Netsuke - n. 20 - Settembre 2011 - La Galliavola

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Netsuke - n. 20 - Settembre 2011 - La Galliavola
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Arte Orientale
n . 2 0 - S e t t e m b r e 2 0 11
Netsuke
La Galliavola Arte Orientale
Via Borgogna, 9 - 20122 Milano
tel. +39 0276007706 - fax. +39 0276007708
www.lagalliavola.com [email protected]
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Cari amici,
eccoci con un nuovo numero del nostro Bollettino, dopo le vacanze che speriamo
siano trascorse serene ed in buona armonia per tutti.
La parentesi estiva ci ha consentito momenti di riposo ma anche di riflessione ricaricandoci e consentendoci di riprendere con rinnovata energia ed entusiasmo le nostre
attività ed i nostri progetti.
L’autunno quindi, come anticipato nel precedente numero, si annuncia denso di iniziative e già l’8 Ottobre vede in calendario la seconda edizione del Milano Netsuke
Meeting, di cui potete trovare il programma dettagliato nella pagina a fianco.
Questa nuova edizione si preannuncia particolarmente interessante grazie alla partecipazione di un’esperta internazionale, quale è Rosemary Bandini che, oltre ad affrontare un tema di notevole spessore, ci consentirà anche di tastare il polso della scena
del collezionismo internazionale. Una grande opportunità dunque per i nostri lettori che forse per la prima volta potranno in tutta tranquillità avere risposta alle loro
curiosità sull’andamento del mercato estero proprio da una delle più quotate protagoniste del mondo del netsuke.
Hanno già confermato la loro presenza Bruno Asnaghi, relatore della passata edizione, e Francesco Morena, curatore dell’ormai famoso catalogo della Collezione
Lanfranchi. Aspettiamo, naturalmente, tutti voi collezionisti, pregandovi, vista l’affluenza dell’anno passato, di voler confermare per tempo la vostra partecipazione.
Il numero di settembre si apre con il bell’articolo, di cui riportiamo anche la versione originale in lingua inglese, di Rosemary Bandini che, prendendo spunto da alcuni pezzi pubblicati sul suo ultimo catalogo di successo, The Sheila M. Baker Collection
of Japanese Netsuke and Inro, ci propone un insieme di netsuke raffiguranti gatti e topi.
Un amico, Francesco Morena, ci ha voluto onorare della sua firma, proponendo un
interessante articolo sui netsuke in porcellana di Hirado; Morena è autore di numerose pubblicazioni sull’arte orientale, tra le quali il sopracitato catalogo della Collezione
Lanfranchi, esposta al Museo Poldi Pezzoli di Milano. Il suo contributo è molto interessante e tratta di un argomento un po’ insolito e di cui non avevamo ancora avuto
modo di parlare. Lo ringraziamo vivamente e auspichiamo una sua costante partecipazione e presenza sul nostro Bollettino.
La parte conclusiva è dedicata, come di consueto, alle aste ed in particolare all’ultima
tornata della vendita della Wrangham Collection svoltasi a Londra nel maggio scorso.
Vi auguriamo una buona lettura, augurandoci di ritrovarci tutti insieme al Milano
Netsuke Meeting.
Roberto Gaggianesi
Hanno collaborato a questo numero: ROSEMARY BANDINI - CARLA GAGGIANESI - ROBERTO
GAGGIANESI - ILARIA LOMBARDI - FRANCESCO MORENA - ANNA ROSSI GUZZETTI
Fotolito e stampa: Grafiche San Patrignano - Ospedaletto di Coriano - Rimini
In copertina: Maschera di Okame, avorio marino, h. mm 35, fine secolo XVIII, inizi XIX.
Collezione La Galliavola
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Gatti e topi
di Rosemary Bandini
I gatti e i topi sono animali che, nella cultura occidentale, tendiamo ad associare perché, mentre il topo è considerato un animale nocivo, il gatto, col suo fare furtivo, si
gode il comfort delle nostre case e in cambio tiene a bada il suo arci-nemico roditore. Come i celebri Tom e Jerry, Silvestro e Titty: costantemente in guerra.
Nel Giappone moderno il gatto è un animale domestico, ben coccolato. Ma non è
sempre stato così. Anzi, c’è stato un tempo in cui era il topo a essere considerato con
il più alto riguardo e rispetto. Nella tradizione orientale, infatti, il topo è associato alla
ricchezza visto che di norma sceglie sempre di vivere vicino ad abbondanti provviste
di riso. E nel Giappone feudale le tasse erano pagate in riso mentre il valore di un
daimyo era calcolato dalla quantità di riso prodotto dai suoi terreni.
Il topo, poi, si associa anche a Daikoku, dio della ricchezza; fa la guardia alla sua sacca
dei tesori ed è anche il primo segno nello zodiaco orientale e assume caratteristiche
positive quali il duro lavoro, la parsimonia e il fascino benché, nonostante tutto,
venga considerato allo stesso tempo astuto e spietato.
Per queste ragioni, il topo è un soggetto molto comune nei netsuke e compare di frequente nella produzione degli intagliatori del XVIII secolo. L’esempio qui riportato
(fig. 1) in avorio (non firmato), ritratto seduto mentre stringe un peperoncino piccante, è attribuito al maestro scultore di Kyoto, Masanao. Gli occhi sporgenti e la sua
espressione d’allerta conferiscono a questa creatura un senso di tensione nervosa che
differenzia le sculture di Masanao da quelle di altri artisti.
