Bonus fiscali per il rientro dei cervelli non più in fuga: il “Brain Drain
Transcript
Bonus fiscali per il rientro dei cervelli non più in fuga: il “Brain Drain
Diritto tributario italiano Bonus fiscali per il rientro dei cervelli non più in fuga: il “Brain Drain” italiano tra luci ed ombre Sconti IRPEF e facilitazione per il rientro dei cervelli in Italia 2. 3. 4. 5. 1. essere nati dopo il 1. gennaio 1969; aver risieduto continuativamente per almeno ventiquattro mesi in Italia; avere una laurea ed esercitato senza interruzione, negli ultimi ventiquattro mesi o più, attività di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa fuori dalla madrepatria e dall’Italia, pur avendo la residenza nel proprio Paese d’origine ovvero aver studiato ininterrottamente per almeno ventiquattro mesi, conseguendo una laurea o un titolo post-lauream, fuori dalla madre patria e dall’Italia, pur avendo la residenza nel proprio Paese d’origine; essere assunti od intraprendere un’attività di lavoro autonoma o d’impresa in Italia e, nei successivi tre mesi, trasferire il domicilio e la residenza nella Penisola italiana. La disciplina di favore per i giovani talenti Pressione fiscale attenuata e facilitazioni in tema di alloggi. Con tali agevolazioni il Governo italiano tenta di rendere appetibile l’Italia alle giovani menti emigrate all’estero negli anni passati. Ciò è quanto previsto dalla Legge 30 dicembre 2010, n. 238, denominata “Incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia” [1], che introduce un regime fiscale di favore per i laureati al di sotto dei quarant’anni di età, i quali abbiano avuto esperienze di lavoro o di studio in altri Stati e si trasferiscono in Italia per svolgere la propria attività. La ratio sottesa alla norma è di garantire lo sviluppo del Paese attraverso la valorizzazione delle esperienze umane, culturali e professionali, prevedendo una minore imponibilità del reddito prodotto. Secondo quanto previsto dal testo di Legge, chi tornerà in Italia per lavorare, dopo aver avuto esperienze professionali e di studio all’estero, potrà usufruire di una riduzione della base imponibile ai fini dell’ Imposta sul reddito delle persone fisiche (di seguito “IRPEF”) dell’80%, per le donne, e del 70%, per gli uomini, con riferimento ai redditi di lavoro dipendente [2], d’impresa e di lavoro autonomo. Il considerevole incentivo, che sarà valido da quest’anno - i.e. dalla data di entrata in vigore della medesima Legge - fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013, è previsto per i cittadini dell’Unione europea (di seguito “UE”) che, alla data del 20 gennaio 2009, siano in possesso di una serie di requisiti che si pongono come “conditio sine qua non” per poter usufruire del regime fiscale di favore. In particolare, ai sensi dell’articolo 2 del provvedimento normativo in esame, per ottenere le agevolazioni, occorrerà: 1. essere cittadini di uno degli Stati membri UE; 9 | n° 4 - Aprile 2011 | Si sottolinea come i beneficiari [3] perderanno il diritto allo “sconto” fiscale qualora trasferiranno nuovamente all’estero la residenza o il domicilio prima che siano trascorsi cinque anni dalla data di prima fruizione del bonus. In tal caso, sarà obbligatorio restituire le quote di tasse non pagate, con l’applicazione delle relative sanzioni ed interessi. Inoltre, per espresso divieto alla contemporanea fruizione, non potranno godere del regime agevolato tutti coloro i quali abbiano usufruito degli incentivi per il rientro in Italia di ricercatori e docenti residenti all’estero [4] o del credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno [5]. La disposizione non chiarisce, invece, se tale agevolazione potrà o meno essere cumulata con la disciplina contenuta nell’articolo 41, del Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 [6], concernente il cosiddetto “regime di attrazione europea”. Sebbene si tratti di una disposizione volta ad incoraggiare le imprese europee ad intraprendere nuove iniziative in Italia, consentendo loro di scegliere uno tra i sistemi fiscali vigenti negli altri Stati membri UE [7], tale regime non è prerogativa solo delle imprese estere, ma è valido anche per i loro dipendenti e collaboratori. Difatti, nella bozza del Decreto-ministeriale attuativo dell’articolo 41, si precisa che le persone fisiche dovranno essere residenti in un Paese membro UE da almeno ventiquattro mesi e che l’applicazione del regime sarà subordinata alla presentazione di