Corriere della Sera - e-dicola martedì, 6 maggio

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Corriere della Sera - e-dicola martedì, 6 maggio
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Corriere della Sera - e-dicola
martedì, 6 maggio, 2003
REATI OMICIDI
045/046
Temeva le follie di quel ragazzo Voleva cambiare casa per paura
«Ha ucciso Stefania, poi ha sparato sui passanti» In fin di vita il
pensionato che soccorreva l' avvocato Litta Modignani. Una
logopedista rischia di restare paralizzata
TERRORE IN CITTA' : LA PRIMA VITTIMA
«Io non so... non so che cosa dire. Non so se è possibile...».
Ilaria Guaraldi è la figlia di Stefania Vinassa de Regny, la prima
vittima di Andrea Calderini. È stranita, si stringe al petto un
pacco rosso, ancora non riesce ad afferrare l' esplosione di follia
che si è portata via sua madre. Arriva Milly Moratti, grande amica
di famiglia, e Ilaria la guarda con gli occhi spalancati: «Io non
so...» ripete. Altro non può dire. Ma nelle tragedie ci sono sempre
dei bambini: e Ilaria - piccolina, vestita semplicemente - si
riscuote pensando ai suoi figli. A che cosa dire loro. A come
spiegare che la nonna non è all' ospedale, la prima versione dei
fatti ancora animata, forse, dalla speranza. E poi come trovare le
parole per una fine senza un senso? Più tardi, in serata, Ilaria si
infilerà anche lei un giubbotto antiproiettile. Accompagnata dagli
agenti entrerà nella casa della follia per andare a vedere la mamma,
che è ancora lì, sulla porta di casa, dove è stata raggiunta dai
colpi dello squilibrato. A posteriori, sarebbe facile parlare di un
presentimento. Di certo, per Stefania Vinassa quel vicino così
minaccioso - «così selvaggio» dice una testimone - era una continua
fonte di inquietudine: «Tutta colpa di quel pazzo lì, voleva
cambiare casa. Voleva vendere. Quello rendeva la vita impossibile a
tutti». Lo racconta una signora che attende di poter rientrare in
casa: «Io abito nel palazzo di fianco, conoscevo bene Stefania. Una
volta ci siamo accorte di aver cambiato marciapede tutte e due per
lo stesso motivo: stava arrivando lui. Ci siamo sorrise. Ma da
ridere c' era davvero poco». Confermano altri vicini: raccontando
che Stefania Vinassa, diversamente da altri residenti di via Filippo
Carcano 19, con Andrea Calderini non aveva mai avuto discussioni. Si
rendeva conto dei disturbi dell' uomo, ne temeva le possibili
reazioni: quelle che nella palazzina a due passi dalla Fiera erano a
tutti ben note. Delle intemperanze, aveva anche parlato con l'
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amministratore. Un' ansia sottile. Non forte abbastanza da
rinunciare ad appendere la «Rainbow flag», la bandiera della pace.
Due piani più in alto, sventola pigra quella a stelle e strisce
esposta dal suo futuro assassino. Ilaria torna fuori dalla casa:
«Dopo tutte quelle che aveva passate...» è l' unica frase che si
riesce a cogliere. E chissà a che cosa si riferisce. Stefania
Vinassa era nata sessantacinque anni fa da una famiglia
aristocratica quanto illustre: il padre, Paolo Vinassa de Regny, era
un geologo e paleontologo fiorentino molto noto all' inizio del
secolo scorso, senatore del regno sabaudo, e autore di testi
universitari adottati da generazioni di studenti. La figlia
Stefania, sposata con un diplomatico, aveva potuto mantenere il
prestigioso cognome, utilizzato anche da Ilaria. Che a Milano è una
persona molto nota, la responsabile delle relazioni esterne del
museo di Storia naturale e la presidente dell' Associazione
didattico museale: sue le mostre e i «lab» visitati ogni mattina da
innumerevoli scolaresche. Il destino sa essere bizzarro. Perché tra
le persone prese di mira da Andrea Calderini c' è un' altra figura
dal gran cognome. Si tratta dell' avvocato Giovanni Fabrizio Litta
Modignani. Pedalava sulla sua bicicletta lungo via Carcano diretto
al suo studio. Una pallottola, la prima sparata dal folle fuori di
casa, lo ha centrato alle gambe. Si è fratturato il femore, ma è
stata la sua salvezza: il ferito più grave - Piero Toso, 70 anni - è
la persona che lo ha accostato per soccorrerlo. Ed è stato
sadicamente colpito da Calderini. Daniela Zaniboni, 41 anni,
logopedista, lavora in un centro per bambini sordi di via Ragusa. E'
da lì che viene, a bordo del suo scooter, diretta a casa di un'
amica: «Ho sentito un colpo al braccio, fortissimo, poi sono
caduta», racconta ai medici. La pallottola, diranno i sanitari, è
entrata e uscita. La prima. Perché dopo che la donna cade, arriva il
secondo colpo: trapassa un polmone, scheggia la spina dorsale, si
ferma dall' altra parte del busto. In serata, durante l' assedio
all' uomo che le ha sparato, la donna è sotto i ferri dei chirurghi
in una sala operatoria di Niguarda. Non è in pericolo di vita. Ma il
destino può essere spietato anche con lei: potrebbe restare
paralizzata. Chi invece a notte fonda lottava ancora per la vita è
Piero Toso, il soccorritore di Litta Modignani. Le sue condizioni
appaiono subito gravi, lo trasportano al Sacco. Ma la ferita più
grave è quella alla testa, ci vuole una neurochirurgia. Viene
trasportato al Galeazzi, dove in serata lo opera Domenico Servello:
oltre alle pallottole conficcate nella coscia e nella costola, un
terzo colpo ha causato una emorragia cerebrale: le sue condizioni
sono gravissime. Marco Cremonesi
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martedì, 6 maggio, 2003
REATI OMICIDI
011
Uccide la moglie, spara ai passanti e si ammazza
Milano, trentunenne con problemi psichici aveva due pistole e un
fucile. Morta la vicina di casa, ferite tre persone. In azione i
Nocs
TERRORE A MILANO: GLI SPARI E LE VITTIME
MILANO - Adesso non c' è più uno, in questo bel quartiere di palazzi
signorili, balconi ben tenuti, facciate decorose, che parli ancora
di quell' uomo a bassa voce. Non uno, adesso che ormai è fatta, e
che il decoro discreto di quella strada a due passi dalla Fiera è
stato spazzato via dai cordoni della polizia, dalla consueta folla
di telecamere e cronisti, dai vicini che ora ripetono ai microfoni
«lo dicevo...», non più uno che ora pronunci più le parole «pazzo
pericoloso» soltanto mormorandole, come pure continuavano a fare da
anni. Un trantran andato in pezzi in una manciata di minuti, poco
dopo le 15 di ieri pomeriggio: quando Andrea Calderini, 31 anni,
sotto cure neuropsichiatriche da un pezzo, svastica sulla porta,
bandiera americana sul bancone, il «666» dell' Anticristo sul
campanello, ha impugnato una delle sue pistole e ha fatto fuori una
vicina del primo piano; poi è sceso in strada, sparando ancora all'
impazzata e centrando tre passanti; quindi è risalito al suo
balcone, aprendo il fuoco una volta di più fra il terrore di altra
gente in fuga; e asserragliandosi infine in casa, dove i Nocs sono
riusciti a irrompere solo a tarda sera. Trovandolo morto a sua
volta, così come la sua giovane moglie. Uccisa prima degli altri,
crivellata di colpi alla schiena. Per poi metter fine alla sua
follia puntandosi l' arma in bocca e premendo il grilletto un'
ultima volta. La ricostruzione dei fatti, ancora in buona parte da
definire nei dettagli, procede per un intero pomeriggio a tentoni,
parallelamente al lungo assedio che precederà l' epilogo. E i fatti
certi sono che Calderini viveva al terzo piano di una palazzina al
numero 19 di via Filippo Carcano, all' angolo con via Mosè Bianchi,
tra Fiera e circonvallazione, e che ci abitava col suo barboncino e
una vicentina di 22 anni, Heglietta Scalori, sposata a Las Vegas non
molto tempo fa. Due piani sotto viveva invece Stefania Vinassa De
Regny, che di anni ne aveva 65: figlia di un senatore del Regno d'
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Italia, sposata al diplomatico Guaraldi, che ieri si trovava a
Rimini, e la cui figlia Ilaria dirige il Museo di Scienze naturali
di Milano. Tra la bandiera della pace appesa al suo balcone e quella
americana al bancone di Calderini distano meno di sei metri. «Era un
folle che andava in escandescenze con nulla», ripetono adesso i
vicini. «Ma tutti cercavano di non dargli peso - aggiungono subito anche per una forma di rispetto a suo padre»: che a suo modo,
essendo direttore centrale finanziario della Zurigo assicurazioni,
nel quartiere ha sempre goduto di una certa stima. «Stefania aveva
paura, avrebbe voluto cambiare casa - dice una signora che la
conosceva - ma cercava lo stesso di essere gentile con quel vicino
così problematico...». Fatto sta che ieri, poco dopo le tre,
qualcuno dice di aver sentito le voci di un diverbio. Non si sa con
precisione tra chi. E Andrea Calderini, secondo una delle
ricostruzioni più accreditate, ad un certo punto avrebbe suonato al
campanello di Stefania: contro la quale, quando se la trova di
fronte sul pianerottolo, fa fuoco uccidendola sul colpo. È solo l'
inizio. Calderini scende in strada. Con sé ha una Colt 45 Magnum,
regolarmente denunciata: «Ma possiede anche un' altra pistola e una
carabina», dirà più tardi il vicesindaco Riccardo De Corato. Perché
è un appassionato di tiro, Andrea Calderini. E sul marciapiede ne dà
buona prova: spara dodici colpi in successione e vanno quasi tutti a
segno. I primi feriscono a una gamba l' avvocato Giovanni Maurizio
Litta Modignani, che in quel momento sta passando in motorino. Altri
tre centrano alla nuca, al torace e a una coscia Piero Toso, 70
anni, che a quanto pare si era fermato a soccorrerlo. Altri
raggiungono Daniela Zaniboni, 41 anni, che sopraggiungeva in
bicicletta. Poi Calderini risale in casa sua, e dal balcone spara di
nuovo: «Almeno venti colpi», giura il parrucchiere dietro l' angolo.
Alcuni proiettili toccano l' asfalto a pochi metri dalle due moto
della polizia già arrivate nel frattempo, mentre in strada è l'
inferno: «Mi sento un miracolato, fosse passato mezzo minuto prima dice Giorgio G. ancora col fiatone - avrebbe beccato anche me...».
Da quel momento in poi, di Andrea Calderini, non si sa più niente.
«Asserragliato in casa», dicono gli agenti che sopraggiungono via
via. E arriva anche il questore Enzo Boncoraglio, che si incarica di
intavolare una «trattativa». Ma è una trattativa sotto forma di
monologo. Il questore parla a una porta chiusa, ma dall' interno non
viene il minimo segno di vita. I genitori di Calderini, contattati e
portati sul posto nel frattempo, non ottengono differente risultato.
La madre lo implora di uscire: da dentro viene solo silenzio,
neppure l' abbaiare del cane. Ed è col passare dei minuti che si
affaccia l' altro terribile interrogativo: che fine ha fatto la
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moglie di Andrea? Gli agenti rintracciano il numero del suo
cellulare, la chiamano ripetutamente, ma l' apparecchio suona a
vuoto: dall' interno dell' appartamento. È già trascorsa un' ora e
mezza dall' inizio del dramma quando il questore e il pm Marco
Ghezzi, consultatisi con i carabinieri sopraggiunti a loro volta,
decidono di far intervenire i Nocs. Che però non ci stanno, a
Milano: bisogna farli arrivare da Roma. Arriveranno solo alle nove
di sera. Ed è ormai l' una meno un quarto, quando finalmente entrano
dentro. Per certificare la strage avvenuta. Paolo Foschini LA
VITTIMA Alle 15.10 Andrea Calderini, 31 anni suona alla porta della
vicina, Stefania Guaraldi. Quando apre la porta l' uomo le spara e
la uccide I TRE FERITI L' uomo scende in strada e spara. Colpisce
tre passanti: una donna in scooter, un avvocato in bici e un
pensionato. Due di loro sono gravi GLI SPARI Calderini, con regolare
porto d' armi per uso sportivo ma con problemi psichici, risale in
casa e dal balcone spara altri colpi di pistola IL PANICO Arrivano i
primi soccorsi, ma l' uomo continua a sparare Due persone si salvano
nascondendosi dietro le auto parcheggiate IL SILENZIO Alle 15.30 l'
omicida si barrica in casa. I genitori e il questore tentano di
convincerlo alla resa, ma dall' abitazione non arrivano segni di
vita L' IRRUZIONE In nottata l' irruzione dei Nocs. Quando entrano
l' uomo e la moglie Heglietta Scalori erano già morti. La donna è
stata la prima vittima Era un folle che andava in escandescenza con
nulla ma tutti cercavano di non dargli peso per rispetto a suo padre
Stefania aveva paura, avrebbe voluto cambiare casa ma cercava lo
stesso di essere gentile con quel giovane così problematico
Foschini Paolo
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martedì, 6 maggio, 2003
REATI OMICIDI
010
«Aboliti per legge I malati sono in strada»
De Corato: era in cura. E' normale che avesse il permesso di sparare
al poligono?
IL VICESINDACO
MILANO - «Hanno voluto abolire i pazzi per legge. Ma i pazzi
esistono». Il vicesindaco Riccardo De Corato è l' uomo che ha
rappresentato il Comune di Milano nell' allucinante giornata di via
Filippo Carcano. E' stato tra i primi ad arrivare, e tra i primi a
temere atti di follia ulteriori: ha immediatamente dato l' ordine
alla municipalizzata dell' energia di togliere il gas all'
appartamento del folle. E c' è chi dice che l' assassino il gas lo
avesse già aperto: «Ma quanto gas rimane nei tubi dopo che l' avete
chiuso?». «Quanti ne vogliamo di morti per la legge Basaglia?». De
Corato riattacca. Non se ne capacita. Ma il vicesindaco di Milano è
stupefatto anche per un altro risvolto della vicenda: «Mi dicono che
Calderini fosse in cura da un neurologo, che le sue instabilità
fossero ben note. Ma guarda un po' : andava al poligono a tirare al
piattello. E per farlo, aveva avuto tanto di regolare certificato
medico. E' normale?». Sbuffa, il vicesindaco: «Li lasciamo in giro
per le strade, e gli forniamo un porto d' armi». Ma a mettere a dura
prova i nervi del numero due della città, è la snervante attesa. Sin
dalle prime fasi della vicenda, si diffonde la voce: stanno
arrivando i Nocs, i corpi speciali della polizia. Ma fino a tarda
sera, sui tetti intorno alla palazzina della tragedia, si vedono
solo i pompieri. Anche perché nel capoluogo lombardo i Nocs non ci
sono. «Milano - sbotta De Corato - ha una specificità tale da
rendere indispensabile un reparto operativo specializzato. Non si
dice un esercito: una decina di uomini sarebbero facilmente
distaccabili». Il tempo passa, e il nervosismo rischia di
trasformarsi in rabbia: «Sono ore che è iniziata questa storia.
