 M€
NL: 2.1%, 84.2 M€
LU: 0.3%, 11.5 M€
IT: 9.5%, 380.0 M€
2011 income from
Member States and
Canada
2975.0 M€
AT: 1.3%, 54.0 M€
BE: 4.1%, 164.8 M€
CZ: 0.3%, 10.4 M€
IE: 0.4%, 15.6 M€
GR: 0.4%, 14.9 M€
DK: 0.8%, 31.2 M€
FI: 0.5%, 20.1 M€
DE: 17.9%, 713.8 M€
FR: 18.8%, 751.4 M€
Riflettiamo…
Nazione
PIL (miliardi di
euro)
ESA (milioni di
euro)
%
Italia
1373
380
0.028
Germania
2228
713.8
0.032
Francia
1722
751.4
0.0436
Istituto nazionale di fisica nucleare
Data fondazione: 8 agosto 1951
Website: http://www.infn.it
Centro europeo per la ricerca nucleare
Data fondazione: 29 settembre 1954
Website: http://www.cern.ch
European space agency
Data fondazione: 1975
Website: http://www.esa.it
E. Majorana
Ettore Majorana, nato il 5 agosto 1906 e laureatosi in fisica nel 1928, fu tra i più promettenti
allievi di Enrico Fermi.
Il suo nome divenne un caso internazionale a causa della sua improvvisa scomparsa, che
avvenne nel 1938. Della sua scomparsa ebbe a interessarsi persino Mussolini e l'evento
divenne un enigma nazionale ad oggi ancora insoluto.
Le ipotesi avanzate furono molte: chi disse che fosse morto suicida, chi avanzava l'ipotesi
fantasiosa che fosse rapito da qualche Paese che conduceva studi atomici; altri invece
ritennero che si fosse rifugiato in un convento o che fosse addirittura diventato,
volontariamente, un mendicante.
Ettore è l'ultimo di cinque fratelli, che si distingueranno tutti in qualche campo particolare,
chi nella giurisprudenza, chi nell'amministrazione dello Stato, chi ancora in fisica.
Ettore Majorana è senza dubbio l'outsider del gruppo, un vero e proprio genio della fisica.
Estremamente precoce ma anche eccentrico e con squilibri caratteriali preoccupanti che
giocheranno un ruolo determinante nella sua fuga dal mondo (ammesso che di fuga si sia
trattato). Ettore è pervaso da misantropia radicata ed è anche perennemente ombroso, pigro
e dal carattere spigoloso.
Dopo un primo approccio con ingegneria, si laurea in fisica nel 1929 con una tesi sulla teoria
quantistica dei nuclei radioattivi.
Sotto la guida di Enrico Fermi si occupa di spettroscopia atomica e successivamente di fisica
nucleare.
Con Emilio Segré e Edoardo Amaldi entra a far parte del gruppo dei "Ragazzi di via
Panisperna", il gruppo di geni che ha fatto la storia della fisica italiana.
Le più importanti ricerche di Ettore Majorana riguardano una teoria sulle forze che assicurano
stabilità al nucleo atomico: egli per primo avanzò l'ipotesi secondo la quale protoni e
neutroni, unici componenti del nucleo atomico, interagiscono grazie a forze di scambio.
La teoria è tuttavia nota con il nome del fisico tedesco Werner Heisenberg che giunse
autonomamente agli stessi risultati e li diede alle stampe prima di Majorana.
Nel campo delle particelle elementari Majorana formulò una teoria che ipotizzava l'esistenza
di particelle dotate di spin arbitrario, individuate sperimentalmente solo molti anni più tardi.
Dal 1931, conosciutosi il suo straordinario valore di scienziato, è invitato a trasferirsi in Russia,
a Cambridge, a Yale, nella Carnegie Foundation, ma a questi inviti oppone il suo rifiuto.
Dopo aver soggiornato a Lipsia e a Copenaghen, rientra a Roma, ma non frequenta più
l'istituto di fisica. Al concorso nazionale per professore universitario di Fisica, bandito nel
1936, non vuole partecipare, nonostante la segnalazione fatta da Fermi a Mussolini. Si
trasferisce da Roma a Napoli (albergo "Bologna") nel 1937, dove accetta la nomina per meriti
speciali a titolare della cattedra di Fisica teorica all'Università di Napoli. Si chiude in casa e
rifiuta persino la posta, scrivendo di suo pugno sulle buste: "Si respinge per morte del
destinatario".
Ettore Majorana si lascia persuadere a intraprendere - è il mese di marzo 1938 - un viaggio di
riposo, Napoli-Palermo. A Palermo alloggia all'albergo "Sole", ma vi trascorre solo mezza
giornata; la sera viene visto sul ponte del piroscafo all'altezza di Capri ma a Napoli non
arriverà mai.
E. Fermi
“Eppure è un così bell’esperimento”
Enrico Fermi è stato un fisico italiano, tra i più noti
al mondo, principalmente per i suoi studi e
contributi teorici e sperimentali nell'ambito della
meccanica quantistica e più in generale in quella
sezione della fisica atomica che è la fisica nucleare. I
suoi studi e le sperimentazioni sul nucleare lo
portarono ad una morte prematura ,per cancro allo
stomaco, all'età di soli 53 anni.
Celebri sono tuttavia la sua teoria del decadimento β, la statistica quantistica di Fermi-Dirac
e i risultati concernenti le interazioni nucleari.
Enrico Fermi progettò e guidò la costruzione del primo reattore nucleare a fissione, che
produsse la prima reazione nucleare a catena controllata. L'attività di Fermi si è manifestata
in molti campi della fisica, ed egli è universalmente riconosciuto come uno dei più grandi
scienziati di tutti i tempi. Nel 1938 ricevette il Premio Nobel per la fisica, per la scoperta delle
reazioni nucleari mediante neutroni lenti.
Emigrazione/Immigrazione
35000
emigranti/anno
1861
800000
emigranti/anno
1900
1915
Emigrazione di massa in
America per cercare fortuna
Italia = economia agricola,
mancanza di denaro
Fenomeno intensificato in
seguito allo sviluppo
industriale statunitense
Assenza
fenomeni
migratori
(fascismo)
1935
Svolta: da Paese di
emigranti a Paese in
grado di accogliere
-
1948
Strage di Marcinelle
1956
Caduta
Muro di
Berlino
1989
Questione
Libia
2011
1941 Costituzione
40000 (+200000
lavoratori) italiani in
Etiopia. Dopo la
caduta dell’”Impero”
(1941) inizia la
persecuzione.
Fenomeno della
fuga di cervelli
(E. Fermi, B.
Pontecorvo)
In totale: 50 milioni di emigrati
50% in Europa
50% in America
Cause: mancanza lavoro, sicurezza, salute
Lotta alla mafia
Movimento
indipendentista
siciliano
1861
1900
1926
1947 - 1948
Guerra alla
mafia
1970
1980
Costituzione
Mafia rurale
Prefetto
(“campieri” o “gabellotti”) Mori
Approfondimenti:
Grandi personalità: C. Mori, Padre G. Puglisi, G.
Falcone, P. Borsellino, P. Impastato, C. A. Dalla
Chiesa, L. Sciascia, G. Caselli
Mafia dei suoli
urbani e del
commercio
agricolo
Mafia
imprenditrice
2011
L. Sciascia
Leonardo Sciascia nasce a Racalmuto, vicino ad Agrigento, nel 1921. Profondo sarà
il legame fra l’autore e la sua terra, legame che influenzer{ notevolmente la sua
produzione artistica. In particolare, dopo alcuni anni di attività, otterrà la
celebrit{ con Il giorno della civetta, “giallo che non è un giallo” (secondo Calvino),
caratterizzato da un intreccio originalissimo ed inconsueto, in cui una trama
lineare si unisce e lega indissolubilmente a personaggi oscuri, dal passato torbido.
Successivamente, l’attenzione per la “questione mafia” della sua terra andò
affievolendosi, lasciando spazio ad un interesse politico tutto nuovo, sincero:
dapprima legatosi al P.C.I., in seguitò ne uscì, per via di alcuni contrasti coi
dirigenti (si dimostrò, di fatto, contrario all’idea di un governo di unit{
nazionale). Entrò quindi nei Radicali. Gli ultimi anni di attività sono segnati da
una lunga malattia. L’autore si spegner{ nella natia Sicilia nel 1989. Sulla sua
tomba, l’epitaffio: “Ce ne ricorderemo, di questo pianeta”.
G. Caselli
Gian Carlo Caselli, procuratore capo antimafia a Palermo dal 1993 al 1999, è nato il 9 maggio 1939 ad
Alessandria ed è stato giudice istruttore a Torino, dove per un decennio ha condotto le inchieste su Prima
Linea e le Brigate Rosse. Ha guidato la procura di Palermo dal 1993 al 1999, negli anni successivi alle uccisioni
di Falcone e Borsellino, e nel marzo del 1993 ha avviato l'inchiesta sul senatore a vita Giulio Andreotti ed ha
firmato la richiesta di autorizzazione a procedere insieme al procuratore aggiunto Guido Lo Forte. Nel 1999
lascia Palermo dopo essere stato nominato direttore generale del dipartimento dell’amministrazione
penitenziaria. Nel 2001 è stato nominato rappresentante a Bruxelles nell’organizzazione comunitaria contro
la criminalità organizzata, Eurojust. Attualmente è procuratore generale presso la corte di Torino.
Dopo l’esperienza del terrorismo inizia un nuovo capitolo del Suo impegno professionale, questa volta in
prima linea a Palermo, contro la mafia, raccogliendo l’eredit{ di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Così
afferma in un intervista del 2006:
“Alla radio apprendo dell’assassinio di Giovanni Falcone, di sua moglie e della scorte, sull’autostrada di Capaci.
Tra lo sgomento, la rabbia e le emozioni, ancora neppure immagino il destino che mi attende e che, da lì a
qualche mese, mi avrebbe portato a Palermo, ad occuparmi di mafia. Quando, nel luglio dello stesso anno,
Paolo Borsellino salterà per aria in via D’Amelio insieme alla sua scorta, si fa strada in me e via via cresce l’idea
che è giunto il tempo di lasciare la mia citt{ e di mettermi a disposizione: per provare a raccogliere l’eredit{ dei
due grandi, inarrivabili magistrati. Spero di poter affiancare, con la mia esperienza positiva maturata negli
anni della lotta contro il terrorismo delle Brigate Rosse e di Prima Linea, il lavoro di tanti e coraggiosi colleghi,
molti giovani, che a Palermo già lottano contro la mafia.
Sono appena arrivato a Palermo, quando, il 15 gennaio 1993, mi viene comunicata la cattura di Totò Riina, il
capo della Cupola, latitante da vent’anni. In quei momenti di grande emozione, penso al sacrificio di Falcone e
Borsellino e alla loro forte convinzione che davvero la mafia si possa sconfiggere. Basta volerlo fermamente”.
Nord/Sud
Brigantaggio
1861
1865
1900
1915
1945
1948
1950
Costituzione Cassa del
Squilibrio:
Nord – Gestione capitalista
Sud – Latifondi, gestione Espansione industria
italiana
feudale
Aumento dislivello
nord/sud
Approfondimenti:
Grandi personalità: N. Zitara
Fascismo
(volontà di
Mussolini di
cancellare la
“Questione
Meridionale”)
Mezzogiorno
Legge di Credito
Agevolato
1953
N. Zitara
Studioso meridionalista, autore di numerosi saggi tra cui "L'Unità d'Italia: nascita di una
colonia” e "Memorie di quand'ero italiano". È uno dei principali esponenti della classe
culturale meridionalista che vede nella rinascita di uno Stato duosiciliano indipendente
l'unica alternativa efficace alla risoluzione dei problemi del Sud.
Nato a Siderno (Reggio Calabria) da Vincenzo, oriundo amalfitano, e da Grazia Spadaro, di
famiglia siciliana, compie gli studi classici a Locri e quelli universitari a Napoli. Dopo la
laurea in giurisprudenza lavora per molti anni nell’azienda commerciale del padre per poi
trasferirsi a Cremona quale insegnante di diritto ed economia. Rientra a Siderno nel 1961,
dopo la morte del padre.
Quando venne ricostituito il partito socialista, dopo la seconda guerra mondiale, entrò a
farvi parte, per poi passare al partito socialista italiano di unità proletaria di cui fu
segretario di federazione a Catanzaro.
Partecipò alla fondazione del settimanale Il gazzettino dello Jonio che pubblicò fino al 1967,
anno in cui iniziò la sua partecipazione ai Quaderni Calabresi.
Tema centrale del discorso, che egli porta avanti nella sua attività, è il concetto che l'unità
d'Italia sia stata sostanzialmente un danno, se non la causa principale dei mali che
affliggono il meridione, devastando un regno, quello delle Due Sicilie, nel periodo
preunitario florido e avviato verso un equilibrato decollo economico-sociale. Era
attivamente impegnato in un'opera di divulgazione storico-politica tendente a
contrastare la storiografia ufficiale, che egli considerava capziosamente squilibrata in favore
delle classi dominanti e dell'area geopolitica settentrionale.
1919 - 1945
Dopo l’avvento del Fascismo, Mussolini pretese di “cancellare dal vocabolario italiano” la
Questione Meridionale, ma la sua politica non fece che confermare la subordinazione del Sud
al Nord. Infatti, il protezionismo, la “battaglia del grano”, l’”Autarchia” favorirono il settore
agricolo più arretrato (e che dava mano lavoro) rispetto a quello più moderno.
L’esaltazione dell’ “Italia contadina”, coi suoi valori d’onest{ e solidariet{ umana (che crearono
base di consenso al Fascismo) si accompagnò ad una stagnazione economica che fece
dell’economia agricola un’economia di “sussistenza”.
Tenere bassi i prezzi dei prodotti agricoli permise di ridurre i salari, favorendo lo sviluppo
industriale; la politica fiscale inoltre favorì la grande proprietà immobiliare, abolendo
l’imposta di successione e diminuendo in sé il potere agrario, gestendo i contratti a favore dei
proprietari; lo stesso controllo dell’emigrazione permise di ridurre i salari.
Intanto il Meridione accettava ogni cosa passivamente, senza una vera opposizione al regime,
mentre la categoria dei grossi agrari – irritati e intimoriti dalle recenti occupazioni di terre,
dagli scioperi agricoli, dalle crescenti “pretese” dei “cafoni” – vide tutelati appieno dal
Fascismo i propri interessi e si fece strenua sostenitrice del Regime.
Per i cosiddetti “cafoni”, l’avvento del Fascismo significò la perdita delle conquiste parziali
ottenute nell’immediato dopoguerra dalle organizzazioni contadine: i contratti collettivi che
sopprimevano le prestazioni supplementari e gli iniqui privilegi padronali, i miglioramenti
nel trattamento economico ed infine le leggi che riconoscevano ai contadini poveri
organizzati in cooperativa il diritto di occupare terre incolte o mal coltivate.
Questi diritti che avrebbero consentito alle masse rurali migliori condizioni di vita – ma che
intaccavano i profitti ed i privilegi dei proprietari – vennero dunque soppressi dal Fascismo. Fu
questo il prezzo che il latifondo del Sud pretese per sostenere il nuovo Regime.
È innegabile, comunque, che, nella sua incolpevole diseducazione politica, il Meridionale non
guardò con eccessiva antipatia a Mussolini, in cui fece rivivere l’antica immagine del sovrano
paternalistico.
La così tanto attesa “rivoluzione meridionale”, infatti, non avrebbe mai potuto realizzarsi prima
che si impostasse diversamente tutta la politica governativa, prima che si fosse sostituito al
prepotere delle vecchie classi dirigenti il decentramento amministrativo e prima che si
rendessero le masse consapevoli dei propri diritti.
Si spiega intanto come, all’indomani del periodo fascista, la discussione sul Mezzogiorno
riprendesse con rinnovato vigore, tanto più che maggiore appariva ormai il ruolo che le masse
contadine meridionali avrebbero avuto nella vita nazionale e gli effetti che sarebbero derivati
dal suffragio universale introdotto nel 1913. Si stava procedendo, infatti, ad educare le masse,
affinché apprendessero i propri diritti.
Cassa del Mezzogiorno
Nel dopoguerra l’economia del Sud Italia, come visto in precedenza, era ancora
molto
arretrata; così il governo di allora cercò un modo per incentivare lo sviluppo al Sud.
Il rimedio sembrava essere la "Cassa del mezzogiorno" che venne istituita nel 1950
e fu seguita da una legge del 1953 di credito agevolato.
Il progetto consisteva nello stanziamento di 1000 miliardi di lire (circa 7 miliardi di
franchi all’epoca) da destinare alle industrie che si fossero localizzate sotto una linea
immaginaria che si trovava a sud di Roma.
La linea fu tracciata lì, perché si stimava che in quel area risiedeva una percentuale
pari al 38% della popolazione nazionale, quindi gli aiuti avrebbero toccato
moltissime persone.
La cassa del Mezzogiorno era un incentivo che serviva per invogliare le industrie a
stabilirsi nel sud Italia, così facendo avrebbero contribuito a sviluppare questa area.
Inoltre vi era la concessione di esenzioni fiscali e di contributi a fondo perso a tutti
coloro che volevano creare attività industriali nel sud.
Spesso succedeva che chi decideva di stabilire la propria attività sistemasse le sue
industrie il più vicino possibile alla linea di divisione della penisola dato che il
mercato non era certo nel sud Italia bensì al nord; in tal caso i prodotti giungevano
molto più rapidamente nella Pianura Padana e loro potevano comunque usufruire
dei sussidi e delle esenzioni da tasse.