un’istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate [8] a meno che i dipendenti o collaboratori non optino per l’applicazione della normativa tributaria statale italiana. Naturalmente sul punto si attendono chiarimenti da parte dell’Amministrazione finanziaria [9]. Saranno esclusi dal beneficio, peraltro, i soggetti che, essendo titolari di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con pubbliche amministrazioni o con imprese di diritto italiano, svolgano all’estero, in forza di tale rapporto, la propria attività lavorativa per un periodo di ventiquattro mesi o più. Le facilitazioni previste per chi sceglierà l’Italia non si esauriscono nella minore leva fiscale. Il capo III [10] della Legge n. 238/2010 prevede, in primis, la possibilità per le Regioni di riservare, ai beneficiari dello “sconto”, una determinata quota di alloggi di edilizia residenziale pubblica destinati all’assegnazione in godimento o alla locazione per uso abitativo per un periodo non inferiore a ventiquattro mesi; tra l’altro il Governo dovrà stipulare accordi bilaterali, in materia previdenziale, con gli Stati esteri di provenienza dei lavoratori, per garantire la totalizzazione dei contributi versati all’estero con quelli maturati in Italia. La stessa disposizione normativa precisa, infine, come un aiuto all’espletamento delle pratiche burocratiche arriverà dagli uffici consolari all’estero, in collaborazione con la società Italia Lavoro S.p.A. [11], in attesa di un apposito decreto a triplice firma da parte del Ministero degli Affari Esteri, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e quello del Lavoro e delle Politiche Sociali, che dovrà specificare, nel dettaglio, l’iter da seguire per garantire la regolarità amministrativa del rientro dei cervelli non più in fuga [12]. In ultimo si sottolinea come la normativa in questione sia sottoposta ad un limite di natura europea. Difatti, il secondo comma dell’articolo 3 della Legge n. 238/2010 prevede che i benefici menzionati vengano riconosciuti nel rispetto dei limiti fissati dal Regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato che istituisce la Comunità europea (i.e. articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di seguito “TFUE”) in riferimento agli aiuti di Stato d’importanza minore (cosiddetti de minimis), comportando il limite di 200’000 euro. In sostanza, l’importo degli aiuti non dovrà superare la somma in questione nell’arco di tre esercizi finanziari, da intendersi come periodi d’imposta rilevanti in conformità alla disposizioni vigenti in materia fiscale in ciascuno degli Stati membri. Quindi nel caso in cui il soggetto dichiarante non abbia beneficiato nel triennio di riferimento di alcun aiuto rientrante nella categoria, l’ammontare di risparmio d’imposta in applicazione del regime di favore in esame nel triennio 2011-2013, è pari al massimo all’intero importo di 200’000 euro [13]. 2. I punti critici della disciplina Sebbene la normativa in questione potrebbe risultare un adeguato provvedimento per garantire il rientro dei cervelli emigrati all’estero e, quindi, rendere l’Italia attraente per giovani di assoluta eccellenza, da prendere a modello 10 | n° 4 - Aprile 2011 | da parte delle altre realtà nazionali, non è possibile non evidenziare i punti deboli della Legge n. 238/2010 in esame. Difatti, la norma presenta dubbi di compatibilità con il principio di non discriminazione, sia da un punto di vista comunitario che “internazionalistico-pattizio”. Su di un piano prettamente europeo, il principio di non discriminazione in materia tributaria si è affermato come corollario del principio di uguaglianza. Tale regola generale può dirsi cristallizzata proprio dal principio di non discriminazione di cui all’articolo 18 del TFUE. Va subito precisato che il diritto dell’UE, sebbene vieti espressamente soltanto la discriminazione in base alla cittadinanza, proibisce comunque ogni discriminazione che, fondandosi su diversi criteri distintivi, giunga allo stesso risultato. Ciò risulta confermato non solo dall’articolo 19 TFUE che prevede l’adozione di provvedimenti adeguati “per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”, ma anche dalla stessa Corte di giustizia che, nel leading case Sotgiu [14], ha elaborato un’interpretazione estensiva del principio della parità di trattamento [15], al fine di prevenire non solo le discriminazioni palesi o dirette - i.e. fondate solo sulla cittadinanza - ma anche quelle occulte o indirette, le quali, essendo basate su altri