Fig. 1
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Fig. 2
Il topo è un soggetto prediletto dalla scuola d’intagliatori Yamada, i quali, in particolar modo, eccellevano nella rappresentazione di topi raggomitolati su se stessi. I primi
di questo tipo erano in avorio, prodotti in apparenza solo in piccole quantità, da intagliatori provenienti sia da Osaka che da Kyoto.
Quasi tutti gli esempi conosciuti di scuola Yamada sono stati intagliati nel XIX secolo, i
primi generalmente di più alta qualità, in particolar modo quelli che portano la firma di
Masakatsu. L’esempio qui illustrato (fig. 2) è un modello piuttosto grande e ben composto firmato Masanao e datato 1860 circa. Questo esemplare, dal soggetto molto popolare, è chiaramente una rappresentazione del roditore mentre si attorciglia su se stesso.
Anche la scuola d’intagliatori di Nagoya amava i soggetti animali, spesso prediligendo, come materiale, il legno scuro. Le migliori opere realizzate da questa scuola sono
molto raffinate e possono essere realmente apprezzate solamente quando, grazie a uno
studio approfondito, si riesce a comprendere le meraviglie della loro creazione. A
volte la pazienza di un collezionista viene ripagata se sa andare al di là del materiale
in sé - il legno scuro può anche essere una barriera - e cogliere così i dettagli delicati
di questi netsuke. L’esempio qui mostrato (fig. 3), firmato Tomokazu e classificato
come opera giovanile, quando egli era ancora largamente influenzato dagli incisori di
Kyoto, consta in un netsuke più grande rispetto alla media dei pezzi di Nagoya.
Fig. 3
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Mentre il topo è un soggetto
prediletto per i netsuke, il
gatto è relativamente più
raro. Tradizionalmente si
deve al fatto che è famoso per
essere «l’unico animale che
non riuscì ad attendere il
funerale del Buddha». Non è
un caso che i molti dipinti
dedicati a questo soggetto
non ritraggano il nostro
Fig. 4
amico felino, anche se una
mostra recente al Kyoto
National Museum (Creatures’ Paradise: Animals in Art from the Kyoto National
Museum) ha confutato questo storica credenza, esibendo una scena tratta dalla
morte del Buddha con un gatto chiaramente visibile in primo piano. La teoria proposta dal museo è piuttosto logica: il gatto domestico viene dal Medio Oriente ed è
rimasto perciò sconosciuto in Giappone fino all’epoca Heian (794-1191 d.C.). Ecco
dunque spiegato come mai non se ne conosce alcuna immagine prima di quella data.
Una volta introdotto in Giappone, il gatto era considerato tanto prezioso che gli
veniva dato un collare con guinzaglio per garantire la sua sicurezza.
Al momento, per coincidenza, in galleria abbiamo numerosi esempi di netsuke raffiguranti i nostri amici pelosi. Provengono da una collezione privata di una signora inglese che amava i gatti sia vivi che in forma di netsuke.
A partire dal XIX secolo il gatto appare come compagno dei cortigiani e come
gentile creatura domestica, spesso in compagnia di gattini, come in questo esempio in avorio (fig. 4). La madre
tende in modo protettivo il
muso verso la sua progenie la
quale si gira a sua volta per leccarsi vigorosamente la zampa.
Il netsuke in lacca rossa raffigurante un gatto mentre dorme
vicino al suo gattino - esemplare della collezione HullGrundy - evoca ancora una
volta una tenera situazione
domestica (fig. 5).
Fig. 5
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Fig. 6
Il gatto affamato che affonda i suoi denti nel salmone essiccato (fig. 6) ci dà nell’insieme un’immagine di sé più determinata e non mostra alcuna tensione nervosa che
al contrario appariva nel primo esempio citato, il topo con il peperoncino. Questo
piccolo felino non sembra impaurito da nessuno e anche se qualcuno tentasse d’interrompere il suo banchetto non presterebbe attenzione. Nonostante questo fiero atteggiamento, egli ci appare in una veste comica, specialmente se si osservano le enormi
dimensioni del pesce. Dimensioni che fanno sembrare il suo affamato aggressore un
nanetto.
Un’altra rappresentazione comica è quella della gatta geisha, intagliata a partire da uno
spesso residuo di lacca lasciato in disparte nella tavolozza dell’artista (fig. 7). Tenendo
timidamente le zampe di fronte a sé, la gatta piega il capo di lato in modo vanitoso,
anche se l’impressione che ci dà, in realtà, è quella di un’anziana e grassoccia signora
che si illude di possedere ancora l’appeal di quando era giovane. Le striature colorate
- rosse, verdi, nere e oro - si adattano perfettamente alla scultura: il verde e il giallo in
particolare sembrano ricreare i giochi di tessuto del suo kimono.
Fig. 7
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Fig. 8
L’ultimo netsuke qui mostrato combina i due nemici in questo manju fatto in corno
di cervo (fig. 8), un tempo appartenente alla collezione di Teddy Hahn.
Proprio come in un cartone animato, il gatto siede su un caldo ed avvolgente anka
(uno scaldino portatile e con dei piccoli fori) e si raddrizza per sovrastare il topo
facendo delle boccacce mentre il piccolo roditore si guarda indietro, per niente
impressionato dalla minaccia. Il gatto sembra tenere in una zampa una specie di cucchiaio, altri due appaiono sul retro del netsuke e sembrano essere dei mestoli, chiamati Shakushi, che venivano usati in tempi antichi.
Con la ricerca e l’aiuto del collezionista Giapponese Masanori Watanabe, è stato possibile ipotizzare come questa rappresentazione faccia riferimento all’espressione Giapponese
shakushi mo, neko mo, cioè “sia gatti che mestoli”, o in altre parole, “chiunque”.