Quell' uomo potrebbe essere morto da ore. Si sarà sparato alle
quattro del pomeriggio. Ma c' è anche l' ipotesi che sia riuscito a
scappare: e qui, sono ore che nessuno agisce». M. Cre.
Cremonesi Marco
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martedì, 6 maggio, 2003
REATI OMICIDI
010
Urla, rock e violenza: lo chiamavano «il matto»
Aveva il numero satanico 666 sul citofono e una svastica sulla
porta. Nessuna traccia della moglie sposata a Las Vegas La famiglia,
benestante, gli aveva regalato l' appartamento Una passione per le
belle auto
TERRORE A MILANO: L' OMICIDA
MILANO - La ragazza che sta appiattita contro lo stipite della
portafinestra fa segno col pollice dietro a sé, il terrazzo dà sul
cortile interno d' una casa all' angolo e oltre le palme e i gerani
si distingue l' appartamento al terzo piano, una bandiera americana
al balcone, le tendine beige a strisce marrone abbassate, l'
ambiente buio e impenetrabile come l' animo del suo proprietario,
«stia attento, prima una pallottola è arrivata nell' ufficio di
fronte, quello è matto totale». L' epiteto non risale a ieri
pomeriggio, da anni nel quartiere lo chiamavano tutti così: «il
matto». Quello che pompava rock a tutto volume ma alle cinque e
mezzo del mattino urlava e prendeva a pugni e martellate i muri
perché gli dava fastidio il rumore dell' impianto di riscaldamento,
che aveva tentato d' accoltellare un vicino, lanciato la bicicletta
del medesimo dal terzo piano ma solo dopo aver bucato le gomme,
massacrato a bastonate i cani d' un condominio poco oltre, che s'
era tagliato le dita e i palmi e aveva striato di sangue l' intonaco
della scala, le mani gocciolanti come stimmate, lui che sul citofono
s' era fatto mettere il numero della Bestia nell' Apocalisse di
Giovanni, 666, l' Anticristo abbinato alla svastica tracciata sulla
porta di casa e fra i capelli. Una vicina racconta che quando lo
vedeva cambiava marciapiede, un' altra assicura d' aver sentito
almeno uno sparo domenica, «abito nel palazzo di fianco, credo
tirasse ai piccioni». Non che Andrea Calderini avesse un aspetto
particolare, un giovane di 31 anni, altezza media, abbastanza
robusto, capelli biondi ricci e corti, vestiti curati e macchine di
pregio, un Maggiolone rosso, una Porsche Carrera. Lo vedevano con
quella ragazza minuta e nessuno immaginava che fosse sua moglie,
appena 22 anni - di lei non c' è traccia da ieri mattina - del
resto, s' erano sposati a Las Vegas e a quanto pare il matrimonio
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non era riconosciuto in Italia. Un tipo riservato, quando non dava i
numeri. Ma basta vedere gli occhi della prostituta che la sera
lavora all' incrocio tra via Mosé Bianchi e via Carcano e ieri
fissava la palazzina atterrita, «mi ha sempre fatto paura». Il
quartiere è elegante, tranquillo, un' oasi di villette liberty ed
eclettiche nel verde di una delle zone più belle di Milano. Ai
vecchi abitanti si sono aggiunti la buona borghesia e i nuovi
ricchi. Nessuno fa caso alle prostitute della zona, la gente le
conosce per nome, «guarda com' è spaventata, poverina». Lui però le
odiava, le puttane, quando incrociava quella donna all' angolo si
metteva a urlare, il volto sfigurato dall' ira. Probabile che
urtasse la sua idea di pulizia. D' altra parte lo urtavano gli
essere umani in genere. Ieri ha sparato a intervalli regolari,
metodico, raffiche nel silenzio. Così il giovanotto gironzolava
elegante per il quartiere, sgommando con la Porsche o passeggiando
con un barboncino bianco al guinzaglio, come lo psicopatico Jame
Gumb del Silenzio degli innocenti, lo sguardo fisso davanti a sé.
Parlava da solo, a voce alta, convulso, irritato, incattivito.
Nessuno lo ha mai visto lavorare, risultava ancora «studente», ma
non gli mancava nulla. La famiglia è benestante, il padre è
direttore centrale d' una grande compagnia d' assicurazioni e gli
aveva comperato il terzo piano più la mansarda della palazzina di
via Carcano. Qui, tre anni fa, Andrea aveva fatto fuggire a gambe
levate marito e moglie del piano di sotto, quelli della bicicletta.
La gente del palazzo accanto chiamò i vigili «ma ci dissero che non
potevano far nulla: bisognava prenderlo in flagrante». Anche la
signora Stefania Guaraldi, assassinata nella casa al primo piano,
aveva paura di quello squilibrato e se ne voleva andare da lì. Da un
pezzo era in cura da un neurologo, tutto qui. «Da anni si sapeva che
era pazzo, ma nessuno è mai andato dalla polizia perché il padre, un
rispettabile professionista, si era sempre scusato chiedendo di non
denunciarlo», sospirava ieri la consuocera della signora Stefania.
Resta il fatto che «il matto» del quartiere aveva due pistole
regolarmente denunciate e sparava al poligono con la sua Colt 45.
Finché ieri il tiro al bersaglio lo ha fatto per strada, prima di
chiudersi al mondo dietro al portone e al citofono col 666, il
numero della Bestia. Gian Guido Vecchi
Vecchi Gian Guido
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martedì, 6 maggio, 2003
REATI OMICIDI
010
«Quello doveva essere in galera da tempo»
«Sfuriate, minacce e spintoni: faceva paura a tutti. E da un anno
era peggiorato»
IL QUARTIERE
MILANO - «Avrebbe dovuto essere in galera da tempo». Nessuno, nella
tragedia di via Carcano, dice «non l' avrei mai creduto». Al
contrario, «il pazzo» era temuto da tutti. Anche da chi ignorava la
svastica sulla porta e il «numero della Bestia» - il 666 dell'
Apocalisse - sul citofono. Una delle prostitute della zona, non rare
in queste tranquille stradette a due passi dalla fiera, è andata a
riparare in un bar poco lontano. Ed è netta: «Speriamo che lo
ammazzino». Non ha nessuna voglia di parlare. Ma l' odio per Andrea
Calderini a un certo punto trabocca: «Di solito faceva finta di non
vederci. Ma se lo vedevamo arrivare che parlava da solo, c' era da
scappare. Che fosse pazzo, lo sapevano tutti». La donna volta le
spalle, ma c' è chi racconta le frequenti sfuriate, le minacce, in
parecchi casi gli spintoni. A dispetto dell' amore per il
barboncino, pare prendesse di mira in modo particolare una
prostituta «gattofila»: lei portava croccantini e latte ai randagi,
lui la metteva in fuga e spazzava via il pranzo dei felini: «Cercava
di prendere a calci anche i gatti». L' incubo si era fatto più cupo
circa un anno fa. «Era diventato un problema per tutto il quartiere
- racconta una signora che abita nel palazzo a fianco a quello della
tragedia, accompagnata da una badante -. Perché l' impianto di
riscaldamento si accendeva al mattino presto, faceva rumore. Lui
andava su tutte le furie, tirava mazzate terribili contro i muri, le
persone erano terrorizzate». Stefania Vinassa, la vittima del folle
che abitava due piani sotto di lui, se ne era lamentata a più
riprese con l' amministratore. Ma direttamente pare non l' avesse
mai affrontato: «E come si faceva? - prosegue la vicina -. Una volta
ho incontrato per strada la signora Stefania. Ci siamo accorte che
avevamo cambiato marciapiede tutte e due: stava arrivando quello
là». Marco Cremonesi
Cremonesi Marco
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martedì, 6 maggio, 2003
REATI OMICIDI
046
«Ero al telefono con mio marito quando è stato colpito alla gamba»
TERRORE IN CITTA' : LA TESTIMONIANZA
Parlava al telefono con suo marito. «Sto andando in studio, tutto
bene». Poi, in un attimo, l' ha sentito urlare: «No! No! Aiuto,
aiuto!». Carmela Di Pietto, moglie dell' avvocato Giovanni Maurizio
Litta Modignani, ha vissuto in diretta il pomeriggio di follia di
via Carcano. Il marito, 53 anni, discendente di una delle famiglie
più note di Milano, è ricoverato al Fatebenefratelli, con una ferita
da arma da fuoco al femore destro. Una frattura scomposta. Ma è
vivo, e fuori pericolo. La signora Carmela tira un sospiro di
sollievo, e spiega quanto il marito, al pronto soccorso, dopo le
prime cure, le ha raccontato con un filo di voce. «Stava tornando da
una visita al nostro medico di famiglia. Niente di grave, gli
serviva un certificato. Era in bicicletta, mi stava giusto dicendo
che era diretto in studio». Poi gli spari, le grida, la
comunicazione al cellulare che si interrompe. Litta viene ferito.
Subito si butta a terra e si finge morto, mentre attorno la furia
omicida si scatena. Ai familiari racconterà di essere stato soccorso
da Piero Toso, subito colpito dai proiettili di Calderini. Intanto,
la moglie continua a chiamarlo al telefonino. Tenta e ritenta. Ma
nessuno risponde. Arrivano i poliziotti, coprono il corpo del ferito
con i giubbotti antiproiettile e dopo poco lo portano al
Fatebenefratelli. Qualcuno si accorge dell' incessante suonare di
quel telefonino rimasto in terra. E risponde. «Signora, non si
preoccupi, c' è stato un incidente, ma suo marito sta bene». La
donna si precipita di corsa in via Carcano, vicino a casa,
accompagnata dal fratello e dal nipote. Ma quando arriva, tra auto
della polizia e ambulanze, tra uomini in camice e altri con la
pistola in pugno, non riesce a trovare il marito. Nessuno sa dirle
dove sia. Finalmente, dall' ospedale avvertono lo studio, in via
Lanino. E i familiari corrono al pronto soccorso di via
Castelfidardo. «Non posso andare in barca quest' estate», sono le
prime parole pronunciate dal ferito. Poi, un pensiero anche per il
suo attentatore. «Dì a tua madre (la suocera) di pregare anche per
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lui». Le visite dei medici («Credo che quella gamba guarirà bene»,
spiega il professore Ezio Omboni, responsabile del dipartimento
Emergenza-urgenza del Fatebenefratelli»), e dei parenti. Arriva
anche il fratello Alessandro, consigliere regionale radicale (l'
altro fratello, Leopoldo, è magistrato a Monza). «Adesso sta bene dice Alessandro -. Circondato dalle persone che ama, trova anche la
forza di scherzare». Annachiara Sacchi
Sacchi Annachiara
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martedì, 6 maggio, 2003
REATI OMICIDI
047
«Tutti avevano paura, ma nessuno l' ha denunciato»
I testimoni: voleva la strage. Irruzione dei Nocs: ha ucciso la
moglie di 22 anni e poi si è ammazzato Dieci ore di terrore Il
vicesindaco: servono subito reparti speciali anche a Milano «Un uomo
inquietante, veniva tollerato solo per rispetto nei confronti dei
genitori» Lo sapevano tutti che non era normale, ma nessuno ha mai
voluto accusarlo direttamente. I suoi genitori sono delle brave
persone. Ogni volta che lo incrociavo, mi spaventava. Così come mi
faceva inorridire quel numero satanico che aveva scritto sulla
targhetta dell' uscio, un 666 Ho sentito diversi colpi. Poi ho visto
un uomo cadere a terra di schiena. Un altro era già steso sul
marciapiede. Dopo ho visto un passante correre piegato su se stesso
per cercare di soccorrere le persone a terra, ma sono partiti altri
colpi e tutti ci siamo gettati dietro il primo riparo
TERRORE IN CITTA' : I TESTIMONI
«Ha suonato al campanello di Stefania e, quando la porta si è
aperta, quel pazzo l' ha uccisa». Non riesce a dire più nulla. Lei,
60 anni, consuocera della vittima, può solo piangere, ripetendo come
un' automa il nome di Stefania. Poi, riprende fiato e con rabbia
urla: «Lo sapevano tutti che non era normale, ma nessuno ha mai
voluto denunciarlo. Forse per rispetto ai suoi genitori, delle brave
persone. Ogni volta che lo incrociavo, mi inquietava. Così come mi
faceva inorridire quel numero satanico che aveva scritto sulla
targhetta dell' uscio, un 666». Quel «matto», come lo descrivono in
molti, dopo aver ucciso Stefania, ha ferito altre tre persone,
crivellato di colpi alle spalle la moglie, e ammazzandosi poi con
una pallottola in bocca. Quel «matto» era Andrea Calderini, 31 anni
e abitava al terzo piano di via Filippo Carcano 19, in zona Fiera.
Aveva un padre dirigente di una nota compagnia di assicurazioni, una
potente Porsche, un barboncino bianco che spesso portava a spasso, e
una moglie di 22 anni vicentina, Helietta Scalori, figlia di un
medico, che aveva sposato tre mesi fa a Las Vegas. Ma Calderini
aveva anche diversi ricoveri in ospedale per motivi psicologici. Per
via di quella testa calda che lo aveva portato più volte a litigare
con i vicini, a gettare dalla finestra una bicicletta e a menare un
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inquilino che aveva poi preferito cambiare casa per non incontrarlo
più. Meno di una settimana fa se l' era presa con due motociclisti
che lo avevano tamponato: li aveva presi a colpi di bloccasterzo.
Ieri, poco dopo le 15, nella testa di Andrea Calderini scatta un
raptus. Irrefrenabile, più forte dei precedenti, omicida. Prende la
sua semiautomatica, calibro 45 caricata con pallottole «camiciate» e
scende al primo piano, dalla vicina con la quale ha sempre avuto
degli accesi diverbi. Da Stefania Vinassa de Regny, 65 anni, figlia
del noto geologo dei primi decenni del ' 900 e senatore del Regno d'
Italia. L' uomo suona alla porta e attende con la pistola in pugno.