criteri, come il sesso, hanno lo stesso effetto delle prime. Inoltre, in ottemperanza al granitico orientamento giurisprudenziale dei Giudici del Lussemburgo, il principio generale di uguaglianza, di cui il divieto di discriminazione a motivo della cittadinanza è solo un’espressione specifica, è uno dei principi fondamentali del diritto comunitario che impone di non trattare in modo diverso situazioni analoghe, salvo che la differenza di trattamento sia obiettivamente giustificata [16] e proporzionata. Si precisa che, in base al principio di proporzionalità, la norma discriminatoria può essere ammessa solo qualora sia riconosciuta necessaria ed in grado di raggiungere effettivamente lo scopo perseguito. È importante notare, in aggiunta, come la Corte di giustizia non richieda la prova che una norma abbia concretamente generato una discriminazione, ma postula come sia sufficiente che essa sia potenzialmente in grado di generarla nei confronti di fattori produttivi, siano essi merci, soggetti o capitali, rispetto ai quali i diritti o le libertà fondamentali sono state esercitate [17]. Orbene, così come quello di uguaglianza, il concetto di discriminazione presuppone ontologicamente una comparazione tra due o più fattispecie e, proprio sulla base di tale confronto e su quanto la Corte di giustizia ha sancito, si avrà una discriminazione sostanziale sia nei casi in cui si verificherà un trattamento diverso di situazioni simili, sia quando lo stesso trattamento riguarderà situazioni diverse. Alla luce di quanto supra esplicato, la disciplina italiana potrebbe risultare di dubbia compatibilità rispetto al principio generale in questione. Nel momento in cui si integrano tutti i requisiti richiesti, la minore leva fiscale prevista viene differenziata se ad usufruirne sia un uomo o una donna. Infatti il bonus fiscale, cioè la non parziale imponibilità degli emolumenti percepiti, è caratterizzato da una differenziazione che si fonda unicamente sul sesso. Il fatto di non assoggettare, per le lavoratrici, o meglio di assoggettare, per i lavoratori, un delta di imponibile pari a 10%, sembra quasi integrare quella situazione che il principio di non discriminazione vuole evitare: due pesi, due misure, sebbene la differenza sia lieve. A tal proposito, non vi è stato alcun chiarimento giustificato e preciso sulla differenza di trattamento di situazioni identiche, dove l’unico elemento di difformità è rappresentato dal sesso. Così come affermato, l’eventuale discriminazione potrebbe essere giustificata solo ed esclusivamente alla luce di motivazioni imperative, quali l’ordine pubblico, la salute pubblica o la sicurezza interna. Il fatto di tassare diversamente stesse situazioni, solo perché afferenti a soggetti di sesso opposto, non sembra essere una motivazione coerente ed adeguata per integrare motivi di interesse generale. La ratio di tale distinzione non può essere ravvisata neanche nella necessità di incentivare il lavoro femminile, così come è stato affermato nei lavori preparatori: in primis, perché il non assoggettare una parte così irrisoria di reddito prodotto non possa costituire un veicolo idoneo ad aumentare le quota rosa nel mondo lavorativo nazionale; peraltro, qualora si volesse accettare tale giustificazione, si arriverebbe alla conclusione surreale che il lavoro maschile non deve essere incentivato, creando un effetto distorsivo della concorrenza nel mondo del lavoro. Anzi, proprio sulla base del principio dell’effetto 11 | n° 4 - Aprile 2011 | utile, volto a garantire la più ampia e corretta applicazione ed interpretazione delle norme UE, ciò potrebbe configurare un disincentivo alla libera circolazione delle persone, in quanto tenderebbe a scoraggiare i lavoratori - e non le lavoratrici - nell’esercitare quel diritto di mobilità che rappresenta uno degli elementi fondanti dell’UE, senza il quale il concetto di mercato interno sarebbe di difficile realizzazione. Sebbene si tratti di un minor beneficio concesso al lavoratore maschile, è possibile notare che nel momento in cui si conceda un’agevolazione fiscale di tal genere fondata, a parità di condizioni lavorative o di studio, solo sul sesso, essa potrebbe essere potenzialmente atta a dissuadere i soggetti in questione all’esercizio della libertà di circolazione che rappresenta l’espressione tangibile della cittadinanza europea che non ammette restrizioni fondate sul sesso, dal momento che la parità fra uomo e donna è uno dei capisaldi, nonché obiettivi, del