Cresce l`export italiano di armamenti , lo certifica la relazio

Transcript

Cresce l`export italiano di armamenti , lo certifica la relazio
BANCHE ARMATE: SPUNTI DI DISCUSSIONE
Cresce l'export italiano di armamenti, lo certifica la relazione al
Parlamento di Palazzo Chigi presentata nel 2003.
Nel 2002 il ministro degli Esteri ha rilasciato 851 autorizzazioni
all'esportazione per un valore di 920 milioni di euro, con una crescita
del 6,6%, mentre l'importo delle armi consegnate (cioè quelle
effettivamente uscite dal nostro Paese) è stato pari a 487 milioni
(-13,7% rispetto al 2001). Sul piano mondiale, l'Italia quindi si colloca
al nono posto tra i Paesi esportatori di armi convenzionali, con un
volume pari a 358 milioni di dollari ( dati Stockholm Peace Research
Institute - Sipri 2002 ).
In testa alla classifica dei nostri clienti, per quanto concerne i nuovi
contratti, troviamo la Spagna con 246 milioni, pari al 27% del totale.
Gran parte di tale importo è connesso alla vendita di 61 autoblindo
prodotti dal consorzio Fiat-Oto Melara, per un importo pari a 218
milioni. Al secondo posto c'è il Kuwait, quindi Francia, Repubblica
Ceca, Singapore, India ,Usa, Germania, Arabia Saudita e Malaysia.
La classifica invece delle armi consegnate vede al primo posto la
Malaysia con 42 milioni di euro, seguita da Corea del Sud, Dubai, Usa,
Regno Unito, Turchia, Siria, Pakistan, Algeria, Cina e India.
Anche nel 2002 quindi, le armi "made in Italy" sono state vendute a
paesi belligeranti o retti da regimi, nonostante la legge 185 del 1990
che prevedendo un sistema di controllo e trasparenza sulla
produzione e l'export di armamenti almeno fino al giugno del 2003,
regolamentava il settore.
Si poneva quindi l'esigenza di un controllo maggiore e più severo, per
quanto riguarda esportazioni così delicate, ma purtroppo il governo
Berlusconi è stato di diverso avviso, e ha fatto approvare dal
Parlamento lo stravolgimento di questa legge. Il nuovo provvedimento
sul commercio di morte risponde alle pressioni delle lobby dei
fabbricanti di armi, con il risultato di allentare i controlli finanziari,
favorire il commercio di questi mercanti di sangue, attenuare le
possibilità di controllo da parte del Parlamento, consentire
triangolazioni commerciali (facendo passare il carico per un paese
destinatario legittimo della merce) anche con paesi che violano i
diritti umani, dimostrando così che la vendita delle armi a Saddam e a
cento altri dittatori sparsi nel mondo, era stata consapevolmente
messa in atto dagli stessi paesi che oggi gli fanno la guerra.
Con la nuova normativa comunque scompare anche l'obbligo del
governo di presentare la relazione annuale sulle esportazioni
autorizzate; quindi l'anno prossimo sarà impossibile conoscere la
percentuale di aumento dell'export delle armi in Italia.
Il nuovo clima internazionale dopo l'11 settembre e dopo la guerra
americana in Iraq ha reso più "normale" per tutti i governi del mondo
l'ipotesi della guerra e ha di conseguenza reso molto più ricettivo e
affascinante per i produttori il mercato degli armamenti. L'Italia
avrebbe potuto restare ancorata ad un qualche principio etico, in
contrapposizione ad altri governi che invece hanno puntato
pesantemente sulle spese militari, come quello di George W. Bush che
ne ha fatto in alcuni casi anche il proprio terreno favorito per la
ricerca dello sviluppo economico, ma non è stato così. Infatti il nostro
Paese ha continuato l'orrendo commercio con il Pakistan, la Siria,
l'Arabia Saudita e tanti altri.