Nel mezzogiorno e nelle isole furono create grandi aziende chimiche siderurgiche e
meccaniche dette "Cattedrali del deserto", si pensava che esse avrebbero dato
lavoro a milioni di disoccupati ma anche che avrebbero potuto produrre e vendere
a condizioni convenienti e che intorno si sarebbe potuto sviluppare il cosiddetto
indotto costituito da tante piccole aziende private al servizio dell’azienda pubblica.
Purtroppo non fu così perché le grandi aziende che furono costruite erano poco
efficienti e molto inquinanti. I loro dirigenti furono nominati molto spesso per motivi
politici anche se non avevano esperienza industriale. Le industrie costruite nelle
cosiddette zone depresse si rivelarono troppo grandi e troppo costose. In pochi anni
sperperarono quantità consistenti di denaro pubblico senza riuscire a creare né un
indotto né uno sviluppo economico.
Brigantaggio
Dal 1861 al 1865 si sviluppò in Basilicata, in Molise, in parte dell'Abruzzo, della
Calabria e della Puglia il cosiddetto fenomeno del "brigantaggio". Organizzati in
bande i briganti attaccavano i paesi, saccheggiavano negozi e davano fuoco agli
edifici comunali, per poi fuggire nelle campagne o sulle alture. Si trattava di un
fenomeno molto esteso, che coinvolse migliaia di persone e che ebbe moltissimi
fiancheggiatori nel meridione e che fu espressione di un profondo disagio maturato
in ampi strati della popolazione meridionale all'indomani dell'unificazione.
I briganti erano il simbolo del malcontento dei contadini e della massa popolare
che aveva attivamente partecipato ai moti risorgimentali nella speranza d'ottenere
cambiamenti importanti sotto il profilo economico e sociale e che era ora delusa
nelle sue aspettative. L'annessione piemontese non aveva infatti portato per loro
nessun miglioramento della situazione, lasciando immutati i rapporti di forza tra
popolo e i ricchi borghesi proprietari della terra: dall'unità anzi erano venuti per
loro solo danni, poiché era stato introdotto la coscrizione obbligatoria e erano state
inasprite le tassazioni.
Padre G. Puglisi
Padre Giuseppe Puglisi, meglio conosciuto come Pino, (Palermo, 15
settembre 1937 – Palermo, 15 settembre 1993) è stato un presbitero
italiano, ucciso dalla mafia il giorno del suo 56º compleanno a motivo
del suo costante impegno evangelico e sociale.
Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del
SS.mo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio,
e rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi.
Nel 1967 è nominato cappellano presso l’Istituto per orfani di
lavoratori «Roosevelt» e vicario presso la parrocchia Maria SS. ma
Assunta Valdesi.
Sin da questi primi anni segue con attenzione i giovani e si interessa
delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città. In
questi anni segue anche le battaglie socia­li di un’altra zona della
periferia orientale della città, lo «Scaricatore». Agli studenti e ai
giovani del Centro Diocesano Vocazioni ha dedicato con passione
lunghi anni realizzando, attraverso una serie di “campi scuola”, un
percorso formativo esemplare dal punto di vista pedagogico e
cristiano.
Il 29 settembre 1990 è nominato parroco della Parrocchia S. Gaetano di Brancaccio.
L’annunzio di Gesù Cristo desiderava incarnarlo nel territorio, assumendone quindi tutti i
problemi per farli propri della comunità cristiana. La sua attenzione si rivolse al recupero
degli adolescenti già reclutati dalla criminalità mafiosa, riaffermando nel quartiere una
cultura della legalità illuminata dalla fede.
Questa sua attività pastorale come è stato ricostruito dalle inchieste giudiziarie ha costituito
un movente dell’omicidio, i cui esecutori e mandanti sono stati arrestati e condannati.
Nel ricordo del suo impegno, scuole, centri sociali, strutture sportive, strade e piazze a lui
sono state intitolate a Palermo e in tutta la Sicilia.
C. Mori
Mori, il «prefetto di ferro», rappresenta nella «memoria storica» della
lotta alla mafia, la cosiddetta «soluzione forte» ovvero quella della
sospensione di ogni diritto, delle manieri forti, delle città in stato
d'assedio. E' la carta giocata dal neonato regime fascista e spesso
rivendicata, ai tempi della «civetta» ma ancora oggi, come esempio
d'un duro e determinato modo di affrontare la malavita
organizzata.Cesare Mori si insedia a Palermo il 22 ottobre 1925 e gode
di pieni poteri conferiti da Mussolini in persona. Il primo gennaio del
'26 occupa militarmente la zona di Gangi e rastrella il paese con
Carabinieri e uomini della milizia. I banditi, piccoli mafiosi rurali e
vecchi latitanti, vengono stanati e umiliati. Donne e bambini vengono
usati come ostaggi per costringere i malviventi alla resa. Particolare
non secondario nell’assedio di Gangi il ruolo giocato dal barone
Sgadari, grosso proprietario terriero, da tempo in affari con i mafiosi
locali e salvato con l’impunit{ dal Mori in cambio d’una mediazione
atta a convincere i resistenti.
L’azione di Mori continuer{ nel biennio ‘26-’27, il numero degli arrestati raggiunger{ livelli
record e anche quello dei latitanti indotti alla «fuga» negli Usa dove ben s’accomodarono nei
«ruggenti» anni del proibizionismo. In ogni caso sul finire del ‘27 il prefetto fu nominato
senatore del regno mentre Mussolini alla Camera dichiarava solennemente «la Mafia è
sconfitta».In realtà, il prefetto Mori lottò soprattutto contro la Mafia rurale e i suoi strati
deboli ; usò metodi in linea con la logica del regime e quasi riesumando la guerra «contro il
brigantaggio» condotta nell’Italia postunitaria; l’azione di Mori s’avvalse dell’opera di agrari
e grandi latifondisti che trovarono così una legittimazione forte, durata in Sicilia fino alla
soglia degli anni ’70. Mori non distingueva tra colpevoli e innocenti e nel suo approccio
«militare» del problema contava soltanto il numero dei prigionieri con cui chiudere ogni
campagna operativa.La sua azione fu usata anche per scopi poco limpidi e, va dato atto, fu
lui stesso a riconoscere che la «qualifica di mafioso viene spesso usata in malafede.. come
mezzo per compiere vendette, per sfogare rancori, abbattere avversari.») qui il riferimento
più clamoroso è al caso di Alfredo Cocco, fascista della prima ora e esponente dell’ala
radicale del partito in contrasto con latifondisti e vecchia nobiltà palermitana, (il Cocco fu
così tolto di mezzo e la sua odissea politico-giudiziaria favorì giustappunto la convergenza
tra l’ala conservatrice del Pnf e gli agrari siciliani). I metodi del Mori generarono diffuso
malcontento nelle popolazioni interessate e queste finirono dunque per vedere nelle forze di
polizia un esercito straniero da temere e nello Stato un nemico di cui diffidare a futura
memoria, disperdendo definitivamente quelle tradizioni «risorgimentali» che avevano fatto
della Sicilia elemento indiscutibile dell’unit{ nazionale .
G. Falcone
(Palermo, 18 maggio 1939 – Isola delle Femmine, 23 maggio 1992)
è stato un magistrato italiano. Assassinato insieme alla moglie e alla
scorta dalla mafia, è considerato un eroe italiano,come Paolo Borsellino,
di cui fu amico e collega. Falcone vinse il concorso in Magistratura nel
1964 e per breve tempo fu pretore a Lentini. Fu poi sostituto procuratore
al tribunale di Trapani per dodici anni. Qui, a poco a poco, nacque in lui
la passione per il diritto penale.
Dopo l'omicidio del giudice Cesare Terranova fece domanda ed ottenne
di lavorare all'Ufficio istruzione, che sotto la successiva guida di Rocco
Chinnici, diviene un esempio innovativo di organizzazione giudiziaria.
Nel maggio 1980 Chinnici affidò a Falcone le indagini contro Rosario
Spatola: un lavoro che coinvolgeva anche criminali negli Stati Uniti e
all'epoca osteggiato da alcuni altri magistrati.
Alle prese con questo caso, Falcone comprese che per indagare con successo le associazioni
mafiose era necessario basarsi anche su indagini patrimoniali e bancarie. Ricostruire il percorso
del denaro che accompagnava i traffici ed avere un quadro complessivo del fenomeno.
Grazie ad un attento controllo di tutte le carte richieste, una volta superate le reticenze delle
banche, e "seguendo i soldi" riuscì ad iniziare a vedere il quadro di una gigantesca
organizzazione criminale: i confini di Cosa nostra. Falcone, trovò la prova che Michele
Sindona si trovava in Sicilia smascherando quindi il finto sequestro organizzato a suo favore
dalla mafia siculo-americana alla vigilia del suo giudizio. Nei primi giorni del mese di
dicembre 1980 Giovanni Falcone si recò per la prima volta a New York per discutere di mafia.
Il 29 luglio 1983 il consigliere Chinnici fu ucciso; lo sostituì Antonino Caponnetto, il quale
riprese l'intento di assicurare agli inquirenti le condizioni più favorevoli nelle indagini sui
delitti di mafia. Si costituì allora, per le necessità interne a queste indagini, il cosiddetto "pool
antimafia", sul modello delle èquipes attive nel decennio precedente di fronte al fenomeno
del terrorismo politico. Del gruppo faceva parte lo stesso Falcone.
Sono anni tumultuosi che vedono la prepotente ascesa dei Corleonesi, i quali impongono il
proprio feudo criminale insanguinando le strade a colpi di omicidi. Emblematici i titoli del
quotidiano palermitano L'Ora, che arriverà a titolare le sue prime pagine enumerando le
vittime della drammatica guerra di mafia. Si giunse - attraverso vicende drammatiche - alla
sentenza di condanna a Cosa nostra del primo maxiprocesso, emessa il 16 dicembre 1987 dalla
Corte di assise di Palermo. Il 20 giugno '89 si verificò il fallito e oscuro attentato dell'Addaura
presso Mondello; a proposito del quale Falcone affermò "Ci troviamo di fronte a menti
raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di
collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi.
Ho l'impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le
ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi". Seguì subito l'episodio, sconcertante,
del cosiddetto "corvo", ossia di alcune lettere anonime dirette ad accusare astiosamente lo
stesso Falcone e altri. Le indagini relative furono compiute anche dall'Alto commissario per
la lotta alla mafia, guidato dal prefetto D. Sica. Una settimana dopo l'attentato il Consiglio
superiore decise la nomina di Falcone a procuratore aggiunto presso la Procura della
Repubblica di Palermo. Alle elezioni del 1990 dei membri togati del Consiglio superiore
della magistratura, Falcone, fu candidato per le liste "Movimento per la giustizia" e
"Proposta 88" con esito però negativo. La sua candidatura a questi compiti, peraltro, fu
ostacolata in seno al Consiglio superiore della magistratura, il cui plenum, tuttavia, non
aveva ancora assunto una decisione definitiva, quando sopraggiunse la strage di Capaci del
23 maggio. Insieme a Falcone, a Capaci, persero la vita la moglie Francesca Morvilio,
magistrato, e gli agenti di scorta Rocco Di Cillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro.
All'esecrazione dell'assassinio, il 4 giugno si unì il Senato degli Stati Uniti, con una
risoluzione (la n. 308) intesa a rafforzare l'impegno del gruppo di lavoro italo-americano,
di cui Falcone era componente.
P. Borsellino
Paolo Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940 – Palermo, 19
luglio 1992) è stato un magistrato italiano, vittima della mafia.
Nel 1963 Borsellino partecipò al concorso per entrare in
magistratura e divenne il più giovane magistrato d'Italia. Iniziò
quindi il tirocinio come uditore giudiziario.
Il 21 marzo 1975 fu trasferito a Palermo ed il 14 luglio entrò
nell'ufficio istruzione affari penali sotto la guida di Rocco
Chinnici. Nel febbraio 1980 Borsellino fece arrestare i primi sei
mafiosi. Grazie all'indagine condotta da Basile e Borsellino
sugli appalti truccati a Palermo a favore degli esponenti di
Cosa Nostra si scopre il fidanzamento tra Leoluca Bagarella e
Vincenza Marchese sorella di Antonino Marchese, altro
importante Boss.
Il 4 maggio 1980 Emanuele Basile fu assassinato e fu decisa l'assegnazione di una scorta alla
famiglia Borsellino.
In quell'anno si costituì il "pool" antimafia nel quale sotto la guida di Chinnici lavorarono
alcuni magistrati (fra gli altri, Falcone, Borsellino, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta,
Giovanni Barrile) e funzionari della Polizia di Stato.
Nel racconto che ne fece lo stesso Borsellino, il pool nacque per risolvere il problema dei
giudici istruttori che lavoravano individualmente, separatamente, ognuno "per i fatti suoi",
senza che uno scambio di informazioni fra quelli che si occupavano di materie contigue
potesse consentire, nell'interazione, una maggiore efficacia con un'azione penale
coordinata capace di fronteggiare il fenomeno mafioso nella sua globalità.
Il 29 luglio 1983 fu ucciso Rocco Chinnici, con l'esplosione di un'autobomba. Il pool
allora chiese una mobilitazione generale contro la mafia.
Borsellino chiese ed ottenne (il 19 dicembre 1986) di essere nominato Procuratore della
Repubblica di Marsala.
Borsellino rilasciò interviste e partecipò a numerosi convegni per denunciare
l'isolamento dei giudici e l'incapacità o la mancata volontà da parte della politica di
dare risposte serie e convinte alla lotta alla criminalità. In una di queste Borsellino
descrisse le ragioni che avevano portato all'omicidio del giudice Rosario Livatino e
prefigurò la fine (che poi egli stesso fece) che ogni giudice "sovraesposto" è destinato a
fare.
Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato con la moglie e i figli, Paolo Borsellino si recò
insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove viveva sua madre.
Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell'abitazione della madre con circa 100 kg di
tritolo a bordo, esplose al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Paolo Borsellino
anche i cinque agenti di scorta come.
Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista
MicroMega, così come in una intervista televisiva a Lamberto Sposini, Borsellino aveva
parlato della sua condizione di "condannato a morte". Sapeva di essere nel mirino di
Cosa Nostra e sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime
designate.
P. Impastato
È nato nella terra dei vespri e degli aranci, tra Cinisi e
Palermo parlava alla sua radio, / negli occhi si
leggeva la voglia di cambiare, la voglia di giustizia
che lo portò a lottare, / aveva un cognome
ingombrante e rispettato, di certo in quell'ambiente
da lui poco onorato, / si sa dove si nasce ma non
come si muore e non se un ideale ti porterà dolore (I
cento passi, Modena City Ramblers)
Peppino Impastato nacque a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 gennaio 1948, da una
famiglia mafiosa (il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, lo zio
e altri parenti erano mafiosi e il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella, ucciso
nel 1963 in un agguato nella sua Giulietta imbottita di tritolo).
Ancora ragazzo rompe con il padre, che lo caccia di casa, ed avvia un'attività politicoculturale antimafiosa.
Nel 1965 fonda il giornalino L'idea socialista e aderisce al PSIUP. Dal 1968 in poi, partecipa,
con ruolo dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra. Conduce le lotte dei
contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell'aeroporto di Palermo, in
territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati. Nel 1978 si candida nella lista di
Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Viene assassinato nella notte tra
l'8 e il 9 maggio del 1978, nel corso della campagna elettorale, con una carica di tritolo
posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Pochi giorni dopo, gli elettori di
Cinisi votano il suo nome, riuscendo ad eleggerlo, simbolicamente, al Consiglio comunale.
Stampa, forze dell'ordine e magistratura parlano di atto terroristico in cui l'attentatore
sarebbe rimasto vittima e di suicidio dopo la scoperta di una lettera scritta in realtà molti
mesi prima. L'uccisione, avvenuta in piena notte, riuscì a passare la mattina seguente quasi
inosservata poiché proprio in quelle ore veniva "restituito" il corpo senza vita del
presidente della DC Aldo Moro in via M. Caetani a Roma.
Grazie all'attività del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta Impastato che
rompono pubblicamente con la parentela mafiosa e grazie anche ai compagni di militanza
e del Centro siciliano di documentazione di Palermo, nato nel 1977 e che nel 1980 si
sarebbe intitolato proprio a Giuseppe Impastato, viene individuata la matrice mafiosa del
delitto e sulla base della documentazione raccolta e delle denunce presentate viene
riaperta l'inchiesta giudiziaria.
Il 9 maggio del 1979, il Centro siciliano di documentazione organizza, con Democrazia
Proletaria, la prima manifestazione nazionale contro la mafia della storia d'Italia, a cui
parteciparono 2000 persone provenienti da tutto il paese.Nel maggio del 1984 l'Ufficio
Istruzione del Tribunale di Palermo, sulla base delle indicazioni del Consigliere istruttore
Rocco Chinnici, che aveva avviato il lavoro del primo pool antimafia ed era stato
assassinato nel luglio del 1983, emette una sentenza, firmata dal Consigliere Istruttore
Antonino Caponnetto, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però ad
ignoti.
C. A. Dalla Chiesa
Carlo Alberto Dalla Chiesa (Saluzzo, 27 settembre 1920 –
Palermo, 3 settembre 1982) è stato un generale, prefetto e
partigiano italiano.
Figlio di un Carabiniere, entrò nell'Esercito come sottotenente;
divenne ufficiale di complemento di fanteria nel 1942 e nello
stesso anno passò all'Arma dei Carabinieri in servizio
permanente effettivo completando gli studi di giurisprudenza. A
causa del suo rifiuto a collaborare nella caccia ai partigiani, viene
inserito nella lista nera dai nazisti, ma riesce a fuggire prima che
le SS riescano a catturarlo.
