Un immenso mercato alimenta le guerre
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Un immenso mercato alimenta le guerre
Un immenso mercato alimenta le guerre di Francesco Palmas Avvenire - 11 novembre 2010 Non solo Nordcorea e Iran. Nel biennio 2006-2008, almeno 40mila kalashnikov hanno lasciato l’Europa orientale per inondare le aree di conflitto, contrabbandati via mare, aria e terra, soprattutto in Africa. Finite le guerre jugoslave, 8 milioni di armi leggere sono rimasti nei magazzini della disciolta Federazione. Lanciarazzi e fucili d’assalto Ak-47 hanno varcato anche le frontiere euro-comunitarie. Per l’Europol, si vendono a 300-700 dollari a pezzo. Milioni di armi da fuoco, leggere e pesanti, sono ancora disponibili sul mercato ucraino. Il Paese ha ereditato un terzo del complesso militar-industriale sovietico: 1.810 stabilimenti e una forza lavoro di 2,7 milioni di uomini, compresi tecnici e specialisti di ricerca, alcuni dei quali riconvertitisi ai traffici illeciti. I carri armati T-72 valgono 67.500 dollari l’uno, ma vanno fortissimo anche i fucili d’assalto Akm, i sistemi antiaerei Zpu e i lanciagranate Rpg. Nel quadriennio 2004-2008, pochi hanno battuto l’Ucraina come fornitore del Ciad, implicato nel conflitto in Darfur. Armi sono finite qui e nella Repubblica democratica del Congo (Rdc), come ricorda la vicenda rocambolesca del cargo «Mv Faina». Inutile dire che in Congo ci sono più armi da fuoco (27mila) che ribelli (23mila), afferenti ad almeno una quindicina di gruppi d’insorti e miliziani. Gli affari sono opulenti: secondo le Nazioni Unite, trafficare armi garantisce ai cartelli criminali un reddito annuo di 170-320 milioni di dollari, ampiamente sottostimato. Il fatturato complessivo è di almeno 2-5 miliardi di dollari. A trarne profitto non sono solo i mediatori, ma anche le società di trasporto, i mercanti di materie prime preziose, gli intermediari finanziari e quelli bancari. A patirne sono invece i civili, condannati all’esilio forzato. Nel mondo in fuga dai conflitti vi sono 14 milioni di profughi oltreconfine e 26 milioni interni. Spaventoso è il numero di armi leggere in circolazione: 875 milioni, due terzi dei quali in mani 'private’'. L’export legale, considerando le forniture di munizioni, vale 8 miliardi di dollari l’anno, quello illegale il 10-20% circa. Nei principali punti di transito del commercio internazionale, come Dubai, Singapore e la Malesia, fluisce un gran numero di transazioni sospette. Il mercato nero dell’armamento è una galassia in cui orbitano molteplici interessi: criminalità organizzata, società off-shore, servizi logistici, funzionari conniventi, procurement militare deviato e forniture coperte. I trasferimenti illegali di armi russe valgono 1/5 delle commesse ufficiali: parliamo del secondo esportatore mondiale di armamenti che, nel 2009, ha siglato contratti per 10,4 miliardi di dollari. La Cina segue, rifornendo regimi impresentabili: dai cingalesi, ai nepalesi, passando per lo Zimbabwe. Similmente alla Russia, è sospettata di favorire la proliferazione missilistica. Un tempo vendeva sistemi finiti senza troppe remore. Aveva una linea di produzione dedicata all’estero, ma le pressioni internazionali l’hanno costretta a limitare le cessioni di vettori che superino i 300 km di gittata. Corollari indispensabili delle transazioni illecite sono le piattaforme girevoli, imperniate su società fantoccio in Paesi di comodo, fatture contraffatte e grosse somme di denaro. A Minsk, che ha funto spesso da intermediaria per Mosca, spetta il 15% delle commesse. Il caso dell’«Arctic Sea» è emblematico: il cargo trasportava batterie antiaeree S-300 partite dalla Bielorussia per l’Iran, con la complicità delle mafie russe e di militari d’alto rango. Non meno preoccupanti sono i trasferimenti critici fra regimi antisistemici. Pur intralciati dalle sanzioni internazionali, i nordcoreani hanno ghermito componenti missilistiche e nucleari, proseguendo nei programmi atomici e vettoriali. Le reti clandestine si traducono talvolta in cooperazioni tecniche fra clientes: così sono nati i vettori Nodong, prodromici alle varianti pachistane (Ghauri) e iraniane (Shahab-3). Anche a Teheran, le attività missilistiche e gli approvvigionamenti sensibili si giovano di apporti esterni. I servizi segreti hanno intermediari cosmopoliti e società di copertura: la Darvishi shipyard, la Dvajand e l’Electronic components sono le più famose. Poco sarebbe tuttavia possibile senza le bandiere di convenienza e le compagnie di nolo marittimo, fra cui spicca l’Irisl, dalle molteplici rappresentanze in Belgio, Cina, Germania, Italia, Malta e Regno Unito. Anche le organizzazioni terroristiche riescono a movimentare disponibilità finanziarie e armamenti, attraverso i circuiti bancari informali: i cosiddetti alternative remittance system, sviluppatisi storicamente in Asia e in Africa e sovrappostisi ai circuiti finanziari ufficiali.