L'accordo di Farnborough, firmato il 27 luglio 2000 dai ministri della
Difesa di sei Paesi europei (Francia, Germania, Regno Unito, Italia,
Spagna e Svezia) aveva come obiettivo quello di rafforzare la difesa
comune dell'Unione europea. I sei paesi firmatari, che coprono il
90% dell'intera produzione europea degli armamenti convenzionali,
con queste nuove disposizioni, non dovranno più sottostare alle
procedure di autorizzazione per l'export di armi in vigore fino al
giugno di quest'anno.
Al loro posto viene introdotta la cosiddetta "licenza globale di
progetto" che permette all'imprenditore che abbia avviato un
accordo con una ditta di uno dei Paesi firmatari di non sottostare al
controllo dei proprio Governo e Parlamento. In questo modo non è più
possibile stilare una mappa dell'export di armi italiane verso altri
Paesi del mondo.
L'approvazione di questa legge porta ad una forte liberalizzazione nel
settore. Infatti il comma che prevedeva l'impossibilità di vendere
materiale bellico ai Paesi non rispettosi dei diritti umani viene
sostituito con la dicitura "gravi violazioni dei diritti umani". Il
Governo, al momento di autorizzare atti di esportazione, non è più
tenuto a sentire il parere di associazioni internazionali come Amnesty
International o Medici Senza Frontiere.
Infine non sarà più possibile conoscere le banche implicate nel
commercio di armi e le dogane non saranno più tenute a fornire dati
sulle merci. Il ruolo degli istituti bancari nel commercio
internazionale delle armi non è un ruolo puramente accessorio. Prima
ancora che per motivi oscuri, la necessità di appoggiarsi alle banche,
meglio se grandi ed efficienti, deriva da "normali" esigenze
commerciali; presenza internazionale, fluidità e sicurezza nei
pagamenti, possibilità di avere anticipi e crediti.
Ma ci sono alcune caratteristiche del sistema bancario attuale che
risultano particolarmente interessanti per i produttori e
commercianti in armi, sia per una fornitura legale che, a maggior
ragione, per le operazioni illegali.
Da qualche decennio si è sviluppata una rete bancaria e finanziaria
offshore, espressione che significa "al largo", al largo delle coste,
cioè su qualche isola, ma soprattutto al largo dei controlli.
Tutte le maggiori banche hanno aperto filiali in quelli che
comunemente vengono definiti " paradisi fiscali ", ma che sono spesso
veri e propri paradisi societari e talvolta paradisi criminali.
Nelle Isole Cayman, ai Caraibi, ad esempio sono presenti 32 mila
società, 47 delle 50 maggiori banche mondiali e 500 banche minori,
con deposi per circa 460 miliardi di dollari, 900 fondi di investimento
e 400 compagnie di assicurazione. Il motivo di questo affollamento è
solo in parte di natura fiscale. Alle Cayman, come nelle Isole del
Canale della Manica, come in Liechtenstein o alle Seychelles si è fuori
dei controlli delle autorità monetarie, ma anche di quelle politiche dei
paesi di origine. Il segreto bancario e più tutelato e gli obblighi di
trasparenza sono quasi inesistenti.
Per le transazioni come quelle in armamenti la riservatezza è un
grande pregio. Sorgono spesso poi anche problemi di fiducia tra le
parti, soprattutto se sono interessati dei soggetti che operano nei
mercati illegali. Quando una transazione è "coperta", cioè riservata o
segreta, i consueti metodi legali per risolvere controversie di questo
tipo non sono disponibili, quindi ci si rivolge ad apposite figure di
mediatori ( sono i destinatari di quei "compensi di mediazione") che
figurano nei dati sull'operatività bancaria nell'export di armi alla
voce " importi accessori" e si ha infine bisogno di un sistema bancario
che non faccia troppe domande.
Le autorizzazioni bancarie al traffico delle armi rilasciate nel 2002,
sono state 675 ( + 15,6 rispetto al 2001) ed hanno interessato
diverse banche italiane: Bnl, Capitalia, Gruppo Bancario San Paolo-Imi,
Intesa Bci, e Unicredit.
Banche e imprese dovrebbero considerare le conseguenze sociali ed
etiche delle loro azioni economiche. Da questo punto di vista il
commercio delle armi continua ad alimentare guerre e violazioni dei
diritti umani in tutto il mondo, con un impatto in termini umani e
materiali veramente devastante.