Dopo la guerra fu inviato a comandare una tenenza a Bari, dove riesce a conseguire 2 lauree;
una in giurisprudenza e l'altra in scienze politiche (per quest'ultima segue i corsi di Laurea
tenuti dall'allora docente Aldo Moro).
Dal 1966 al 1973 tornò in Sicilia con il grado di colonnello, al comando della legione
carabinieri di Palermo. Iniziò particolari indagini per contrastare Cosa Nostra, che nel 1966
e 1967 sembra aver abbassato i toni dello scontro che si era verificato nei primi anni 60.
Dalla Chiesa utilizzò un nuovo metodo che consiste nell'utilizzo di infiltrati, in grado di
fornire elementi utili per creare una mappa del potere di Cosa Nostra, arrivando a
conoscere non solo gli elementi di basso livello, ma anche gli intoccabili Boss.
Il risultato di queste indagini fu il dossier dei 114. Gran parte dei nomi esposti nel dossier erano
però sconosciuti all'opinione pubblica e alla magistratura. Come conseguenza del dossier,
scattarono decine di arresti dei boss, e per coloro i quali non sussisteva la possibilità
dell'arresto scattò il confino.
Nel 1973 fu promosso al grado di generale di brigata, nel 1974 divenne comandante della
regione militare di nord-ovest, con giurisdizione su Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria.
Si trovò cosi a dover combattere il crescente numero di episodi di violenza portati avanti dalle
Brigate Rosse, e al loro crescente radicarsi negli ambienti operai.
Il 3 settembre del 1982, la macchina sulla quale viaggiava il prefetto fu affiancata, da una BMW
dalla quale partirono alcune raffiche di Kalashnikov AK-47 che uccisero il prefetto e la giovane
moglie.
Questione Femminile
Legge Carcano
(Anna Kuliscioff e
Partito socialista)
regolamentazione
del lavoro
1861
1900 1903
Legge Morelli
per
partecipazione
delle donne come
testimoni ai
processi
Resistenza
1919
Legge Merlin :
abolizione della Legge Fortuna
sul divorzio
prostituzione
1943-1945 1948
Abolizione
dell’autorizzazion
e maritale ed
emancipazione
giuridica
Costituzione
Diritto di
voto Togliatti
e De Gasperi
Approfondimenti:
Grandi personalità: A. Kuliscioff, N. Iotti, C.
Capponi
1958 - 1960 1970 1979
Ammissione a
tutte la
professioni
Legge
sull’aborto
Legge sulla
violenza
sessuale
1996 2000
Congedi
parentali
Resistenza
Negli anni del fascismo e dell’occupazione nazista vi furono donne che lasciarono i focolari, le gonne, i rosari, i doveri
materni e si unirono alla lotta partigiana.
Il loro apporto fu massiccio sin dai primi momenti della lotta partigiana arrivando fino agli ultimi giorni dell’aprile 1945,
con la completa liberazione del Paese. Si può affermare che le donne che furono impegnate in compiti ausiliari nella
Resistenza italiana non furono meno di un milione, mentre, secondo le statistiche ufficiali, le cosiddette ‘partigiane
combattenti’ furono circa 35 mila.
RUOLI: partecipazione alle agitazioni nelle piazze, rifocillamento dei feriti, raccolta di armi, munizioni e indumenti e
dura e spesso sanguinosa lotta sulle montagne, atti di sabotaggio, interruzione delle vie di comunicazione, aiuto ai
partigiani, occupazione dei depositi alimentari tedeschi, approntamento di squadre di pronto soccorso attività di
propaganda politica e di informazione.
Famoso il ruolo della staffetta, era spesso ricoperto da giovani donne tra i 16 e i 18 anni, per il semplice fatto che si
pensava destassero meno sospetti e che non venissero quindi sottoposte a perquisizione. Le staffette avevano il compito
di garantire i collegamenti tra le varie brigate e di mantenere i contatti fra i partigiani e le loro famiglie; in alcuni casi
avevano anche il compito di accompagnare gli eventuali resistenti. All'interno della brigata, la staffetta aveva spesso
anche il ruolo fondamentale di infermiera, tenendo i contatti con il medico e il farmacista per curare i soldati da
pidocchi e dalle ferite procurate in battaglia. Le Staffette non erano armate e per questo il loro compito era molto
pericoloso. Il loro obiettivo era quello di passare inosservate: infatti erano vestite in modo comune, ma con una borsa
con doppio fondo, per nascondere tutto ciò che dovevano trasportare. Altri collegamenti che si rivelarono indispensabili
sin dagli inizi della guerriglia erano quelli che tenevano le staffette tra città e montagna. Specie nei momenti più
difficili, le staffette recuperavano e mettevano in salvo molti feriti e sbandati e ripristinavano quasi tutti i collegamenti
che l'operazione nemica aveva interrotto.
Percorrevano chilometri in bicicletta, a piedi, talvolta in corriera e in camion, pigiate in un treno insieme al bestiame,
per portare notizie, trasportare armi e munizioni, sotto la pioggia e il vento, tra i bombardamenti e i mitragliamenti,
con il pericolo ogni volta di cadere nelle mani dei nazifascisti.
La figura della Staffetta fu molto rispettata e fu il ruolo più riconosciuto per la pericolosità e l'importanza. Una delle
Staffette a cui è stata conferita la Medaglia d'oro al valor militare è Carla Capponi, partigiana italiana scomparsa nel
2000.
Tra le migliaia di manifesti che circolavano all’epoca si poteva leggere . “ Anche noi siamo scese in campo”, oppure, “
Tutte le donne hanno preso il loro posto di battaglia”.
A. Kuliscioff
Anna Kuliscioff, vero nome Anja Moiseevna Rosenštein, (Simferopol', 9 gennaio
1855 – Milano, 29 dicembre 1925), è stata un'anarchica, medico e rivoluzionaria russa,
tra i principali esponenti e fondatori del Partito Socialista Italiano.
Nata in una ricca famiglia ebrea in Crimea, nel 1871 si trasferì in Svizzera per frequentare
i corsi di filosofia presso l'università di Zurigo, dove successivamente studiò anche
Medicina.
Per ordine dello zar, che iniziava a preoccuparsi per il diffondersi delle idee
rivoluzionarie, fu costretta a rientrare in Russia, dove il rivoluzionario Piotr Makarevič,
suo primo marito, si unì ad altri giovani russi vicini alle idee di Michail Bakunin, nella
cosiddetta "andata verso il popolo", ovvero il lavoro nei villaggi a fianco dei contadini
per condividere la misera condizione. In quel periodo si convinse della necessit{ dell’uso
della forza per liberarli dall’oppressione.
Per la sua attività venne processata dal tribunale russo e riparò in Svizzera, cambiando il suo nome per non essere
rintracciata dagli emissari zaristi in Kuliscioff, che in russo significa manovale. Nel 1888 si specializzò in ginecologia,
prima a Torino, poi a Padova. Con la sua tesi scoprì l'origine batterica della febbre puerperale, aprendo la strada alla
scoperta che avrebbe salvato milioni di donne dalla morte dopo il parto. Si trasferì poi a Milano, dove cominciò ad
esercitare l'attività di medico, recandosi tra l'altro anche nei quartieri più poveri della città. Dai milanesi venne
chiamata la "dottora dei poveri".
Nel 1898 venne arrestata con l'accusa di reati di opinione e di sovversione. Dopo qualche mese venne scarcerata per
indulto. Elaborò poi una legge a tutela del lavoro minorile e femminile che, presentata al Parlamento dal Partito
Socialista, venne approvata nel 1902 come legge Carcano, n°242.
Anna Kuliscioff, assieme alla sindacalista Maria Goia, ebbe parte attiva anche nella lotta per l'estensione del voto alle
donne tanto che, col suo sostegno, nel 1911 nacque il Comitato Socialista per il suffragio femminile. L'anno successivo,
però, una legge di Giolitti sull'istituzione del Suffragio universale maschile, che estese tra l'altro il diritto di voto anche
agli analfabeti che avessero compiuto i trent'anni, continuò ad escludere le donne dal diritto di voto.
N. Iotti
Nilde Iotti, all'anagrafe Leonilde Jotti (Reggio nell'Emilia, 10 aprile 1920 – Poli, 4
dicembre 1999), è stata una politica italiana, prima donna a ricoprire la carica di
Presidente della Camera dei deputati. Fece tre legislature, dal 1979 al 1992,
conseguendo un primato finora incontrastato nell'Italia repubblicana.
Rimase orfana del padre Egidio (ferroviere e sindacalista socialista) nel 1934. Si
laureò in lettere all'Università Cattolica di Milano. Fu per qualche tempo insegnante
ma decise di abbandonare la professione quando maturò un profondo spirito
antifascista che la convinse ad occuparsi di politica.
Dopo l'8 settembre 1943 si iscrive al PCI e, secondo alcune fonti, partecipa alla
Resistenza, svolgendo inizialmente la funzione di porta-ordini, poi aderendo ai
Gruppi di Difesa della Donna, formazione antifascista del PCI, diventando
organizzatrice e responsabile. Fu presidente dell'Unione Donne Italiane di Reggio
Emilia. Nel 1946 viene candidata dal Partito Comunista Italiano come parlamentare
e viene eletta.
Nello stesso anno inizia a Roma una relazione con il Segretario Nazionale del PCI, Palmiro Togliatti, di 27 anni più
anziano (già marito di Rita Montagnana e padre di Aldo), che terminerà soltanto con la morte del leader comunista,
nel 1964. Il loro legame diviene pubblico nella contingenza dell'attentato del 1948. Togliatti lascia per lei moglie e
figlio, decisione che fu dura da accettare per i militanti del PCI. Insieme adottarono una bambina orfana: Marisa
Malagoli.
Nilde Iotti entra poi nell'Assemblea Costituente, dove passa a far parte della Commissione dei 75 incaricata della
stesura della Costituzione.
Rieletta nel 1948 alla Camera dei deputati, siede tra i banchi di Montecitorio ininterrottamente sino al 1999 e per lungo
tempo ne presiede l'Assemblea: viene infatti eletta Presidente della Camera dei deputati per tre volte consecutive,
ricoprendo così quella carica per 13 anni, dal 1979 al 1992. Nessuno nella storia d'Italia ha ancora raggiunto il suo
primato.
Rinunciò a tutti gli incarichi il 18 novembre del 1999 a causa di gravi problemi di salute. La Camera dei deputati accolse
le sue dimissioni con un lunghissimo applauso; il futuro presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, suo vecchio
compagno di partito, scrisse nell'occasione una lettera pubblica. Nilde Iotti morì pochi giorni dopo le sue dimissioni, il
4 dicembre 1999, per arresto cardiaco, alla clinica Villa Luana di Roma.
C. Capponi
Carla Capponi nacque a Roma da famiglia piccolo-borghese e antifascista.
Studentessa di giurisprudenza, partecipò alla Resistenza subito dopo l'8 settembre
1943. Ha partecipato anche all'attacco di via Rasella (insieme, tra gli altri, a colui che
sarà suo marito, Rosario Bentivegna) del 23 marzo contro un contingente militare
tedesco, che costituì il pretesto per la terribile strage delle Fosse Ardeatine.
Individuata dalla polizia nazista, abbandonò Roma diventando vicecomandante di
una unità partigiana operante tra Valmontone, Zagarolo e Palestrina.
È stata decorata con la Medaglia d'oro al valor militare per la sua lotta contro il
fascismo ed il nazismo e per la sua partecipazione attiva in qualità di staffetta.
Parlamentare del PCI. Pochi mesi prima della sua morte ha pubblicato un libro di
memorie: Con cuore di donna. È morta nel 2000.
Famiglia
Famiglia di tipo “tradizionale”, fondata sulla
indissolubilità del matrimonio su una precisa
divisione dei ruoli tra i coniugi e sulla
centralità dei figli.
1861
1942
1948
1950
Riformato il diritto di famiglia, che
ha stabilito la parità tra i coniugi sia
nei rapporti personali sia nei
confronti dei figli. Parità tra figli
legittimi e naturali.
Legge sul divorzio
1963
1970 1974
1975
1978
Procreazione
assistita
2004
Costituzione
Legge 431:
integrazione
Diritto di famiglia, fondato sulla
delle norme del
subordinazione della moglie al marito nei
codice in tema
rapporti personali, patrimoniali, nella relazione di adozione e
di coppia e nei riguardi dei figli. Fondata sulla
affido.
discriminazione dei figli nati fuori dal
matrimonio, che ricevono un trattamento
giuridico deteriore rispetto ai figli legittimi
Confermata la legge sul divorzio da
un referendum popolare che ha
sancito di sciogliere il matrimonio
qualora venga a mancare la
comunione spirituale e materiale
tra i due coniugi.
Approvata legge sull’interruzione
volontaria della gravidanza.
Comunicazione, Cinema
Primo
quotidiano
italiano, La
Gazzetta di
Mantova
Avvento del
cinema: fratelli
Lumiére L’uscita
dalle officine
Lumiére
1664 1778 1861 1871 1896
Inaugurazione Telefono
di
della Scala
Meucci
(Milano)
Sbarco sulla
Luna in
Prima
mondovisione
trasmissione (in Italia
televisiva in diretta Rai di
Italia (Rai) 28 ore)
Marconi realizza
la prima
trasmissione di
voce umana fra
Poldhu e Sydney
1921 1924
1948 1954
Costituzione
Fascismo:
censura della
stampa
1910 1914
1937
Inaugurazione
Cinecittà
1957
Carosello
(Prima sigla 1957)
1943
Cinema
neorealista
Approfondimenti:
Grandi personalità: G. Marconi, R. Benigni,
Totò, F. Fellini, M. Mastroianni, A. Sordi.
1969
1950
1977
2011
Televisione
a colori in
Italia
Cinema sociale e politico (influenza
dei movimenti studenteschi di
fine anni 60’)
1955
1970
Commedia Italiana:
Mastroianni, Sordi,
Tognazzi, Monicelli…
Cinema
d’autore degli
anni 50’, 60’, 70’
(Fellini, De
Sica, Visconti)
G. Marconi
Il marchese Guglielmo Marconi (Bologna, 25 aprile 1874 – Roma, 20 luglio 1937) è stato un fisico e inventore italiano. È
conosciuto per aver sviluppato per primo un efficace sistema di comunicazione con telegrafia senza fili via onde
radio che ottenne una notevole diffusione: evoluzioni di tale sistema portarono allo sviluppo dei moderni sistemi e
metodi di radiocomunicazioni in telecomunicazioni come la televisione, la radio, e in generale tutti i sistemi che
utilizzano le comunicazioni senza fili.
G. Marconi introdusse 1931 la prima trasmissione radiofonica di un Pontefice, Pio XI. Nel luglio 1897 Marconi fondò
a Londra la Wireless Telegraph Trading Signal Company (successivamente rinominata Marconi Wireless Telegraph
Company), che aprì il primo ufficio in Hall Street a Chelmsford, in Inghilterra, nel 1898 e impiegava circa 50 persone.
Egli effettuò la prima trasmissione senza fili sul mare da Ballycastle (Irlanda del nord) all'isola di Rathlin nel 1898.
Stabilì un ponte radio tra la residenza estiva della regina Vittoria e lo yacht reale sul quale c'era il principe di Galles, il
futuro Edoardo VII, convalescente per una brutta ferita al ginocchio.
Nel dicembre dello stesso anno, da un battello attrezzato con radio parte una
richiesta di soccorso: è il primo caso di richiesta di salvataggio. Il 29 maggio i segnali
attraversano il canale della Manica, superando la distanza di 51 chilometri. Il
messaggio ricevuto era composto da tre punti, la lettera S del codice Morse. Marconi
installò un analogo trasmettitore a scintilla nel Centro Radio di Coltano, presso Pisa,
nel 1903, che venne utilizzato fino alla seconda guerra mondiale prima per
comunicare con le colonie d'Africa, quindi con le navi in navigazione, ed in seguito
ampliata e potenziata tanto da diventare una delle più potenti stazioni radio
d'Europa. Marconi completò gli esperimenti per ottenere comunicazioni
transoceaniche attendibili fino al 1907 e fondò la Marconi corporation, che
nell’ottobre del 1907 inaugurò il primo regolare servizio pubblico di radiotelegrafia
attraverso l'Oceano Atlantico, dando la possibilità alle navi transatlantiche di
lanciare l'SOS senza fili. L'utilità del radio soccorso in mare si dimostrò il 23
gennaio del 1909, con il primo eclatante soccorso navale che portò al salvataggio
degli oltre 1700 passeggeri del transatlantico americano "Republic", che stava per
affondare dopo essere stato speronato dal piroscafo italiano "Florida".
L’operatore radiotelegrafico Binns, che lavorava per la compagnia Marconi, continuò a lanciare per 14 ore ripetute
l'SOS, finché uno di essi fu ricevuto dal'operatore del piroscafo "Baltic", il cui comandante ordinò di cambiare rotta e
diede il via all'operazione di salvataggio. All'indomani nel porto di New York, salvi tutti i passeggeri, Binns fu
festeggiato come un eroe e la gratitudine coinvolse la figura del marconista, accelerando la popolarità di Marconi.
