Bonus fiscali per il rientro dei cervelli non più in fuga: il “Brain Drain

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Bonus fiscali per il rientro dei cervelli non più in fuga: il “Brain Drain
Diritto tributario italiano
Bonus fiscali per il rientro dei cervelli non più in fuga:
il “Brain Drain” italiano tra luci ed ombre
Sconti IRPEF e facilitazione per il rientro dei cervelli in Italia
2.
3.
4.
5.
1.
essere nati dopo il 1. gennaio 1969;
aver risieduto continuativamente per almeno
ventiquattro mesi in Italia;
avere una laurea ed esercitato senza interruzione,
negli ultimi ventiquattro mesi o più, attività di lavoro
dipendente, autonomo o d’impresa fuori dalla madrepatria e dall’Italia, pur avendo la residenza nel proprio
Paese d’origine ovvero aver studiato ininterrottamente per almeno ventiquattro mesi, conseguendo
una laurea o un titolo post-lauream, fuori dalla madre
patria e dall’Italia, pur avendo la residenza nel proprio
Paese d’origine;
essere assunti od intraprendere un’attività di lavoro
autonoma o d’impresa in Italia e, nei successivi tre
mesi, trasferire il domicilio e la residenza nella Penisola italiana.
La disciplina di favore per i giovani talenti
Pressione fiscale attenuata e facilitazioni in tema di alloggi.
Con tali agevolazioni il Governo italiano tenta di rendere
appetibile l’Italia alle giovani menti emigrate all’estero
negli anni passati. Ciò è quanto previsto dalla Legge 30
dicembre 2010, n. 238, denominata “Incentivi fiscali per il
rientro dei lavoratori in Italia” [1], che introduce un regime
fiscale di favore per i laureati al di sotto dei quarant’anni
di età, i quali abbiano avuto esperienze di lavoro o di studio in altri Stati e si trasferiscono in Italia per svolgere la
propria attività. La ratio sottesa alla norma è di garantire
lo sviluppo del Paese attraverso la valorizzazione delle
esperienze umane, culturali e professionali, prevedendo
una minore imponibilità del reddito prodotto.
Secondo quanto previsto dal testo di Legge, chi tornerà
in Italia per lavorare, dopo aver avuto esperienze professionali e di studio all’estero, potrà usufruire di una
riduzione della base imponibile ai fini dell’ Imposta sul
reddito delle persone fisiche (di seguito “IRPEF”) dell’80%,
per le donne, e del 70%, per gli uomini, con riferimento
ai redditi di lavoro dipendente [2], d’impresa e di lavoro
autonomo. Il considerevole incentivo, che sarà valido da
quest’anno - i.e. dalla data di entrata in vigore della medesima Legge - fino al periodo d’imposta in corso al 31
dicembre 2013, è previsto per i cittadini dell’Unione europea (di seguito “UE”) che, alla data del 20 gennaio 2009,
siano in possesso di una serie di requisiti che si pongono
come “conditio sine qua non” per poter usufruire del regime fiscale di favore. In particolare, ai sensi dell’articolo
2 del provvedimento normativo in esame, per ottenere
le agevolazioni, occorrerà:
1.
essere cittadini di uno degli Stati membri UE;
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Si sottolinea come i beneficiari [3] perderanno il diritto
allo “sconto” fiscale qualora trasferiranno nuovamente
all’estero la residenza o il domicilio prima che siano trascorsi cinque anni dalla data di prima fruizione del bonus.
In tal caso, sarà obbligatorio restituire le quote di tasse
non pagate, con l’applicazione delle relative sanzioni
ed interessi. Inoltre, per espresso divieto alla contemporanea fruizione, non potranno godere del regime
agevolato tutti coloro i quali abbiano usufruito degli
incentivi per il rientro in Italia di ricercatori e docenti
residenti all’estero [4] o del credito d’imposta per gli
investimenti nel Mezzogiorno [5].