In un libro di storie di Ikkyu Banashi, pubblicato nel 1688, c’è una poesia scritta da
un monaco Zen che dice: Umareteha shinuru narikeri oshinabete Shaka mo Daruma
mo neko mo shakushi mo.
Il che significa che tutti coloro nati in questo mondo devono alla fine morire, sia che
essi siano il Buddha, Daruma, un gatto o un mestolo. Inoltre, neko e shakushi hanno
entrambi un doppio significato: il primo è gatto e monaco Shintoista, il secondo
mestolo e monaco Buddista.
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Cats and rats
Rosemary Bandini
Cats and rats are two animals that we tend to put together, mostly because the rat in
western culture is considered a pest while the slinky cat enjoys the comforts of our homes
and keeps his rodent enemy at bay.
They are the familiar Tom and Jerry or Sylvester and Tweety Pie, constantly at war.
In modern Japan the cat is a pampered pet, but this was not always the case and it was
the rat that was held in higher regard.
In Oriental tradition, a rat is the companion of wealth, always choosing to live near a
plentiful supply of rice. Taxes in feudal Japan were paid in rice and a daimyo’s worth calculated by the amount of rice his land could produce. The rat is the companion of
Daikoku, the god of wealth. It guards his huge sack of treasure from potential thieves and
is also the first sign of the Oriental zodiac, embodying characteristics of hard work, thrift,
and magnetism, although it is also considered cunning and ruthless.
As the first animal of the zodiac and with its association with riches, it is a popular netsuke subject and appears frequently in the output of 18th century carvers. The unsigned
ivory example here, seat clutching a chilli pepper, is attributed the master Kyoto carver
Masanao. The bulging eyes and alert expression give the creature a sense of nervous tension that sets Masanao’s carvings apart from others.
The rat is a favourite subject of the Yamada school of carvers, who especially excelled in
coiled rat netsuke. The earliest coiled rats were in ivory, produced by carvers from both
Osaka and Kyoto, but apparently in very small numbers. The many know Yamada school examples were all carved in the 19th century with the earlier ones generally being of
higher quality, particularly those carved by Masakatsu. The example illustrated here is a
large and wel-composed model signed Masanao, dating from about 1860. The popular
model is clearly an observation of the rodent grooming itself.
The Nagoya school carvers also favoured animal subjects, often using dark wood as their
material. The best work of this school is very refined and is only fully appreciated when
careful study reveals the marvels of its creation. Sometimes a collector’s patience can be
rewarded when he goes beyond the barrier of the darker wood to see the delicate detail of
his netsuke. The example shown here is signed Tomokazu and dates from his early work,
when he was much influenced by the Kyoto carvers, the resulting netsuke being larger than
the average Nagoya piece.
But while the rat is a favourite netsuke subject, the cat makes relatively rare appearances.
The traditional explanation for this it was the only animal who failed to attend the
Buddha’s funeral. Indeed multiple paintings of the subject do not feature our feline friend,
but a recent exhibition a the Kyoto National Museum (Creatures’ Paradise: Animals in
Art from the Kyoto National Museum) disproved this long held belief, for there they show
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a scene of Buddha’s death with a cat clearly visible in the foreground. The theory offered
for this by the museum is a logical one, quite simply that the domestic cat came from the
Middle East and was unknown in Japan before the Heian era (794-1191AD), thereby
explaining why there were no images of it before that date.
When they were first introduced to Japan they were considered precious and were given a
collar and lead to ensure their safety.
By chance we currently have a ‘houseful’ of the furry animals, consigned to us from the collection of an English lady who collected them in both living and in netsuke form.
By the 19th century it appears as the companion of courtesans and as a gentle domestic
creature, often accompanied by a kitten, as in the ivory example here. The mother turns
her head protectively towards her offspring, who balances himself in order to lick vigorously at his haunch.
The red lacquer netsuke of a sleeping cat with its kitten, from the Hull-Grundy collection,
again evokes that feeling of cosy domesticity.
The hungry cat sinking his teeth into a dried salmon has an altogether more determined
look about him and shows none of the nervous tension of the rat clutching his chilli pod.
This feline is afraid of no-one and beware anyone who tries to interrupt his feast.
Nonetheless this fierce demeanour is humorous as the huge fish dwarfs its hungry attacker.
Another humorous depiction is of a cat geisha, carved from the thick residue of lacquer left
at the edge of the lacquer artist’s palette. Holding her arms coyly in front of her, she tilts
her head coquettishly, though the impression she gives is that of an older, plumper lady
hoping to still have the allure of her younger days.
The striations of colour - red, green, black and gold - adapt themselves perfectly to the carving, the green and yellow in particular appearing as the patterned fabric of her kimono.
The last netsuke shown here combines the two foes in a stag antler manju formerly from
the Teddy Hahn collection.
Just like a cartoon creature, the cat sits on a nice warm anka (a portable warmer, perforated with holes) and rears up to loom over the rat facendo delle boccaccie as the rodent
looks back up, unimpressed by the threat.
The cat appears to have some sort of spoon in one paw, with two more in the design on
the back. These appear to be ladles, called shakushi, which date back to earlier times
With the help and research of Japanese collector Masanori Watanabe, it is possible to suggest that this refers to the Japanese idiom shakushi mo, neko mo - both cats and ladles,
or in other words “everybody”. In a story book by Ikkyu, Ikkyu Banashi, published in
1688, there is a short poem by the Zen priest: Umareteha shinuru narikeri oshinabete
Shaka mo Daruma mo neko mo shakushi mo.