Nello stesso anno, il 10 dicembre 1909, a Stoccolma Guglielmo Marconi ricevette il premio Nobel per la fisica, condiviso
con il fisico tedesco Carl Ferdinand Braun. La motivazione della Reale Accademia delle Scienze di Svezia recitò: “... a
riconoscimento del contributo dato allo sviluppo della telegrafia senza fili”. Quando, nel 1912, il Titanic affondò dopo
aver lanciato il segnale SOS via radio, Marconi si trovava negli Stati Uniti e accorse al porto di New York per ricevere i
705 superstiti. Intervistato dalla stampa disse «Vale la pena di aver vissuto per aver dato a questa gente la possibilità di
essere salvata». Prima di tornare in Italia, venne organizzata una cerimonia ufficiale in cui i superstiti sfilarono nelle
strade di New York incolonnati, recando in omaggio a Guglielmo Marconi una targa d'oro, realizzata dallo
scultore Paolo Troubetzkoy, quale segno di riconoscenza. L'inventore conferì un premio al
marconista del Titanic Harold Bride che rimase al proprio posto a lanciare messaggi di soccorso, anche quando l'acqua
aveva raggiunto il ponte superiore. Nel 30 maggio 1924 Marconi realizza la prima trasmissione regolare della voce
umana fra Poldhu e Sydney (Australia). Il 26 marzo 1930, alle otto di mattina ora italiana, è diffuso alla folla presente
all'inaugurazione dell'Esposizione di Sydney un discorso di saluto al popolo australiano trasmesso via radio da
Marconi. Tre ore più tardi, al termine del discorso del presidente dell'Esposizione, pronunciato in una grande sala al
lume di candela, Marconi premette un tasto dalla cabina radio dell'Elettra, ancorata nel porto di Genova, ed il
radiosegnale agì su un relè che fece accendere tutte le 2.000 lampadine elettriche dell'Esposizione: la distanza percorsa
dal segnale era di quasi 20.000 chilometri.
Nel 26 marzo 1930, alle otto di mattina ora italiana, è diffuso alla folla presente
all'inaugurazione dell'Esposizione di Sydney un discorso di saluto al popolo
australiano trasmesso via radio da Marconi. Tre ore più tardi, al termine del discorso
del presidente dell'Esposizione, pronunciato in una grande sala al lume di candela,
Marconi premette un tasto dalla cabina radio dell'Elettra, ancorata nel porto di
Genova, ed il radiosegnale agì su un relè che fece accendere tutte le 2.000 lampadine
elettriche dell'Esposizione: la distanza percorsa dal segnale era di quasi 20.000
chilometri. Il 19 luglio 1937 Gugliemo Marconi muore a Roma per un violento attacco
di angina pectoris. Eccezionale fu il gesto compiuto in suo onore: in segno di lutto le
stazioni radio di tutto il mondo interruppero contemporaneamente per due minuti il
servizio, lasciando l'etere in silenzio.
Funerale di stato di
Guglielmo Marconi a
Roma.
Antenna
della
stazione
ricevente
di
Terranova
(1901)
Il 6 novembre 1901 a Poldhu, in Cornovaglia,
Marconi installa un grande trasmettitore la cui
antenna di 130 metri è sollevata da
un aquilone costituito da 60 fili tesi a tela di
ragno tra due piloni alti 49 metri e distanti fra
di loro 61. Poi s'imbarca per St.
John's di Terranova con gli assistenti Kemp e
Paget. I due luoghi, separati dall'oceano
Atlantico, distano fra di loro oltre 3.000
chilometri. Il 12 dicembre 1901 ci fu la
comunicazione che costituì il primo segnale
radio transoceanico. Il messaggio ricevuto era
composto da tre punti, la lettera S del codice
Morse. Per raggiungere Terranova avrebbe
dovuto rimbalzare due volte sulla ionosfera.
Antenna della stazione
trasmittente di Poldhu
(1901)
R. Benigni
Roberto Remigio Benigni OMRI (Manciano La Misericordia, 27 ottobre 1952) è
un attore, comico, regista e sceneggiatore italiano. Fra i numerosi riconoscimenti per il
suo lavoro, vanta il ricevimento del premio Oscar per il film La vita è bella, come attore
protagonista, e la candidatura al Premio Nobel per la letteratura 2007 (principalmente
per l'impegno profuso in favore della diffusione della Divina Commedia di Dante
Alighieri).
Dopo avere iniziato come cantante e musicista debutta sul palcoscenico nel dicembre
del 1971, non ancora ventenne, al Teatro Metastasio di Prato con lo spettacolo Il re
nudo di Evgenij L'vovič Švarc. Nel 1975 fa un incontro fondamentale per la sua carriera,
con Giuseppe Bertolucci, che scrive per lui il monologo Cioni Mario di Gaspare fu
Giulia . Il personaggio, Cioni, che egli delinea, in gran parte autobiografico, contiene
già l'ambivalenza che caratterizza anche in seguito le sue interpretazioni: da un lato,
una smisurata esuberanza gestuale e soprattutto verbale, che ricorre volentieri
all'eloquio plebeo e all'aperta irriverenza verso qualsiasi forma di autorità; dall'altro
lato un candore quasi infantile, che lascia spesso intravvedere una vena di surreale e
malinconica poesia. Approda al cinema nel 1977 nel film, diretto e sceneggiato dallo
stesso Giuseppe Bertolucci, Berlinguer ti voglio bene, che ne asseconda l'estrema
mobilità e la loquacità incontenibile.
La pellicola attraversa numerose traversie, prima di affermarsi presso una parte di pubblico e critica come un film cult. I censori
dell'Italia democristiana dell'epoca avversano la pellicola, impedendone la diffusione in molte sale. Benigni non trova un forte
supporto, anche da parte della critica specializzata, che non si schierò con l'artista.
Apparso a una manifestazione pubblica del Partito Comunista Italiano, del quale era simpatizzante, prese in braccio e dondolò il
leader Enrico Berlinguer. Presenta poi, nel 1980, il Festival di San Remo e nello stesso anno recita nel film di Arbore il Pap'occhio;
seguito l'anno dopo da Il Minestrone di Sergio Citti. Nel 1978 partecipa al programma televisivo di Renzo Arbore L'altra domenica,
nelle vesti di uno stralunato e improbabile critico cinematografico. La collaborazione con Arbore continua con altri due film: Il
pap'occhio del 1980 e FF.SS. del 1983 nel primo si racconta l'inaugurazione di un fantomatico, e in grande anticipo sui tempi, Centro
Televisivo Vaticano: la seconda è un viaggio goliardico nei vizi dell'Italia degli anni ottanta compiuto da una donna delle pulizie,
raccontato in una fantomatica sceneggiatura volata via dallo studio di Federico Fellini. Benigni soprattutto nella prima pellicola è
letteralmente scatenato: da antologia le scene sul balcone papale, dove il nostro si affaccia al posto del Pontefice, e soprattutto
l'impagabile monologo con l'affresco del Giudizio Universale, dapprima tagliato dalla censura e poi riproposto integralmente
nel 1998, alla pubblicazione in videocassetta.
Sbarcato per la prima volta negli Stati Uniti d'America, recita in tre film diretti
dall'amico Jim Jarmusch: Daunbailò (Down by law) del 1986 e nella serie di
cortometraggi Coffee and Cigarettes del 1987, dove l'attore toscano si cimenta col mondo
cupo e soffocante dell'emarginazione nelle metropoli americane e in Taxisti di
notte del 1991, film ad episodi nel quale recita, in una Roma spenta e desolata, la parte di un
tassista toscano che uccide un prete con la sua scabrosa confessione su amori non proprio
ortodossi. Nel 1988 inizia una proficua collaborazione con lo scrittore
e sceneggiatore Vincenzo Cerami in quattro pellicole da lui anche prodotte per la
sua Melampo Cinematografica che ottengono uno straordinario successo di pubblico: nella
prima, Il piccolo diavolo, recita al fianco di Walter Matthau; nella seconda, Johnny
Stecchino si sdoppia in due personaggi e nella terza, Il mostro, allude certamente al
famigerato mostro di Firenze per i delitti del quale in quegli anni si celebrava il processo a
Firenze. Nel 1990 ha invece l'occasione di recitare in un film diretto da Federico Fellini, La
voce della luna, accanto a Paolo Villaggio, nel quale l'attore rinuncia per la prima volta alla
maschera e al vernacolo per tratteggiare un personaggio lunare e inquieto, tutto teso ad
ascoltare voci misteriose provenienti da un pozzo. L'anno seguente recita nella fiaba
musicale di Sergej Prokofiev Pierino e il lupo, sotto la direzione del prestigioso direttore
d'orchestra Claudio Abbado.
Nel 1997 raggiunge la consacrazione internazionale con l'acclamatissimo La vita è bella, il
film che racconta la tragedia dell'Olocausto. La pellicola suscita un vero e proprio vespaio a
causa dell'argomento trattato, in contrasto troppo stridente, secondo alcuni, con la comicità
presente nel film. Benigni, figlio di un ex-deportato (Luigi Benigni fu deportato durante la
guerra in un campo di lavoro nazista, ed il film si basa in parte sulle sue esperienze),
difenderà sempre la sua scelta di trattare un tema così delicato con approccio diverso:
la sceneggiatura tragicomica, in realtà, non fa altro che accentuare la drammaticità e la
commozione di alcune scene, proprio grazie a questo contrasto. Il film riceve
sette nomination all'edizione degli Oscar del 1999, portandone a casa tre nella notte del 21
marzo 1999: quello per la miglior colonna sonora a Nicola Piovani, quello come miglior film
straniero e quello per il miglior attore protagonista. Memorabile fu il momento della
consegna del premio da parte di Sophia Loren. Annunciato dalla Loren con la celebre frase
"And the Oscar goes to... Robbertoo!", l'attore toscano balzò sui braccioli e gli schienali delle
sedie della sala e raggiunse il palco passando sopra le teste dei divi di Hollywood presenti,
suscitando clamore e divertendo ampiamente il pubblico americano, abituato alla formalità
della notte degli Oscar. Il film fa incetta di altri premi: 5 Nastri d'Argento, 9 David di
Donatello, e il prestigioso Gran Premio della Giuria al 51º Festival di Cannes, con uno
scatenato Benigni che si distende ai piedi di un estasiato Martin Scorsese, presidente.
Nel 2001 inizia la lavorazione di Pinocchio, uscito l'anno seguente, di cui firma la
regia, la sceneggiatura (con Vincenzo Cerami) e la produzione. Nel 2004 produce,
scrive e dirige il suo ottavo film, sempre al fianco della moglie Nicoletta Braschi,
intitolato La tigre e la neve, uscito nelle sale il 14 ottobre 2005. Si tratta della
riproposizione di tematiche già presenti nel film La vita è bella (un uomo qualunque,
ilare e giocoso innamorato di una donna) ambientata stavolta in un altro tragico
contesto: la guerra in Iraq. Un rapporto particolare lega poi l'attore toscano con
la Divina Commedia e Dante: tiene letture sull'argomento in diverse università ed è
molto apprezzato per le sue recitazioni a memoria di interi canti del poema: resterà
memorabile quella dell'ultimo canto del Paradiso avvenuta il 23 dicembre 2002 nel
teatro di posa della sua casa di produzione a Terni, alla presenza di un folto pubblico
televisivo, ispirate dalla tecnica della poesia estemporanea, una forma d'arte popolare
in Toscana.
A partire dal 27 luglio 2006, in Piazza Santa Croce a Firenze, Benigni ha tenuto un
ciclo di letture dantesche. Tredici canti, uno per sera, letti e commentati, come in un
unico grande racconto, dall'attore toscano più noto nel mondo. I canti della Divina
Commedia che sono stati scelti sono i primi dieci, il XXVI e il XXXIII dell'Inferno e il
XXXIII del Paradiso. Dal successivo novembre Benigni ha poi portato in giro per
l'Italia le sue letture dantesche, in un tour chiamato Tutto Dante. Nel corso del 2007
lo spettacolo è stato proposto in alcune carceri italiane.
Il 17 febbraio 2011, in occasione della terza puntata di Sanremo dedicata ai 150 anni
dall'Unità d'Italia, Roberto Benigni si presenta all'Ariston cavalcando un cavallo
bianco e viene accolto dal pubblico che si alza in piedi per celebrarlo, intrattenendolo
per più di 50 minuti (che gli hanno fatto raggiungere picchi di ascolti vertiginosi,
come uno share del 60%), narrando la storia dell'Unità d'Italia, dell'Inno di Mameli e
della bandiera italiana (durante l'esegesi dell'Inno degli italiani, Benigni afferma che
la bandiera italiana nacque da un'ispirazione di Giuseppe Mazzini da alcuni versi
della Divina Commedia, precisamente i vv. 31-33 del XXX canto del Purgatorio).
Chiude cantando da solista, l'Inno nazionale italiano senza accompagnamento, a cui
segue una lunga standing ovation del pubblico dell'Ariston. Dopo aver assistito al
discorso ed essersi emozionato, il Presidente della Repubblica italiana Giorgio
Napolitano propone di proiettare il video nelle scuole.
F. Fellini
Federico Fellini è nato a Rimini il 20 gennaio 1920 ed è morto a Roma il 31 ottobre del
1993. Per il cinema ha iniziato a lavorare fin dal 1939, come "gagman": scrive le battute
di alcuni film girati da Macario fra la fine degli anni trenta e l'inizio dei quaranta. Negli
anni della guerra collabora alle sceneggiature di una serie di titoli di buona qualità, fra i
quali Avanti c'è posto e Campo de' fiori di Mario Bonnard e Chi l'ha visto? di Goffredo
Alessandrini, mentre subito dopo è fra i protagonisti del neorealismo, sceneggiando
alcune delle opere più importanti: con Rossellini scrive i capolavori Roma città aperta
e Paisà, con Germi In nome della legge, Il cammino della speranza e La città si difende,
con Lattuada Il delitto di Giovanni Episcopo, Senza pietà e Il mulino del Po. Nel 1953
partecipa anche a un progetto messo in piedi da Zavattini, un film a episodi
intitolato L'amore in città. L'anno dopo con La strada, uno dei suoi film più teneri e
poetici, arriva il primo Oscar.È la storia di due artisti girovaghi che attraversano le
povere regioni dell'Italia degli anni cinquanta. Il rapporto che li unisce è particolare,
giocato sulla riconoscenza e sottomissione di Gelsomina nei confronti di Zampanò che
le ha insegnato un mestiere e che scarica su di lei tutta la sua prepotenza e ottusità.
Il bidone (1955) riconduce in qualche modo ai Vitelloni, ma la scena è cambiata: la
vicenda non si svolge più in una cittadina di provincia ma nei quartieri poveri di Roma,
e
i
protagonisti
sono
diventati
cinici
truffatori
di
professione.
Il secondo Oscar arriva nel 1957 con Le notti di Cabiria. Come in La strada, la protagonista è Giulietta Masina, che
ha
avuto
ruoli
di
diversa
importanza
in
tutti
i
primi
film
del
marito.
Qui veste i panni della Cabiria del titolo, una prostituta ingenua e generosa, che paga con atroci delusioni la
fiducia che ripone nel prossimo. Con La dolce vita (1959), Palma d'oro a Cannes e spartiacque della produzione
felliniana, si acuisce l'interesse per un cinema non legato alle tradizionali strutture narrative. Nel 1962 Fellini
ripropone Anita Ekberg, la protagonista della Dolce vita, in Le tentazioni del dottor Antonio, episodio di Boccaccio
'70. Nel 1963 esce 8½, forse il momento più alto dell'arte felliniana. Vincitore dell'Oscar per il miglior film straniero
e per i costumi (Piero Gherardi), è la storia di un regista che racconta, in modo sincero e sentito, le sue crisi di
uomo e di autore, le difficoltà nell'armonizzare i molteplici aspetti della sua professione, la paura di deludere le
aspettative, la fatica nel regolare il traffico dei fantasmi, dei ricordi e dei volti del passato, e nel farli convivere
pacificamente con il presente.
Con il successivo Toby Dammit, episodio di Tre passi nel delirio (1968), trasfigura una
novella di Edgar Allan Poe, "Non scommettere la testa con il diavolo", asservendola ad
un ulteriore approfondimento sulle angosce e sulle oppressioni dell'esistenza
contemporanea. In Fellini-Satyricon (1969) l'impianto onirico è trasferito alla Roma
imperiale del periodo della decadenza. È una metafora del presente, in cui spesso
prevale il piacere goliardico della beffa accompagnato da un interesse per le nuove
idee dei giovani contemporanei. Amarcord (1973), quarto Oscar, segna il ritorno alla
Rimini dell'adolescenza, degli anni del liceo, gli anni trenta. I protagonisti sono la
città stessa, i suoi personaggi grotteschi, i ricordi che trasfigurano l'una e gli altri. Il
tono del racconto, come già il titolo rivela, è amichevole, colloquiale, come se si stesse
parlando fra vecchi amici di esperienze comuni. Più tetra è l'atmosfera ne Il
Casanova (1976) che segna il culmine dell'estro visionario di Fellini. Segue Prova
d'orchestra (1979), metafora sul presente, sul disordine che regna, sulle difficoltà nel
riportare armonia fra le cose. La mano di Fellini appare particolarmente felice nella
creazione dei personaggi, dove come sempre si manifesta il gusto per la caricatura e
per la beffa. Il 1983 vede l'uscita di E la nave va. L'idea di partenza, il funerale per mare
di una famosa cantante lirica, diventa il pretesto per un viaggio attraverso la vita. Con
Ginger e Fred (1985) diventa aspro il tono della polemica nei confronti della società
contemporanea. Attraverso il ritorno alla ribalta di due anziani ballerini
d'avanspettacolo, ospiti di una trasmissione televisiva, Fellini racconta del progressivo
degrado dei costumi, dell'abbrutimento di una società schiava del cattivo gusto e della
pubblicità,
della
disumanizzazione
dei
rapporti
fra
gli
individui.