La disposizione non chiarisce, invece, se tale agevolazione
potrà o meno essere cumulata con la disciplina contenuta nell’articolo 41, del Decreto-legge 31 maggio 2010,
n. 78 [6], concernente il cosiddetto “regime di attrazione
europea”. Sebbene si tratti di una disposizione volta ad
incoraggiare le imprese europee ad intraprendere nuove
iniziative in Italia, consentendo loro di scegliere uno tra i
sistemi fiscali vigenti negli altri Stati membri UE [7], tale
regime non è prerogativa solo delle imprese estere, ma è
valido anche per i loro dipendenti e collaboratori.
Difatti, nella bozza del Decreto-ministeriale attuativo
dell’articolo 41, si precisa che le persone fisiche dovranno essere residenti in un Paese membro UE da almeno
ventiquattro mesi e che l’applicazione del regime sarà
subordinata alla presentazione di un’istanza di interpello
all’Agenzia delle Entrate [8] a meno che i dipendenti o
collaboratori non optino per l’applicazione della normativa tributaria statale italiana. Naturalmente sul punto si
attendono chiarimenti da parte dell’Amministrazione
finanziaria [9].
Saranno esclusi dal beneficio, peraltro, i soggetti che,
essendo titolari di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con pubbliche amministrazioni o con imprese
di diritto italiano, svolgano all’estero, in forza di tale
rapporto, la propria attività lavorativa per un periodo di
ventiquattro mesi o più.
Le facilitazioni previste per chi sceglierà l’Italia non si
esauriscono nella minore leva fiscale. Il capo III [10] della
Legge n. 238/2010 prevede, in primis, la possibilità per le
Regioni di riservare, ai beneficiari dello “sconto”, una determinata quota di alloggi di edilizia residenziale pubblica
destinati all’assegnazione in godimento o alla locazione
per uso abitativo per un periodo non inferiore a ventiquattro mesi; tra l’altro il Governo dovrà stipulare accordi
bilaterali, in materia previdenziale, con gli Stati esteri di
provenienza dei lavoratori, per garantire la totalizzazione
dei contributi versati all’estero con quelli maturati in Italia.
La stessa disposizione normativa precisa, infine, come un
aiuto all’espletamento delle pratiche burocratiche arriverà
dagli uffici consolari all’estero, in collaborazione con la
società Italia Lavoro S.p.A. [11], in attesa di un apposito
decreto a triplice firma da parte del Ministero degli
Affari Esteri, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e quello del Lavoro e delle Politiche Sociali, che dovrà
specificare, nel dettaglio, l’iter da seguire per garantire la
regolarità amministrativa del rientro dei cervelli non più
in fuga [12].
In ultimo si sottolinea come la normativa in questione
sia sottoposta ad un limite di natura europea. Difatti, il
secondo comma dell’articolo 3 della Legge n. 238/2010
prevede che i benefici menzionati vengano riconosciuti nel rispetto dei limiti fissati dal Regolamento (CE)
n. 1998/2006 della Commissione, relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato che istituisce
la Comunità europea (i.e. articoli 107 e 108 del Trattato
sul funzionamento dell’Unione europea, di seguito
“TFUE”) in riferimento agli aiuti di Stato d’importanza
minore (cosiddetti de minimis), comportando il limite di
200’000 euro.
In sostanza, l’importo degli aiuti non dovrà superare la
somma in questione nell’arco di tre esercizi finanziari,
da intendersi come periodi d’imposta rilevanti in conformità alla disposizioni vigenti in materia fiscale in
ciascuno degli Stati membri. Quindi nel caso in cui il
soggetto dichiarante non abbia beneficiato nel triennio
di riferimento di alcun aiuto rientrante nella categoria,
l’ammontare di risparmio d’imposta in applicazione del
regime di favore in esame nel triennio 2011-2013, è pari
al massimo all’intero importo di 200’000 euro [13].
2.
I punti critici della disciplina
Sebbene la normativa in questione potrebbe risultare un
adeguato provvedimento per garantire il rientro dei cervelli emigrati all’estero e, quindi, rendere l’Italia attraente
per giovani di assoluta eccellenza, da prendere a modello
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da parte delle altre realtà nazionali, non è possibile non
evidenziare i punti deboli della Legge n. 238/2010 in esame.