Which means that those who are born into this world must eventually die, be they the
Buddha, Daruma, a cat or a ladle. Furthermore neko and shakushi both have double meanings: a cat and a Shinto priest for the former, a ladle and a Buddhist priest for the latter.
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Netsuke in porcellana di Hirado
di Francesco Morena
Nel mentre cercavo la giusta ispirazione per scrivere queste righe, tra le mani mi è
capitato un netsuke che è riuscito a stimolare la mia curiosità (fig. 1, 1a).
Non è necessario fornire dettagli fotografici per capire che non siamo all’analisi di un
capolavoro, né dell’arte ceramica giapponese né dell’arte del netsuke. Tuttavia, non si
può negare - a mio parere - che si tratti di un oggettino di una certa gradevolezza. A
me ispira simpatia, con la sua testina mobile non del tutto invetriata e quindi ‘biscuit’,
e la sua lingua retrattile, pronta a far linguacce al pubblico che assiste allo spettacolo.
Davanti alla platea entusiasta, la scimmietta ammaestrata si esibisce nella parodia della
performance del sanbasō (letteralmente “il terzo vecchio”). E’ questo uno tra i molti personaggi che insieme partecipano ad una sessione completa e tradizionale di teatro Nō.
In particolare, il sanbasō sale sul palcoscenico durante il Kyōgen, l’intermezzo divertente che alleggerisce il rigore e la sollenità del dramma principale. Insieme al ruolo di
Okina, anche quello del sanbasō ha le sue origini nelle antichissime pantomime legate
al culto shintoista, messe in opera per celebrare la generosità della Natura.
E’ noto che Kyōgen e Nō siano una raffinata sintesi di diverse forme teatrali più antiche. Tra queste, sicuramente ebbe parte importante il sarugaku, una sorta di spettacolo circense che, importato dalla Cina, assunse col tempo connotati più sofisticati,
Fig. 1, 1a - Scimmia travestita
da sanbasō. Porcellana dipinta
e invetriata, h. mm 76.
Manifattura di Hirado,
seconda metà del XIX secolo.
Collezione La Galliavola.
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coinvolgendo più attori e musicisti pur
mantenedo il suo carattere comico.
Ora, letteralmente, i due kanji di cui si
compone la parola sarugaku significano
rispettivamente “scimmia” (saru) e “musica” (gaku), proprio per mettere in evidenza l’aspetto divertente di queste recite.
Le scimmie del sarugaku, il sanbasō e la
scimmietta del nostro netsuke. Non
sono coincidenze, ovvio. Tuttavia, c’è
Fig. 2, 2a - Attore, XIX secolo. Porcellana dipinta ancora un altro aspetto della cultura
e invetriata, mm 40x24x15. Firmato Dōhachi.
giapponese da considerare, uno tra
Milano, Museo Poldi Pezzoli,
quelli con cui gli appassionati di netsuCollezione Lanfranchi, inv. 5516.
ke hanno senz’altro dimestichezza. Chi
tra noi, infatti, non ha più di una volta maneggiato, toccato, o almeno visto tra le
pagine di un libro, un pezzo raffigurante un ammaestratore di scimmie insieme al suo
abilissimo primate, la sua creatura?
I netsukeshi avevano nel loro repertorio il tema del sarumawashi. Non avevano difficoltà a immaginare questi personaggi piuttosto eccentrici, poiché non pochi erano
quelli che girovagavano in lungo e in largo per il paese, soprattutto nei grandi centri
urbani, allietando l’uditorio in cambio di qualche moneta. Nel tardo periodo Edo gli
spettacoli organizzati dagli ammaestratori erano graditissimi dal popolo, in specie nel
periodo del Capodanno. L’uditorio si divertiva in particolare per i travestimenti con
cui le scimmiette si presentavano. Il riso scaturiva da questo, dal sarcasmo con cui si
trattavano alcune categorie di persone, deridendo di volta in volta, ad esempio, i
membri della nobiltà (kuge) o i samurai. La gente comune, che mai avrebbe rischiato
la vita offendendo una persona di alto rango, godeva grassamente nel vedere quel tipo
di persona messo alla
berlina, paragonato ad
una scimmia.
Tra i travestimenti più
usati dagli ammaestratori, inoltre, vi era senz’altro quello del sanbasō.
Gli animaletti venivano
bardati di tutto punto, e
non potevano mancare il
tipico cappello a cono (eboFig. 3, 3a - Melone, XIX secolo. Ceramica invetriata, mm. 47x35.
shi) e l’elusivo ventaglio Milano, Museo Poldi Pezzoli, Collezione Lanfranchi, inv. 5652.
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Fig. 4, 4a - Hotei. Porcellana, mm 28x38x30. Manifattura di Hirado, metà del XIX secolo.
Firmato Masakazu. Milano, Museo Poldi Pezzoli, Collezione Lanfranchi, inv. 5688.
pieghevole (chōkei), strumento essenziale per gli attori di ogni tipo di teatro giapponese. Le bestioline apparivano, dunque, nello stesso, identico, modo in cui il nostro
netsuke le mostra oggi ai nostri occhi, potenza dell’arte figurativa!
Si sa, grandissima parte dei netsuke sono in legno e in avorio. Tuttavia, pressoché tutti
i materiali sono serviti per realizzare queste piccole sculture. Anche la ceramica (figg.