Quando Stefania apre non ha neppure il tempo di capire le intenzioni
di quell' uomo «un po' matto»: viene raggiunta da un sola pallottola
in testa. Freddata sul colpo. Ma è solo l' inizio. Calderini esce in
strada e preme ancora il grilletto ferendo altre tre persone: due
proiettili raggiungono al braccio e al torace Daniela Zamboni, 41
anni, in sella a un motorino. Poi, tre colpi alla schiena e alla
nuca di Piero Toso, 70 anni, e una pallottola in una gamba dell'
avvocato Giovanni Maurizio Litta Modignani, 53 anni, mentre era in
bicicletta. La donna rischia di rimanere paralizzata e il pensionato
è in gravissime condizioni. Dopo gli spari Calderini rincasa e, dal
suo balcone dal quale sventola una grande bandiera americana,
esplode all' impazzata altri colpi, all' indirizzo di alcuni agenti
di polizia accorsi in moto. Quindi il silenzio. Inutili i tentativi
del questore, Enzo Boncoraglio, e della madre dell' omicida. Nell'
appartamento nessun rumore. Tre ore di trattative senza risposta
prima di richiedere l' intervento dei Nocs, i reparti speciali della
polizia di Stato con sede a Roma. Tra le polemiche del vice-sindaco
Riccardo De Corato: «Ci deve essere un reparto operativo dei Nocs
anche a Milano, per evitare lentezze di questo tipo». All' una meno
un quarto il blitz e la scoperta di altri due cadaveri. Alberto
Berticelli Michele Focarete
Berticelli Alberto, Focarete Michele
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mercoledì, 7 maggio, 2003
REATI OMICIDI
011
Milano, l' assassino era stato denunciato
Tutte le querele furono ritirate e il killer conservò la licenza per
le armi. Uno dei feriti aveva testimoniato contro di lui
MILANO - Magari è solo una coincidenza, probabilmente lo è, magari
invece no. Eppure anche se davvero fosse solo questo, in fondo,
contiene quanto basta per dirla lunga assai su chi fosse Andrea
Calderini. E cioè un uomo che, comunque sia, prima del drammatico
ieri l' altro in cui ha ammazzato due persone, centrandone altre
tre, quindi sparandosi a sua volta, aveva perlomeno «litigato» con
così tanta gente che uno dei feriti da lui stesi «a casaccio»,
mentre passavano sotto il suo balcone, è risultato, infine, essere
un vecchio teste d' accusa in un processo per lesioni intentato a
suo carico anni fa. Processo finito in niente, con un risarcimento a
chi lo aveva denunciato, così come tutte le querele - almeno tre che Calderini aveva accumulato per il suo temperamento burrascoso: e
che non gli hanno impedito, proprio per questo, di poter
«regolarmente» detenere non solo l' arsenale di pistole e carabine
di cui si era liberato di recente ma anche la Kimber calibro 45 con
cui, invece, ha compiuto la strage. La dinamica dei fatti,
ricostruita all' indomani, non chiarisce ancora tutto. Ma l' ipotesi
più accreditata dal pm Marco Ghezzi e dalla Polizia dice in sostanza
quanto segue. Calderini è in casa con la moglie Helietta Scalori.
Non si sa per qual motivo, a un certo punto scende le scale e spara
all' inquilina del primo piano, Stefania Guaraldi Vinassa De Regny,
uccidendola sul colpo. Tornato in casa, scarica undici proiettili
sulla moglie uccidendo anche lei. Si affaccia al balcone e continua
a sparare all' impazzata: colpisce con la precisione di un cecchino
Piero Toso, Giovanni Maurizio Litta Modignani e Daniela Zaniboni.
Poi torna dentro e si ammazza. Sipario. Se davvero è andata così. Il
fatto è che Piero Toso, 70 anni, non era per lui un passante come
tanti. Perché in un passato non troppo lontano era stato citato
dalla pubblica accusa a testimoniare contro di lui in un' aula di
tribunale. Per una storia di querele e controquerele, tutte per
fatti analoghi. Una delle tante in cui Calderini incappa almeno a
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partire dal ' 99, quando per un diverbio su un box aggredisce una
coppia di portinai nel condominio in cui vivevano i suoi genitori.
Loro denunciano lui, un mese dopo lui denuncia loro. Nella lite si
inserisce quindi un vicino, un medico, che Calderini aggredisce a
sua volta ricavandone un' ulteriore denuncia e poi una terza, quando
lo investe con uno scooter: ed è proprio su queste ultime che,
giunte nel 2000 in sede di contenzioso, verrà chiamato a
testimoniare Toso. Una testimonianza, però, di cui alla fine non ci
sarà bisogno: Calderini accetta di risarcire 18 milioni ai custodi,
altri 3 al medico, e le querele vengono ritirate. Resta il fatto che
la sua indole non conosce riposo. Nel novembre scorso è lui a
chiamare una Volante per un diverbio con una prostituta. Venti
giorni fa è un parrucchiere del vicinato a far intervenire la
Polizia per sedare un violento litigio tra Calderini e due passanti.
«Ancora di recente - racconta Marcello, il barista sotto casa aveva minacciato con un bloccasterzo un tizio cui aveva appena
ammaccato la macchina...». La svastica che portava tatuata sulla
nuca, a questo punto, è solo un dettaglio che si aggiunge al
racconto di Franco Romeo, il titolare dell' armeria presso la quale
Calderini si riforniva da tempo senza risparmio: «Da me aveva
comprato 5 o 6 pistole più una quindicina tra fucili da caccia e
carabine, da un altro armaiolo di mia conoscenza altre due o tre
pistole e sedici fucili...». Alla fine si era liberato di tutto,
tranne di una pistola: che però gli è bastata. «Ci vuole un bel pelo
sullo stomaco - sibila adesso con rabbia Ilaria Guaraldi, la figlia
della vittima - per consentire a un uomo del genere di possedere
delle armi». Eppure è così che è andata. Calderini, un patito del
tiro a volo, aveva rinnovato la richiesta di licenza per il
«possesso d' armi ad uso sportivo» nel dicembre scorso. E la sua
pratica è passata proprio dal commissariato Fiera: esattamente lo
stesso che negli anni precedenti aveva ricevuto anche le denunce a
suo carico. Ma quelle denunce, come si è detto, erano finite in
nulla: al casellario, sul conto di Andrea Calderini, non risultava
più alcunché. Né alcun impedimento, malgrado le pastiglie che un
neurologo gli prescriveva da tempo, risultava dal certificato medico
allegato alla richiesta. Che in febbraio è stata puntualmente
accolta. Paolo Foschini LA STRAGE. L' IRRUZIONE LA VICINA Alle 15.10
Andrea Calderini suona alla porta della vicina di casa, Stefania
Vinassa de Regny, 65 anni. Quando lei apre la porta, l' uomo spara 8
colpi e la uccide I COLPI Quarantadue Calderini con la sua
semiautomatica calibro 45 esplode 42 colpi prima di rivolgere l'
arma contro se stesso e uccidersi. Alla moglie Helietta aveva
sparato 11 volte, alla schiena e al torace I NOCS Alle 20.30 Gli
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uomini dei reparti speciali (foto) sono arrivati verso le 20.30.
Solo verso l' una meno un quarto della notte hanno fatto irruzione
nell' appartamento al terzo piano di via Carcano, senza usare
esplosivo. Hanno trovato Helietta morta in bagno e Andrea nella
camera da letto
Foschini Paolo
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REATI OMICIDI
011
Helietta, la ragazza che sognava di diventare una grande stilista
La giovane era andata via da Asigliano, nel Vicentino, dopo un amore
tragico. La nonna: lunedì l' ho chiamata, il telefonino squillava a
vuoto
DAL NOSTRO INVIATO ASIGLIANO (Vicenza) - «Ciao Helietta, come va?».
«Tranquillo papà, tutto bene. Più tardi ho appuntamento col
dentista, sai, devo sistemare quel dente scheggiato. Ci sentiamo».
Conversazione tra un padre amorevole e la figlia, studentessa a
Milano. L' ultima. Lunedì mattina, alle 10, il dottor Guido Scalori,
pediatra, vice primario dell' ospedale di Noventa Vicentina, mai
avrebbe immaginato che quel giovanotto trentenne, sposato a Las
Vegas, secondo il «rito americano», dalla minore delle sue due
figliole, covasse mali oscuri, e tantomeno follie criminali.
«Helietta in balia di Andrea impazzito? Helietta morta ammazzata?».
Assurdo. Incredibile. Solo, nel soggiorno della sua casetta gialla
di Asigliano, lunedì sera, il dottore, al telefono con un
funzionario della Squadra mobile milanese, ha seguito, tra paura e
speranza, il tragico epilogo di una sequenza di fuoco: la sua
«bambina» a terra, uccisa da un numero spropositato di colpi di
pistola. Non aveva ancora 22 anni, Helietta; li avrebbe compiuti il
prossimo 21 giugno. Studiava design, voleva diventare stilista. Che
dire di lei e della sua storia d' amore e di morte? Papà Scalori
spiega agli inquirenti che la ragazza aveva conosciuto Andrea
Calderini un anno fa, e lo scorso dicembre era andata a vivere con
lui. «Mia figlia era serena, non ha mai manifestato timori, o
apprensioni sul comportamento del suo compagno». Si racconta poco di
Helietta, nel borgo di Asigliano, 917 abitanti, sul confine delle
province di Vicenza e Verona. Il sindaco precisa che, all' anagrafe,
non risulta sposata. Poi, aggiunge che lei e la sorella maggiore
Lavinia (ora universitaria a Verona), prima che lasciassero il
paese, frequentavano la Pro Loco ed erano ragazze buone e generose.
Qualcuno ricorda, con discrezione, il grande dolore di Helietta
adolescente: «Stava con Luca, un ragazzo di qui. Era un' intesa
affettuosa; è durata fino a che lui è morto, all' improvviso». Mesi
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di sconvolgimento. Poi, la studentessa se ne va a Milano e ad
Asigliano si fa vedere saltuariamente. E' sfocato il ricordo di
Nicoletta Prozzo, madre di Lavinia e Helietta, moglie separata di
Guido Scalori. «E' tornata a Mantova, la sua città. Le figlie sono
state affidate al padre. Praticamente, le ha cresciute da solo». A
Mantova, le famiglie dei genitori di Helietta sono conosciute.
Borghesi, benestanti. Rintracciamo Maria Pisoni Prozzo, la nonna
materna. «Vedevo di rado mia nipote - racconta - Ci sentivamo al
telefono. Lunedì, l' ho chiamata a lungo, al cellulare. Squillava a
vuoto. Adesso capisco il perché. Era già morta». «Ha sempre avuto la
passione del disegno, fin da ragazzina - dice, trattenendo le
lacrime - Dopo le medie, ha frequentato una scuola d' arte. Un mese
fa è venuta a trovarmi. Affettuosa, carina. Mi ha detto che studiava
a Milano, per entrare nel campo della moda». «Helietta, cara. Sa
perché porta questo nome? Fu Nicoletta a deciderlo. Ispirata da un
paio di orecchini di corallo, comprati mentre era incinta. "Sono
firmati Helietta Caracciolo", le disse il gioielliere. E lei:
"Fantastico! La mia bambina si chiamerà così"». Marisa Fumagalli
Fumagalli Marisa
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mercoledì, 7 maggio, 2003
REATI OMICIDI
051
«Troppe armi in città, segnalate i casi sospetti»
Il magistrato: l' intervento dei Nocs è stato lento. La sparatoria è
partita da una lite per futili motivi «Bisogna segnalare le
situazioni a rischio, si poteva fare di più per quel ragazzo»
TERRORE IN CITTA' . LA RICOSTRUZIONE
Con tre morti e tre feriti e 43 colpi sparati all' impazzata da un
folle è stato difficile per la polizia e per il magistrato
ricostruire quanto è accaduto in via Filippo Carcano, nel quartiere
Fiera. Una tragedia culminata con l' intervento dei Nocs, il reparto
speciale della Polizia. La Procura invita, per il futuro, a
«denunciare i casi sospetti, sia per le situazioni a rischio che per
la presenza di armi». IL FATTO - «Verosimilmente - è l' avverbio che
Marco Ghezzi, il pm che per 10 ore filate ha seguito in diretta la
tragedia, usa all' inizio del suo racconto - Andrea Calderini, 31
anni, ha avuto una lite per futili motivi con Stefania Vinassa de
Regny, 65 anni, che abitava al primo piano. Non conosciamo però con
esattezza la causa scatenante. Dal terzo piano scende, suona alla
porta e le spara otto colpi, tre almeno vanno a segno. Calderini
risale in casa e si barrica. A logica pensiamo che abbia ucciso
subito la moglie Helietta Scalori, 21 anni, centrata alla schiena da
11 colpi in bagno. Esce sul balcone e fa fuoco con una Colt 45:
prima centra con un proiettile a una gamba l' avvocato Gianni
Maurizio Litta Modignani che sta passando in bici. Poi è la volta di
Daniela Zaniboni, centrata alla spalla e alla schiena con due colpi
mentre passava in scooter: è molto grave. Infine, tre colpi sono per
Piero Toso, 70 anni, che abita lì vicino ferito al capo e alla
spalla sinistra. Andrea Calderini rientra nel suo appartamento, va
in camera da letto e si suicida con un colpo in testa. Alle 17, in
accordo con il questore Boncoraglio, abbiamo chiesto l' intervento
dei Nocs. Sono arrivati alle 20.20 e hanno operato all' una meno
dieci». I DUBBI - Due poliziotti motociclisti presi di mira dal
folle dicono di non averlo visto scappare. Qualcuno ipotizza che sia
fuggito dai tetti. Nessuno sa dire se sia in casa solo o con la
moglie. Ai cellulari nessuno risponde. LA POLEMICA - Ancora il pm
Marco Ghezzi. «Qui lo dico e non lo nego: l' intervento dei Nocs è
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stato troppo lento. Sono d' accordo con il vicesindaco De Corato che
ha chiesto un nucleo dei reparti speciali a Milano. Se Calderini era
in casa con un ostaggio avremmo potuto aspettare sin quasi l' una?».
E ancora: «Non sono uno specialista ma se si fosse utilizzata una
telecamera a fibre ottiche avremmo subito visto chi c' era nell'
appartamento». LA REPLICA - In diretta gli ha risposto il vice
dirigente della Squadra mobile Fabio Bernardi: «Non era possibile
usare la telecamera perché l' appartamento era blindato e protetto e
i vetri erano doppi. Non c' era un punto accessibile dove poterla
piazzare». IL TENTATIVO - Questore e magistrato hanno portato per
due volte i genitori di Andrea Calderini davanti alla porta dell'
appartamento nel tentativo di un colloquio. Non hanno mai ottenuto
risposta. Solo alle 20.15, dalla Telecom, gli investigatori hanno
avuto la ragionevole certezza che anche la moglie era nell'
appartamento. LO PSICHIATRA - Andrea era affetto da sindrome
ossessivo-compulsiva, arginata da farmaci come lo Zoloft. Aveva un
basso livello di sopportazione delle frustrazioni e dello stress. Ma
questo - non ¶certificato da due referti medici - non gli ha impedito
di ottenere la licenza per il tiro a volo. L' omicida non ha mai
voluto andare in analisi. «Sulla limitazione del porto d' armi - ha
detto il pm - bisogna fare ancora molto». I GENITORI - «Qui si apre
una dolorosa parentesi - ha detto Ghezzi - i genitori avrebbero
dovuto fare di più nei confronti di questo ragazzo». Andrea
Calderini, che anni fa aveva subito un pauroso incidente stradale,
aveva poi avuto un risarcimento miliardario. Aveva una Ferrari, una
Porsche, una Smart e una potente moto Ducati e non lavorava. I
VICINI - «Adesso tutti dicono che era un violento. In commissariato
non c' è uno straccio di denuncia. Sarebbe stato auspicabile che chi
sapeva lo avesse comunicato alla polizia». E in futuro? «Non voglio
spingere alla delazione. Ma chi è a conoscenza di situazioni a
rischio o di presenza di armi le segnali subito». Alberto Berticelli
GLI INTERROGATIVI I ritardi 1 Uno dei punti critici sollevati dal
magistrato che, assieme al questore Enzo Boncoraglio, ha seguito lo
svolgersi dei fatti durante la giornata di lunedì è stato quello dei
tempi. È mai possibile - si è chiesto il pm Marco Ghezzi - che i
Nocs messi in allerta attorno alle 17 siano arrivati in via Carcano
alle 20.20 ma abbiano operato solo all' una meno dieci? E se ci
fossero stati ostaggi nell' appartamento? I Nocs 2 Il Nocs - Nucleo
operativo centrale di sicurezza - è il corpo d' élite della Polizia
che interviene in tutte quelle situazioni critiche legate alla
criminalità e al terrorismo o quando ci sono situazioni ad alto
rischio che richiedono l' intervento di specialisti. Hanno sede a
Roma dove avviene l' addestramento. Il vicesindaco De Corato ha
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chiesto che siano spostati, in parte, a Milano: perché dovrebbero
restare solo nella capitale? Il porto d' armi 3 «Sulle limitazioni
del rilascio del porto d' armi c' è ancora molto da fare». Parola di
magistrato. Andrea Calderini, l' assassino, sino al 16 aprile scorso
aveva in casa un piccolo arsenale che ha dimostrato di sapere usare
molto bene: tre pistole e un fucile a pompa. Poi ha venduto due
pistole e il fucile e ha tenuto una Colt 45. «Se uno non ha pendenze
e ha il certificato medico può ottenere il porto d' armi». Le
denunce 4 Seppur senza denunce agli atti, Andrea Calderini era un
rissoso, un attaccabrighe. Lo dimostrano le numerose querele che ha
ricevuto da chi importunava o che ha fatto a sua volta. Molte sono
state messe a tacere pagando. Per questo, per polizia e carabinieri,
sul piano delle carte, è un emerito sconosciuto. Proprio giocando su
questi aspetti (e su una scarsa informatizzazione che non permette
di scambiare dati sulle denunce) Calderini ha ottenuto la licenza di
tiro a volo. L' IDENTIKIT del killer CHI È Figlio di dirigente
Andrea Calderini, 31 anni, figlio di un dirigente di una compagnia
di assicurazioni abitava, con la moglie, al terzo piano di una
palazzina in via Filippo Carcano 19 LE DENUNCE Minacce e offese Tra
il ' 99 e il 2000 i vicini di casa avevano presentato tre denunce e
un esposto contro Andrea Calderini per le sue continue offese e
minacce L' EPILOGO L' omicidio-suicidio Quando i Nocs entrano nell'
appartemento, scardinando la porta d' ingresso, trovano i corpi
riversi di Andrea Calderini e di sua moglie, Helietta Scalori. Lei
nel bagno e lui in camera da letto, disteso su un tappeto.
