Voltare pagina nel mondo del lavoro con la cogestione La nave

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Voltare pagina nel mondo del lavoro con la cogestione La nave
MENSILE DELLA FEDERAZIONE NAZIONALE
UGL CREDITO ED ASSICURAZIONI
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NUMERO DI FEBBRAIO 2009 A.XV N. 2
Voltare pagina nel
mondo del lavoro con la
cogestione
Fabio Verelli a pag. 2
La nave affonda?
Continuate a ballare!!
Alessio Storace a pag. 3
Stipendi dei manager
e capitalizzazione:
qualcosa non quadra
Michela Fiore a pag. 4
I segnali provenienti dall’economia mondiale
in generale e statunitense in particolare
continuano ad essere preoccupanti ed in
Italia mentre la Ugl, insieme a Cisl e Uil,
firma accordi per riformare gli assetti
contrattuali c’è chi come la Cgil, ponendosi
al di fuori del contesto storico in cui viviamo,
fa ostruzionismo e pone barricate di natura
esclusivamente ideologica per contrastare
l’operato del Governo in carica. Ebbene di
fronte a tutto ciò noi continuiamo a difendere
i diritti dei lavoratori.
PAGINA 2
Voltare pagina nel mondo del lavoro con la cogestione
Con tutta franchezza, speravamo che verso la fine di febbraio la nostra attenzione potesse
essere dedicata ai primi, concreti, segnali di ripresa economica e di uscita dal tunnel della
profonda crisi che stiamo vivendo e, tuttora, siamo convinti,
forse per
un innato senso dell’ottimismo, della solidità degli istituti
bancari
italiani e della loro potenzialità. Invece, prende sempre più corpo
l’esigenza, difficilmente procrastinabile, di aiuti statali alle
nostre
banche che, almeno si spera, avranno come conseguenza la
salvaguardia dei livelli occupazionali, la ripresa dei
finanziamenti alla piccola e media impresa, in modo trasparente
e responsabile, ed una effettiva moralizzazione del sistema con un tetto alle retribuzioni dei
manager, basate su sicuri obiettivi di lunga durata. In effetti, l’aumentato rischio del
prevedibile aggravamento del default finanziario nei paesi dell’est Europa, entrati in una
fase altamente critica con inevitabili conseguenze per gli affari in loco delle banche
dell’occidente europeo, ha maledettamente complicato tutto, penalizzando ulteriormente
colossi come Unicredit e Intesa, ed allontanando la possibilità di una ripresa che, a questo
punto, difficilmente avverrà nell’arco di qualche mese.
D’altronde, se si investe in mercati di Stati che non hanno solide basi politiche, finanziarie e
sociali, non bisogna essere laureati alla Bocconi per comprendere come, poi, andrà a finire.
Questa tragica esperienza deve, però, rappresentare una svolta nell’intendere il ruolo del
capitalismo nella società e nel mondo della produzione, che non potrà più essere come
prima.
Il sindacato deve pretendere dei paletti allo strapotere del grande capitale, affinché le
banche non potranno più agire con fini esclusivamente speculativi e di solo lucro, ma si
dovranno dare, essenzialmente, degli obiettivi di sviluppo socialmente compatibile, di sana
crescita e di solidarietà.
In questo possibile scenario è altresì necessario favorire la partecipazione dei lavoratori alla
gestione delle aziende, come peraltro indicato dalla direttiva sulla Società Europea,
realizzando la Cogestione.
Perché soltanto l’inserimento dei dipendenti nei vari consigli di gestione può garantire
solidi processi industriali di ampio respiro temporale, dato che il dipendente ha l’interesse
primario che la propria azienda si rafforzi nel tempo; proprio il contrario di quello che esige
l’anonimo investitore che, invece, vuole soltanto speculare sulla pelle altrui e, questo, non
potrà più accadere se realizzeremo, finalmente, la nostra “terza via” per lo sviluppo
partecipativo dell’economia nazionale, in armonia con quella mondiale ma senza alcuna
sudditanza e, almeno nel vecchio continente, con una strategia veramente unitaria.