2, 2a - 3, 3a). Tra le molte fabbriche ceramiche giapponesi che si dedicarono alla realizzazione di netsuke, quella che forse ha raggiunto i migliori risultati è stata quella di
Hirado (figg. 4-7). Questo è il nome di una cittadina situata a sud dell’arcipelago
giapponese, nell’isola di Kyūshū. Non lontana da Nagasaki e divisa dalla Corea solo
da un breve tratto di mare, Hirado è stata un importantissimo snodo commerciale e
culturale, frequentata da coreani, cinesi e, dalla metà del Cinquecento e per circa un
secolo, da europei. La storia della fabbrica di porcellane di Hirado inizia verso la metà
del XVII secolo, allorché un ceramista coreano cominciò a produrre vasellame utilizzando le locali terre caoliniche, ubicate nei pressi del villaggio di Mikawachi. Da allora, l’evoluzione della porcellana di Hirado si è caratterizzata per un ininterrotto
miglioramento, fino a giungere ad un grado di purezza della pasta ceramica e ad una
raffinatezza del decoro dipinto di rara qualità.
I ceramisti di Hirado, presumibilmente, cominciarono a realizzare sculturine già nel
Settecento anche se, a giudicare dal loro stile, sembra plausibile che i netsuke risalgano
Fig. 5 - Hotei, soggetto
uguale al precedente,
porcellana dipinta di Hirado.
Collezione La Galliavola.
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per lo meno alla fine di quel secolo. Esiste, tuttavia, il fatale ‘colpo di scena’ nella storia, in verità piuttosto oscura, della porcellana di Hirado, ed in specie in quella che
riguarda i netsuke colà prodotti. Il protagonista della storia ha passaporto compilato
chiaramente. E’ Philipp Franz von Siebold (1796-1866), scienziato e viaggiatore
tedesco che fu in Giappone tra il 1823 e il 1829 per conto della Compagnia Olandese
delle Indie Orientali (VOC). Per chi, come me, ama la storia di quella terra e dei suoi
rapporti con l’Europa, von Siebold è figura essenziale. Sia per i giapponesi: a lui si
deve l’introduzione in quel paese della medicina occidentale. Sia per gli europei: i suoi
precoci studi sulla flora e la fauna del Giappone sono stati il viatico per tutti i successivi approfondimenti. Come spesso accadeva allora, il Von Siebold ritornò in Europa
con una massa enorme di cose giapponesi. Prima di tutto naturalia, quindi libri e infine
Fig. 6, 6a - Tsuru Sennin,
altezza mm 70,
ceramica invetriata.
Firmato Masakazu,
XIX secolo.
Collezione La Galliavola.
la sua collezione di arte e artigianato di vario genere. Questo materiale gli fornì moltissimi spunti per gli scritti sulla natura e sui costumi giapponesi che pubblicò una
volta tornato in Olanda, primo fra tutti il monumentale Nippon.
Gran parte di questa sterminata raccolta si trova oggi nel Museo Nazionale di
Etnologia di Leida, ma un numero di cose è in altri musei in Europa. Tra i tesori di
Von Siebold conservati nel museo olandese vi è un interessantissimo nucleo di porcellane di Hirado. Ciò non deve stupire: in Giappone il Von Siebold visse per lo più
a Deshima, l’isoletta nel porto naturale di Nagasaki dove potevano risiedere gli olandesi con il permesso dello shogunato. E Nagasaki è davvero vicina a Hirado.
A noi, in questa sede, interessa che tra il vasellame di Hirado acquistato dal medico
tedesco c’erano anche sedici netsuke! E’ facile comprendere l’importanza di questo
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gruppo. Essi sono tutti databili a prima del 1830. E questa non è cosa da poco per
chi, appassionato di quest’arte, voglia approfondire le sue conoscenze sull’argomento
dei netsuke in porcellana. La qualità di questi netsuke in porcellana di Hirado del Von
Siebold è variabile, con pezzi di una certa raffinatezza e altri meno curati nei dettagli.
Gran parte di loro hanno una parte mobile, proprio come la testa e la lingua della
scimmietta del nostro pezzo. Per lo più hanno un rivestimento di una pallida tonalità di marrone, nel tentativo di emulare le modulazioni dell’avorio. Ma alcuni hanno
invetriature policrome applicate ad alta temperatura, come nel nostro netsuke con
scimmia sanbasō. I soggetti dei pezzi del Von Siebold sono tra i più vari (figure
umane, animali, piante), richiamando spesso il modo in cui si presentavano i netsuke
in altri materiali. In conseguenza di queste riflessioni, si può certamente dire che l’importanza della collezione di netsuke del Von Siebold sta più nella sua storia, quale uno
dei primi arrivi di questo tipo di manufatto in Europa, che nella sua qualità artistica.
Fig. 7, 7a - Scimmia
a cavallo. Porcellana,
mm 40x42x20.
Manifattura di Hirado,
metà del XIX secolo.
Firmato Masakazu. Milano,
Museo Poldi Pezzoli,
Collezione Lanfranchi,
inv. 5641.
Tuttavia, non si può dimenticare quali difficoltà si debbano superare per realizzare un
oggetto in ceramica cotto ad altissime temperature, tanto più se le sue dimensioni
sono così esigue. E neanche si può non tenere in considerazione la fragilità di questo
materiale, caratteristica che oggi trasforma queste piccole porcellane in una sorta di
rarità. Perciò, anche i netsuke in porcellana meritano il nostro rispetto, quale forma
d’arte di grande sofisticatezza, in cui si evidenziano la passione e l’abilità dei giapponesi e per le ceramiche e per la scultura in miniatura.