Berticelli Alberto
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mercoledì, 7 maggio, 2003
REATI OMICIDI
011
«Mi aveva aggredito in strada e picchiato Andai dalla polizia»
MILANO - Un quartiere terrorizzato, dove chi incontrava «quel
tipaccio dallo sguardo aguzzo e pieno di odio» cambiava marciapiede.
Nelle palazzine quiete ed eleganti da via Carcano alla Fiera tutti
lo ricordano, Andrea Calderini: «Senza amici, sempre cupo, in lotta
con un nemico invisibile che forse stava solo nella sua testa. Ma
come hanno fatto a dargli la possibilità di maneggiare una
pistola?», la pistola del pomeriggio di fuoco. Le sue stranezze,
ecco. «Che a ricordarle adesso sembra quasi di rinnovare l' incubo
di trovarselo di fronte. O alle spalle. Non salutava mai. E se
indugiavi con lo sguardo su di lui, ti fissava come se volesse
incenerirti». Provocatore, solitario. «Ora biondo, poi rapato, un'
altra volta con i capelli color carota». Un passato pieno d' ombre,
da cui affiora la testimonianza di «uno stimato medico» che abita
nella zona e preferisce mantenere l' anonimato. Lui, il medico,
contro «quel pericoloso vicino di casa» ha presentato due
denunce-querele e un esposto al commissariato Fiera di via Spinola,
«lo stesso che deve valutare i requisiti per ottenere i permessi di
detenere armi». Tutto parte nel febbraio 1999. Calderini ha un
garage nel palazzo dove il medico abita da trent' anni. I box dei
due sono vicini. Calderini è solito ammucchiare la spazzatura
davanti al box di fianco. «Affissi un cartello: è maleducazione
imbrattare le parti comuni del condominio». Scoppiò il finimondo.
Calderini pensava ad un rimprovero dei custodi, marito e moglie, e
li aggredì: «Lui fu selvaggiamente picchiato con pugni, calci e
testate con il casco fino a perdere i sensi. Una pedata fratturò a
lei il dito di una mano». Il medico fu richiamato dal trambusto e,
una volta afferrato che era l' autore dal cartello sul box, venne
insultato. Particolare inquietante: «Testimone dell' episodio fu
Piero Toso, lunedì colpito e ridotto in fin di vita da Calderini».
Il risultato? Una querela sporta dai due custodi il 28 febbraio
1999, a cui ne seguì, il 9 agosto, una del medico che si rifaceva
all' episodio di febbraio, ma parlava di nuove ingiurie. L' 11
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agosto, il medico è al balcone: è il giorno dell' eclissi totale.
Passa Calderini, gli grida: «Crepa!». Parte un esposto. «Poi, per
qualche mese, quel tipo sembrò calmarsi». Un' illusione: «Portavo a
passeggio i miei due cani in via Monte Bianco. Calderini mi affiancò
con lo scooter, il casco in testa, e mi sputò addosso. Poi
parcheggiò e mi fece cadere a terra. Mi ferii al naso». Il racconto
è contenuto in una nuova denuncia presentata in via Spinola il 26
aprile 2000. Su questi fatti fu aperto un procedimento penale: una
scrittura privata del 4 maggio 2001 portò alla remissione delle
querele dei custodi e del medico, ai quali andò un risarcimento «per
i danni morali e materiali subiti». Paolo Baldini IL CAMBIO DI
ASPETTO Una volta era biondo, poi colore carota e anche rapato a
zero. Sembrava irriconoscibile. Spariva per lunghi periodi e tornava
più grasso I CUSTODI PESTATI Posava i rifiuti davanti al garage di
fianco. Misi un cartello di protesta e lui credette che fosse dei
custodi Li pestò IL GARAGE DELLE LITI Manomise la centralina
mandando in tilt tutti i nostri telecomandi. E un' altra volta
strisciò tutta la rampa d' accesso con la sua Bmw
Baldini Paolo
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mercoledì, 7 maggio, 2003
VARIE
049
«Terrorizzava tutti, nessuno l' ha fermato»
I vicini minacciati dal folle assassino: era un pericolo, non doveva
avere le armi
Il giorno dopo la strage di via Carcano si cerca nel passato di
Andrea Calderini il motivo del raptus
Una carneficina: quarantatré colpi di pistola dei quali 11 contro la
moglie e 8 contro la vicina di casa. È stata una ricostruzione
difficoltosa quella che hanno fatto gli uomini della Squadra mobile
impegnati nelle indagini sui tre morti e i tre feriti di via Filippo
Carcano, alla Fiera. Una quartiere che, il giorno dopo, scopre di
aver vissuto nella paura. I punti fermi sono pochi. Un uomo - Andrea
Calderini, 31 anni, ricco (ha una Ferrari, una Porsche, una Smart e
una moto Ducati) ma rissoso e irascibile - che in un momento di
follia scende dal suo appartamento del terzo piano al primo e
ammazza una vicina. Poi risale in casa, fredda la moglie di 21 anni
(sposata tre mesi fa a Las Vegas) sparandole alla schiena e si
affaccia sul balcone con una Colt 45 in mano. Un' altra raffica di
colpi che centrano tre passanti, due uomini e una donna. Due di loro
sono ancora in gravi condizioni, la donna forse perderà l' uso delle
gambe. È polemica anche sui Nocs arrivati da Roma e che hanno fatto
irruzione nell' appartamento. «Troppo lento il loro intervento» ha
detto il pm Enrico Ghezzi, «sono stati chiamati alle 17 e sono
arrivati a Milano alle 20.20. Hanno agito alle 0.50». Dalla parte
del magistrato il sindaco e il vicesindaco (De Corato ha presentato
un' interpellanza parlamentare per chiedere che parte dei Nocs
vengano stanziati a Milano). Ma i dubbi sollevati dal magistrato
riguardano anche altri punti come la facilità con cui si rilascia il
porto d' armi e l' assenza della famiglia nei controlli. E, ancora,
un altro aspetto sconcertante: nonostante le querele per lesioni che
hanno colpito Calderini ciò non ha impedito che gli fosse rilasciata
la licenza di tiro al volo che gli ha permesso di detenere armi in
casa. BERTICELLI a pagina 51
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mercoledì, 7 maggio, 2003
REATI OMICIDI
011
«Stava male, gli chiesi di vendere il suo arsenale»
I poliziotti domandano a Sergio Calderini se l' omicida fosse stato
sottoposto a trattamenti sanitari: «Mio figlio in cura obbligatoria?
Mai»
MILANO - Stava sull' ultima rampa, a dieci gradini dalla porta
chiusa, le avevano fatto indossare il giubbotto antiproiettile e lei
continuava a ripetere «Andrea, Andrea ci sei?, perché fai così, non
ci dare questo dispiacere», la voce ferma d' una rassegnazione che
veniva da lontano. Quando le hanno detto che suo figlio era morto,
che si era ucciso dopo aver ammazzato la moglie e una vicina, la
signora Sandra non ha pianto, è rimasta in silenzio, non c' era più
nulla da dire, «non potete capire». Il padre, Sergio, appariva più
fragile. Sessantaquattro anni, grande manager, ha passato buona
parte della sua vita a proteggere il figlio, cercare in qualche modo
di averne cura, scusarsi coi vicini e pagare transazioni per evitare
denunce. Però quando i poliziotti hanno chiesto a lui e alla moglie
se il figlio aveva mai subito dei Tso, i «trattamenti sanitari
obbligatori», hanno sbarrato gli occhi quasi fosse un' onta
inconcepibile, come dovessero ancora difenderlo: «Nostro figlio?
Mai». Certo, dopo un po' hanno spiegato che era in cura da un medico
«e negli ultimi tempi stava un po' male», sarà per questo che il
papà s' era cominciato a preoccupare, «gli avevo chiesto di vendere
le sue armi», e alla fine l' aveva convinto solo in parte: a metà
aprile Andrea si era liberato d' un fucile a pompa, una pistola e
una rivoltella, ma in casa gli erano rimasti i coltelli, l' ascia
appesa alla parete e la calibro 45 che ha scaricato l' altro
pomeriggio, quarantadue colpi: tre morti e tre feriti. Eppure
avevano lo sguardo incredulo, i genitori di Andrea, quasi la
violenza fosse un evento impensabile, anche il medico aveva
diagnosticato una «sindrome ossessivo compulsiva» che in teoria gli
procurava un «basso livello di sopportazione delle frustrazioni e
dello stress», nient' altro, in casa gli hanno trovato solo un
antidepressivo. Andrea «stava male», punto. Per la verità il
«livello di sopportazione» era bassissimo, gli scatti furiosi di
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Andrea andavano avanti da tempo e non era facile correre ai ripari.
Le denunce e i racconti sono terrificanti. Anche la prostituta che
lavora sotto casa dei genitori, un bel palazzo di cinque piani in
via Desiderio da Settignano, poco distante dall' appartamento di
Andrea, racconta della collega che viveva nel palazzo e si è dovuta
trasferire, atterrita: «La minacciava, le scriveva "puttana" sulla
porta, tirava le uova contro la macchina e la madre niente, anche
lei non voleva perché era poco decoroso». Un vicino si ricorda di
Andrea fin da piccolo, il ragazzino «che si divertiva a gettare
dalla finestra fogli di carta incendiati» era diventato il
diciottenne che girava con la Porsche, «gliel' avevano regalata dopo
una delle sue liti furiose con il padre», il giovanotto che aveva
massacrato di botte i custodi del palazzo dei genitori «e dopo due
ore, ripulito, passeggiava tranquillamente lì davanti». Un giorno d'
agosto, scrive in una lettera firmata, il vicino s' era trovato la
porta di casa «distrutta a coltellate» ed era salito a protestare
dalla mamma, «non poteva che essere stato Andrea, gli altri
condomini erano tutti in ferie». La signora «difese il figlio, negò
che si fosse recato da lei la sera prima, mi disse che non si
capacitava del perché io e altre persone ce l' avessimo tanto con
lui e mi tolse il saluto». Lo stesso signore ricevette due giorni
dopo «una lettera che minacciava di morte mia figlia, allora
tredicenne, mi recai dai carabinieri di zona e feci un esposto
contro Andrea Calderini». Che l' autore fosse davvero lui o meno,
non ha più importanza, l' essenziale è altro: chi lo incontrava
aveva paura di quel ragazzo. Così i genitori avevano cercato di
proteggerlo, dargli tutto, anche l' appartamento che occupa l'
intero terzo piano più la mansarda della palazzina signorile di via
Carcano. Si racconta che a scuola lo accompagnassero con l' autista,
che continuasse a cambiare macchine costose e adesso meditasse di
comperare una Ferrari. Nel frattempo aveva portato la sua ultima
Porsche dal carrozziere. Aveva tutto ma «stava male», Andrea. Solo i
genitori e la sorella sanno cosa hanno passato in questi anni.
Qualcosa che doveva riguardare solo la famiglia. Sergio Calderini lo
ha ripetuto anche ieri, «voi non sapete qual è la verità, non potete
capire». Gian Guido Vecchi
Vecchi Gian Guido
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mercoledì, 7 maggio, 2003
REATI OMICIDI
050
«Una serie di violenze, ci ha fatto sempre paura»
Gli abitanti del quartiere raccontano gli ultimi mesi: aggressioni,
martellate, minacce, muri macchiati di sangue I vicini: una volta ha
gettato una bicicletta dal terzo piano Una pensionata: quando lo
incrociavo cambiavo subito strada Folla di curiosi in via Carcano
per vedere il luogo della tragedia
La follia. Sempre la follia. Solo la follia. Non si sente ripetere
altro all' angolo tra via Filippo Carcano e via Mosè Bianchi. Dai
conoscenti, dai vicini, dai curiosi. Perché nessuno sa dare un'
altra spiegazione, se non la follia, a quel raptus omicida di un
pomeriggio torrido ma uguale a tanti altri. Nessuno. Mentre tutti
sapevano che Andrea Calderini, «quel giovane dagli strani
comportamenti, proprio del tutto a posto non lo era», dice Giorgio
Leoni, un ragazzo poco più che ventenne, tempestivo nel filmare gli
attimi successivi alla sparatoria. Poco importa se gli esperti, come
il sottosegretario alla Salute, Antonio Guidi, non accettano il
collegamento tra malattia mentale e violenza, per poi spiegare che
«questi raptus possono cogliere chiunque sia vittima di una
sofferenza psicologica». Per gli abitanti del quartiere, a due passi
dalla Fiera, Andrea Calderini «matto lo era davvero. E violento». Al
punto che in molti «avevamo paura quando lo vedevamo», aggiunge la
signora Maria, pensionata. Lei abita di fronte all' elegante
palazzina dai mattoni a vista del civico 19 e quando lo incrociava
«cambiavo strada». La follia, quindi. Solo così i vicini di casa del
giovane riescono a giustificare anche i tanti episodi di
aggressività e vendetta, che solo adesso sono disposti a raccontare.