TFUE. Paradossalmente, attraverso la concessione di un beneficio fiscale, si integrerebbe una condizione restrittiva della stessa norma, potendo disincentivare la migrazione inversa per una parte considerevole dei singoli individui interessati. A tale riflessione è possibile aggiungere un’altra considerazione di non poco conto. La disciplina italiana individua la cittadinanza UE come uno dei requisiti fondamentali affinché si possa concretizzare il godimento dei benefici in questione. Nel momento in cui si dà vita ad un confronto della suddetta normativa di favore con quella pattizia contenuta nelle convenzioni contro le doppie imposizioni sul reddito e sul patrimonio (di seguito “CDI”) siglati tra l’Italia e gli Stati extra-UE, come la Svizzera, è possibile notare delle incongruenze. Si deve premettere come nel diritto internazionale tributario è vietata solo la discriminazione fondata sulla nazionalità. L’articolo 24 del Modello OCSE di Convenzione stabilisce che i cittadini di uno Stato contraente, residenti o non residenti in uno o in entrambi gli Stati contraenti, non possono essere assoggettati nell’altro Stato ad alcuna imposizione od obbligo ad essa relativo, diversi o più onerosi di quelli cui sono o potranno essere assoggettati i cittadini di detto Stato che si trovino nella stessa situazione. Tale disposizione, quindi, consente ai cittadini di uno Stato contraente, residenti in un Paese terzo, di invocare la protezione garantita dalla CDI contro qualsiasi forma di discriminazione fiscale basata sulla nazionalità. Si sottolinea come il divieto di discriminazione fiscale di natura convenzionale da parte di uno Stato contraente nei confronti degli stranieri si applica solo se tali soggetti si trovano nella stessa situazione dei nazionali di tale Stato: la questione assume rilevanza nel momento in cui, dunque, due persone residenti nel medesimo Stato siano considerate in modo differente, esclusivamente a motivo della diversa nazionalità. La disciplina internazionale supra descritta fa riferimento ad una particolare situazione che sembra avere i connotati di quella che si configura nel momento in cui si analizza la CDI del 9 marzo 1976 pattuita tra Italia e Svizzera, con particolare riferimento all’articolo 25, paragrafo 1. Sebbene tale articolo sia strutturato sulla falsa riga dell’articolo 24 del Modello OCSE, il secondo capoverso del primo paragrafo stabilisce che “i nazionali di uno Stato contraente che sono imponibili nell’altro Stato contraente fruiscono delle esenzioni, degli abbattimenti alla base, delle deduzioni e riduzioni d’imposte o tasse concessi per carichi di famiglia ai nazionali di detto altro Stato membro trovantisi nelle medesime condizioni.” Attraverso una lettura congiunta dell’articolo della CDI italo-svizzera con la disciplina italiana relativa agli incentivi, che subordina l’agevolazione al possesso della cittadinanza UE, la situazione di cortocircuito, o meglio di discriminazione a carattere internazionale così come prospettata, si verificherebbe nel momento in cui un soggetto italiano, il quale abbia esercitato il diritto di mobilità concesso dal diritto UE, integrando tutti i requisiti richiesti, ottenga l’agevolazione; in tal caso, in ottemperanza al principio pattizio di non discriminazione, il soggetto svizzero che si trasferisce in Italia per svolgere la propria attività e che possiede tutti i requisiti richiesti dalla normativa italiana, seppur non cittadino UE, dovrebbe vedersi riconosciuta l’agevolazione fiscale proprio per l’equiparazione fra il nazionale italiano, emigrato all’estero e poi rientrato, e il nazionale svizzero che intende stabilirsi nella Penisola. Tale lettura nasce da analisi dell’articolo in questione che dà vita ad un processo di equiparazione tra i soggetti nazionali degli Stati contraenti nel momento in cui si trovino nelle stesse condizioni, o meglio, nelle “medesime condizioni”, non dovendo prendere in considerazione la cittadinanza ma solo la nazionalità, dal momento che la Svizzera non è un Paese membro UE. A tal proposito, il Commentario OCSE, precisando che la ratio sottesa all’articolo in questione è quella di impedire la discriminazione da parte di uno Stato verso i cit- 12 | n° 4 - Aprile 2011 | tadini dell’altro Stato contraente, sottolinea quanto sia importante interpretare correttamente l’espressione “stesse circostanze/medesime condizioni”. La verifica delle condizioni in presenza delle quali si palesa il fenomeno discriminatorio va condotta