Difatti, la norma presenta dubbi di compatibilità con il
principio di non discriminazione, sia da un punto di vista
comunitario che “internazionalistico-pattizio”.
Su di un piano prettamente europeo, il principio di non
discriminazione in materia tributaria si è affermato come
corollario del principio di uguaglianza.
Tale regola generale può dirsi cristallizzata proprio dal
principio di non discriminazione di cui all’articolo 18 del
TFUE.
Va subito precisato che il diritto dell’UE, sebbene vieti
espressamente soltanto la discriminazione in base alla
cittadinanza, proibisce comunque ogni discriminazione
che, fondandosi su diversi criteri distintivi, giunga allo
stesso risultato. Ciò risulta confermato non solo dall’articolo 19 TFUE che prevede l’adozione di provvedimenti
adeguati “per combattere le discriminazioni fondate sul sesso,
la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali,
la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”, ma anche dalla
stessa Corte di giustizia che, nel leading case Sotgiu [14], ha
elaborato un’interpretazione estensiva del principio della
parità di trattamento [15], al fine di prevenire non solo le
discriminazioni palesi o dirette - i.e. fondate solo sulla cittadinanza - ma anche quelle occulte o indirette, le quali,
essendo basate su altri criteri, come il sesso, hanno lo
stesso effetto delle prime.
Inoltre, in ottemperanza al granitico orientamento
giurisprudenziale dei Giudici del Lussemburgo, il principio
generale di uguaglianza, di cui il divieto di discriminazione a motivo della cittadinanza è solo un’espressione
specifica, è uno dei principi fondamentali del diritto
comunitario che impone di non trattare in modo
diverso situazioni analoghe, salvo che la differenza
di trattamento sia obiettivamente giustificata [16] e
proporzionata. Si precisa che, in base al principio di
proporzionalità, la norma discriminatoria può essere
ammessa solo qualora sia riconosciuta necessaria ed in
grado di raggiungere effettivamente lo scopo perseguito.
È importante notare, in aggiunta, come la Corte di
giustizia non richieda la prova che una norma abbia
concretamente generato una discriminazione, ma
postula come sia sufficiente che essa sia potenzialmente
in grado di generarla nei confronti di fattori produttivi,
siano essi merci, soggetti o capitali, rispetto ai quali i
diritti o le libertà fondamentali sono state esercitate [17].
Orbene, così come quello di uguaglianza, il concetto
di discriminazione presuppone ontologicamente una
comparazione tra due o più fattispecie e, proprio sulla
base di tale confronto e su quanto la Corte di giustizia
ha sancito, si avrà una discriminazione sostanziale sia nei
casi in cui si verificherà un trattamento diverso di situazioni simili, sia quando lo stesso trattamento riguarderà
situazioni diverse.
Alla luce di quanto supra esplicato, la disciplina italiana
potrebbe risultare di dubbia compatibilità rispetto al
principio generale in questione. Nel momento in cui si
integrano tutti i requisiti richiesti, la minore leva fiscale
prevista viene differenziata se ad usufruirne sia un uomo
o una donna. Infatti il bonus fiscale, cioè la non parziale
imponibilità degli emolumenti percepiti, è caratterizzato
da una differenziazione che si fonda unicamente sul sesso.
Il fatto di non assoggettare, per le lavoratrici, o meglio
di assoggettare, per i lavoratori, un delta di imponibile
pari a 10%, sembra quasi integrare quella situazione che
il principio di non discriminazione vuole evitare: due pesi,
due misure, sebbene la differenza sia lieve. A tal proposito,
non vi è stato alcun chiarimento giustificato e preciso
sulla differenza di trattamento di situazioni identiche,
dove l’unico elemento di difformità è rappresentato dal
sesso. Così come affermato, l’eventuale discriminazione
potrebbe essere giustificata solo ed esclusivamente alla
luce di motivazioni imperative, quali l’ordine pubblico, la
salute pubblica o la sicurezza interna. Il fatto di tassare
diversamente stesse situazioni, solo perché afferenti a
soggetti di sesso opposto, non sembra essere una motivazione coerente ed adeguata per integrare motivi di
interesse generale.