NOTA BIBLIOGRAFICA:
- Non avendo bisogno i lettori esperti di netsuke di suggerimenti per ulteriori letture nel campo
specifico, mi limito a consigliare due testi. Uno sulla porcellana di Hirado (L. LAWRENCE,
Hirado, Prince of Porcelains, Chicago 1997). L’altro sul Von Siebold (Von Siebold and Japan,
cat. Mostra, Tokyo 1988). I netsuke del Von Siebold a Leida sono anche on line nel sito del
Museum Volkenkunde (http://www.volkenkunde.nl/)
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Londra: Bonhams, 10 maggio
In asta la II parte
della Collezione Wrangham
Sul Bollettino n. 17 del dicembre 2010 abbiamo commentato la vendita della prima
parte della collezione di arte giapponese di Edward Wrangham, scomparso nel 2009
a 81 anni.
Già affermato e dotto collezionista sul finire degli anni ’50, aveva iniziato interessandosi di netsuke, passando dagli accessori per spade, alle lacche, per giungere poi naturalmente agli inro, la sua grande passione.
A Londra, il 10 maggio scorso, si è svolta presso la casa d’aste Bonhams la vendita
della seconda parte della collezione di Edward “Ted” Wrangham, il cui catalogo è
stato curato dal nostro amico Neil Davey. Come avevamo sottolineato con toni non
propriamente entusiastici, già nel commento alla prima parte di questa raccolta, i netsuke sono purtroppo solo di cornice. Come avevamo detto in precedenza e come confermato da più parti, il gruppo dei netsuke è stato ricavato tramite la separazione, probabilmente attuata dallo stesso collezionista, dei set (inro e netsuke) di volta in volta
acquistati, formando così una piccola collezione, di circa 150 pezzi.
Non dobbiamo essere noi a riconoscere a Wrangham un gusto sofisticato ed eccelso
nell’individuare la qualità e la raffinatezza nei manufatti, e quindi non dobbiamo stupirci quando constatiamo che su circa 70 netsuke proposti in asta in questa seconda e
ultima seduta, solo quattro non sono stati venduti.
Lotto n. 79. Netsuke in legno di bosso, una tigre, firmato Masatomo, Ise, inizio XIX
secolo, alto mm 38. Parte con una stima di 800/1.000
sterline e viene aggiudicato per 1.680.
Cominciamo questa carrellata con una tigre seduta
(ma forse dovremmo dire “una delle tante tigri”), che
ci affronta con uno sguardo truce mentre ringhia, con
la testa rivolta a sinistra e con la coda che le circonda il
corpo, formando così un himotoshi naturale. Il legno
è leggermente consumato e di un bel colore, gli occhi
sono intarsiati in corno nero, l’aggiudicazione è stranamente e curiosamente bassa: questa volta non abbiamo
certezze, solo sospetti.
Lotto n. 79
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Lotto n. 88. Netsuke in legno, utensili per la
cerimonia del the, firmato Tanaka Minko
(1735-1816) Tsu (fatto) con kakihan, verso
gli inizi del XIX secolo, lungo mm 54. La
base d’asta è stata fissata a 1.500/2.000 sterline e ne ottiene 2.880.
Il set comprende il bollitore per l’acqua (chagaLotto n. 88
ma), il vassoio (bon), il contenitore del the (natsume) e il frullino (haboki), l’unione dei quali forma una composizione compatta. Il coperchio del bollitore è amovibile a formare l’himotoshi. Possiamo ammirare un netsuke della
medesima tipologia, ma in avorio tinto, anche nella collezione Lanfranchi, conservata al
Museo Poldi Pezzoli di Milano (inv. 5560).
Lotto n. 90
Lotto n. 90. Netsuke in legno di bosso, un elefante, firmato Takahashi Houn (nato nel
1824), alto mm 45, stimato 6.000/7.000 sterline, viene aggiudicato a 19.200.
Firmato in caratteri tensho (che è una scrittura sigillare). Un soggetto insolito, molto più
somigliante a un baku, ritratto in una posizione innaturale e forse impossibile per un
pachiderma, postura più adatta ad un cucciolo di cane. Se non provenisse dall’importante e storica collezione Behrens e in seguito non fosse stato illustrato nel Meinertzhagen
Card Index, non riusciremmo a giustificare una simile aggiudicazione. Ma le provenienze,
abbiamo più volte affermato, da sole non bastano.
Lotto n. 91. Netsuke in legno, circa 1800, non firmato, alto
mm 42, valutato 500/600 sterline e aggiudicato a 900.
Tra le curiosità, non possiamo fare a meno di segnalarvi
questo netsuke, che riproduce la sezione dell’impugnatura di una pistola intagliata in rilievo con l’aggiunta di un
anello in metallo a formare l’himotoshi. Il netsuke è una
fedele riproduzione dell’impugnatura di un’arma francese per la caccia, probabilmente creata addirittura da N.
N. Boutet di Versailles (1761-1833), l’armaiolo di
Napoleone Bonaparte. Veramente unico!
Lotto n. 91
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Lotto n. 95. Netsuke in legno di bosso, maschera di
straniero, firmato Konan Minko, inizio XIX secolo,
alto mm 51, dalla stima iniziale di 750/850 sterline
viene aggiudicato per 3.840.
Probabilmente questa maschera è stata commissionata per il mercato occidentale, interpretando infatti i tratti somatici, caricaturati in una smorfia, di un
uomo con barba e capelli riccioluti, elementi tipici
dell’iconografia straniera.
Lotto n. 98. Netsuke in lacca rossa, maschera comica, firmato Hokei, tardo XIX secolo, alto mm 51.