Il custode aggredito a pugni, le martellate al muro per protestare
contro il rumore dell' impianto di riscaldamento, la bicicletta di
un coinquilino gettata dal terrazzo del terzo piano, le immondizie
lasciate davanti ai garage o lanciati sui balconi adiacenti. E le
sue stranezze: come le parrucche che indossava, le ferite che si
procurava lungo le scale, i muri macchiati di sangue, le svastiche e
il marchio della Bestia dell' Anticristo, il numero 666 che non si
era impresso «sulla mano destra o in testa», ma che aveva scelto per
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identificare il campanello del suo appartamento. Episodi di cui
Sergio Calderini, padre di Andrea, non vuole neppur sentir parlare,
quando per un attimo incrocia giornalisti e telecamere di fronte al
suo palazzo di via Desiderio da Settignano: «Non sapete quello che è
successo. E non devo spiegarlo a voi, ma alla polizia». Anche qui,
dove Andrea ha abitato sino a una decina di anni fa, prima di
trasferirsi, sono in molti a ricordarsi «di quel giovane dai modi
violenti: rissoso, irascibile, violento. L' esatto contrario del
resto della famiglia», tagliano corto due coniugi pensionati che
preferiscono restare anonimi. Gli stessi ricordi che si sentono in
continuazione in via Carcano. Dove continuo è anche il passaggio di
curiosi: «Non ho mai visto così tanta gente in questa strada come
adesso», sottolinea Giorgio, che abita poco distante, in via Vodice.
Così come mai «in passato ci sono stati simili fatti di violenza».
«E' una zona tranquilla», conferma Paola, studentessa universitaria.
«Sino a ora», si affretta ad aggiungere indicando i tanti cerchi di
gesso. Macchie bianche sull' asfalto che rievocano la pioggia di
pallottole di ventiquattro ore prima. «Ma lo sapevo che quell'
Andrea aveva qualcosa che non andava. Lo si leggeva negli occhi. Lo
sapevamo tutti, ma nessuno ha fatto nulla». Davide Gorni Dieci ore
di terrore LA SPARATORIA L' ultima pallottola Lunedì pomeriggio,
alle 15.10, Andrea Calderini, 31 anni, inizia a premere il grilletto
della sua semiautomatica calibro 45. Esplode 43 colpi in tre
riprese. Spara dal suo balcone al terzo piano di via Carcano 19,
all' angolo con via Mosè Bianchi, in zona Fiera. Dopo aver ucciso
una vicina di casa, ferisce tre passanti. Poi, le ultime pallottole
sono per sua moglie e per se stesso IL BILANCIO I morti e i passanti
feriti I feriti sono Piero Toso, 70 anni, ex top manager in
pensione, colpito alla spalla e alla testa; Daniela Zaniboni, 41
anni, logopedista, centrata alla spalla e alla schiena; Giovanni
Maurizio Litta Modignani, 53 anni, ferito a una gamba (nella foto a
destra). I morti sono Stefania Vinassa de Regny, 65 anni, la moglie
del folle, Helietta Scalori, 21 anni, e Andrea Calderini, 31 anni,
l' omicida-suicida L' ASSEDIO La trattativa impossibile Dopo la
folle sparatoria, il silenzio. Per oltre tre ore il questore, Enzo
Boncoraglio, ha tentato di parlare con Andrea Calderini per
chiedergli di arrendersi. Ma dall' abitazione dell' uomo nessun
rumore e nessuna risposta. Calderini, dopo aver crivellato di colpi
la moglie, colpendola con undici pallottole alla schiena, si era
tolto la vita nella camera da letto, sparandosi in bocca L'
INTERVENTO Arrivano i nuclei speciali Alle 17 i Nocs, il nucleo
operativo centrale della Polizia specializzato in situazioni
critiche, viene messo in preallarme. Alle 20.20, dalla sede di Roma,
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arrivano a Milano. Dopo i sopralluoghi, le ricognizioni e un
briefing con il questore e il magistrato, i «rambo» (nella foto a
sinistra) passano all' azione. Alla una meno dieci, irrompono nell'
appartamento
Gorni Davide
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giovedì, 8 maggio, 2003
REATI OMICIDI
051
Ha sparato alla moglie, poi ha cercato la strage
Nuova ricostruzione del pomeriggio di follia. Il magistrato: i
genitori avrebbero dovuto fare di più
Un' inchiesta della Questura tra i commissariati per verificare se
la strage di via Carcano poteva essere evitata: o meglio se, in
altre parole, qualche controllo un po' più rigoroso avrebbe potuto
almeno impedire a un tizio violento come Andrea Calderini di
possedere legittimamente l' arma con cui lunedì scorso, prima di
spararsi, ha fatto in tempo a trucidare due persone ferendone altre
tre. È il questore Enzo Boncoraglio a confermarlo, pur precisando
ancora una volta che «allo stato non risulta in alcun modo nessuna
violazione delle procedure». Anzi, ribadisce: il rinnovo della
licenza di possesso d' armi per uso sportivo, richiesto da Calderini
lo scorso dicembre presso il commissariato Fiera, non ha incontrato
nessun intoppo formale proprio perché le querele per lesioni e
minacce sporte a suo carico in passato erano poi state ritirate in
seguito a risarcimenti dei danni provocati. Resta il fatto che la
gente del quartiere sostiene di aver chiesto in più occasioni,
proprio a causa del carattere rissoso del soggetto, l' intervento
degli agenti: possibile che di tutte quelle «uscite» non sia rimasta
traccia? E che nessuno ne abbia tenuto conto al momento di concedere
a Calderini il nulla osta? «Faremo tutte le verifiche del caso spiega il questore - e se ci sono state leggerezze le faremo
emergere». Anche se non sarà un lavoro semplice, così come - va
detto - non è affatto né automatico né ovvio il collegamento fra un
intervento della polizia per sedare una lite, ad esempio, e le
persone che vi sono coinvolte: le cui generalità in molti casi come quando la lite si ricompone sul posto - possono anche non
essere rilevate. Le verifiche tra i commissariati sono comunque in
corso. Mentre i carabinieri hanno già reso noto che nei loro
archivi, a carico di Calderini Andrea, non risulta in effetti
assolutamente nulla. Formalmente, a parte quelle famose querele, dal
suo passato emergono solo il furto di un disco in un negozio di cd,
nel ' 97, e una stecca di sigarette non denunciate, l' anno dopo, al
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rientro dalla Svizzera. Naturalmente, potrà ora avere un qualche
peso, giusto ai fini della ricostruzione esatta del suo ultimo
raptus e della molla che l' ha fatto scattare, la testimonianza del
suo amico Gianluca: quello cui pare Calderini avesse confidato in
più occasioni che «se mia moglie mi lascia ammazzo lei poi anche
me». Il che sarebbe compatibile con la successione degli eventi
ricavabile dalla sequenza degli spari descritta ieri da una vicina:
in base alla quale l' uomo, magari al culmine di un diverbio,
avrebbe fatto fuoco dapprima su sua moglie Helietta Scalori, morta
con undici colpi addosso, per poi scendere le scale ammazzando a
bruciapelo Stefania Guaraldi Vinassa de Regny, sul pianerottolo del
primo piano, tornando infine in casa sua, al terzo, per mettersi a
sparare dal balcone sui passanti, ferendone tre prima di uccidersi a
sua volta. Quale che sia stata la dinamica dei fatti, però, a non
spostarsi di un millimetro è la polemica sulla circostanza che in
fin dei conti li ha consentiti: il «regolare» possesso di quella
calibro 45 (più altre pistole e una quantità di fucili, fino a poche
settimane fa) da parte di un uomo d' indole almeno sopra le righe.
«È scandaloso - ha ripetuto ieri Ilaria Guaraldi, la figlia della
vittima - che uno così avesse un' arma». Autorizzata solo per il
tiro a segno, d' accordo. E Guido Carrer, il presidente del poligono
in cui Calderini era andato a esercitarsi una decina di volte negli
ultimi tre mesi, ci tiene a precisare: «Qui nessuno se lo ricorda,
non si era mai fatto notare. D' altronde, i nostri controlli sono
severi, se avesse avuto un comportamento anomalo sarebbe stato
allontanato». «La verità - conclude il pm Marco Ghezzi, titolare
delle indagini - è che, purtroppo, i casi simili sono forse
centinaia: persone che di fatto hanno un sacco di problemi ma sul
conto delle quali, da un punto di vista formale, non "risultano"
motivi per revocar loro il porto d' armi». Dunque? «Nel caso
specifico io credo - conclude il magistrato - che i genitori di
Calderini, pur avendolo già convinto a vendere quasi tutte le armi
che aveva, avrebbero potuto fare di più: per esempio, segnalando che
aveva ancora una pistola e i suoi problemi di carattere. Più in
generale, dico che il porto d' armi, nel nostro Paese, andrebbe
drasticamente limitato. Anche quello per l' autodifesa». Alberto
Berticelli Paolo Foschini LE FASI della tragedia LA SPARATORIA Le
vittime Alle 15,10 di lunedì Andrea Calderini, 31 anni, preme il
grilletto della sua calibro 45. Spara dal balcone al terzo piano di
via Carcano 19, zona Fiera. Esplode 43 colpi in più riprese. La
prima vittima è la moglie, poi Calderini uccide una vicina di casa,
Stefania Vinassa de Regny, 65 anni. Le autopsie saranno effettuate
domani mattina I FERITI Ancora gravi Sono tre: il più grave è Piero
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Toso, 70 anni, manager in pensione, colpito a una spalla e alla
testa, le cui condizioni sono stabili; poi Daniela Zaniboni, 41
anni, logopedista, centrata alla spalla e alla schiena; e l'
avvocato Giovanni Maurizio Litta Modignani, 53 anni, ferito a una
gamba L' ASSEDIO Irruzione notturna Dopo la sparatoria, le forze
dell' ordine accorrono in via Carcano. Il questore Enzo Boncoraglio
tenta di stabilire una trattativa con Calderini. Alle 20,20, dalla
sede di Roma arrivano a Milano i Nocs. Quando fanno irruzione,
trovano i corpi senza vita di Calderini e della moglie 43 Il totale
dei colpi sparati in tre riprese da Calderini che ha ucciso due
persone e ferite tre prima di ammazzarsi
Berticelli Alberto
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giovedì, 8 maggio, 2003
ARMI
015
«Chi ha il porto d' armi torni a farsi visitare»
Il piano del Viminale: doppio controllo ogni anno
Il giro di vite dopo il duplice omicidio di Milano
ROMA - Visite mediche periodiche per accertare l' idoneità all' uso
delle armi e revisione di tutte le licenze rilasciate. Dopo le
stragi di Aci Castello e di Milano, il Viminale richiama prefetti e
questori «a verificare con la massima attenzione i requisiti
psico-fisici di coloro che chiedono il rilascio del porto d' armi e
il nulla osta alla detenzione di pistole e fucili», ma anche di chi
è già in possesso delle licenze. E' questa la novità inserita in una
circolare che i tecnici del dipartimento stanno preparando e che
dovrebbe essere firmata questa mattina dal capo della polizia,
Gianni De Gennaro. Mentre l' opposizione invoca una nuova legge che
imponga limitazione ferree, il ministero dell' Interno interviene
per via amministrativa e decide «una revisione delle licenze». L'
idea è quella di imporre a chi ha un permesso pluriennale e da oltre
dodici mesi non è stato sottoposto a verifica attitudinale, l'
esibizione di un nuovo certificato rilasciato del medico di famiglia
che deve essere poi «convalidato» dai sanitari dell' esercito, della
polizia e del ministero dei Trasporti, gli unici abilitati a
compilare la relazione finale di idoneità. Due giorni fa al Viminale
è stata convocata una riunione tecnica alla quale hanno partecipato
gli esperti delle armi per fornire suggerimenti e pareri. Tutti sono
stati concordi sulla necessità di imporre regole ferree, ma senza
modifiche sostanziali perché in questo caso si rende necessario un
intervento legislativo che ha ovviamente tempi molto più lunghi. Per
questo alla fine si è deciso di intervenire in maniera efficace
sulla verifica delle certificazioni mediche. A suggerire una
«drastica limitazione senza però creare uno stato di polizia» è
stato ieri anche il pubblico ministero di Milano Marco Ghezzi,
titolare dell' inchiesta sul massacro compiuto da Andrea Calderini.
«Le armi - spiega - sono oggetti pericolosi e non si può permettere
a tutti di possederli se non in casi eccezionali come per esempio
gli orefici: naturalmente anche loro devono essere sottoposti a una
serie di controlli. Inoltre, in deroga al diritto-dovere di
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segretezza professionale, sarebbe necessario introdurre l' obbligo
per gli psichiatri e gli psicologi di segnalare all' autorità di
polizia tutte le persone con problemi di aggressività consentendo di
compiere verifiche incrociate per accertare se tali persone hanno il
porto d' armi». D' accordo il prefetto Bruno Ferrante secondo il
quale «potrebbe essere utile una riflessione sulle norme, ma non
bisogna dimenticare che si è trattato del gesto di una persona
squilibrata che ha perso il controllo di sé e che questi
comportamenti «sono purtroppo imprevedibili». Domani mattina saranno
compiute le autopsie sulle vittime di Calderini, ma la squadra
mobile ha già compiuto una prima ricostruzione di quanto potrebbe
essere avvenuto lunedì in via Carcano. Gli investigatori sembrano
certi che la prima a morire sia stata la giovane moglie Helietta
Scalori, probabilmente uccisa dopo una lite. A questo punto l' uomo
esce, scende le scale e incontra Stefania Vinassa De Gregny, la
vicina uscita sul pianerottolo dopo aver sentito i numerosi spari.
La ammazza con otto colpi, poi ritorna in casa e si accanisce contro
i passanti. Ne ferisce tre. Soltanto allora rivolge la pistola verso
di sé e si suicida. L' ultimo atto di un pomeriggio di tragica
follia. Fiorenza Sarzanini VIA CARCANO Gli spari Nel primo
pomeriggio di lunedì scorso Andrea Calderini, 31 anni, ha ucciso a
colpi di pistola la moglie, una vicina di casa e poi ha cominciato a
sparare ai passanti per la strada e dalla finestra di casa sua,
ferendo 3 persone, di cui 2 in modo grave I NOCS L' irruzione Dopo
ore di terrore i Nocs, corpi speciali della polizia, hanno fatto
irruzione nell' appartamento scoprendo che l' uomo si era tolto la
vita L' OMICIDA I problemi psichici Calderini era noto nel quartiere
come «il matto». Da tempo terrorizzava il vicinato con ripetuti
episodi di violenza. Era stato denunciato ed era in cura da un
neurologo. Ma malgrado tutto questi era in possesso di un regolare
porto d' armi LA DISPUTA Le armi Dopo questo episodio in Italia è
scoppiata la polemica sulla concessione delle licenze di porto d'
armi. Ora il Viminale intende introdurre controlli più severi e
ravvicinati nel tempo per chiunque ne abbia una
Sarzanini Fiorenza
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giovedì, 8 maggio, 2003
REATI OMICIDI
015
Nocs: un' ora per trovare l' aereo, poi scalo a Pisa
Allarme alle 16.30, arrivo 225 minuti dopo. E il volo si ferma per
cambiare equipaggio
ROMA - Un' ora per trovare un aereo, poi il decollo seguito da una
«sosta tecnica» a Pisa. E l' arrivo a Milano quattro ore dopo il
primo allarme, mentre proseguiva l' assedio intorno all'
appartamento di Calderini. Una lunga attesa, con gli uomini del Nocs
pronti a partire ma nessun velivolo disponibile a trasportarli. Al
Viminale fanno di tutto: chiamano l' Aeronautica militare, viene
contattato persino il Cai, la flotta di jet utilizzata dai servizi
segreti. Ma per più di 60 minuti non ci sono aerei. Da Milano il
questore e il magistrato continuano a chiamare. E quando alle 18 l'
aviazione militare mette a disposizione un aereo, bisogna però prima
raggiungere la base di Pratica di Mare e poi fare scalo a Pisa per
cambiare equipaggio. L' irruzione scatta solo alle 23.50: 440 minuti
dopo l' allerta. La ricostruzione del viaggio del nucleo speciale da
Roma a Milano sembra destinata ad accendere nuove polemiche. Il
sindaco Albertini e il presidente della provincia Colli hanno
chiesto di dislocare squadre di intervento anche nel capoluogo
lombardo. E ieri il vicesindaco De Corato ha presentato un'
interrogazione al ministro Pisanu: «Bisogna riorganizzare il
servizio per fare sì che si possa intervenire tempestivamente ed
evitare che episodi come quello di lunedì». Lunedì il questore
Boncoraglio arriva in via Carcano alle 16.15. C' è anche il pm. Un
quarto d' ora dopo vengono preallertati i Nocs e alle 17 parte la
richiesta ufficiale di intervento. A Roma il comandante del nucleo
speciale si mette in contatto con l' Aeronautica per sapere quali
mezzi ci siano a disposizione. La polizia infatti non ha aerei.