La ratio di tale distinzione non può essere ravvisata
neanche nella necessità di incentivare il lavoro femminile,
così come è stato affermato nei lavori preparatori: in primis,
perché il non assoggettare una parte così irrisoria di
reddito prodotto non possa costituire un veicolo idoneo
ad aumentare le quota rosa nel mondo lavorativo
nazionale; peraltro, qualora si volesse accettare tale
giustificazione, si arriverebbe alla conclusione surreale
che il lavoro maschile non deve essere incentivato, creando un effetto distorsivo della concorrenza nel mondo
del lavoro. Anzi, proprio sulla base del principio dell’effetto
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utile, volto a garantire la più ampia e corretta applicazione ed interpretazione delle norme UE, ciò potrebbe
configurare un disincentivo alla libera circolazione delle
persone, in quanto tenderebbe a scoraggiare i lavoratori
- e non le lavoratrici - nell’esercitare quel diritto di mobilità che rappresenta uno degli elementi fondanti dell’UE,
senza il quale il concetto di mercato interno sarebbe di
difficile realizzazione.
Sebbene si tratti di un minor beneficio concesso al lavoratore maschile, è possibile notare che nel momento
in cui si conceda un’agevolazione fiscale di tal genere
fondata, a parità di condizioni lavorative o di studio, solo
sul sesso, essa potrebbe essere potenzialmente atta a
dissuadere i soggetti in questione all’esercizio della libertà
di circolazione che rappresenta l’espressione tangibile
della cittadinanza europea che non ammette restrizioni
fondate sul sesso, dal momento che la parità fra uomo
e donna è uno dei capisaldi, nonché obiettivi, del TFUE.
Paradossalmente, attraverso la concessione di un beneficio fiscale, si integrerebbe una condizione restrittiva
della stessa norma, potendo disincentivare la migrazione
inversa per una parte considerevole dei singoli individui
interessati.
A tale riflessione è possibile aggiungere un’altra considerazione di non poco conto. La disciplina italiana individua
la cittadinanza UE come uno dei requisiti fondamentali
affinché si possa concretizzare il godimento dei benefici
in questione.
Nel momento in cui si dà vita ad un confronto della suddetta normativa di favore con quella pattizia contenuta
nelle convenzioni contro le doppie imposizioni sul reddito e sul patrimonio (di seguito “CDI”) siglati tra l’Italia e gli
Stati extra-UE, come la Svizzera, è possibile notare delle
incongruenze.
Si deve premettere come nel diritto internazionale
tributario è vietata solo la discriminazione fondata sulla
nazionalità. L’articolo 24 del Modello OCSE di Convenzione stabilisce che i cittadini di uno Stato contraente,
residenti o non residenti in uno o in entrambi gli Stati
contraenti, non possono essere assoggettati nell’altro
Stato ad alcuna imposizione od obbligo ad essa relativo,
diversi o più onerosi di quelli cui sono o potranno essere
assoggettati i cittadini di detto Stato che si trovino nella
stessa situazione. Tale disposizione, quindi, consente
ai cittadini di uno Stato contraente, residenti in un
Paese terzo, di invocare la protezione garantita dalla CDI
contro qualsiasi forma di discriminazione fiscale basata
sulla nazionalità. Si sottolinea come il divieto di discriminazione fiscale di natura convenzionale da parte di uno
Stato contraente nei confronti degli stranieri si applica
solo se tali soggetti si trovano nella stessa situazione dei
nazionali di tale Stato: la questione assume rilevanza
nel momento in cui, dunque, due persone residenti nel
medesimo Stato siano considerate in modo differente,
esclusivamente a motivo della diversa nazionalità.