Partendo dalla base d’asta di 1.500/2.000 pound, se
ne aggiudica 4.800.
Lotto n. 95
Il retro è in lacca nera, la dimensione leggermente
superiore alla norma, la straordinaria qualità della
laccatura e anche la tipologia della maschera, non
comune, ne fanno il top lot del suo genere in questa
selezione. Questo omote-netsuke era già noto al
mondo del collezionismo in quanto pubblicato da
Neil K. Davey in Netsuke pag. 162 n. 485 e da
Bernard Hurtig in Masterpieces of Netsuke Art , pag.
212, n. 899.
Lotto n. 112. Netsuke in argento, un’oca, firmato
Seii, tardo XIX secolo, alto 48 mm, viene conquistato per 4.080 sterline, nonostante la base d’asta fosse
fissata a 1.200/1.500.
Il soggetLotto n. 98
to, l’oca,
pur essendo curioso, è inusuale e non molto amato,
non rientrando negli animali dello
Zodiaco. Anche l’argento, materiale non
molto in uso nei netsuke, lascia qualche
perplessità avvicinandosi un po’ troppo al
mondo degli okimono. L’artista ha però
saputo impreziosire la sua creazione con la
doratura del becco e delle zampe, così
come ha voluto inserire la firma all’interno
di una placca dorata. Premiato.
Lotto n. 112
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Lotto n. 116. Netsuke ricavato
dalla zampa mummificata di
una scimmia, periodo ignoto,
lungo mm 102, la base d’asta
era fissata a 350/400 pound ma
se ne aggiudica 2.040.
La mano o meglio la zampa è
aperta, ancora ricoperta dalla
Lotto n. 116
pelle e dalle unghie delle dita,
mentre l’anello mobile in
metallo applicato sul dorso forma l’himotoshi. Primo netsuke a soggetto macabro di
questo catalogo, ma di cui ne ricordiamo uno similare, una zampa di un ibis, nella
parte prima al n. 177, venduto a 2.880 sterline. Sono
soggetti che si incontrano con una certa frequenza
nelle collezioni specialmente anglosassoni e che evidentemente Ted Wrangham non disdegnava, avendone ben tre nella sua collezione. Siamo consapevoli,
come abbiamo già avuto modo di commentare in precedenza, che è un gusto non uniformemente accettato. La zampa della povera scimmietta viene comunque
pagata cinque volte la stima.
Lotto n. 117. Netsuke ricavato dall’artiglio di un’aquila, periodo ignoto, alto mm 76. Partendo da una stima
di 500/600 sterline, viene battuto a 2.160.
Tra gli artigli, una perla di corniola è l’unica concessioLotto n. 117
ne alla bellezza in questo secondo e, per fortuna, ultimo
netsuke a soggetto orrido. Il pezzo ribadisce quanto
detto al lotto precedente: confermando una rivalutazione della stima, si può quindi intuire che ci siano molti
più estimatori di questo genere di netsuke di quanto si
possa pensare.
Lotto n. 120. Netsuke di tipo manju in avorio, un
bufalo, dopo Masanao, XIX secolo, diametro di mm
38, la stima iniziale di 700/800 sterline viene disattesa dall’aggiudicazione per 11.400 pound.
Un risultato di grande rilievo per un manju. Vediamo
perché: l’avorio, leggermente consunto, lascia spazio
ad una calda patina, la firma in riserva ovale Masanao,
attribuita alla scuola tarda del maestro di Kyoto, viene
Lotto n. 120
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evidentemente ritenuta autentica del grande carver, stante la grande forza espressiva
dell’animale, inciso in rilievo con indubbia
maestria.
Lotto n. 130. Netsuke in avorio, pila di
monete, inizi XIX secolo, lungo mm 45, la
stima di base di 400/450 sterline viene conLotto n. 130
fermata a 420.
Bella patina, spaccature volute dal carver per
far apparire più antico il netsuke. Un soggetto
molto usuale che si trova spesso, a prezzi
similari, sia nelle botteghe degli antiquari
che sui cataloghi
d’asta.
Lotto n. 132. Netsuke
in avorio, una testa di
shishi, attribuito a
Tomotada,
Kyoto,
primi del XIX secolo,
Lotto n. 132
alto mm 42, parte
con una stima di
1.200/1.500 pound e viene battuto a 2.640.
Una buona patina per questo netsuke la cui bella qualità sopperisce all’improbabile firma. È un netsuke classico, dalla tipologia molto conosciuta, intagliato con la criniera e la barba ricciolute, e con la mandibola mobile, che lascia intravedere la
lingua all’interno della bocca.
Lotto n. 134. Raro netsuke in avorio dalla forma allungata,
Ashinaga e Tenaga, firmato Satake, XVIII secolo, alto mm 95,
parte da una base d’asta di 1.000/1.500 sterline e arriva ad
essere aggiudicato a 15.600 pound.
Ashinaga (gambe lunghe), in piedi, vestito con un abito a
bottoni ed una sottoveste su cui campeggia un dragone, e
Tenaga (braccia lunghe), che, aggrappato sulla sua schiena,
tenta di tirare i lacci delle scarpe del compagno: l’inusuale
rappresentazione viene premiata da un inaspettato balzo
che supera di ben dieci volte la stima.
Lotto n. 136. Netsuke in avorio, olandese, XVIII secolo, alto
Lotto n. 134
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mm 108. Partendo da una stima iniziale di
2.500/3.000 sterline, viene aggiudicato a ben
10.200.