E, in special modo, della presenza mistificatrice e ossessiva della televisione,
soprattutto
quella
commerciale,
a
cui
tutto
viene
immolato.
Intervista (1987) parte come special televisivo sull'ipotetica lavorazione di un film tratto da Kafka. Ma poi cresce sempre
più, fino a diventare uno fra i più apprezzati film di Fellini degli ultimi tempi. Lieve e ironico, ripercorre i ricordi di
cinquant'anni di cinema, dal timido arrivo a Cinecittà per intervistare una diva del ventennio alla Dolce vita rivissuta con
nostalgia assieme a Mastroianni a casa di Anita Ekberg. L'ultimo film è La voce della Luna (1990), tratto da Il poema dei
lunatici di Ermanno Cavazzoni. Fellini torna con i suoi pazzi nella campagna per ascoltare le sue voci, i suoi bisbigli,
lontano dal clamore della città. L'ultimo film è La voce della Luna (1990), tratto da Il poema dei lunatici di Ermanno
Cavazzoni. Fellini torna con i suoi pazzi nella campagna per ascoltare le sue voci, i suoi bisbigli, lontano dal clamore
della città.
Qualche mese prima di morire, nella primavera del 1993 Fellini riceve il suo quinto Oscar, alla carriera.
Totò
Totò, nome d'arte di Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di
Bisanzio Gagliardi, più noto come Antonio De Curtis (Napoli, 15 febbraio 1898 –
Roma, 15 aprile 1967), è stato un attore, poeta e paroliere italiano. Soprannominato"il
principe della risata", è considerato uno dei più grandi interpreti nella storia
del teatro e del cinema italiano. La madre, Anna Clemente, lo registra all'anagrafe
come Antonio Clemente e nel 1921 sposa il marchese Giuseppe De Curtis che
successivamente riconosce Antonio come suo figlio. Nel 1933 il marchese Francesco
Maria Gagliardi adotta Antonio trasmettendogli i suoi titoli gentilizi. Solo a partire dal
1946 il tribunale di Napoli gli riconosce il diritto a fregiarsi dei nomi e dei titoli di:
Antonio Griffo Focas Flavio Dicas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di
Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del sacro Romano Impero, esarca
di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cicilia, di
Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di
Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo.
All'educazione di Antonio provvede la madre che, fra l'altro, è l'originaria
"inventrice" del nome Totò. E' lei infatti che per chiamarlo più in fretta, gli affibbia il
celebre nomignolo.
La consacrazione di Totò avviene a Napoli, in particolare grazie agli spettacoli della
rivista "Messalina" (accanto a Titina de Filippo). Intanto era anche nata la figlia
Liliana dall'unione con Diana Bandini Rogliani, che sposerà nel 1935 (divorzierà
quattro anni dopo in Ungheria, ma vivranno comunque insieme fino al 1950). La
forza di Totò sta principalmente nel forte carisma, cosa che lo differenzia
notevolmente dagli altri attori. Nel suo spettacolo Totò non si limita a far ridere le
persone ma trascina letteralmente il pubblico in un vortice di battute e situazioni,
entusiasmandolo
fino
al
delirio.
Il periodo d'oro del comico si può circoscrivere dal 1947 al 1952. Ebbe successo sul grande
schermo da I due orfanelli del 1947 fino a Totò a colori del 1952. In questi film l'attore si scatena
e la comicità di avanspettacolo è più pura, meno imbrigliata dalle maschere o personaggi che in
seguito, per motivi diversi, alcuni autori tentarono di cucirgli addosso. Assediato da proposte di
tutti i generi, senza avere a disposizione neanche una giornata libera, l'attore lavorava
continuamente, girando a ritmo frenetico alcune delle sue parodie più folli, dirette dai
cosiddetti "registi velocisti“. Si ricordano in questo periodo, tra gli altri, titoli divenuti poi dei
"classici" come Totò le Mokò, L'imperatore di Capri, Totò sceicco. È da notare che a volte
il copione, vuoi anche per i tempi ristrettissimi in cui venivano prodotti i suoi film,
rappresentava solo un timido canovaccio per Totò, che poi si trovava a improvvisare davanti alla
macchina da presa: Totò inventava le battute, a volte perfino la trama; così tuttavia sono nate
anche alcune delle sue scene più famose. Negli anni cinquanta e nei primi anni sessanta l'attore
era spesso osteggiato da una critica che non apprezzava la sua grande verve comica e
scoppiettante, e che gli negò sino alla fine il riconoscimento di un grande spessore artistico, con
commenti che letti oggi possono apparirci a volte anche eccessivamente censori.
Totò cercò tuttavia in vari modi, durante la sua carriera di farsi benvolere dalla critica cinematografica. Tentò la
strada neorealista con Guardie e ladri (che gli valse un Nastro d'argento), in compagnia di Aldo Fabrizi, e Totò e
Carolina (soggetto di Ennio Flaiano); quest'ultimo girato nel 1953 e massacrato dai tagli censorii, uscì nelle sale
gravemente manomesso solo nel febbraio 1955. Recitò anche su soggetti pirandelliani, come La patente (episodio del
film Questa è la vita) di Luigi Zampa e L'uomo, la bestia e la virtù di Steno.
Si rifugiò poi nelle predilette farse di Scarpetta, di ambiente napoletano ma tratte da pochade francesi di fine Ottocento,
nella trilogia diretta da Mattòli: Un turco napoletano , Miseria e nobiltà, Il medico dei pazzi: questa si può considerare
una ideale trilogia dei bisogni primari tipici della maschera di Pulcinella, qui incarnata dal voluttuoso Felice
Sciosciammocca. Nel 1956 Totò fece la sua ultima rivista teatrale; in quello spettacolo si ammalerà definitivamente e il
danno alla vista non lo abbandonerà più. Totò si ammalò di broncopolmonite, poi si trasferì a Genova, dove iniziò a
soffrire di disturbi alla vista; a Firenze le condizioni peggiorarono, ma a Palermo il 4 maggio 1957, ebbe un "crollo".
Totò perse infatti completamente la vista nella parte centrale della pupilla dell'occhio destro (vedeva soltanto sui lati
degli occhi, come un vetro appannato). Inoltre, circa venti anni prima aveva già perso l'altro occhio per un distacco di
retina operato male: Totò si ritrovò di fatto quasi cieco. A causa di ciò fu costretto a interrompere la rivista (l'impresario
Remigio Paone, non credendolo, richiese una visita fiscale) e a rimanere immobile per circa sette mesi in casa, proprio
quando l'anno precedente aveva ottenuto un irripetibile successo con alcuni film memorabili diretti da Camillo
Mastrocinque e interpretati in coppia con Peppino De Filippo (tra questi, sicuramente da ricordare La banda degli
onesti , Totò, Peppino e la... malafemmina o Totò, Peppino e i fuorilegge, tutti del 1956).
Grazie alle cure dei medici, la vista migliorò ma non in modo soddisfacente. Totò, da
questo momento in poi, fu costretto a indossare sempre un pesante paio di occhiali
scuri, che toglieva solo per le riprese dei film. Costretto a lavorare senza sosta, con la
malattia agli occhi che peggiorava sempre più (subì due distacchi di retina, durante
la lavorazione di La legge è legge con Fernandel e de La cambiale), l'attore si trovò ad
accettare qualsiasi copione, anche di infimo livello. Poche furono le vere occasioni
importanti: Eduardo De Filippo per Napoli milionaria, Vittorio De Sica per L'oro di
Napoli, Mauro Bolognini per Arrangiatevi!, e Sergio Corbucci, forse l'ultimo regista
brillante importante per il comico. Collaborò con quest'ultimo ad almeno due film da
rivalutare ampiamente: I due marescialli e Gli onorevoli, dove c’è la famosa scena del
“Votantonio”. Nel tempo libero Totò componeva canzoni (la più celebre
è Malafemmena, composta nel 1951 e dedicata alla moglie Diana Bandini, nota in
tutto il mondo ed eseguita in un gran numero di versioni), e poesie (tra cui la
famosa 'A Livella, sulla morte che annulla le differenze sociali delle persone). Come
autore di canzoni partecipò anche al Festival di Sanremo del 1954 con il brano Con
te! classificandosi al nono posto nella graduatoria finale.
Quando il grande comico pensava di avere sprecato il suo talento in filmetti dozzinali, arrivarono le proposte di grandi
cineasti. Federico Fellini lo volle per il suo progetto ambizioso e mai realizzato, Il Viaggio di G. Mastorna, interrotto per
la grave malattia del maestro riminese. Totò incontrò poi sulla sua strada Pier Paolo Pasolini, il quale lo spogliò di tutta
la sua aggressività e cattiveria, per farne un sottoproletario innocente in un film sulla crisi del marxismo dopo la morte
di Palmiro Togliatti, Uccellacci e uccellini. Per questa grande interpretazione, realizzata da Totò ormai quasi cieco,
vinse nel 1966 una Palma d'oro speciale al Festival di Cannes e un Nastro d'Argento come miglior attore dell'anno. Con
Pasolini fece in tempo a girare altri due cortometraggi tra la fine del 1966 e l'inizio del 1967, il più riuscito La Terra vista
dalla Luna e l'emozionante e poetico Che cosa sono le nuvole? il suo autentico testamento artistico, nel quale
interpreta la marionetta di Jago nella recita shakesperiana in un teatro di marionette che, dopo aver convinto Otello a
uccidere Desdemona, viene distrutta dal pubblico e mandata al macero in una discarica, dove, prima di morire, si
accorge di quella grande bellezza del creato che sono le nuvole. Questa degnissima conclusione della carriera
cinematografica ebbe però un'appendice deludente col piccolo schermo. Totò morì nella sua casa dei Parioli alle 3:25
del mattino del 15 aprile 1967 all'età di 69 anni, stroncato da una serie improvvisa di tre infarti. La sua salma fu vegliata
per due giorni da tutte le personalità della politica e dello spettacolo giunte a commemorarlo e a rimpiangerlo.
M. Mastroianni
Marcello Vincenzo Domenico Mastroianni (Fontana Liri, 28 settembre 1924 – Parigi, 19
dicembre 1996) è stato un attore cinematografico italiano. Da giovanissimo riesce a lavorare
come comparsa in Marionette di Carmine Gallone, ne La corona di ferro di Alessandro
Blasetti, in Una storia d'amore di Mario Camerini, e ne I bambini ci guardano di Vittorio De
Sica. Nel 1945 comincia a prendere le prime lezioni di recitazione e a bussare nuovamente
alle porte del cinema.
Il vero e proprio debutto nel cinema avviene nel 1948 con I miserabili, film di Riccardo
Freda tratto dall'omonimo romanzo di Victor Hugo. Nello stesso periodo comincia ad
ottenere piccole parti in teatro, dapprima in compagnie di dilettanti. Viene notato
da Luchino Visconti, che gli offre il suo primo ruolo da professionista, in Rosalinda o Come
vi piace da Shakespeare (1948, Teatro Eliseo - Roma) e poi in Un tram che si chiama
Desiderio di Tennessee Williams (1949, Teatro Eliseo - Roma), in cui interpreta Mitch
(Kowalsky è invece interpretato da Vittorio Gassman). Dopo aver interpretato sotto la regia
di Luciano Emmer diversi ruoli da attor giovane in commedie neorealistiche (Domenica
d'agosto, Parigi è sempre Parigi, Le ragazze di Piazza di Spagna), arrivano anche al cinema i
primi ruoli drammatici in Febbre di vivere di Claudio Gora, Cronache di poveri
amanti di Carlo Lizzani, Le notti bianche di Luchino Visconti e Peccato che sia una
canaglia, film del 1954, diretto dal regista Alessandro Blasetti. L'affermazione definitiva
arriva nel 1958 con I soliti ignoti, Adua e le compagne (1960) e Il bell'Antonio (1961).
Con Divorzio all'italiana (1961) ottiene il Nastro d'argento, il premio della British Film
Academy e la nomination all'Oscar come miglior attore protagonista.
I due capolavori di Federico Fellini: La Dolce Vita (1960) e 8 ½ (1963) gli conferiranno il
successo internazionale e la fama di «latin lover», dalla quale cercherà, più o meno
inutilmente, di difendersi fino all'età più matura.
Nel 1962 il settimanale americano Time gli dedica un servizio, come divo straniero più
ammirato negli USA.
Nel 1963 interpreta in I compagni di Mario Monicelli, il ruolo di un intellettuale socialista che fomenta le rivolte di
fabbrica e poi sotto la direzione di Vittorio De Sica, con Sophia Loren come protagonista femminile: Ieri, oggi,
domani (1963), Matrimonio all'italiana (1964), I girasoli (1969).
La coppia che ha formato con Sophia Loren è stato un sodalizio artistico tra i più riusciti del cinema italiano, che si è
snodato con episodi memorabili lungo l'intera carriera di entrambi.
Nel 1966 debutta anche nella commedia musicale, interpretando per circa tre mesi il ruolo di Rodolfo
Valentino in Ciao Rudy di Garinei e Giovannini. Nel 1968 gira Amanti sotto la regia di Vittorio De Sica. Girerà poi
alcuni film in lingua inglese, ma a differenza di Sophia Loren, che parla un inglese perfetto, è costretto a mandare a
memoria le battute senza capirne il senso.
Interpretare poi ruoli in commedie leggere (Culastrisce nobile veneziano, La pupa del
gangster), film d'autore (Todo modo, Una giornata particolare), drammi a tinte forti
(Mogliamante, Per le antiche scale), film grotteschi (Ciao maschio, Fatto di sangue fra
due uomini per causa di una vedova, si sospettano moventi politici).
Nel 1978 debutta in uno sceneggiato televisivo: Le mani sporche, che Elio Petri trae
da Sartre.
Nel 1980 viene richiamato da Federico Fellini, che a diciotto anni da 8 ½ lo rivuole
protagonista ne La città delle donne. Lavorerà con lui ancora nel 1985 in Ginger e
Fred, al fianco di Giulietta Masina, e nel 1987 in Intervista.
Nel 1988 è protagonista insieme a Massimo Troisi di Splendor e Che ora è?, entrambi
diretti da Ettore Scola. Per quest'ultimo film i due protagonisti riceveranno la coppa
Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia.
Negli anni novanta, Marcello Mastroianni gira soprattutto all'estero, con grandi
autori del cinema internazionale.
Colpito da un tumore polmonare, poco prima della sua scomparsa, realizza durante la
lavorazione del suo ultimo film (Viaggio all'inizio del mondo di Manoel de Oliveira)
una lunga auto-confessione (Mi ricordo, sì... mi ricordo, curata da Annamaria Tatò, la
sua ultima compagna) che è considerata da molti il suo testamento spirituale.
Si spegne nel suo appartamento di Parigi il 19 dicembre 1996, stroncato dalla malattia
ed assistito dall'adorata figlia minore, Chiara. Le sue spoglie riposano nel cimitero del
Verano, a Roma.
A. Sordi
Alberto Sordi nasce il 15 giugno del 1920 a Roma. Già durante la scuola elementare
girava l’Italia con la piccola compagnia del “Teatrino delle marionette”, diretta dal
professor Parodi. Ha cantato anche da soprano nel coro della Cappella Sistina,
diretto da Lorenzo Perosi, fino alla prematura trasformazione da voce bianca a quella
di basso, diventata poi una delle sue caratteristiche distintive più apprezzate. Nel
1941 il padre Pietro Sordi e la famiglia si trasferisce nel centro storico di Roma.
Alberto recita piccole parti in diversi film. La sua prima grande occasione nel cinema
gli viene data da Mario Mattoli nel film “I tre aquilotti” in cui è co-protagonista a
fianco di Leonardo Cortese, Carlo Minello e Michela Belmonte. I suoi primi veri
successi, però, arrivano dal teatro come presentatore e comico al Cinema Teatro
Galleria di Roma nella Compagnia di rivista di Fanfulla. Il 1947 è l’anno dell’esordio
alla radio con i programmi di varietà “Rosso e nero” e “Opl{” presentati da Corrado. Il
suo primo personaggio, il Signor Dice, ha un grande successo di pubblico e delinea il
prototipo dell’italiano medio in modo ironico e dissacrante. Nel 1950 fonda con De
Sica la P.F.C. (Produzione Film Comici). Inizia le riprese del suo primo film da
protagonista “Mamma mia, che impressione!” diretto da Roberto Savarese. Sordi
scrive anche il soggetto e la sceneggiatura . Nel 1951 muore la madre. Sciolta la P.F.C.,
Sordi si cimenta nuovamente in una rubrica radiofonica: “Il teatro di Alberto Sordi”.
Il 1953 è un anno fondamentale per la sua carriera cinematografica: Sordi conquista la critica con “I vitelloni” di
Federico Fellini e con “Un giorno in pretura” di Steno, il cui personaggio Ferdinando Moriconi detto “l’americano”
segna una svolta nel cinema italiano di costume. Il cinema consacra Alberto Sordi: in un solo anno escono 13 film da
lui interpretati, fra cui “Il seduttore” di Franco Rossi, “Il matrimonio” di Antonio Petrucci e “Un americano a Roma” di
Steno, nel quale reinterpreta Nando Moriconi, il celeberrimo “americano” di “Un giorno in pretura”. Ottiene il “Nastro
d’argento” come miglior attore non protagonista per “I vitelloni”.
Nel 1955 interpreta altri 8 film che lo fanno apprezzare anche dalla critica più seria. Alcuni titoli: “Il segno di Venere” di
Dino Risi, “L’arte di arrangiarsi” di Luigi Zampa, “Un eroe dei nostri tempi” di Mario Monicelli,
“Buonanotte…avvocato!” di Giorgio Bianchi. La sua fama diventa internazionale: il presidente degli Stati Uniti Truman
lo invita a Kansas City dove riceve le chiavi della città e la carica di Governatore onorario come “premio” per la
propaganda favorevole all’America promossa da “Nando Moriconi”.