La disciplina internazionale supra descritta fa riferimento
ad una particolare situazione che sembra avere i connotati di quella che si configura nel momento in cui
si analizza la CDI del 9 marzo 1976 pattuita tra Italia e
Svizzera, con particolare riferimento all’articolo 25, paragrafo 1. Sebbene tale articolo sia strutturato sulla falsa
riga dell’articolo 24 del Modello OCSE, il secondo capoverso del primo paragrafo stabilisce che “i nazionali di
uno Stato contraente che sono imponibili nell’altro Stato
contraente fruiscono delle esenzioni, degli abbattimenti
alla base, delle deduzioni e riduzioni d’imposte o tasse
concessi per carichi di famiglia ai nazionali di detto altro
Stato membro trovantisi nelle medesime condizioni.”
Attraverso una lettura congiunta dell’articolo della
CDI italo-svizzera con la disciplina italiana relativa agli
incentivi, che subordina l’agevolazione al possesso della
cittadinanza UE, la situazione di cortocircuito, o meglio
di discriminazione a carattere internazionale così come
prospettata, si verificherebbe nel momento in cui un
soggetto italiano, il quale abbia esercitato il diritto di
mobilità concesso dal diritto UE, integrando tutti i
requisiti richiesti, ottenga l’agevolazione; in tal caso, in
ottemperanza al principio pattizio di non discriminazione, il soggetto svizzero che si trasferisce in Italia per
svolgere la propria attività e che possiede tutti i requisiti
richiesti dalla normativa italiana, seppur non cittadino
UE, dovrebbe vedersi riconosciuta l’agevolazione fiscale
proprio per l’equiparazione fra il nazionale italiano, emigrato all’estero e poi rientrato, e il nazionale svizzero
che intende stabilirsi nella Penisola. Tale lettura nasce da
analisi dell’articolo in questione che dà vita ad un processo
di equiparazione tra i soggetti nazionali degli Stati
contraenti nel momento in cui si trovino nelle stesse condizioni, o meglio, nelle “medesime condizioni”, non
dovendo prendere in considerazione la cittadinanza ma
solo la nazionalità, dal momento che la Svizzera non è un
Paese membro UE.
A tal proposito, il Commentario OCSE, precisando che
la ratio sottesa all’articolo in questione è quella di impedire la discriminazione da parte di uno Stato verso i cit-
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tadini dell’altro Stato contraente, sottolinea quanto sia
importante interpretare correttamente l’espressione
“stesse circostanze/medesime condizioni”. La verifica delle
condizioni in presenza delle quali si palesa il fenomeno
discriminatorio va condotta secondo criteri di obiettività,
non avendo riguardo alle motivazioni che hanno determinato il diverso trattamento fiscale applicato ai soggetti
dell’altro Stato contraente.
Tale incompatibilità tra la disciplina italiana e la CDI
italo-svizzera è stata sollevata dalla stessa Svizzera.
Il Consiglio federale elvetico, in data 7 marzo 2011, ha
osservato come la disciplina Italiana “sul rientro dei cervelli”
risulterebbe contraria alla CDI italo-svizzera: riconoscendo solo a determinate categorie di contribuenti, cittadini UE,
incentivi fiscali si sostanzierebbe una violazione dell’articolo
25 della CDI tra Italia e Svizzera, nel momento in cui i
cittadini svizzeri si trovassero nelle medesime situazioni
di un individuo italiano che può beneficiare delle agevolazioni e dove la differenziazione di applicazione si fondi
solo sulla cittadinanza. Inoltre tale disposizione sarebbe
non conforme all’articolo 9 dell’Accordo tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e la Comunità europea
ed i suoi Stati membri, dall’altra, sulla libera circolazione
delle persone (di seguito “ALC”), entrato in vigore in data 1.
giugno 2002, il quale prevede l’uguaglianza di trattamento fiscale e sociale nei confronti dei cittadini dell’altra
Parte contraente. In particolare l’ALC prevede la progressiva apertura dei rispettivi mercati del lavoro per i cittadini
dell’altra Parte contraente, con la contestuale rimozione
degli ostacoli e delle disparità di trattamento che una
persona potrebbe incontrare nel trasferirsi per lavoro da
un Paese all’altro [18].