Finanza etica, microcredito, fondi etici; dall'esperienza del banchiere
dei poveri del Bangladesh alle banche etiche europee nate dalle
organizzazioni di base della società civile per coniugare Finanza ed
Etica. Le Associazioni internazionali di finanza etica sono nate per
sostenere progetti di sviluppo su ambiente, economia sociale, sviluppo
del terzo mondo, salute, educazione, formazione e cultura.
Il Prof. Muhammad Yunus, fondatore della Grameen Bank e
conosciuto come "il banchiere dei poveri ", ha cominciato la sua
attività nei villaggi del Bangladesh 25 anni fa ( ora è presente in molti
Paesi) concedendo piccoli prestiti: 2,4 milioni di persone ne hanno
usufruito, il 95% sono donne. Sono piccoli prestiti dai 100 ai 200
dollari, che aiutano queste persone a cambiare vita. Prestiti sulla
parola, sanciti da una stretta di mano.
Nei Paesi poveri sono le donne i veri motori dello sviluppo, lavorano
duro, sopportano il peso maggiore della povertà, è a loro che bisogna
concedere i prestiti. Prestiti sulla parola, che vengono regolarmente
rimborsati, almeno per il 97% dei casi, contro il 10% che le banche
statali del Bangladesch segnalano nella loro normale attività di
finanziamento a clienti "affidabili".
Il Prof. M. Yunus parte da un suo rivoluzionario credo finanziario
articolato in pochi punti: il prestito è un diritto, se non lo si capisce
sarà difficile difendere anche gli altri diritti umani; in qualunque
individuo vi è la capacità di affrancarsi dalla povertà se le istituzioni
non negano questo diritto; si può sradicare la povertà se le medesime
istituzioni prestano le risorse necessarie non a chi le ha già, ma a chi
non ha nulla.
L'obiettivo a cui tendono invece banche e promotori finanziari
tradizionali è esclusivamente la massimizzazione immediata del
profitto. Puntando al maggior guadagno nel più breve tempo possibile,
il sistema finanziario tradizionale rivolge sempre più i suoi
investimenti verso quelli che vengono definiti "prodotti derivati".
Insomma si scommette sull'andamento di una serie di indici: questo
sistema spesso permette di realizzare facili guadagni con liquidità
immediata, ma è un mondo vietato a chi non ha denaro e per di più
toglie risorse all'economia reale. Infatti solo una parte molto limitata
dei risparmi raccolti viene destinata alla concessione di mutui e
prestiti ai privati cittadini.
La banca etica si inserisce in questo scenario desolante come
alternativa concreta, proponendosi come punto d'incontro tra
risparmiatori, famiglie, donne, uomini, associazioni ed enti, che
condividono l'esigenza di una gestione più consapevole del proprio
denaro, attraverso iniziative che si ispirino alla solidarietà, alla
responsabilità civile e alla realizzazione del bene comune e che
operino nel pieno rispetto della dignità umana e della natura.
Partendo da queste considerazioni, tutti noi come clienti e dipendenti
di banche italiane dovremmo sempre informarci se i nostri depositi
servono a finanziare lo sviluppo o il commercio delle armi. La qualità
della prestazione lavorativa e la qualità dei prodotti finanziari stanno
dentro la tematica della responsabilità sociale verso tutti i portatori
di interesse (lavoratori, utenti, fornitori), ma anche del fenomeno
dello stress da lavoro e del "mal di budget", che pone in capo agli
addetti commerciali nel nostro settore dubbi morali sulla vendita di
una serie di prodotti finanziari.
In Italia Banca Etica si è spesa in "iniziative portatrici di senso" e
per lo sviluppo di una diversa cultura nel rapporto con la finanza, in
quanto ribadire la centralità del tema della fiducia e del lavoro
collettivo nel fare banca sono punti fondamentali insieme
all'affermazione del credito come diritto e strumento di promozione
della dignità umana.
La Segreteria Territoriale di Brescia 2004