A partire dal toccante capolavoro La grande guerra (1959) diretto da Mario Monicelli nel
quale era un soldato pelandrone e imboscato costretto suo malgrado a morire da eroe,
dimostra un talento straordinario nel calarsi psicologicamente anche in personaggi
drammatici quando non apertamente grotteschi, dagli anni sessanta in poi; basti citare il
sottotenente Innocenzi di Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini», il vigile inflessibile
costretto a genuflettersi davanti al potente di turno ne Il vigile (1960) di Luigi Zampa, il
giornalista Silvio Magnozzi di Una vita difficile (1961) di Dino Risi, l'industriale fallito
disposto a vendere un occhio per riassestare le sue finanze e accontentare una moglie sin
troppo esigente ne Il boom (1963) di Vittorio De Sica. Come regista diresse in totale 18
pellicole, a partire dal 1966, quando ne realizzò due: Fumo di Londra, basato sulle
manchevolezze comportamentali e sociali di un italiano in trasferta all'estero (tematica
già affrontata da Gian Luigi Polidoro in molti suoi film) e Scusi, lei è favorevole o
contrario? ritratto di un agiato commerciante di tessuti, separato dalla moglie, con tante
amanti da mantenere quanti sono i giorni della settimana in un'Italia scossa dalle
polemiche sul referendum divorzista.
Ottiene buoni risultati nei tre film insieme con Monica Vitti, Amore mio
aiutami (1969), Polvere di stelle (1973) e Io so che tu sai che io so (1982). I suoi lavori
migliori dietro la macchina da presa rimangono Un italiano in America (1967), insieme
con Vittorio De Sica, di gran lunga quello più riuscito assieme al sempre attuale Finché
c'è guerra c'è speranza (1974). Restano memorabili l'interpretazione del tassinaro nel
dittico di film Il tassinaro (1983, dove si produce in duetti irresistibili con Giulio
Andreotti e con il vecchio amico Federico Fellini), e Un tassinaro a New York (1987) e la
collaborazione con Carlo Verdone nei film In viaggio con papà (1982) e Troppo
forte (1986). Ma il film da lui preferito, tra quelli diretti, rimane senz'altro il
malinconico Nestore, l'ultima corsa (1994), dove interpretò un vetturino non ancora
rassegnato a portare il suo cavallo al macello.
Afflitto durante l'intera stagione invernale da forme di polmonite e bronchite, Alberto Sordi si spegne nella notte tra
il 24 e il 25 febbraio 2003, all'età di 82 anni. La salma, sottoposta ad imbalsamazione, viene traslata nella sala delle armi
del Campidoglio, dove per due giorni riceve l'omaggio ininterrotto di una folla immensa; il 27 febbraio si svolgono
i funerali solenni nella Basilica di San Giovanni in Laterano, davanti a circa 500 mila persone. L'Albertone nazionale
ricevette in morte quell'omaggio nello sfarzo e nella pompa magna che in vita aveva sempre rifuggito.
Musica
Melodramma
(Puccini, Rossini)
1847 1861
1900
1921
Primo
Beat-Generation
Festival di (Nomadi, Dik Dik)
Sanremo
1948 1951
1960
1970
Musica Leggera
1980
1990
Costituzione
Inno di
Mameli
Musica tradizionale e popolare
Musica melodica
(N. Pizzi, D. Modugno, C. Villa)
Disco Music
Grandi Cantautori (De Andrè,
Dalla, De Gregori, Battisti,
Paoli, Guccini)
Movimento Progressive,
sperimentazione musicale.
Approfondimenti:
Grandi personalità: Mina, L. Pavarotti, P. F.
M., D. Stratos
2011
Inno di Mameli
Dobbiamo alla città di Genova Il Canto degli Italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli. Scritto
nell'autunno del 1847 dall'allora ventenne studente e patriota Goffredo Mameli, musicato poco dopo a
Torino da un altro genovese, Michele Novaro, il Canto degli Italiani nacque in quel clima di fervore
patriottico che già preludeva alla guerra contro l'Austria.
L'immediatezza dei versi e l'impeto della melodia ne fecero il più amato canto dell'unificazione, non solo
durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni successivi.
L'inno di Mameli fu un importante strumento di propaganda degli ideali del Risorgimento e di
incitamento all'insurrezione, che contribuì significativamente alla svolta storica che portò all'emanazione
dello Statuto albertino, ed all'impegno del re nel rischioso progetto di riunificazione nazionale.
Fu quasi naturale, dunque, che il 12 ottobre 1946 l'Inno di Mameli divenisse l'inno nazionale della
Repubblica Italiana.
Fratelli d'Italia
L'Italia s'è desta,
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.
Uniamoci, amiamoci, Dall'Alpi a Sicilia
Son giunchi che piegano
Noi siamo da secoli
l'Unione,
e
l'amore
Calpesti, derisi,
Dovunque è Legnano, Le spade vendute:
Rivelano
ai
Popoli
Perché non siam popolo,
Ogn'uom di Ferruccio Già l'Aquila d'Austria
Le
vie
del
Signore;
Perché siam divisi.
Ha il core, ha la mano, Le penne ha perdute.
Giuriamo
far
libero
Il sangue d'Italia,
Raccolgaci un'unica
I bimbi d'Italia
Il
suolo
natìo:
Il sangue Polacco,
Bandiera, una speme:
Si chiaman Balilla,
Uniti
per
Dio
Di fonderci insieme
Il suon d'ogni squilla Bevé, col cosacco,
Chi
vincer
ci
può?
Ma il cor le bruciò.
Già l'ora suonò.
I Vespri suonò.
Stringiamci
a
coorte
Stringiamci a coorte
Stringiamci a coorte Stringiamci a coorte
Siam
pronti
alla
morte
Siam pronti alla morte
Siam pronti alla morte Siam pronti alla morte
L'Italia
chiamò.
L'Italia chiamò
L'Italia chiamò.
L'Italia chiamò.
Mina
Anna Mazzini nacque il 25 marzo 1940. Artista di fama
internazionale viene considerata da molti la più grande cantante
italiana di musica leggera e una delle voci più apprezzate
dall’intero mondo della musica. La sua carriera iniziò alla fine alla
fine degli anni ‘50 all’et{ di soli 18 anni. Sulla scena riceve il plauso
di molti artisti importanti, tra i quali Frank Sinatra, Michael
Jackson, Jennifer Lopez, Luciano Pavarotti. Nel 1961 partecipò al
Festival di Sanremo piazzandosi inaspettatamente in finale al
quarto posto con Io amo tu ami e al quinto con Mille bolle blu a
causa della sua musica troppo moderna e al gesto delle dita sulla
bocca a ogni ritornello che al pubblico sembrò uno sberleffo.
Da questa esperienza non volle più partecipare a gare canore. La sua carriera prosegue e
nonostante la carriera sanremense la sua popolarità non viene minimamente intaccata, anzi
riscosse un grande successo anche a livello internazionale. Fu anche una grande conduttrice:
nel 1965 conduce Studio Uno e nel 1967 Sabato sera ospitando i più grandi personaggi del
cinema e della tv tra i quali Alberto Sordi, Totò, Ugo Tognazzi Rita Pavone le gemelle Kessler.
Negli anni seguenti si esibisce in una serie di concerti in Italia e all’estero fino al 1978 quando
annunciò nel suo ultimo concerto a Versilia l’addio alle scene “visive”. Dopo il ritiro dalla
televisione si dedicò alla radio e continuò a incidere album con artisti di grande fama come
Claudio Baglioni Ornella Vanoni riscuotendo ancora oggi molto successo.
L. Pavarotti
L. Pavarotti è stato tra gli artisti più apprezzati in tutto il
mondo grazie alle sue straordinarie qualità vocali. Nel
1961 riceve il primo riconoscimento personale nel
concerto internazionale Achille Perri che gli consentì di
recitare ne la Bohème di Puccini nel ruolo di Rodolfo e in
seguito ne Il Rigoletto nel ruolo del duca di Mantova. La
sua fama si diffuse anche all’estero in particolare negli
Stati Uniti. La Sutherland lo accompagnò
successivamente ne La Traviata di Verdi. Nel 1965 debutta
al Teatro alla Scala di Milano. Insieme a Carlo Bergonzi e
Franco Corelli ha rappresentato l’ultimo dei grandi
cantanti che hanno saputo conquistare il mondo. Insieme
a Placido Domingo e a Josè Carreras costituì il gruppo dei
Tre Tenori. Duettò insieme a grandi artisti tra i quali
Andrea Bocelli Renato Zero Celine Dion, Mina. Nel 2007
si ritirò a vita privata nella sua villa Modena per condurre
a buon fine la sua lotta contro il cancro ma morì il 6
settembre 2007.
P. F. M.
In Italia, verso la fine degli anni Sessanta,
l’affermazione di un cantante o di un gruppo vocalestrumentale passava quasi sempre per la canzone
d’evasione.
I complessi, formati da un numero variabile di
elementi, avevano due caratteristiche fondamentali: un
cantante di ruolo, abbastanza 'bello' da piacere al
pubblico femminile, e un repertorio di canzoni
orecchiabili.
I brani erano per lo più cover di successi inglesi o americani, con testi lontani dal significato
originale e, fino all’avvento di Battisti, la loro scelta era il momento più creativo dell’intera
produzione. In questo panorama "I Quelli", gruppo formato da Franz Di Cioccio, Franco
Mussida, Flavio Premoli e Giorgio Piazza, rappresentavano un‘eccezione. Cantavano a turno
un po’ tutti, ma il loro chiodo fisso era la cura con cui affrontavano le parti musicali e la loro
esecuzione dal vivo. Scoperti ed utilizzati per questa dote dagli arrangiatori più in vista di
allora, come Reverberi, Massara e Mariano, cominciarono a frequentare sempre più spesso le
sale di registrazione, collaborando con artisti importanti quali Battisti, Mina, Celentano e De
André. Erano chiamati perfino a registrare le basi musicali per i dischi di altri gruppi di
successo. I dischi di "I Quelli" avevano un discreto successo, ma non era questo ciò che faceva
parlare di loro nell’ambiente musicale, ma il fatto che, in breve tempo, furono ritenuti il
quartetto più quotato e richiesto nel giro dei session-men.
Fu la loro fortuna, perché il tramonto dei complessi più noti, salvo qualche raro caso di
longevit{ artistica come i Nomadi e i Pooh, coincise con l’inarrestabile ascesa della musica
progressiva. In questo filone, poi etichettato col termine di pop music, confluivano
frammenti di musica classica, jazz, musica popolare e rock. Era un bel crogiolo di idee dove
si poteva dare sfogo alla più totale creatività. Il destino volle che nel momento in cui "I
Quelli" sentivano l’esigenza di essere qualcosa di più che semplici accompagnatori, la
comunicazione più sentita dai giovani parlasse il linguaggio degli strumenti. Questi nuovi
fermenti, insieme ad una grande voglia di riscatto discografico, li spinsero a cercare una
nuova identità, con sonorità al di fuori del collaudatissimo schema da loro stessi chiamato
"Chitabasbatorga" (chitarra, basso, batteria e organo). Le cose iniziarono a muoversi.
Durante una serata al "Paradise", un locale nei pressi di Brescia, un amico parlò loro (
divenuti, nel frattempo, discograficamente "I Krel" ma per le serate ancora "I Quelli" ) di
un musicista che suonava il flauto e il violino con un piglio più rock che classico. Era l’estate
del ‘69. L'incontro con Mauro Pagani, che all’ epoca suonava con "I Dalton", fu feeling al
primo udito, tanto che Mauro si unì subito al gruppo. Continuavano ad esibirsi nelle balere,
ma sentivano crescere in loro l’esigenza di cambiare repertorio e genere musicale, anche per
integrare meglio Mauro nella formazione. Sentivano l'esigenza di nuovi stimoli e di nuovi
modelli. Li trovarono nei Chicago, nei King Crimson, nei Jethro Tull, negli Excepsion e nei
Flock, gruppi in cui la struttura convenzionale della canzone veniva ampliata, concedendo
più spazio all’arrangiamento, al virtuosismo e all’improvvisazione. Cominciarono le prove
per il nuovo repertorio con un ritmo di lavoro molto duro, quasi da naja. Con sedute di otto
ore e multe salate per i ritardi, usate poi per finanziare l’acquisto di nuovi strumenti e della
prima auto del gruppo, iniziò la metamorfosi.
Per sopravvivere "I Krel" - "I Quelli" proseguivano la loro attività di session man. Tra un disco
di Battisti e uno di De André, Di Cioccio fu "prestato" all’Equipe 84. Il fatto, inusuale per
l'epoca, avvenne nel 1970, in occasione del rilancio dell’ Equipe, che era in gara al festival di
San Remo, in coppia con Lucio Dalla. Loro avevano bisogno di un batterista fisso per otto
mesi, "I Krel"- "I Quelli" di cambiare casa discografica. Dal momento che ambedue i gruppi
appartenevano alla stessa etichetta, la Ricordi, era l'occasione giusta per chiedere uno
scambio di cortesie. In questo modo "I Krel"- "I Quelli" riuscirono a liberarsi dal vecchio
contratto: lasciarono la Ricordi e seguirono altri dissidenti - tra cui Lucio Battisti, Alessandro
Colombini e Mogol - che, essendo in aperto contrasto con la linea artistica della casa
milanese, si apprestavano a fondare una nuova etichetta discografica, la Numero Uno.
L’opportunit{ di debuttare in versione progressiva, arrivò proprio dal Festival di San Remo di
quell’anno. Furono scritturati dal "Whisky Club", un locale adiacente al Teatro Ariston, per
suonare come attrazione alternativa in una città invasa dalle canzonette. "Niente cose
commerciali" era stata la richiesta, "ma solo la trasgressiva energia della pop music". In quella
trasferta il ruolo di Di Cioccio come musicista in prestito assunse aspetti davvero curiosi.
Dalle venti alle ventitré, vestito di tutto punto, si esibiva educatamente in diretta televisiva
sul palco del salone delle feste del Casinò. Più tardi raggiungeva gli amici al locale, cambiava
abito, genere musicale e tornava ad essere un'istintiva, sudata macchina da ritmo. Il loro
repertorio era perfetto, arrangiato ad arte per catturare l’attenzione degli ascoltatori e
consisteva principalmente in cover di brani, particolarmente difficili, delle band più
all’avanguardia del momento. Il pubblico, che ogni sera gremiva il piccolo club per vedere il
gruppo che faceva 'cose turche' - come si diceva allora - confermò che quella era la strada
giusta. Dopo la fase sanremese e la firma del contratto con la Numero Uno, venne il
momento di pensare al cambiamento del nome.
Ci voleva un taglio deciso con il passato, anche se erano ben consci che in quel modo
avrebbero perso tutte le piazze dove si esibivano come "I Quelli" e "I Krel"- "I Quelli" . Il
nuovo nome doveva essere diverso da tutto ciò che si era gia sentito, come per esempio i
soliti nomi di animali tanto in voga negli anni Sessanta. La cosa non si dimostrò facile e
dopo interi pomeriggi passati a immaginare ipotesi, la scelta si restrinse a due soli nomi:
Isotta Fraschini e Forneria Marconi. Scelsero il secondo, con l'aggiunta di Premiata. Alla
Numero Uno qualcuno obbiettò che "Premiata Forneria Marconi" era un nome troppo
lungo, ma la filosofia del gruppo era chiara: più il nome era difficile da ricordare, più
sarebbe stato difficile da dimenticare. Questa linea ebbe la meglio. La scelta, molto
originale, si rivelò giusta, tanto da creare una moda che contagiò l’Italia musicale degli
anni Settanta. Insomma, a quel punto c'erano tutti gli ingredienti per iniziare la nuova
avventura: la voglia, la grinta, un repertorio funambolico e anche il nome. Mancava solo la
buona occasione per farsi conoscere dal grande pubblico. Franco Mamone, già impresario
di "I Quelli", intuì, insieme a Francesco Sanavio, la fine della stagione delle balere. Da
impresari di provincia, i due si trasformarono in promoters dei gruppi internazionali più
importanti del momento. Mamone si propose come manager della Premiata e, in cambio,
li fece esibire come supporter nei concerti da lui organizzati. Iniziarono con i Procol
Harum, poi con gli Yes, approdando subito dopo all’avvenimento della stagione: fare da
supporter ai Deep Purple la più grande rock band del momento. L’idea era un po’
azzardata, ma il coraggio e una bella dose di faccia tosta hanno sempre accompagnato le
scelte della Premiata. Il tam tam del popolo del rock incominciò a farsi sentire e portò
lontano l’eco di quella bellissima serata. I tempi stavano proprio cambiando e ovunque si
organizzavano i cosidetti festival pop.
Fu proprio in uno di questi raduni che si presentò un’altra grande occasione, che permise al
gruppo di crescere artisticamente. Accadde nell’ estate 1971, alla pineta di Viareggio, dove c’era
in programma il primo "Festival di Avanguardia e nuove tendenze". Era il raduno pop più
importante dell’anno e vi si erano date appuntamento tutte le realt{ emergenti della nuova
musica italiana. La manifestazione richiedeva l’esecuzione di un brano inedito e Franco
Mussida, che già in passato con "I Quelli" aveva composto canzoni, durante un viaggio in
camioncino da Torino a Milano scrisse mentalmente La carrozza di Hans . Nei giorni seguenti
il brano fu arrangiato e preparato per l’occasione. A Viareggio la Premiata sorprese tutti con
un'esibizione memorabile: dopo un inizio elettrico e travolgente, tra lo stupore generale,
Mussida prese la chitarra classica e, con i suoi dolci arpeggi, fece volare il pubblico nella favola
di Hans, il mercante di sogni. Fu un trionfo e la PFM vinse il festival, a pari merito con Mia
Martini e gli Osanna.