3.
Considerazioni conclusive
Non si può negare come il provvedimento elaborato dal
Governo italiano sia innovativo e di grande lungimiranza.
La concessione di agevolazioni fiscali è, e sarà, sicuramente un grande fattore di attrattiva per tutti quei giovani
che, pur avendo inizialmente scelto l’estero per costruire
il proprio futuro, individueranno nell’Italia il luogo in cui
sviluppare le proprie idee.
Detto ciò, la menzionata disciplina presenta, allo stesso
tempo, delle “piccole” imperfezioni di architettura normativa che prestano il fianco a dubbi e critiche, evidenziando,
in tal modo, le zone di ombra di un progetto molto
interessante.
Da un punto di vista comunitario, se la presunta
incompatibilità con il principio di non discriminazione e di
libera circolazione dei lavoratori trova riscontro su di un
piano teorico, difficilmente questa potrà trovare apposita
censura pratica, dal momento che il delta di esenzione
- imposizione pari al 10% tra uomini e donne - non dovrebbe creare fenomeni distorsivi nel mondo del lavoro.
Ma tale circostanza, allo stesso tempo, non permette
di comprendere appieno le ragioni che hanno indotto il
legislatore a prevedere distinte percentuali di esenzione a
seconda del sesso del percettore. Probabilmente le motivazioni sono da ricercarsi nei lavori preparatori che hanno portato all’emanazione della legge oggetto di analisi.
Nell’originaria proposta di legge, infatti, il beneficio fiscale
era rappresentato da un credito d’imposta accordato
a determinati soggetti, tra cui imprenditori e lavoratori
autonomi rientranti in Italia. A tal proposito il credito
era modulato a seconda della zona di investimento e del
Daniele Russetti
Avvocato
Studio Marino & Associati,
Milano
Note: 1) Pubblicata in: Gazzetta ufficiale del 13
gennaio 2011. 2) Per usufruire del bonus, i lavoratori dipendenti dovranno farne espressa richiesta
al datore di lavoro che opererà le relative ritenute secondo le modalità previste dall’Agenzia delle
Entrate. 3) L’articolo 2, comma 2, della Legge stabilisce che il Ministero dell’Economia e delle Finanze
individuerà, con decreto le categorie dei soggetti
beneficiari, tenendo conto delle specifiche esperienze e qualificazioni scientifiche e professionali.
4) Cfr. articolo 17 del Decreto-legge 29 novembre
2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 gennaio 2009, n. 2. 5) Cfr. articolo 1, commi
da 271 a 279, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296
(Legge finanziaria 2007) e successive modificazioni.
6) Convertito dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122. 7)
Più precisamente, la norma consente alle imprese estere residenti in uno Stato membro dell’UE,
che intendono avviare nuove attività economiche
in Italia, di chiedere l’applicazione della normativa
tributaria vigente in un qualunque altro Stato membro dell’UE in luogo di quella italiana.
8) Il regime si applica per il periodo di imposta nel
corso del quale è presentata l’istanza e per i due
successivi. A partire dal quarto periodo d’imposta
si rendono applicabili, ai fini della determinazione
del reddito le disposizioni fiscali nazionali. 9) Qualora il connubio tra le due discipline fosse possibile,
sesso del contribuente. Nelle diverse discussioni parlamentari è stato abbandonato lo strumento del credito
d’imposta, sostituito da un’esenzione fiscale che ha mantenuto una differente incidenza a seconda del percettore
del reddito in un’ottica di avvantaggiare le lavoratrici
rispetto ai lavoratori. Sebbene si presume che non ci sarà
alcuna conseguenza negativa per tale disciplina, forse
sarebbe stato meglio prevedere una parità di trattamento
tra i diversi beneficiari della normativa.