secondo criteri di obiettività, non avendo riguardo alle motivazioni che hanno determinato il diverso trattamento fiscale applicato ai soggetti dell’altro Stato contraente. Tale incompatibilità tra la disciplina italiana e la CDI italo-svizzera è stata sollevata dalla stessa Svizzera. Il Consiglio federale elvetico, in data 7 marzo 2011, ha osservato come la disciplina Italiana “sul rientro dei cervelli” risulterebbe contraria alla CDI italo-svizzera: riconoscendo solo a determinate categorie di contribuenti, cittadini UE, incentivi fiscali si sostanzierebbe una violazione dell’articolo 25 della CDI tra Italia e Svizzera, nel momento in cui i cittadini svizzeri si trovassero nelle medesime situazioni di un individuo italiano che può beneficiare delle agevolazioni e dove la differenziazione di applicazione si fondi solo sulla cittadinanza. Inoltre tale disposizione sarebbe non conforme all’articolo 9 dell’Accordo tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e la Comunità europea ed i suoi Stati membri, dall’altra, sulla libera circolazione delle persone (di seguito “ALC”), entrato in vigore in data 1. giugno 2002, il quale prevede l’uguaglianza di trattamento fiscale e sociale nei confronti dei cittadini dell’altra Parte contraente. In particolare l’ALC prevede la progressiva apertura dei rispettivi mercati del lavoro per i cittadini dell’altra Parte contraente, con la contestuale rimozione degli ostacoli e delle disparità di trattamento che una persona potrebbe incontrare nel trasferirsi per lavoro da un Paese all’altro [18]. 3. Considerazioni conclusive Non si può negare come il provvedimento elaborato dal Governo italiano sia innovativo e di grande lungimiranza. La concessione di agevolazioni fiscali è, e sarà, sicuramente un grande fattore di attrattiva per tutti quei giovani che, pur avendo inizialmente scelto l’estero per costruire il proprio futuro, individueranno nell’Italia il luogo in cui sviluppare le proprie idee. Detto ciò, la menzionata disciplina presenta, allo stesso tempo, delle “piccole” imperfezioni di architettura normativa che prestano il fianco a dubbi e critiche, evidenziando, in tal modo, le zone di ombra di un progetto molto interessante. Da un punto di vista comunitario, se la presunta incompatibilità con il principio di non discriminazione e di libera circolazione dei lavoratori trova riscontro su di un piano teorico, difficilmente questa potrà trovare apposita censura pratica, dal momento che il delta di esenzione - imposizione pari al 10% tra uomini e donne - non dovrebbe creare fenomeni distorsivi nel mondo del lavoro. Ma tale circostanza, allo stesso tempo, non permette di comprendere appieno le ragioni che hanno indotto il legislatore a prevedere distinte percentuali di esenzione a seconda del sesso del percettore. Probabilmente le motivazioni sono da ricercarsi nei lavori preparatori che hanno portato all’emanazione della legge oggetto di analisi. Nell’originaria proposta di legge, infatti, il beneficio fiscale era rappresentato da un credito d’imposta accordato a determinati soggetti, tra cui imprenditori e lavoratori autonomi rientranti in Italia. A tal proposito il credito era modulato a seconda della zona di investimento e del Daniele Russetti Avvocato Studio Marino & Associati, Milano Note: 1) Pubblicata in: Gazzetta ufficiale del 13 gennaio 2011. 2) Per usufruire del bonus, i lavoratori dipendenti dovranno farne espressa richiesta al datore di lavoro che opererà le relative ritenute secondo le modalità previste dall’Agenzia delle Entrate. 3) L’articolo 2, comma 2, della Legge stabilisce che il Ministero dell’Economia e delle Finanze individuerà, con decreto le categorie dei soggetti beneficiari, tenendo conto delle specifiche esperienze e qualificazioni scientifiche e professionali. 4) Cfr. articolo 17 del Decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 gennaio 2009, n. 2. 5) Cfr. articolo 1, commi da 271 a 279, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria 2007) e successive modificazioni. 6) Convertito dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122. 7) Più precisamente, la norma consente alle imprese estere residenti in uno Stato membro dell’UE, che intendono avviare nuove attività economiche in Italia, di chiedere l’applicazione della normativa tributaria vigente in un qualunque altro Stato membro dell’UE in luogo di quella italiana. 