Negli anni ‘80, tutti iniziarono a partecipare alla scrittura delle canzoni, perseguendo la
ricerca di una via rock tutta italiana, che avesse, proprio nei testi, una propria ben precisa
riconoscibilit{. Non fu facile entrare in uno spirito un po’ "da cantautore", ma l’esperienza con
De André e i consigli di Colombini, artefice del rilancio di Dalla, riuscirono a dare alla PFM la
necessaria sicurezza. Suonare suonare , ovvero "otto racconti di musica e parole per
esprimersi, comunicare, soffrire, godere e suonare", (come si dice sul retro di copertina) è un
album fresco e pieno di vitalità, che si sviluppa attraverso i poetici racconti autobiografici di
tutti i componenti della band. Per l’occasione l’organico si arricchì di un nuovo elemento,
Lucio Fabbri, che già aveva partecipato alla loro fortunata avventura con Fabrizio De André.
Nel 1997:PFM ritorna con l’album Ulisse. 10 anni di avventure ed esperienze individuali
riconsegnate al DNA del gruppo, lo stesso DNA di sempre. Ulisse viene premiato con la
consegna del Disco d’oro, avvenuta a Roma in occasione del concerto di PFM nella
capitale.PFM ormai è ritornata a suonare dal vivo e non ha più intenzione di smettere, tanto
dopo lo straordinario successo del tour, la band nel 1998 esce con un doppio album live
www.pfmpfm.it (il Best), un concentrato di energia e di grande vitalità musicale.
D. Stratos
“Il mio mitra è un
contrabbasso
che ti spara sulla faccia
che ti spara sulla faccia
ciò che penso della vita
con il suono delle dita si
combatte una battaglia
che ci porta sulle strade
della gente che sa amare”
(Area, Gioia e
Rivoluzione)
Figura carismatica e centrale negli Area, Demetrio Stratos ha
avuto un’importanza fondamentale anche nella personale
ricerca musicale individuale, fino a diventare il più grande
artista musicale italiano di tutti i tempi, lui che italiano non
era. Efstratios Demetriou è difatti nato nel 1945 ad Alessandria
d’Egitto da genitori greci. E’ lì che Demetrio trascorse i primi
tredici e fondamentali anni della sua vita, frequentando il
Conservatoire National d’Athènes, dove studiò fisarmonica e
pianoforte. Come sosterrà lui stesso in seguito, il fatto di essere
nato ad Alessandria lo far{ sentire una specie di ‘portiere’
privilegiato, destinato a vivere l’esperienza del passaggio dei
popoli e ad assistere al vero ‘traffico’ della cultura mediterranea,
con le sue diverse etnie e le intense pratiche musicali.
Appartenendo ad una famiglia greco ortodossa, Stratos ebbe modo di ascoltare durante
l’infanzia i canti religiosi bizantini, così come la musica araba tradizionale e solo
successivamente (e quindi in controtendenza con il percorso musicale di un individuo
della sua generazione) entrò a contatto con i primi accordi del rock’n’roll, sonorità che lo
influenzarono per tutta la vita. Dopo un breve soggiorno a Cipro, durante il quale terminò
gli studi medio superiori, si trasferì nel 1962 in Italia per iscriversi alla facoltà di
architettura del Politecnico di Milano.
Gi{ nell’anno successivo formò un gruppo musicale studentesco che, muovendo dalle
feste della casa dello studente, iniziò presto ad esibirsi in locali da ballo. Prima ancora che
come cantante, Demetrio si fece notare nell’éntourage milanese per il suo modo di
suonare l’organo hammond: in pochi avevano un approccio allo strumento come il suo,
specialmente nell’era dei primi vagiti del movimento beat, in cui l’approssimazione e il
dilettantismo la facevano da padroni. Fu per caso che, dovendo sostituire il cantante del
gruppo bloccato da un banale incidente d’auto, da organista Stratos iniziò a cantare,
continuando comunque la sua opera di turnista in diversi studi di registrazione e per
diversi artisti. Nel 1967 si unì al gruppo beat I Ribelli affiliati al Clan di Celentano in
qualità di organista e cantante. Con I Ribelli, Stratos divenne famoso al grande pubblico
in particolare per la sua inedita, per l’epoca, interpretazione vocale di “Pugni Chiusi”, una
canzone simbolo della seconda metà degli anni sessanta scritta per lui da Ricky Gianco.
Proprio grazie a “Pugni Chiusi”, venne notato dal jazzista Giorgio Gaslini che avrebbe
voluto quella voce, ancora senza volto, come protagonista della sua opera teatral-musicale
che affrontava l'epopea della cultura beat in Italia; motivi organizzativi impedirono la
partecipazione di Dementrio al melodramma. Nel 1970 lasciò I Ribelli, si sposò ed ebbe
una figlia, Anastassia, grazie alla quale cominciò a dedicarsi alla ricerca musicale e vocale
in particolare. Lo spunto gli venne dall’osservazione della ‘fase di lallazione’, ovvero si
accorse che la bambina inizialmente giocava e sperimentava con la propria voce, ma poi la
ricchezza delle sonorit{ vocali andavano perdute con l’acquisizione del linguaggio: “il
bambino perde il suono per organizzare la parola”. Questa osservazione di Stratos sarà il
filo rosso che attraverserà per intero il suo percorso artistico.
Nel 1972, dopo una fugacissima collaborazione con la Numero Uno di Mogol per la quale
incise il singolo “Daddy’s Dream”, unico episodio di produzione musicale di tipo
commerciale, si lanciò nell’avventura degli Area. Nell’ambito della ricerca di quegli anni del
rock progressivo e sperimentale della band milanese, si liberò dai codici e dagli stereotipi
improvvisando e di fatto contrapponendosi alla vocalità vuota e ripetitiva della pop star. Con
gli Area iniziò il periodo di maggiore creatività per il rock italiano, un rock che seppur non
possa essere definito tale in virtù di termini sonori, fu senza dubbio il miglior rock mai
prodotto nel nostro paese: creativo e libero, impegnato e passionale, scientifico ed
affascinante. Una musica che già al suo nascere si pose al di fuori dei generi codificati, un
rock estremista, violento, politicizzato, che riusciva ad essere sia canzone che avanguardia.
Nel 1974 Stratos si avvicinò al pensiero ed all’opera del compositore statunitense John Cage,
interpretando i suoi “Sixty-Two Mesostics Re Merce Cunningham” per voce non
accompagnata da microfono, parzialmente inclusi nel disco dedicato alla musica di Cage
dalla Cramps Records che inaugurava la collana ‘Nova Musicha’. Fu il primo contatto tra il
musicista pop e la musica colta. Il contatto con Cage lo spinse ad approfondire gli studi sulla
vocalit{, contaminandoli di quella critica marxista che l’esperienza con gli Area ed il
contatto con la tumultuosa realtà italiana del periodo avevano evidentemente sollecitato.
Tra il 1976 ed il 1979 si intensificarono i suoi studi sulla voce: pubblicò “Metrodora”, il suo
primo disco solista di sperimentazioni vocali; tenne corsi e seminari di semiologia della
musica contemporanea in scuole ed università e venne invitato presso il Centro di Musica
Sperimentale dell’Universit{ di San Diego, in California, programmato per il 1979 ed al quale
non potrà partecipare a causa della prematura morte.
Oltre che musicista, Demetrio fu anche un colto e raffinato intellettuale: grazie ai suoi studi di
etnomusicologia, soprattutto sul ruolo della voce presso alcune culture extraeuropee, egli capì
che dalla nostra voce si potevano ottenere più suoni contemporaneamente. Applicando
particolari metodologie intuì e dimostrò personalmente che si potevano ottenere anche delle
‘triplofonie’ e con un certo studio addirittura ‘quadrifonie’, realizzate fino a quel momento
solo dai monaci tibetani e da alcuni cavalieri nomadi della Mongolia. Tutte le sue
teorizzazioni e la rilevanza dei contributi dati dal cantante nell’ambito del rock, della
fonologia, della linguistica, della psicanalisi, dell’antropologia e della musica sperimentale
ebbero come laboratorio il suo stesso corpo.
Introdusse il concetto di voce-musica: una voce considerata nella sua individualità e non
vincolata unicamente ed esclusivamente alla parola e al suo discorso di significato verbale. Si
ribellava alla ‘voce bell’e pronta’ dei giorni nostri, combattendola con una strategia ed una
pratica liberatorie. Come egli stesso sosteneva nel suo saggio ‘Diplofonie ed altro’: “La voce è
oggi nella musica un canale di trasmissione che non trasmette più nulla”. Affermava con
decisione che si stesse vivendo un periodo di appiattimento, di distanziamento e indifferenza
rispetto al senso della voce umana: la voce come veicolo della parola rubava spazio alla vocemusica, privandola delle sue sfumature istintive, grezze, rumorose, man mano che ci si
avvicinava all’et{ adulta e ad una vocalit{ dominata dai meccanismi culturali di controllo e
dagli imperativi della societ{ di mercato. La voce era, d’altronde, da secoli subordinata agli
imperativi della ‘buona tecnica’: considerata come uno strumento, una macchina
perfettamente addomesticabile al servizio di un’estetica armoniosa e in nessun momento
anarchica.
Il rumore e la stonatura dovevano essere banditi da un mondo che aveva stabilito una
particolare ‘morale’ della voce. Demetrio Stratos arrivò a scardinare questi ben oliati
meccanismi con la sua voce pronta ad essere emessa nella sua materialità, nella sua esecrabile
sgradevolezza e rivoluzionaria indecorosità, portando avanti una sua personale critica, in un
contesto rivoluzionario come quello di allora in cui la vocalità assumeva un profondo ruolo
contestatore. La voce soffocata nella musica rappresentava per lui il proletariato sfruttato che
cercava la sua forza liberatrice; con la voce egli sapeva fare cose inimmaginabili al punto che
giustamente è stato definito artista/strumento umano irripetibile. Liberare la naturalità
nascosta della gola e delle corde vocali, per lui significava elaborare ed esprimere pensieri contro
il potere, deridendo e intrattenendo, insegnando ed imparando sempre dalle emozioni del
pubblico. Si dice che il termine esatto delle situazioni di avanguardia presentate da Demetrio
Stratos fosse ‘performance’, perché con questo termine si intendeva dare una corporeit{ plurale
alle arti che innescava nei suoi spettacoli: fusione di mimo e voce, canto e recitazione,
recitazione di un corpo in grado di dare dimensioni difficilmente collocabili nelle normali
geografie artistiche.
Desideroso di scoprire anche la condizioni meccaniche per mezzo delle quali si realizza un
suono, Demetrio Stratos entrò in contatto nel 1977 con Franco Ferrero, noto studioso di
foniatria e ricercatore presso il C.N.R. dell’Universit{ di Padova. Egli aveva l’assoluta esigenza
personale di scoprire come venivano realizzati determinati vocalizzi, poco usuali nella nostra
cultura occidentale. Gli esperimenti tenuti da lui e da Ferrero misero in luce le straordinarie
capacità vocali di Stratos. Egli emetteva suoni che, realizzati attraverso vibrazione delle corde
vocali, in diverse posizioni articolatorie riuscivano a creare risonanze che sembravano bitonali.
Con le corde vocali poteva ottenere vibrazioni acustiche simili a quelle dello scacciapensieri, ma
senza alcuno strumento e senza alcuna variazione di frequenza.
Riusciva inoltre, con la bocca aperta e con grande sforzo, ad emettere fischi senza far vibrare
le corde vocali: la frequenza rilevata era molto elevata, Demetrio raggiunse i 6000 Hz,
quando in media le corde vocali non riescono a superare la frequenza di 1000-1200 Hz.
Come afferma lo stesso Ferrero in una recente intervista, Stratos riuscì a raggiungere un tale
grado di sviluppo vocale perché aveva una gran voglia di capirsi e controllare determinate
strutture che noi utilizziamo automaticamente. Nonostante l’abbandono degli Area, la
pubblicazione nel 1978 di un nuovo disco solista sperimentale, “Cantare la voce”, e
l’interpetazione nell’anno successivo di “Le Milleluna”, con testo di Nanni Balestrini,
Demetrio non dimenticò il rock’n’roll. Proprio nel 1979 progettò con grande divertimento
assieme Paolo Tofani, il polistrumentista Mauro Pagani ed altri lo spettacolo, poi trasposto
su disco, “Rock’n’roll Exhibition”, per riportare alla luce i grandi musicisti americani dal
1955 al 1961. Questo a dimostrare il dualismo musicale di Demetrio: un cuore semplice per
accordi di tutti i giorni e un’attenzione nascosta per la novit{ e la ricerca. Era un conflitto in
cui le due culture a cui apparteneva tentavano di convivere con la sua vita: due mondi,
quello occidentale e quello orientale, sollecitavano continuamente cittadinanza nei suoi
comportamenti artistici.
Il tour del Rock’n’roll Exhibition dovette però interrompersi presto. Lunedì 2 aprile 1979
Demetrio Stratos venne ricoverato nel reparto ematologico dell’Istituto Granelli del
Policlinico di Milano per un’aplasia midollare di cui non si conoscevano le cause. Mercoledì
25 aprile la situazione fisica sembrò precipitare al punto da rendere necessario il
trasferimento al Memorial Hospital di New York, unico posto attrezzato per affrontare le
cure della malattia. Venne organizzato a Milano un grande concerto al fine di raccogliere
fondi per la costosa degenza newyorkese, il giorno prima del concerto, il 13 giugno 1979,
Demetrio morì stroncato da un collasso cardiocircolatorio.
Il suo decesso ebbe un’eco fortissima tanto che dovettero occuparsi di lui anche i media
istituzionali, ideologicamente e culturalmente lontani dal ‘circuito alternativo’ : da Arbore in
‘L’altra domenica’ a Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera. Venne a mancare da un
momento all’altro la ‘bandiera’ del rock e della sperimentazione italiani, gettando nello
sgomento tutta quella schiera di musicisti, tra cui l’addolorato Eugenio Finardi, che vedevano
in Stratos un modello e una sorta di faro artistico.
Rimaneva la grandezza del lavoro di Demetrio, la sua incredibile volontà di ricerca, di
sperimentazione, la sua ricerca spasmodica di nuovi ed inediti codici espressivi.
Gli anni ottanta erano però alle porte, pronti ad invadere con lustrini, laser e videoclip un
mercato sempre più globale ed indifferenziato ed a spazzare via il periodo più frenetico ed
esaltante della storia della musica italiana, di cui Demetrio fu protagonista, rappresentate e
simbolo indiscusso.
Sport
Fondata prima squadra di
calcio ufficiale (Genoa)
Prima gara ciclistica in
Italia (Firenze-Pistoia)
Primo Campionato
di Calcio
Prima Vittoria
(1898)
1861 1870 1880 1893 1900 1906
1921 1934 1948
Targa Florio
Competizioni storiche
legate alla tradizione,
come il Palio di Siena o
la Regata Storica di
Venezia
Primo campo da tennis a
Bordighera. Questo sport
rimane d’élite fino al
dopoguerra
Quarta Vittoria
Mondiale di
Calcio
Olimpiadi
Mondiale di Calcio Roma
1960
Costituzione
Attentato
Introduzione del Togliatti –
basket (1907) Vittoria Bartali
al Tour
1982
1990 2006 2008
Terza Italia ‘90 2 Record del
Vittoria
Mondo
Mondiale
(F. Pellegrini)
Approfondimenti:
Giro d’Italia (1909), Calciopoli, P. Mennea, M. Pantani
Squadre: Juventus (1897), Milan (1899), Inter (1908)
Vittoria Bartali
14 luglio 1948- L’attentato a Palmiro Togliatti, raggiunto da alcuni colpi di arma da
fuoco, getta il Paese nel caos: rivolte hanno luogo a Napoli, Genova, Livorno e
Taranto. Accuse reciproche vengono lanciate da governo e comunisti, sull’intenzione
di scatenare una guerra civile. Le comunicazioni sono bloccate, ma il giorno
seguente una notizia scioglie la tensione: la radio annuncia che Bartali, sull’Izoard,
sta recuperando i 22 minuti di distacco che lo separavano dal primo in classifica.
Nonostante una foratura, il giorno successivo strappò la vittoria a Bobet. L’intera
Italia si abbraccia, il dramma ha lasciato spazio alla gioia. Bartali ha salvato l’Italia.
Regata Storica di Venezia
Nel 1815, con il passaggio della città sotto gli austriaci, venne organizzata una regata
in onore dell'imperatore d'Austria e sotto il nuovo regime la pratica delle regate
riprese un nuovo vigore tanto che nel 1841 venne regolamentata una regata annuale
lungo il Canal Grande secondo le modalità attuali, organizzata a spese pubbliche.
La pratica fu interrotta nel 1848, in seguito all'insurrezione della città, e non fu più
ripresa fino al 1866, anno in cui Venezia fu annessa al Regno d'Italia. L’appellativo
Storica fu coniato e introdotto solo nel 1899, su proposta del sindaco di allora,
Filippo Grimani.
Juventus F. C.
La Juventus Football Club , è una società con sede a Torino. Fondata da un gruppo di studenti
liceali torinesi, si tratta del terzo club italiano per anzianità tra quelli tuttora attivi, insieme al
Torino, uno dei due che rappresentano nel calcio professionistico il capoluogo piemontese.