Sul piano convenzionale, invece, i dubbi di compatibilità
non possono essere trascurati. Dalla lettura congiunta
della disciplina italiana con la CDI italo-svizzera e l’ALC si
evidenziano i limiti della disposizione normativa italiana che
costituirebbe un vero e proprio ostacolo per tutti gli individui di nazionalità elvetica che, integrando i requisiti richiesti,
almeno sulla carta, non dovrebbero usufruire degli
incentivi previsti.
Sicuramente tale presunta lacuna deve essere interpretata come una piccola svista che verrà colmata. A tal
riguardo il Governo svizzero, di concerto con quello italiano,
già si è rivolto alla Commissione dell’UE per cercare di
ottenere una soluzione pratica sul tema e, quindi, garantire l’attuazione di un progetto normativo molto valido,
scongiurando inconvenienti che potrebbero ostacolare la
valorizzazione dei giovani talenti.
allora, potrebbe nascere una situazione paradossale
per cui, oltre ad avere un’esenzione considerevole sul
quantum da pagare, coloro che integreranno i requisiti richiesti potrebbero scegliere un sistema impositivo europeo più favorevole rispetto a quello italiano,
creando una perdita di gettito erariale considerevole,
nonché una situazione di squilibrio sia fiscale che
sociale. 10) Denominato “Agevolazioni e tutela dei
diritti acquisiti per i lavoratori che rientrano in Italia”.
11) La società Italia Lavoro S.p.A. è una società per
azioni totalmente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Opera, per legge, come ente
strumentale del Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali per la promozione e la gestione di azioni nel
campo delle politiche del lavoro, dell’occupazione
e dell’inclusione sociale. 12) Alle persone fisiche che
rientreranno in Italia sarà garantita, in quanto applicabili, l’attestazione delle proprie competenze e
dei titoli acquisiti all’estero, attraverso il rilascio della
documentazione “Europass”, di cui alla decisione n.
2241/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004. 13) Va ricordato che, in
base alla disciplina comunitaria, gli aiuti erogati in
forma diversa dalla sovvenzione diretta in denaro
(quali i prestiti agevolati, gli sgravi fiscali, le garanzie
su prestiti) dovranno essere convertiti, in equivalente sovvenzione, cioè quantificati come se fossero una sovvenzione in denaro, individuando il reale
beneficio economico corrispondente all’aiuto. Per
quanto concerne l’agevolazione in questione, attuata
mediante lo strumento della riduzione della base
imponibile, l’equivalente sovvenzione dovrebbe
essere costituita dal risparmio che tale riduzione
è destinato a generare. 14) Cfr. Corte di Giustizia,
sentenza 12 febbraio 1974, C-152/73, Sotgiu, in: Racc.,
punto 153. 15) Sul punto cfr. Corte di Giustizia, sentenza 10 gennaio 2006, C-344/04, IATA ed ELFAA, in:
Racc. I-403, punto 55; Corte di Giustizia, sentenza
3 maggio 2007, C-303/05, Advocaten voor de Wereld,
in: Racc. I-3633, punto 56; Corte di Giustizia, sentenza 16 dicembre 2008, C-127/07, Arcelor Atlantique et
Lorraine e a., in: Racc. I-9895, punto 23. 16) Sul punto cfr. Corte di Giustizia, sentenza 12 febbraio 1974,
C-152/73, Sotgiu, in: Racc., punto 153; Corte di Giustizia, sentenza 8 ottobre 1980, C-810/79, Überschär
v Bundesversicherungsanstalt für Angestellte, in: Racc.,
punto 2747; Corte di Giustizia, sentenza 2 febbraio
1989, C-186/87, Cowan, in: Racc., punto 195; Corte
di Giustizia, sentenza 22 novembre 2005, C-144/04,
Mangold, in: Racc., punto 9981. 17) Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 23 maggio 1996, C-237/94, O’Flynn,
in: Racc. I-2617 18) Si veda la risposta del Consiglio
federale, del 7 marzo 2011, nell’ora delle domande, in:
http://www.parlament.ch/d/suche/seiten/geschaefte.aspx?gesch_id=20115067 [26.04.2011].