8) Il regime si applica per il periodo di imposta nel corso del quale è presentata l’istanza e per i due successivi. A partire dal quarto periodo d’imposta si rendono applicabili, ai fini della determinazione del reddito le disposizioni fiscali nazionali. 9) Qualora il connubio tra le due discipline fosse possibile, sesso del contribuente. Nelle diverse discussioni parlamentari è stato abbandonato lo strumento del credito d’imposta, sostituito da un’esenzione fiscale che ha mantenuto una differente incidenza a seconda del percettore del reddito in un’ottica di avvantaggiare le lavoratrici rispetto ai lavoratori. Sebbene si presume che non ci sarà alcuna conseguenza negativa per tale disciplina, forse sarebbe stato meglio prevedere una parità di trattamento tra i diversi beneficiari della normativa. Sul piano convenzionale, invece, i dubbi di compatibilità non possono essere trascurati. Dalla lettura congiunta della disciplina italiana con la CDI italo-svizzera e l’ALC si evidenziano i limiti della disposizione normativa italiana che costituirebbe un vero e proprio ostacolo per tutti gli individui di nazionalità elvetica che, integrando i requisiti richiesti, almeno sulla carta, non dovrebbero usufruire degli incentivi previsti. Sicuramente tale presunta lacuna deve essere interpretata come una piccola svista che verrà colmata. A tal riguardo il Governo svizzero, di concerto con quello italiano, già si è rivolto alla Commissione dell’UE per cercare di ottenere una soluzione pratica sul tema e, quindi, garantire l’attuazione di un progetto normativo molto valido, scongiurando inconvenienti che potrebbero ostacolare la valorizzazione dei giovani talenti. allora, potrebbe nascere una situazione paradossale per cui, oltre ad avere un’esenzione considerevole sul quantum da pagare, coloro che integreranno i requisiti richiesti potrebbero scegliere un sistema impositivo europeo più favorevole rispetto a quello italiano, creando una perdita di gettito erariale considerevole, nonché una situazione di squilibrio sia fiscale che sociale. 10) Denominato “Agevolazioni e tutela dei diritti acquisiti per i lavoratori che rientrano in Italia”. 11) La società Italia Lavoro S.p.A. è una società per azioni totalmente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Opera, per legge, come ente strumentale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per la promozione e la gestione di azioni nel campo delle politiche del lavoro, dell’occupazione e dell’inclusione sociale. 12) Alle persone fisiche che rientreranno in Italia sarà garantita, in quanto applicabili, l’attestazione delle proprie competenze e dei titoli acquisiti all’estero, attraverso il rilascio della documentazione “Europass”, di cui alla decisione n. 2241/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004. 13) Va ricordato che, in base alla disciplina comunitaria, gli aiuti erogati in forma diversa dalla sovvenzione diretta in denaro (quali i prestiti agevolati, gli sgravi fiscali, le garanzie su prestiti) dovranno essere convertiti, in equivalente sovvenzione, cioè quantificati come se fossero una sovvenzione in denaro, individuando il reale beneficio economico corrispondente all’aiuto. Per quanto concerne l’agevolazione in questione, attuata mediante lo strumento della riduzione della base imponibile, l’equivalente sovvenzione dovrebbe essere costituita dal risparmio che tale riduzione è destinato a generare. 14) Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 12 febbraio 1974, C-152/73, Sotgiu, in: Racc., punto 153. 15) Sul punto cfr. Corte di Giustizia, sentenza 10 gennaio 2006, C-344/04, IATA ed ELFAA, in: Racc. I-403, punto 55; Corte di Giustizia, sentenza 3 maggio 2007, C-303/05, Advocaten voor de Wereld, in: Racc. I-3633, punto 56; Corte di Giustizia, sentenza 16 dicembre 2008, C-127/07, Arcelor Atlantique et Lorraine e a., in: Racc. I-9895, punto 23. 16) Sul punto cfr. Corte di Giustizia, sentenza 12 febbraio 1974, C-152/73, Sotgiu, in: Racc., punto 153; Corte di Giustizia, sentenza 8 ottobre 1980, C-810/79, Überschär v Bundesversicherungsanstalt für Angestellte, in: Racc., punto 2747; Corte di Giustizia, sentenza 2 febbraio 1989, C-186/87, Cowan, in: Racc., punto 195; Corte di Giustizia, sentenza 22 novembre 2005, C-144/04, Mangold, in: Racc., punto 9981. 17) Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 23 maggio 1996, C-237/94, O’Flynn, in: Racc. I-2617 18) Si veda la risposta del Consiglio federale, del 7 marzo 2011, nell’ora delle domande, in: http://www.parlament.ch/d/suche/seiten/geschaefte.aspx?gesch_id=20115067 [26.04.2011].