Legata fin dagli anni venti alla famiglia Agnelli, il club ha sempre militato nella massima
categoria del campionato italiano di calcio (dal 1929 denominata Serie A) sin dalla sua
fondazione, eccezion fatta per la stagione 2006-07. La Juventus è la società calcistica più titolata
del Paese, nonché una delle più vittoriose e importanti del mondo, fino al punto di essere
nominata dall'Istituto Internazionale di Storia e Statistica del Calcio, organizzazione
riconosciuta dalla FIFA, come il miglior club italiano e il secondo a livello europeo del XX secolo
Nel 1988 la Juventus fu insignita di uno speciale riconoscimento come prima squadra nella
storia del calcio continentale ad avere vinto tutte e tre le maggiori competizioni gestite
dall'Unione Europea delle Federazioni Calcistiche, la Coppa dei Campioni, la Coppa delle
Coppe e la Coppa UEFA. Con la vittoria nella Coppa Intercontinentale 1985, infine, la Juventus
divenne il primo – e rimane tuttora l'unico – club al mondo ad avere conquistato almeno una
volta tutti i trofei ufficiali a livello internazionale. In base a quanto emerge da un sondaggio la
Juventus risulta essere la squadra con il più alto numero di sostenitori in Italia, avendo riscosso
la preferenza del 29% del campione. Inoltre, è tra le squadre con il maggior numero di
sostenitori a livello mondiale contandone circa 180 milioni di simpatizzanti
A. C. Milan
L'Associazione Calcio Milan, è una società calcistica di Milano, dove fu fondata il 16
dicembre 1899. Attualmente milita nella Serie A del campionato italiano di calcio, dove ha
giocato pressoché stabilmente: dalla sua introduzione nella stagione 1929-1930, infatti, ha
partecipato a 77 campionati di Serie A a girone unico su 79. È la prima squadra al mondo per
numero di titoli internazionali conquistati (18), tra cui 4 Coppe Intercontinentali/Coppe del
mondo per club (primato mondiale), 5 Supercoppe europee (primato europeo), 7 Coppe dei
Campioni/Champions League e 2 Coppe delle Coppe (entrambi primati italiani) e figura al
nono posto (seconda italiana) della graduatoria continentale dell'UEFA, stilata sulla base dei
risultati ottenuti nelle competizioni europee nell'ultimo quinquennio. Se in ambito
internazionale è la squadra italiana con più successi e la prima ad aver vinto la Coppa dei
Campioni (nel 1962-1963), in ambito italiano il Milan è il terzo club più titolato dopo la
Juventus (prima) e l'Inter (seconda), avendo vinto 18 scudetti, 5 Coppe Italia e 5 Supercoppe
italiane (quest'ultimo record italiano a pari merito con l'Inter). Complessivamente, con 46
trofei ufficiali vinti, è il secondo club più titolato dietro alla Juventus. È inoltre l'unica
squadra ad aver vinto il campionato italiano a girone unico senza subire sconfitte (nel 19911992).
F. C. Internazionale
Il Football Club Internazionale Milano, meglio conosciuto come Internazionale o, più
semplicemente, come Inter e all'estero come Inter Milan, è una società con sede a Milano. Fu
fondata il 9 marzo 1908 da 43 soci dissidenti del concittadino Milan e, insieme a quest'ultimo,
rappresenta il capoluogo lombardo nel calcio professionistico.
È l'unica squadra ad aver partecipato a tutti i campionati di Serie A dalla sua fondazione nella
stagione 1929-30 Nel suo palmarès figurano 18 campionati di lega, 6 Coppe Italia e 5
Supercoppe italiane per un totale di 29 vittorie in competizioni nazionali – seconda alle spalle
della Juventus (40) –, cui vanno sommati 9 titoli vinti in tornei internazionali: 3 Coppe dei
Campioni/Champions League, 2 Coppe Intercontinentali, 1 Coppa del mondo per club e 3
Coppe UEFA che ne fanno il terzo club italiano sia per numero di titoli ufficiali vinti (38) –
dopo Juventus (51) e Milan (46) – che per vittorie in competizioni internazionali, alle spalle di
Milan (18) e Juventus (11). Il club occupa il sesto posto – terzo tra i club italiani – nella speciale
classifica dei migliori club europei del XX secolo. Con i successi conseguiti in campionato dal
2005-2006 al 2009-2010 l'Inter ha eguagliato il record di cinque scudetti consecutivi raggiunto
in precedenza dalla Juventus del Quinquennio d'oro negli anni trenta e dal Grande Torino
negli anni quaranta. Sempre nella stagione 2009-2010, inoltre, è diventato il primo club
italiano a centrare il treble, con le sue vittorie in campionato, Coppa Italia e Champions
League, e poi a centrare il cosiddetto quintuple con le conseguenti vittorie in Supercoppa
italiana e Coppa del mondo per club.
Giro d’Italia
Il Giro d’Italia è una corsa a tappe maschile di ciclismo su strada, ideata dal giornalista Tullo
Morgagni, che si svolge lungo le strade italiane con cadenza annuale. Istituito nel 1909, da allora
si è sempre disputato, salvo che per le interruzioni dovute alla prima e alla seconda guerra
mondiale. Mentre il luogo di partenza è in genere ogni volta diverso, l'arrivo, salvo eccezioni
come Firenze, Verona e Roma, è a Milano, città ove ha sede La Gazzetta dello Sport, il quotidiano
sportivo che organizza la corsa sin dalla sua istituzione. Il Giro è una delle tre corse a tappe più
importanti del calendario, e l'Unione Ciclistica Internazionale l'ha inserito nel suo circuito
professionistico insieme alle altre due grandi corse internazionali, il Tour de France e la Vuelta a
España. Storicamente è da ritenersi la seconda corsa a tappe più prestigiosa dopo quella
francese, anche se, a cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta (al tempo dei duelli Coppi-Bartali)
e durante gli anni settanta, il prestigio e il numero di grandi ciclisti iscritti portarono il Giro ad
avere un'importanza quasi pari a quella del Tour. La prima edizione del Giro si concluse con la
vittoria di Luigi Ganna. La lista completa dei partecipanti al 1º Giro è tutt'oggi sconosciuta
nonostante sia considerato un documento storico. Il record di vittorie è condiviso da 3 ciclisti,
ognuno con 5 vittorie, gli italiani Alfredo Binda, vincitore tra il 1925 e il 1933, Fausto Coppi,
vincitore tra il 1940 e il 1953 e il belga Eddy Merckx, che vinse tra il 1968 e il 1974. Per quel che
riguarda le vittorie di tappa, il record appartiene al velocista toscano Mario Cipollini, che
nell'edizione del 2003 riuscì a superare il record di 41 vittorie che dagli anni '30 apparteneva ad
Alfredo Binda; a quest'ultimo rimangono i record di vittorie di tappa in una stessa edizione, 12
tappe su 15 nel 1927, e di vittorie di tappa consecutive.
Primo Mondiale
L'8 ottobre del 1932, a Zurigo, la Federazione accolse la richiesta del governo
Italiano e affidò l'organizzazione del secondo Campionato mondiale di calcio
all'Italia. Mussolini sin dagli inizi del regime aveva promosso lo sport, e in
particolare il gioco del calcio, anche a scopi propagandistici e nazionalistici: in
un'Italia rurale e caratterizzata ancora dal campanilismo, il calcio era visto come
strumento per favorire l'unità nazionale. Le città scelte per ospitare l'evento furono
otto: Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Roma, Torino e Trieste. L'altra
candidata ad ospitare i giochi fu la Svezia. Oltre ad essere il primo campionato del
mondo disputato in Europa, quello del 1934 fu anche il primo torneo in cui si
disputarono delle qualificazioni cui prese parte anche il paese ospitante. A Milano,
l'Italia sconfisse la Grecia per 4-0. Alla fase finale presero parte 16 nazioni: 12
europee, 3 americane e, per la prima volta, un'africana, l'Egitto. Nessuna squadra
extra-europea, comunque, superò gli ottavi di finale. L'Uruguay campione uscente
rifiutò di partecipare in risposta a quanto avvenuto nel 1930, quando molte delle
nazionali europee, tra cui l'Italia, avevano declinato l'invito alla competizione per
spese di viaggio e di soggiorno ritenute troppo alte.
P. Mennea
Mennea iniziò la sua lunga carriera atletica internazionale nel 1971, quando debuttò ai
Campionati europei con un terzo posto nella staffetta 4×100 metri. Fece il suo debutto
olimpico a Monaco di Baviera, ai Giochi olimpici estivi del 1972, dove raggiunse la finale dei
200 m, la specialità nella quale era più forte. Tagliò il traguardo al terzo posto. Ai
Campionati europei del 1974, Mennea vinse l'oro nei 200 m davanti al pubblico di casa di
Roma, e si piazzò secondo nei 100 m (dietro a Borzov, suo rivale storico) e nella staffetta
veloce. a Montréal. Riuscì a qualificarsi per la finale, ma vide l'oro finire nelle mani del
giamaicano Don Quarrie, mentre lui finì ai piedi del podio, quarto.Lo stesso risultato,
mancando di poco il bronzo, venne raggiunto nella staffetta 4x100 metri. Nel 1978, a Praga,
difese con successo il suo titolo europeo dei 200 m, ma mostrò le sue doti anche sulla
distanza più breve, vinta anch'essa. In quell'anno si aggiudicò anche l'oro nei 400 metri
piani agli europei al coperto. Nel 1979, Mennea, studente di scienze politiche, prese parte
alle Universiadi, che si disputavano sulla pista di Città del Messico. Il tempo con cui vinse i
200 metri piani, 19"72, era il nuovo record del mondo: esso resistette per ben 17 anni, ma va
tenuto conto del fatto che fu ottenuto correndo a oltre duemila metri di quota. Mennea
detenne anche il record del mondo a livello del mare dal 1980 al 1983, con 19"96.In quanto
detentore del primato mondiale, Mennea era senz'altro uno dei favoriti per l'oro olimpico a
Mosca anche a causa del boicottaggio statunitense delle Olimpiadi del 1980. Nella finale dei
200 m, Mennea affrontò il campione uscente Don Quarrie e il campione dei 100 m Allan
Wells.
Wells sembrò dirigersi verso una vittoria netta ma Mennea gli si avvicinò sul rettilineo e lo
sopravanzò negli ultimi metri, aggiudicandosi l'oro per 2 centesimi di secondo. Mennea,
soprannominato la Freccia del Sud, nel 1981 annunciò il suo ritiro concedendosi più tempo
per lo studio. Successivamente ritornò sui suoi passi e l'anno dopo prese parte agli europei
gareggiando però solo nella 4x100 che arrivò quarta. Il 22 marzo 1983 stabilì il primato
mondiale (manuale) dei 150 metri piani, con 14"8 sulla pista dello stadio Comunale di
Cassino: questo primato è ancora imbattuto, perché il tempo di 14"35 stabilito il 17 maggio
2009 da Usain Bolt a Manchester non è stato omologato dalla Federazione in quanto
stabilito su pista rettilinea.
M. Pantani
Marco Pantani è stato un ciclista su strada italiano, con caratteristiche di scalatore puro.
Professionista dal 1992 al 2003, vinse un Giro d'Italia e un Tour de France; fu anche medaglia
di bronzo ai mondiali in linea del 1995. Soprannominato "il pirata", ottenne i suoi migliori
risultati nelle corse a tappe: è a tutt'oggi l'ultimo italiano ad avere vinto il Tour de France, nel
1998 (33 anni dopo Felice Gimondi) e l'ultimo ciclista in assoluto dopo Fausto Coppi, Jacques
Anquetil, Eddy Merckx, Bernard Hinault, Stephen Roche e Miguel Indurain ad aver vinto il
Giro e il Tour nello stesso anno. Escluso dal Giro del 1999 a seguito di un valore ematocrito al
di sopra del consentito, Pantani risentì del clamore mediatico suscitato dalla vicenda e, pur
tornato alle gare non molto tempo dopo, raggiunse solo sporadicamente i livelli cui era
abituato. Caduto in depressione, morì il 14 febbraio 2004 a Rimini, per arresto cardiaco
dovuto ad eccesso di sostanze stupefacenti. In carriera ottenne 46 vittorie. Pantani è
considerato, assieme a Gino Bartali, Charly Gaul e Federico Bahamontes, uno dei più grandi
scalatori di ogni epoca. Dopo la sua morte Lance Armstrong, sette volte vincitore del Tour de
France, affermò che Pantani era stato il più grande scalatore di sempre; lo stesso Charly Gaul
dichiarò che probabilmente Pantani era stato più forte anche di lui.
Calciopoli
Lo scandalo del calcio italiano del 2006 (conosciuto soprattutto come Calciopoli) è
stato, in ordine di tempo, il terzo grande scandalo (dopo quello del 1980, noto come
Calcioscommesse e quello del 1986, noto come Secondo calcioscommesse o
Calcioscommesse 2) a investire il mondo del calcio italiano, anche se come portata ed effetti
è stato certamente maggiore dei primi due. Lo scandalo, le cui prime avvisaglie emersero da
indiscrezioni di stampa alla fine di aprile del 2006 (ma in realtà negli ambienti calcistici
circolava da diversi mesi l'esistenza di scottanti intercettazioni telefoniche tra importanti
dirigenti federali e di società, oggetto di indagine della Procura di Torino, sebbene non
fosse chiara la reale portata dei fatti), fu battezzato dagli organi di informazione con varie
denominazioni, ma alla fine è storicamente prevalso il termine Calciopoli (per assonanza
con Tangentopoli, laddove in quel caso a reggere l'espressione era il termine tangente). Le
intercettazioni telefoniche oggetto delle indagini emersero solamente il 2 maggio 2006.
Oggetto delle indagini da parte della Procura Federale della FIGC furono, oltre a vari
dirigenti della stessa Federcalcio e dell'Associazione Italiana Arbitri, i dirigenti di diverse
società professionistiche di calcio. A conclusione delle indagini la procura decise di
chiamare a rispondere di vari capi di imputazione sei club: Juventus, Milan, Fiorentina,
Lazio, Reggina ed Arezzo. Le ultime due, non coinvolte nella lotta per la qualificazione alle
coppe europee 2006-2007, furono giudicate in un procedimento a parte, per consentire
priorità ai giudizi sui primi quattro club, influenti sulla determinazione delle squadre
italiane partecipanti alle competizioni internazionali nella stagione successiva.
Moda
E. Pucci
1949
E. Schiaparelli
Anni ‘30
O. Missoni
1861
1913 1921
Fratelli Prada
1948
1928
S. Ferragamo
G. Gucci
Approfondimenti:
150 anni di moda
Sorelle Fontana
1970 1975
1951 1953
Costituzione
1943
Armani
Moschino
R. Cavalli
Prima sfilata di
alta moda italiana
1959
1983 2011
Anni ‘80
Valentino
Milano capitale
della moda
E. Fiorucci
Anni ‘70
La moda italiana si è sempre contraddistinta da quella straniera perché nata dalla
volontà di avere riscatto sociale, non è semplice affermazione di uno stato sociale.
Fin dal 1861 esisteva un gusto italiano, di fatto la moda del made in Italy si è
sviluppata nella Penisola e nel mondo dopo la proclamazione della Repubblica.
1861
Cilindro
Giacca corta!
Redingote (cappotto aperto dietro)
Panciotto monopetto
Pantaloni larghi
e dritti
Cuffie
Grembiule
in seta con
frange
Gonne lunghe e ampie
1900
Il colore prediletto dai giovani era il rosso. Si
indossavano generalmente giacche chiuse e
strette, e cappotti lunghi di colore scuro.
Cravatta nera
Giacca doppiopetto
Voglia di libertà:
gonne
accorciate e
tessuti più
leggeri ma sotto
c’è sempre il
busto
Collo a V, innovazione italiana!
1920-30
Cappello a tesa larga
Giacca dritta
Pantaloni dritti e attillati
Abito di Elsa
Schiaparelli,
prima
importante
stilista
italiana.
Lavorava a
Parigi. Grazie
a lei ritorna
la linea lunga
e slanciata
degli abitini
contrapposiz
ione alla
donna
mediterranea
proposta da
Gino
Boccasile
durante il
Regime.
1940
Spalle quadrate
Periodo della guerra e post guerra.
Semplicità e comodità grazie a gonne al
ginocchio e giacche strutturate ma facili da
indossare.
Gonne al ginocchio
1950
Giacche più strutturate
Ritorno degli abiti
stretti in vita! E
gonna a ruota.
Tacchi a spillo
1960
Inizia a diffondersi lo stile dei
Beatles con pantaloni stretti e
corti, giacchette striminzite,
uniformi ottocentesche con
spalline, stivaletti alla caviglia.
Modello Twiggy: corpo snello e slanciato
esaltato da minigonne, linee dritte e
semplici, e scarpe basse per esaltare un
1970
Periodo di
ribellione: i
ragazzi di
destra
indossavano i
jeans di marca,
i Ray Ban, le
Timberland; a
sinistra invece
si usavano
jeans sdruciti,
occhiali da
poche lire,
camicioni e
maglioni fuori
taglia, borse a
tracolla in
cuoio naturale.
1980
Colori fluo, stampe di
ogni tipo, giacche
eleganti rivisitate con
spalle dai volumi
esagerati, giacche di
pelle, leggins, capelli
lunghi… viva la
stravaganza!
1990
Parole d’ordine: vita alta e giochi di proporzioni.
2011
Non c’è più un unico stile, ogni
settimana della moda presenta un
boom di tendenze, spesso riprese dal
passato. Non è più moda come
fenomeno di massa ma come
espressione della propria personalità!