Viene consultato anche il Cai: invano. Solo alle 18 dall' Arma
azzurra arriva il via libera: un velivolo militare è pronto a
partire, ma deve fare scalo a Pisa per il cambio dell' equipaggio.
Una trentina di agenti partono per la missione. Alle 18.30 decollano
da Pratica di Mare. Tre quarti d' ora dopo, scalo tecnico in
Toscana. Poi nuovo decollo verso Milano. Alle 20.15 sono a Linate.
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Quando arrivano in via Carcano hanno già a disposizione le piantine
del palazzo e tutte le coordinate tecniche fornite dalla questura.
C' è una prima consultazione con il questore e con il pubblico
ministero. Mentre si posizionano i tiratori scelti, il comandante
individua le possibili vie di ingresso nell' appartamento di
Calderini. L' emergenza sembra comunque terminata. Da ore l' uomo ha
smesso di sparare, dalla casa non arriva alcun rumore. Il comandante
impartisce disposizioni ai suoi uomini. Alle 23.50 comincia l'
irruzione. «Troppo tardi», accusano gli amministratori locali. La
soluzione potrebbe essere quella di creare «gruppi speciali» nelle
metropoli. «Rispetto agli operatori ordinari - propone Giovanni
Aliquò, segretario dell' Associazione funzionari di polizia - questi
nuclei avrebbero un più alto livello di addestramento per azioni a
rischio». F.Sar. L' ALLARME Da Milano parte la richiesta per l'
intervento dei Nocs. Il reparto non ha aerei a disposizione e
comincia la ricerca di un mezzo VIA LIBERA Un velivolo militare è
pronto a partire da Pratica di Mare, ma deve fare uno scalo tecnico
a Pisa per il cambio di equipaggio IL DECOLLO Il velivolo decolla
come previsto. Alle 20.15, dopo lo scalo tecnico a Pisa, i trenta
uomini del Nocs atterrano a Linate L' IRRUZIONE I Nocs fanno
irruzione nell' appartamento in via Carcano dopo aver studiato le
cartine e consultato il questore
Sarzanini Fiorenza
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giovedì, 8 maggio, 2003
REATI OMICIDI
051
Ha sparato alla moglie, poi ha cercato la strage
Nuova ricostruzione del pomeriggio di follia. Il magistrato: i
genitori avrebbero dovuto fare di più
Un' inchiesta della Questura tra i commissariati per verificare se
la strage di via Carcano poteva essere evitata: o meglio se, in
altre parole, qualche controllo un po' più rigoroso avrebbe potuto
almeno impedire a un tizio violento come Andrea Calderini di
possedere legittimamente l' arma con cui lunedì scorso, prima di
spararsi, ha fatto in tempo a trucidare due persone ferendone altre
tre. È il questore Enzo Boncoraglio a confermarlo, pur precisando
ancora una volta che «allo stato non risulta in alcun modo nessuna
violazione delle procedure». Anzi, ribadisce: il rinnovo della
licenza di possesso d' armi per uso sportivo, richiesto da Calderini
lo scorso dicembre presso il commissariato Fiera, non ha incontrato
nessun intoppo formale proprio perché le querele per lesioni e
minacce sporte a suo carico in passato erano poi state ritirate in
seguito a risarcimenti dei danni provocati. Resta il fatto che la
gente del quartiere sostiene di aver chiesto in più occasioni,
proprio a causa del carattere rissoso del soggetto, l' intervento
degli agenti: possibile che di tutte quelle «uscite» non sia rimasta
traccia? E che nessuno ne abbia tenuto conto al momento di concedere
a Calderini il nulla osta? «Faremo tutte le verifiche del caso spiega il questore - e se ci sono state leggerezze le faremo
emergere». Anche se non sarà un lavoro semplice, così come - va
detto - non è affatto né automatico né ovvio il collegamento fra un
intervento della polizia per sedare una lite, ad esempio, e le
persone che vi sono coinvolte: le cui generalità in molti casi come quando la lite si ricompone sul posto - possono anche non
essere rilevate. Le verifiche tra i commissariati sono comunque in
corso. Mentre i carabinieri hanno già reso noto che nei loro
archivi, a carico di Calderini Andrea, non risulta in effetti
assolutamente nulla. Formalmente, a parte quelle famose querele, dal
suo passato emergono solo il furto di un disco in un negozio di cd,
nel ' 97, e una stecca di sigarette non denunciate, l' anno dopo, al
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rientro dalla Svizzera. Naturalmente, potrà ora avere un qualche
peso, giusto ai fini della ricostruzione esatta del suo ultimo
raptus e della molla che l' ha fatto scattare, la testimonianza del
suo amico Gianluca: quello cui pare Calderini avesse confidato in
più occasioni che «se mia moglie mi lascia ammazzo lei poi anche
me». Il che sarebbe compatibile con la successione degli eventi
ricavabile dalla sequenza degli spari descritta ieri da una vicina:
in base alla quale l' uomo, magari al culmine di un diverbio,
avrebbe fatto fuoco dapprima su sua moglie Helietta Scalori, morta
con undici colpi addosso, per poi scendere le scale ammazzando a
bruciapelo Stefania Guaraldi Vinassa de Regny, sul pianerottolo del
primo piano, tornando infine in casa sua, al terzo, per mettersi a
sparare dal balcone sui passanti, ferendone tre prima di uccidersi a
sua volta. Quale che sia stata la dinamica dei fatti, però, a non
spostarsi di un millimetro è la polemica sulla circostanza che in
fin dei conti li ha consentiti: il «regolare» possesso di quella
calibro 45 (più altre pistole e una quantità di fucili, fino a poche
settimane fa) da parte di un uomo d' indole almeno sopra le righe.
«È scandaloso - ha ripetuto ieri Ilaria Guaraldi, la figlia della
vittima - che uno così avesse un' arma». Autorizzata solo per il
tiro a segno, d' accordo. E Guido Carrer, il presidente del poligono
in cui Calderini era andato a esercitarsi una decina di volte negli
ultimi tre mesi, ci tiene a precisare: «Qui nessuno se lo ricorda,
non si era mai fatto notare. D' altronde, i nostri controlli sono
severi, se avesse avuto un comportamento anomalo sarebbe stato
allontanato». «La verità - conclude il pm Marco Ghezzi, titolare
delle indagini - è che, purtroppo, i casi simili sono forse
centinaia: persone che di fatto hanno un sacco di problemi ma sul
conto delle quali, da un punto di vista formale, non "risultano"
motivi per revocar loro il porto d' armi». Dunque? «Nel caso
specifico io credo - conclude il magistrato - che i genitori di
Calderini, pur avendolo già convinto a vendere quasi tutte le armi
che aveva, avrebbero potuto fare di più: per esempio, segnalando che
aveva ancora una pistola e i suoi problemi di carattere. Più in
generale, dico che il porto d' armi, nel nostro Paese, andrebbe
drasticamente limitato. Anche quello per l' autodifesa». Alberto
Berticelli Paolo Foschini LE FASI della tragedia LA SPARATORIA Le
vittime Alle 15,10 di lunedì Andrea Calderini, 31 anni, preme il
grilletto della sua calibro 45. Spara dal balcone al terzo piano di
via Carcano 19, zona Fiera. Esplode 43 colpi in più riprese. La
prima vittima è la moglie, poi Calderini uccide una vicina di casa,
Stefania Vinassa de Regny, 65 anni. Le autopsie saranno effettuate
domani mattina I FERITI Ancora gravi Sono tre: il più grave è Piero
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Toso, 70 anni, manager in pensione, colpito a una spalla e alla
testa, le cui condizioni sono stabili; poi Daniela Zaniboni, 41
anni, logopedista, centrata alla spalla e alla schiena; e l'
avvocato Giovanni Maurizio Litta Modignani, 53 anni, ferito a una
gamba L' ASSEDIO Irruzione notturna Dopo la sparatoria, le forze
dell' ordine accorrono in via Carcano. Il questore Enzo Boncoraglio
tenta di stabilire una trattativa con Calderini. Alle 20,20, dalla
sede di Roma arrivano a Milano i Nocs. Quando fanno irruzione,
trovano i corpi senza vita di Calderini e della moglie 43 Il totale
dei colpi sparati in tre riprese da Calderini che ha ucciso due
persone e ferite tre prima di ammazzarsi
Berticelli Alberto
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giovedì, 8 maggio, 2003
REATI OMICIDI
015
L' ultima confessione: se mi lascia la uccido e mi ammazzo
«Spendeva molto, la colpa è di chi gli ha lasciato l' arsenale»
Gianni, 29 anni: aveva già messo in cantiere quel delitto
A UN AMICO
MILANO - «Se mia moglie mi lascia, la uccido e dopo mi ammazzo».
Solo una frase, di quelle che si sentono spesso quando si parla di
donne e tradimenti. Ma nel caso di Andrea Calderini «niente può
accadere per caso o per pura follia». Ne è convinto Gianni, 29 anni,
un amico milanese con il quale nell' ultimo anno l' omicida ha
diviso la passione per moto, auto sportive e serate in discoteca.
«Ricordo che era venuto a parlare di auto, ma poi abbiamo cominciato
a discutere di corna; Andrea si era sposato da poco, ma continuava a
fare la vita di prima: usciva con gli amici, frequentava prostitute
di lusso, lasciava a casa la moglie Helietta. Gli feci notare che
lei poteva stancarsi e mollarlo. E lui pronto: "Se mi lascia, la
uccido e dopo mi ammazzo». Una frase banale, ma per Gianni è la
chiave di lettura della tragedia di via Carcano. «Andrea è sempre
stato coerente, preciso, quello che diceva faceva, non parlava mai a
caso. Cosa è successo lunedì? Per me ha litigato con Helietta, che
forse non sopportava più le sue uscite notturne, lei gli ha detto
che non ne voleva più sapere, così Andrea l' ha ammazzata, come
probabilmente aveva già messo in cantiere». Undici colpi alla
schiena e al torace per la moglie sposata a Las Vegas nel mese di
marzo: un matrimonio d' amore, ma non di ostacolo agli svaghi di
Andrea. «Prima di partire mi ha inviato un messaggino dall'
aeroporto: "Riuscirò a essere fedele? non credo", io ho riso, ma
sapevo che non era solo una battuta». Intanto sul monitor del
computer Gianni mostra le immagini delle nozze americane: pantaloni
e camicetta bianca per Helietta, completo scuro alla moda per
Andrea, ravvivato da scarpe «pezzate» di vari colori. Oltre una
decina di scatti, dalla camminata per arrivare all' altare, fino
allo scambio degli anelli, poi il bacio e l' abbraccio finale.
Gianni osserva in silenzio, lo sguardo incollato allo schermo, poi
riprende a voce bassa: «Era felice, mi ha inviato anche le foto
della Viper rossa che aveva noleggiato, era felice...». Dieci giorni
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di vacanza, poi il ritorno a Milano. «Andrea è passato di qua,
tranquillo, sereno, siamo stati a cena insieme, l' ho presentato ad
altre persone, non ci sono stati problemi come sempre da quando lo
conosco». Niente scatti d' ira, episodi di violenza, manifestazioni
di insofferenza o frustrazione. Per Gianni e il suo giro legato al
mondo dei raduni e dei Forum sulle auto sportive, Andrea Calderini è
una persona «originale, eccentrica, dai gusti raffinati e colti,
amante delle belle cose, pronto alla battuta, mai aggressivo o
arrogante». La sua passione per le armi, la collezione di coltelli e
pistole custodita nel suo appartamento non sono un mistero, ma
neppure un dramma. Tra le conoscenze di Gianni, Andrea non è il solo
ad avere questi interessi. Ma a legarli sono soprattutto le auto. E
in particolare le Ferrari. «Da poco si era convertito alle Ferrari,
due settimane fa ne aveva ritirato un nuovo modello, era subito
corso qui per farmela vedere. Mi si è presentato in tuta rossa, era
contentissimo della scelta e quasi rinnegava l' amore per le
Porsche». Auto costose, ma anche abiti di lusso, orologi da
collezione, sigari pregiati, grandi etichette. Lo stile di vita di
Andrea è al di sopra delle righe, ma gli amici non si meravigliano.
«Era benestante, spendeva quello che aveva - sottolinea Gianni diceva di attingere da una consistente eredità oltre al risarcimento
ottenuto dopo un gravissimo incidente stradale per il quale era
rimasto in coma due mesi». Andrea spende e spande; agli amici,
vecchi e nuovi, ostenta viaggi, vestiti all' ultimo grido, monili
preziosi. «Sono un miracolato - ama ripetere -, ho rischiato di
morire, e ora io mi godo la vita». Una vita senza risparmiare né
soldi né energie. Fino a lunedì. E Gianni non si rassegna: «Andrea
ha agito secondo coerenza, ma non era un mostro, né aveva colpe: ha
sbagliato chi gli ha lasciato le armi. Senza le pistole in casa,
sarebbe andata diversamente». Incredulità fra gli amici del Forum su
Internet. Ma non vale per tutti. Mette da parte la solidarietà un
appassionato di auto che chiede l' anonimato: «L' ho conosciuto a un
raduno a dicembre, era educato, ma con una pistola nella giacca e un
fucile in auto. Poi ho saputo che era stato espulso dal Forum sulle
Porsche per aver minacciato di morte i gestori». Grazia Maria
Mottola [email protected]
Mottola Grazia Maria
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domenica, 11 maggio, 2003
REATI OMICIDI
050
«Andrea era armato perché aveva paura»
Gli inquirenti sentiranno i medici che hanno firmato i certificati
di buona salute
LA TRAGEDIA
«Quel giorno mi aveva chiamato, era appena tornato da Montecarlo, lo
sentivo tranquillo, contento». Poche ore prima di uccidere la moglie
Helietta, la vicina di casa e se stesso, Andrea Calderini telefona
al suo migliore amico, Fabrizio C., 28 anni, commercialista. «Non
riesco a credere a quello che è successo, sento ancora la sua voce
che mi chiede se ho ricevuto le foto delle macchine, che mi spiega
un nuovo programma informatico, che mi racconta quanto si era
divertito». Quattro giorni in Costa Azzurra, fra ristoranti e
vetture di lusso, in compagnia della moglie Helietta: il massimo che
Andrea può desiderare nel «paradiso degli amanti delle auto», come
lui stesso definiva Montecarlo. Poi l' ultima telefonata all' amico
del cuore, che Andrea chiamava «fratello». «Era il mio punto di
riferimento e io per lui, anche se ci siamo conosciuti meno di un
anno fa». Una frequentazione intensa, fatta di telefonate
giornaliere, incontri settimanali, uscite con le rispettive donne.