Questo è il futuro che vorremmo costruire, questa è l’alternativa sociale che proponiamo.
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L’incubo che molti colleghi stanno attraversando ormai da mesi non deve essere dissimile
da quello che sperimentarono i passeggeri del Titanic quando, di fronte all’imminente
tragedia verso la quale si stavano consegnando, sentivano i loro capi che incitavano ad
intensificare le danze. La suggestione della metafora diventa sinistra se si sostituiscono
agli orchestranti del Titanic i fantasmagorici analisti di Pioneer Investiments. Se proviamo
a fare un poco di sana dietrologia rischiamo di sentirci smarriti di fronte alle previsioni fatte
dai profeti del risparmio gestito.
Nel secondo numero di “Quaderni First”, relativo al secondo trimestre del 2007, il supporto
informativo nato dalla collaborazione tra Unicredit Banca e Pioneer Investiments e
distribuito con orgoglio ai consulenti come bussola di riferimento, nei consigli presenti
nella sezione prospettive globali si legge tra le varie amenità: “Ribadiamo il soprappeso
generale sui mercati azionari internazionali, con particolare riferimento ad Europa e Stati
Uniti. Le valutazioni azionarie scontano correttamente le attese sui profitti.” E soprattutto
poco più avanti la previsione di prosperità si fa più convinta: “Lo scenario è quello di una
conferma della crescita economica globale, perché il rallentamento della congiuntura USA
è previsto moderato.” All’epoca i mercati erano ai massimi
dopo ben quattro anni di crescita, quando forse, vista la
galoppata precedente, conveniva realizzare i guadagni. Da quel
momento si scatena l’esatto inverso di quanto profetizzato. Gli
USA cominciano un’inesorabile discesa verso la recessione di
cui parleranno i libri di storia con particolare drammaticità,
scoppia la bolla dei subprime, l’Asia non traina più i mercati
come aveva fatto nei due anni precedenti, si diffondono timori
per un’inversione del ciclo economico. Qualcuno potrebbe
legittimamente pensare che i superconsulenti siano rimasti
spiazzati e che, strada facendo, abbiano corretto il tiro. Ma
evidentemente i responsi dei tecnici, tra oscillatori stokastici, bande di Bollinger, candele
giapponesi ed altre diavolerie, non erano in linea col buon senso. Per Pioneer la
situazione, nonostante tutto, non va poi così male tanto che a distanza di ben un anno e
dopo una già marcata discesa dei mercati, nel report del primo trimestre 2008 troviamo
alcune profezie che suonano tragicomiche e grottesche a rileggerle oggi: “Manteniamo un
giudizio positivo sui mercati azionari internazionali, preferendo paesi ed aree con forte
potenzialità di crescita… Prevediamo una conferma dell’espansione economica globale,
senza particolari contraccolpi da un eventuale rallentamento della congiuntura USA che
dovrebbe essere contenuto grazie alla politica di riduzione del costo del denaro da parte
della Federal Reserve… La conferma del soprappeso globale strategico sui mercati
azionari è coerente con questa valutazione”. Bastano queste poche osservazioni stralciate
dalla lunga analisi per farsi un’idea di quanto poco consapevoli di quello che stava
succedendo erano i gestori Pioneer. Da questo momento in poi l’indice principale della
borsa italiana perde il 51% in un solo anno, l’America entra in recessione, falliscono le
banche, scoppia il caso Lehman, gli istituti finanziari vengono inghiottiti dal buco nero della
finanza derivata, entra in crisi il mercato dell’auto, la disoccupazione aumenta
vertiginosamente e si giunge ad affermare che solo la crisi del ’29 può essere paragonata
a quella attuale. Viene il sospetto che affidandosi a Paolo Fox o a Branco, senza nessuna
offesa per gli appassionati di astrologia, si sarebbero spesi meno soldi in previsioni e forse
ci avremmo azzeccato qualcosina in più. E veniamo così ai nostri giorni.