Non firmato, come uso dell’epoca, questo
straniero, che l’abbigliamento identifica
come di nazionalità olandese, è rappresentato mentre porta sulle spalle un cane. Strana
la collocazione per un animale che, generalmente non viene certo portato sulle spalle:
evidentemente l’artista aveva voluto, tra le
tante, aggiungere anche questa stranezza allo
“straniero”. Oltre all’altezza notevole, caratterizzano questo netsuke la bella patina, consumata al punto giusto e i bottoni dell’abito,
impreziositi dagli intarsi in corno nero: tutti
attributi normalmente presenti in questi soggetti e che non ci chiariscono, comunque, la
maggiorazione di
prezzo applicata.
Lotto n. 139.
Netsuke in avorio,
uomo cieco, tardo
XVIII secolo, alto
mm 79.
Viene aggiudicato
a 11.400 sterline,
nonostante partisse da una prudenziale base d’asta di
Lotto n. 136
2.000/2.500
pound.
Sul netsuke compare la firma Ikko, ritenuta apocrifa e
aggiunta in un secondo tempo. La bella gara, che ha
portato il pezzo a spuntare sei volte la stima, ci indica
che diversi collezionisti hanno invece ritenuto originale la firma del maestro Ikko, dalle origini molto controverse: nato a Ise, forse a Tokyo, mentre altri dicono
Kyoto, ma tutti concordano sul periodo di attività, fisLotto n. 139
sato verso la fine del 1700.
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Lotto 141. Raro netsuke in avorio, due draghi stilizzati, firmato Shogyoku, XVIII secolo, alto mm
42. Passa da una stima iniziale di 2.500/3.000
sterline alle 6.000 pagate dal suo acquirente.
I due draghi stilizzati, spesso così rappresentati
nell’iconografia cerimoniale, formano un manju
quadrato e piatto. I draghi sono rivoltati a formare il carattere cinese Manji (con riferimento probabilmente al simbolo buddista della svastica),
mentre le code vengono a formare l’himotoshi.
Già proveniente dalla storica collezione Behrens
Lotto n. 136
(n. 1512) lo abbiamo ritrovato il 21 Giugno 1995, alla
Sotheby’s di Londra, nella vendita della Carlo Monzino
Collection, al lotto n. 29, pagato 2.875 pound.
Una rivalutazione, se vogliamo, non clamorosa, ma non dobbiamo dimenticarci che è un manju, tipologia mai pagata somme
eccessive, seppur inspiegabilmente.
Lotto n. 149. Kiseruzutsu, firmato Suzuki Tokoku (Tokyo, 18461913), in paglia intrecciata, tardo XIX secolo, lungo cm 21,3, stimato 4.000/4.500 sterline, venduto a 15.600. Uno straordinario
porta pipa, oggetto solitamente bistrattato o poco considerato dal
mercato italiano, a nostro parere ingiustamente, ritrovando spesso
nei kiseruzutsu grandi qualità di intaglio e notevole maestria nell’adattare queste lunghe forme a soggetti di grande fascino come
draghi, serpenti, paesaggi, figure antropomorfe, giardini fioriti.
Questo è intarsiato in avorio, kurogaki (legno di kaki giapponese)
e legno di bosso, e rappresenta il rakan Nakasaina Sonja, con la
ciotola da cui sprizza una fontana d’acqua. Provenienze: Dr.
Edward Lewis Collection, Raymond Bushell Collection, venduto
alla Christie’s di Londra nel 1988. Acquistato da Sydney L. Moss
Ltd., Londra, 2001. Wrangham Collection, n. 2081.
Lotto n. 307. Inro a cinque scomparti in lacca d’oro, firmato
Tachibana Gyokuzan, XIX secolo, alto cm 9,5, stimato
15.000/20.000 sterline, venduto a 19.200.
Abbiamo trovato questo affascinante inro, venduto per 8.050
pound, a Londra, il 21 Giugno 1995, alla Sotheby’s, Carlo
Monzino Collection, lot. 449. Quale sorpresa, però, nel constatare che, confrontando le fotografie di allora con il catalogo della
Lotto n. 149
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Wrangham Collection, il nostro
inro nel 1995 aveva diversi salti di
lamine d’oro sulla faccia anteriore,
ora scomparsi quasi interamente,
opera evidentemente di un abile
restauro. Inoltre, con l’aggiunta di
un bell’ojime in oro e shakudo ad
impreziosire ulteriormente l’oggetto, ecco che si può vederne più che
raddoppiato il valore.
Lotto n. 239. Inro a due scomparti, firmato Shibata Zeshin (1807-1891),
periodo Meiji, alto cm 4,8, stimato
10.000/15.000, venduto per 120.000.
Di forma ampia, disegni con
oggetti in metallo, in oro e argento
Lotto n. 307
e in nero takamakie. Sullo sfondo
si intravede Hotei, delicatamente inciso, seduto sul suo sacco. Ad esso è unito un
hako-netsuke di forma ovale, in lacca verde oliva, con incisa una ghianda di quercia su
cui cammina una formica, anch’esso firmato Zeshin.
Segnaliamo questo, tra gli oltre 250 lotti, per rendere onore al top lot dell’asta. Molti
infatti sono stati gli inro che hanno attirato la nostra attenzione, affascinandoci con
motivi ornamentali (libellule, gru, samurai, oni, cortigiane, divinità) ma soprattutto
lasciandoci stupiti dalla qualità delle tecniche.
Lotto n. 239
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copertina pp. 1, 2, 24_copertina 13/09/11 10.08 Pagina 3
La Galliavola Arte Orientale
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