Una conoscenza iniziata via Internet, grazie all' iniziativa di
Fabrizio. A unirli ancora affinità di tipo automobilistico. «Come
Andrea, anch' io ho una Porsche, un giorno ho organizzato una gita
in auto, lanciando l' idea nel forum, lui accettò e così ci
incontrammo». Una domenica insieme, alla quale seguono altri
appuntamenti, serate nei locali, fino a incontri più confidenziali.
«Siamo diventati amici, mi ha fatto conoscere il suo mondo ricco di
passioni, come storia, politica, collezionismo». Andrea sfoggia una
cultura poliedrica che spazia dalla filosofia (grazie alla laurea) a
nozioni su orologi, sigari, grandi vini, viaggi. E armi. «Me le
aveva mostrate, ma io gli dissi che mi facevano paura. Ma anche lui
aveva paura, diceva che Milano non era sicura». Andrea va a sparare
al poligono, rinnova il porto d' armi, ma non mostra atteggiamenti
strani. Poi arriva il matrimonio. «Lo aveva organizzato alla
perfezione, insieme a Heli, avevano scelto di andare a Las Vegas,
per avere un matrimonio solo per loro due: non erano cattolici e
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odiavano le formalità». Nozze sincere, un rapporto profondo che
apparentemente non rivela problemi. «Lui era legatissimo a Helietta,
quando lei andava a trovare i familiari, Andrea ne sentiva la
mancanza, e mi chiedeva di uscire». Intanto, Andrea pensa al futuro
e chiede a Fabrizio di aiutarlo ad avviare un' attività. Il suo
sogno: aprire un locale, con bar e ristorante. «Gli avevo trovato un
socio, ma non si erano ancora incontrati». Progetti alimentati anche
dalle pressioni paterne che Andrea condivideva. «Amava suo padre, me
ne parlava con grande rispetto». L' ultimo ricordo insieme risale a
Pasqua, nella casa di campagna di Fabrizio. Con pranzo in famiglia,
nuove conoscenze, battute. Una domenica felice. Nei prossimi giorni,
gli investigatori sentiranno i medici che hanno rilasciato ad Andrea
i certificati di buona salute per il rinnovo del porto d' armi.
Grazia Maria Mottola [email protected] La scheda LE VITTIME
Lunedì scorso verso le 15.10 Andrea Calderini uccide la moglie, una
vicina di casa, poi ferisce tre persone, infine si suicida GLI AMICI
Secondo gli amici, Andrea non ha mai avuto comportamenti violenti,
ed era un «tipo colto, eccentrico, amante delle belle cose» IL PM E
LE ARMI Per il pm Ghezzi (nella foto), psicologi e psichiatri
dovrebbero segnalare i pazienti con comportamenti aggressivi
Mottola Grazia Maria
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Corriere della Sera - e-dicola
lunedì, 12 maggio, 2003
REATI OMICIDI
015
«Helietta aveva trovato la pistola Andrea l' ha uccisa per questo»
Parlano i genitori dell' omicida di Milano: «Aveva giurato di aver
restituito l' arsenale La licenza per le armi? Ci disse che era
stato il suo psichiatra a firmare il certificato»
la sparatoria di Milano. l' intervista
MILANO - «Helietta ha trovato la pistola, così hanno litigato e
Andrea l' ha uccisa». Un' ipotesi, «l' unica plausibile», sostenuta
dai genitori del trentunenne milanese che lunedì 5 maggio ha ucciso
la moglie Helietta, una vicina di casa e ha ferito tre persone,
prima di togliersi la vita. Occhi lucidi, sguardo fermo, parole
misurate: un dolore discreto, ma implacabile, per Sergio e Sandra
Calderini, 64 e 58 anni. Lui è un importante manager della Zurigo
Assicurazioni. Nel salotto al quarto piano nel palazzo in zona
Fiera, a poche centinaia di metri dal luogo della tragedia, fanno
affiorare storie e dettagli «perché non si infierisca sul passato di
chi ha tanto sofferto e ha fatto soffrire: perché Andrea stesso è
una vittima». Che cosa avrebbe scatenato il raptus di Andrea?
«Sicuramente un litigio, ma dubitiamo che la moglie volesse
lasciarlo. Erano appena tornati da Montecarlo, avevamo sentito
Andrea: era felice, diceva che gli sarebbe piaciuta una casa in
Costa Azzurra. Quel giorno alle 14.30 aveva portato la Ferrari in
garage: il titolare ci ha detto che stava bene». E dopo? «Andrea ci
aveva promesso che avrebbe restituito le armi, 5 o 6 fra pistole e
fucili. Eravamo spaventati dalla sua nuova passione: in passato
aveva tentato più volte il suicidio con i farmaci. Gli dicevamo
"Andrea lascia perdere, cosa te ne fai?". Verso metà aprile disse
che le aveva riconsegnate. E ci diede la licenza che gli permetteva
di comprarle. L' abbiamo subito distrutta. Ma di nascosto Andrea si
era tenuto una pistola e due caricatori, quelli della strage. Forse
Helietta quel giorno ha trovato l' arma e si è arrabbiata. Forse ne
è scaturito un diverbio, e da lì il raptus. Perché abbia sparato
agli altri, non ce lo spieghiamo»». Signor Calderini, lei si fidava
di Andrea? «Sì. Mi mandò una email per dirmi che anche Helietta era
contenta che si fosse disfatto delle armi». Perché avrebbe mentito
sulla pistola? «Forse aveva paura: possedeva una Ferrari e temeva i
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furti in casa. Pochi mesi fa nel suo palazzo ce ne erano stati due.
Lui aveva fatto potenziare l' allarme, ma forse non gli era
bastato». E lei, signora, sapeva del porto d' armi? «Sì, ed ero
disperata. Insieme a mio marito ho cercato di farlo ragionare e per
due mesi siamo riusciti non fargli la licenza. Fino a marzo scorso.
Poi ho chiamato il suo psichiatra, Massimiliano Dieci, perché Andrea
mi aveva riferito che era stato lui a fargli il certificato medico.
Volevo saperne di più, ma non l' ho trovato. Intanto cercavamo di
convincere Andrea a liberarsi delle armi». Non avete rimorsi? «No.
Solo quando siamo stati sentiti in questura, abbiamo saputo che
avremmo potuto verificare, tramite una scheda che si trova al
commissariato, se Andrea effettivamente avesse mantenuto la parola.
Purtroppo era troppo tardi». «Per quale malattia era in cura?
«Soffriva di Doc, disturbo ossessivo compulsivo, il dottor Dieci lo
seguiva sin dal ' 97, ora era in terapia di mantenimento. Nostro
figlio, però, si era ammalato molto tempo prima, ma nessun medico se
ne era accorto». Cioè? «Andrea aveva lasciato la scuola dopo il
primo anno di liceo, non riusciva a fare niente. All' epoca il
disturbo era ancora allo stato latente. Lo facemmo visitare da molti
medici, ma nessuno ci indirizzò a uno psichiatra». Come è finita?
«Andrea entrò in analisi, ma senza risultati. A un certo punto
cominciò a peggiorare. Non riusciva ad attraversare la strada,
perché i pensieri negativi provocati dalla malattia gli impedivano
di farlo, così doveva provarci tante volte. Lo stesso accadeva per
le telefonate: una volta è arrivato a far squillare il telefono per
due ore di fila. Ci sembrava di impazzire. Intanto leggeva e si
informava, finché un giorno ci mostrò un trattato di psichiatria e
disse: "Qui c' è scritto che cosa ho". Senza dirci niente, fissò un
appuntamento con uno psichiatra». Fu l' inizio della guarigione?
«No. Fu il calvario delle medicine. Cambiammo diversi specialisti
alla ricerca del farmaco adatto. Nel ' 97 conoscemmo Massimiliano
Dieci, che trovò la cura. Gliene siamo molto grati». Si poteva fare
di più per aiutare Andrea? «Come genitori no, gli siamo sempre stati
vicini, soprattutto nella cura della malattia. Abbiamo cercato di
dargli il massimo, ma non sempre abbiamo incontrato medici all'
altezza». I vicini hanno descritto Andrea come un violento: è mai
stato querelato? «Solo in un caso. Nel ' 99 era scoppiata una rissa
con i custodi del condominio dove avevamo un box in affitto, la
donna si era fratturata un mignolo. Abbiamo risarcito le parti
civili, che così si sono ritirate dal processo penale, senza che
questo implicasse riconoscimento di colpa. Poi, dopo la condanna di
Andrea a un' ammenda di tre milioni di lire per lesioni personali,
abbiamo fatto appello. Eravamo fiduciosi che ce l' avrebbe fatta».
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Signor Calderini, lei ha mai pagato per il ritiro di querele? «No,
anche perché non ce ne sono state altre dopo quelle legate al
processo. Si faccia avanti chi dice di aver preso soldi da me».
Andrea comprava auto e orologi di lusso. Chi glieli dava i soldi?
«Non certo noi genitori. Disponeva di 500 mila euro provenienti da
un risarcimento per un incidente avvenuto nel luglio 2000 e da una
polizza privata. Poi è arrivata l' eredità del nonno». Vi ha
sorpresi il matrimonio con Helietta? «All' inizio eravamo titubanti,
si conoscevano da poco. Poi abbiamo capito che facevano sul serio.
Lei era deliziosa, sapeva come prenderlo. Andrea desiderava un
figlio, ma Helietta voleva finire prima gli studi. Insieme erano
felici». E' stato detto che senza le armi in casa, la strage si
sarebbe evitata ... «E' così, ma non facciamo commenti. Sarà il
dottor Dieci a dare delle spiegazioni. Gli abbiamo firmato la
liberatoria dal segreto istruttorio». Risentimento verso di lui?
«No. Quando ha firmato quel certificato, sicuramente era in buona
fede». Grazia Maria Mottola [email protected] Gli spari nel
palazzo LA TRAGEDIA Nel primo pomeriggio di lunedì scorso, a Milano,
Andrea Calderini, 31 anni, ha ucciso a colpi di pistola la moglie,
Helietta Scalori, 22 anni, e una vicina di casa, Stefania Guaraldi
Vinassa de Regny, 65 anni. Quindi ha cominciato a sparare ai
passanti per la strada: tre i feriti, due in modo grave L' IRRUZIONE
Dopo ore di terrore i Nocs, corpi speciali della polizia, hanno
fatto irruzione nell' appartamento sfondando la porta di casa: l'
uomo si era tolto la vita con un colpo di pistola in bocca. In bagno
il corpo della moglie Il ritratto e i precedenti CHI ERA Andrea
Calderini, 31 anni, abitava al terzo piano di una palazzina della
zona Fiera di Milano con Helietta Scalori, 22 anni. La coppia si era
sposata pochi mesi fa a Las Vegas, ma la loro unione non era
riconosciuta in Italia LE DENUNCE Calderini era noto nel quartiere
come «il matto». Secondo i racconti dei vicini, li terrorizzava il
vicinato con minacce ed episodi di violenza. Tra il ' 99 e il 2000
sarebbero state presentate contro di lui tre denunce e un esposto.
Ma non era stata revocata la licenza di tiro sportivo che gli
permetteva di detenere armi SU INTERNET Il messaggio sul Web: vedevo
la morte ovunque, ma adesso non me ne importa più Andrea Calderini,
nel giugno del 2001, partecipò ad un forum in Internet sui disturbi
psichici. E' una sorta di auto diagnosi, un resoconto delle
ossessioni e delle crisi che lo accompagnavano da anni. «Il disturbo
ossessivo compulsivo mi ha rovinato un terzo della mia vita ammette Calderini - ad ogni azione corrispondeva un pensiero, se il
pensiero era di quelli "negativi" dovevo rifare l' azione fino a che
fosse "fatta bene". Toccavo per la prima volta una cosa in un
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negozio e se mi veniva un' immagine negativa dovevo toccarne un'
altra uguale se volevo comprarla, perché la prima mi sembrava
"contaminata". Entravo in un negozio anche dieci volte finché non
arrivava l' immagine giusta. A volte ci impiegavo ore. Lo stesso
accadeva quando dovevo telefonare». Nel cervello, racconta
Calderini, si accumulavano «immagini di morte, morte che adesso non
mi terrorizza più e ho acquisito consapevolezza che da un momento
all' altro potremmo non esserci più...». Poi il racconto dell'
incidente, del periodo all' ospedale. E la sensazione di esserne
uscito più forte. Di aver capito che «bisogna fottere le paure, fare
le cose anche se fanno paura. Con una buona cura con psicofarmaci si
può riuscirci». Infine l' invito a «scrivermi se posso aiutare. Non
demordete, queste malattie si possono curare, soprattutto andate
dalle persone giuste. Durante la mia odissea solo poche persone
hanno capito che soffrivo di disturbo ossessivo compulsivo, almeno
dieci medici consultati non sapevano neanche cosa fosse il Doc».
Mottola Grazia Maria
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martedì, 13 maggio, 2003
REATI OMICIDI
020
Interrogato lo psichiatra dell' assassino di Milano
Celebrati i funerali di Andrea Calderini Il padre: «Anche mio figlio
è una vittima»
MILANO - E' stato interrogato come testimone lo psichiatra di Andrea
Calderini, il trentunenne milanese che lunedì 5 maggio ha ucciso la
moglie e la vicina di casa, e ha ferito tre persone prima di
togliersi la vita. Ieri Massimiliano Dieci, lo specialista che
curava Andrea nel ' 97 e che lo seguiva nella terapia di
mantenimento, ha parlato al pubblico ministero Marco Ghezzi della
malattia che affliggeva il ragazzo, un disturbo ossessivo
compulsivo. Il pubblico ministro ha chiesto allo psichiatra anche
chiarimenti sulla questione del certificato medico di buona salute,
che sarebbe stato firmato dal professionista (ma sul documento sono
in corso accertamenti) e che ha permesso ad Andrea di ottenere la
licenza di tiro sportivo e di acquistare fucili e pistole. A marzo
il ragazzo ne aveva comprate cinque o sei, ma, su pressione della
famiglia, si era convinto a restituire le armi. Aveva tenuto però,
di nascosto, una pistola con due caricatori, quelli utilizzati per
la strage. Per risolvere il problema del segreto professionale che
avrebbe potuto limitarlo nelle risposte, il dottor Dieci si è fatto
assistere da un amico avvocato, Luigi Isolabella. Che lo ha anche
accompagnato in questura. «Sono intervenuto solo per questioni
tecniche legate alla sua professione - spiega il legale -: ora,
grazie alla liberatoria firmata dai genitori, Massimiliano Dieci può
parlare del suo rapporto con Andrea, ma solo con gli investigatori».