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Ci verrebbe da dire che “la storia insegna che la storia non insegna”. Le strategie del
gruppo sono quelle di continuare a dare fiducia al risparmio gestito, a Pioneer ed affidarsi
alle visioni strategiche di un gruppo che su un profilo cauto delle sue gestioni patrimoniali
riesce nell’incredibile risultato di perdere il 4% in un anno. I fondi obiettivo come il mitico
“Treasury” che promettono qualcosa in più rispetto al rendimento dei BOT e si addicono
all’investitore prudente riescono non solo a non confermare l’obiettivo ma addirittura a
perdere.
Il risparmio gestito nacque nei primi anni 90 con l’idea di affiancare il delicato ruolo dello
specialista titoli con uno strumento in grado di fare previsioni con maggiore responsabilità,
professionalità e competenza. Oggi appare una struttura elefantiaca e pletorica incapace
di assolvere ai suoi compiti, dedita solo ad inventare strumenti per mantenere elevati gli
apporti commissionali a fronte di risultati pessimi.
Se si pone in discussione la capacità di previsione dei guru del gestito si va incontro alla
dura reprimenda dei capi, apparentemente ignari dello Tsunami che ci sta investendo.
Continuate pure a danzare sui pontili della barca che affonda cari consulenti, danzate!
Alessio Storace
Stipendi dei Manager e capitalizzazione: qualcosa non quadra
Recentemente il sito di informazione la voce.info ha avuto la brillante idea di pubblicare gli stipendi
dei manager bancari italiani nell’anno 2007. In vetta alla classifica c’è l’ormai ex Presidente di
Mediobanca, Galateri di Genola, che con i suoi 11.039.000 euro distanzia di
molto l’ad di Unicredit, Alessandro Profumo, che si consolerà, speriamo, con
i suoi 9.440.000 euro, al terzo posto l’ex consigliere delegato di Ubi Banca ,
Giampiero Auletta Armenise, con 5.736.000 euro, via via tutti gli altri. Sono
cifre impressionanti che non è difficile aspettarsi vengano riconfermate per
l’anno 2008. Ma andiamo a vedere cosa accade se mettiamo a confronto gli
stipendi dei vari manager con le performance dei titoli azionari dei singoli istituti dal 1/1/2007 a fine
febbraio.
Alessandro Profumo Unicredit
– stipendio 9.440.000 – titolo da 6,805 euro/azione a 0,9180
Corrado Passera
Intesasanpaolo- stipendio 3.790.000 – titolo da 5,798 euro/azione a 1,781
Giampiero Auletta Ubi Banca - stipendio 5.736.000 – titolo da 20,93 euro/azione a 6,845
Roberto Mazzotta Pop. Milano - stipendio 713.000 – titolo da 13,49 euro/azione a 2,982
Angelo Palma
Credito Artig.- stipendio 242.000 – titolo da 2,968 euro/azione a 2,020
Con questo non vogliamo disconoscere il fatto che la crisi ha coinvolto l’intero pianeta, è stata
improvvisa ed imprevedibile, forse, ma resta il fatto che i manager che si sono regalati i maggiori
compensi sono quelli che hanno subito le maggiori perdite in termini di capitalizzazione. E’ vero
pure che le dimensioni e la complessità di gestione di un gruppo come Unicredit o Intesasanpaolo
nulla hanno a che fare con il Credito Artigiano o la Banca Popolare di Milano, ma forse un
arretramento di certi valori potrebbe avvicinare anche il senso di appartenenza dei dipendenti verso
l’istituto presso cui prestano servizio. E’ innegabile che non più di venti anni fa il rapporto di salario
tra un dipendente ed un manager era di uno a dieci, contro il rapporto attuale in Unicredit di uno a
335 circa. Forse c’è qualcosa che non va? Forse c’è bisogno di rivedere qualcosa? E allora ben
vengano i Tremonti bond se, oltre a dare ossigeno al sistema, riescono a porre un freno ad una
situazione che oramai si è fatta indecente.
Michela Fiore