Intanto le indagini vanno avanti. Nei prossimi giorni gli
investigatori sentiranno altri testimoni: i vicini di casa di Andrea
e i familiari delle vittime. Potrebbe essere interrogato anche
Fortunato Calabrò, il medico militare che ha rilasciato il secondo
certificato necessario per ottenere la licenza per il possesso delle
armi. Il magistrato, inoltre, ha dato il via libera per i funerali
di Andrea. Si sono svolti ieri: la famiglia Calderini, mamma, papà e
sorella, insieme con un gruppo di amici, si sono ritrovati all'
obitorio di piazzale Gorini a Milano. Poche parole per ricordarlo al
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cimitero di Lambrate. Della malattia di Andrea e delle sue
sofferenze ha parlato il padre, Sergio Calderini, che è intervenuto
ieri sera alla trasmissione Porta a porta: «Anche Andrea è una
vittima - ha detto -, abbiamo fatto il possibile per aiutarlo, ma le
cure sono state sempre private, perché le istituzioni ci hanno
lasciati soli». Poi un cenno al porto d' armi: «E' troppo facile
ottenerlo, le istituzioni devono intervenire». Grazia Maria Mottola
[email protected]
Mottola Grazia Maria
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mercoledì, 14 maggio, 2003
REATI OMICIDI
016
Lo psichiatra dell' omicida: non è mia la firma per il porto d' armi
«Sono addolorato per quello che è accaduto, ma ho la coscienza a
posto»
Milano, Massimiliano Dieci aveva in cura Andrea Calderini. Presto
una perizia calligrafica
MILANO - «Quella firma non è mia». Massimiliano Dieci, lo psichiatra
che aveva in cura il trentunenne milanese che lunedì 5 maggio ha
ucciso la moglie e una vicina di casa, e ha ferito tre passanti
prima di togliersi la vita, non avrebbe riconosciuto la firma che
appare sul certificato medico con il quale Andrea Calderini ha
ottenuto la licenza di tiro sportivo. Nei prossimi giorni gli
investigatori dovrebbero disporre una perizia calligrafica per
accertare o escludere la falsità della firma. Nessuna conferma da
parte dell' avvocato Luigi Isolabella, che assiste il
professionista: «La questione è coperta dal segreto istruttorio. Le
indagini andranno avanti anche sulla base delle dichiarazioni del
mio cliente - ha spiegato il legale -, lui stesso, inoltre, è stato
liberato dal segreto professionale dai genitori di Andrea, ma può
raccontare il rapporto con il ragazzo e parlare delle situazioni che
lo coinvolgono solo per rispondere alle domande degli
investigatori». Il problema della firma è emerso l' altro giorno,
quando il pubblico ministero Marco Ghezzi, titolare dell' inchiesta
sulla strage, ha interrogato lo psichiatra come testimone. Due ore
di colloquio, alla presenza del legale. Lo specialista (che seguiva
Andrea dal ' 97) ha parlato al magistrato della malattia che
tormentava il ragazzo (un disturbo ossessivo compulsivo), delle cure
alle quali veniva sottoposto, di quali erano le sue attuali
condizioni. Non ultima la questione della firma: il certificato
medico presentato da Andrea per il rilascio della licenza di tiro
(che esclude che sia affetto da disturbi psichici, della personalità
e del comportamento, oltre all' assunzione di psicofarmaci), riporta
il suo autografo. Grazie a quel documento Andrea Calderini è
riuscito ad ottenere il permesso di sparare al poligono, ma anche di
acquistare armi. Compresi la pistola e i due caricatori che ha usato
per la strage. Ma lo psichiatra avrebbe dichiarato di non aver mai
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rilasciato alcun certificato. Secondo indiscrezioni, un' eventuale
contraffazione potrebbe essere stata facilitata dal fatto che la
firma del dottor Dieci sarebbe facilmente riproducibile: il medico,
infatti, si limiterebbe a scrivere solo il cognome. Il dottor Dieci,
però, si sente tranquillo: grazie a una serie di elementi pare che
sarebbe in grado di dimostrare che la firma sul certificato di buona
salute presentato da Calderini non è la sua. «Sono addolorato per la
morte di Andrea e per quanto è accaduto - ha spiegato Massimiliano
Dieci -, ma sono sicuro della mia attività professionale: credo di
non aver commesso errori». Non si pronuncia la famiglia Calderini,
che aspetta i risultati delle indagini. Si schiera subito a favore
dell' amico suicida, Fabrizio C., 28 anni, che ha frequentato Andrea
nell' ultimo anno. «Mi sembra strano che sia arrivato al punto di
falsificare una firma - sottolinea -, che bisogno aveva di fare una
cosa del genere? Andrea era preciso: era sempre attento ai documenti
perché non voleva fastidi». Grazia Maria Mottola
[email protected]
Mottola Grazia Maria
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lunedì, 7 luglio, 2003
REATI OMICIDI
016
Porto d' armi all' uomo della sparatoria Medici indagati per
omicidio colposo La vicenda
MILANO - Il 5 maggio scorso Andrea Calderini, un milanese di 31 anni
con problemi psichici, impugnò una pistola e uccise la moglie e la
vicina di casa. Prima di suicidarsi, ferì altre tre persone sparando
dal balcone del suo appartamento a Milano. Ora i due medici che
permisero a Calderini di ottenere la licenza per la pistola sono
ritenuti responsabili indiretti di quelle morti e, per questo, sono
accusati di concorso in omicidio colposo. Secondo l' accusa del
sostituto procuratore milanese Marco Ghezzi, i due professionisti
avevano a disposizione tutti gli elementi diagnostici per capire che
ad uno come Calderini non si poteva concedere di avere armi. Per
questo motivo il magistrato ha iscritto sul registro degli indagati
lo psichiatra Massimo Dieci e Fortunato Calabrò, un medico che
lavora nell' ospedale militare di Baggio. Una contestazione
«ardita», notano gli investigatori, che però ha un precedente in una
vicenda giuridicamente simile che ha superato il vaglio della
Cassazione. Andrea Calderini soffriva per un disturbo psichico
ossessivo compulsivo. Dal 1997 era seguito dal dottor Massimiliano
Dieci che lo trattava con una terapia di mantenimento. Il giovane
amava le armi e le auto veloci. In casa aveva tre pistole, le sole
rimaste di una collezione della quale si era sbarazzato per le
insistenze dei genitori. Deteneva le armi con una licenza per il
tiro sportivo che aveva ottenuto grazie ad un certificato medico nel
quale il dottor Dieci lo dichiarava in buona salute. La firma su
quel documento, sulla cui totale autenticità sono in corso
accertamenti, è costata a Dieci anche l' accusa di falso ideologico.
Con il certificato, Calderini potè poi presentarsi al medico
militare ottenendo il permesso per tenere le armi ed allenarsi nel
poligono di tiro. Dopo la strage, il dottor Dieci aveva dichiarato
che la firma su quel certificato non era la sua. «Sono addolorato
per la morte di Andrea e per quello che è accaduto, ma sono sicuro
della mia attività professionale, credo di non aver commesso
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errori», aveva aggiunto. Evidentemente non la pensa così il pm
Ghezzi, che nei prossimi giorni interrogherà i due medici indagati.
Giuseppe Guastella [email protected] LA STRAGE Il 5 maggio
scorso Andrea Calderini, 31 anni, uccide a colpi di pistola la
moglie e una vicina di casa. Dalla finestra spara ai passanti,
ferendo 3 persone L' OMICIDA Calderini era noto come il «matto».
Terrorizzava il vicinato. Già denunciato era in cura da un
neurologo. Nonostante tutto questo era in possesso di un regolare
porto d' armi
Guastella Giuseppe
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venerdì, 11 luglio, 2003
REATI OMICIDI
049
«Calderini sparava sui muri della camera»
Rapporto ai pm: il padre gli offrì 50 mila euro per distruggere il
porto d' armi
L' inchiesta rileva i tanti allarmi sottovalutati prima del raptus
di follia omicida
Sarebbe arrivato a compilare di suo pugno un certificato medico per
avere il porto d' armi. E per usare pistole e fucili, avrebbe
ingannato il padre, arrivato a dargli 50 mila euro per indurlo a
disfarsi di quella licenza. La Procura di Milano sta per chiudere l'
indagine sulla tragedia provocata, il 4 maggio scorso in via
Carcano, da Andrea Calderini. Che quel giorno uccise una vicina di
casa, la moglie, ferì tre passanti e poi si suicidò. Dalle indagini
emergono particolari e retroscena che fanno pensare a quel
pomeriggio come a una tragedia annunciata. L' elenco dei segnali
ignorati o coperti da chi conosceva Calderini è lungo: liti con il
portinaio, con i vicini e con passanti, almeno un tentativo di
suicidio, un disturbo ossessivo compulsivo conclamato, un fucile
provato contro i muri di casa. Dalle indagini emerge anche la
possibile scintilla della strage: il matrimonio in Usa tra Calderini
e Helietta Scalori, non riconosciuto in Italia, che la mattina della
strage il ragazzo registrò in tribunale. Forse senza dirlo ad
Helietta, e da qui una discussione, un litigio che forse fa scattare
la strage. Gli unici due indagati nell' inchiesta sono i due medici
che, con i loro certificati, hanno consentito a Calderini di
armarsi. I due sono accusati di concorso in omicidio colposo, uno
anche di falso. Mentre i genitori di Calderini dicono: «Vorremmo
parlare con le persone ferite da nostro figlio». SERVIZI a pagina 53
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file:///C|/Documents%20and%20Settings/enrico/Documenti/PR...-07-11%20calderini%20sparava%20sui%20muri%20di%20casa.txt22/05/2006 11.48.08
file:///C|/Documents%20and%20Settings/enrico/Documenti/PROGETTI/S...0il%20padre_abbandona%20le%20armi,%20ti%20darò%2050000%20euro.txt
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venerdì, 11 luglio, 2003
REATI OMICIDI
053
«Abbandona le armi, ti darò 50 mila euro»
Il padre di Calderini tentò di convincere il figlio a non usare più
le pistole, ma l' appello restò inascoltato Un idraulico rivelò che
un tubo di casa era stato forato da un proiettile: l' autore della
strage aveva sparato contro il muro. Il certificato negato dal
medico di famiglia
Nessuno potrà mai spiegare perché il 5 maggio Andrea Calderini
uccise a colpi di pistola la moglie e una vicina e, sparando in via
Carcano a Milano, ferì tre passanti prima di suicidarsi. Ma, a due
mesi da quella tragedia, le indagini praticamente chiuse tracciano
un quadro agghiacciante: troppi segnali, ignorati o coperti da chi
conosceva Calderini, avrebbero dovuto far scattare l' allarme ed
evitare che al giovane fosse rilasciato un porto d' armi. ALLARMI Liti con portinaio, vicini e passanti, almeno un tentativo di
suicidio: tutto per un disturbo ossessivo compulsivo della
personalità che, abbassando la soglia di sopportazione delle
frustrazioni, porta Calderini a comportamenti aggressivi. Sintomi
schizoidi emersero addirittura già dalla visita militare (fu
riformato). SPARI IN CASA - Quando il padre viene a sapere che
Andrea vuole il porto d' armi, offre al figlio 5.000 euro per
rinunciare. Il giovane prende il denaro, ma ottiene lo stesso quell'
autorizzazione. Acquista 4 pistole e due fucili. Dopo che con un'
arma spara in casa contro un muro, forando un tubo del
riscaldamento, il padre chiama un idraulico il quale, fatta la
riparazione, gli rivela il perché di quelle falle. Per convincere il
figlio a disfarsi delle pistole e dei fucili gli promette 50mila
euro. Andrea prende i soldi, vende i fucili e una sola pistola e
distrugge il porto d' armi davanti al genitore. Poi, di nascosto,
chiede un duplicato. MATRIMONIO USA - Potrebbe essere la scintilla
della strage, ma è solo un' ipotesi investigativa. Tre mesi prima,
Andrea Calderini e Helietta Scalori, 22 anni, si sposano a Las
Vegas. Un matrimonio che non vale in Italia e per questo la mattina
del 5 maggio Calderini va a registrarlo in tribunale. Tornato a
casa, ne parla con la ragazza. Una discussione potrebbe aver fatto
file:///C|/Documents%20and%20Settings/enrico/Document...abbandona%20le%20armi,%20ti%20darò%2050000%20euro.txt (1 of 4)22/05/2006 11.48.09
file:///C|/Documents%20and%20Settings/enrico/Documenti/PROGETTI/S...0il%20padre_abbandona%20le%20armi,%20ti%20darò%2050000%20euro.txt
scattare la strage. INDAGATI - Calderini ottiene il porto armi per
tiro sportivo consegnando in Questura un documento rilasciato da
Fortunato Calabrò, medico dell' ospedale militare. Calabrò, a sua
volta, riceve da Calderini due certificati firmati dallo psichiatra
Massimiliano Dieci. Per questi documenti, i due medici sono ora
accusati di concorso in omicidio colposo e, Dieci, anche di falso.
CERTIFICATI - Il primo firmato da Dieci, per l' accusa è palesemente
irregolare. Solo la firma è di Dieci, il resto è stato compilato da
Calderini. Esso esclude che il giovane sia affetto da turbe
psichiche, ma precisa che usa «ansiolitici una volta al giorno»,
dove la parola «ansiolitici» è stata scritta da una terza mano.
Dieci nega di averlo mai firmato (il sospetto del pm è che l' abbia
firmato in bianco), ma ne riconosce un secondo di «sana e robusta
costituzione fisica», inutile per la pratica amministrativa. Per l'
accusa, Calabrò non doveva accettare un certificato «Anamnestico»
che provenisse da un medico che non fosse, come previsto dalla
legge, quello di fiducia e si sarebbe dovuto accorgere delle
irregolarità che conteneva. Calabrò ha dichiarato di aver fatto i
controlli necessari. Gli investigatori sono convinti che Andrea
Calderini non avrebbe mai acquistato armi senza autorizzazione.
MEDICO FAMIGLIA DICE NO - È stato il solo a negare un certificato a
Calderini. Interrogato, ha detto di averlo fatto perché conosceva
poco il suo paziente e solo per avergli prescritto degli
ansiolitici. CAMBIARE LEGGI - Da questa storia il pm Ghezzi trae la
convinzione che sia necessario «migliorare le leggi sulla materia,
mettendo a disposizione di chi deve valutare, ogni elemento sulla
personalità di chi si trova di fronte». Sarà ciò che chiederanno
oggi in Comune i feriti di quella strage. Giuseppe Guastella
[email protected] «Adesso vogliamo parlare con le persone
ferite da Andrea» «Vorremmo fare avere una lettera a Daniela
Zaniboni, non ci siamo riusciti» «Il dolore per la morte di Andrea è
immenso, ma altrettanta è la sofferenza verso chi è sopravvissuto e
porterà per sempre i segni della tragedia». Un carico non
indifferente sulle spalle dei genitori di Andrea Calderini. Un
figlio che si è tolto la vita, dopo aver ucciso la moglie Helietta e
una vicina di casa, Stefania Guaraldi. Una strage con tre
superstiti, di cui due con lesioni permanenti. In poco più di
sessanta giorni dalla sparatoria di via Carcano, mamma e papà
Calderini hanno avuto la forza di scrivere alle famiglie delle
vittime e agli stessi feriti: l' avvocato Giovanni Litta Modignani e
l' ex manager Piero Toso. Per tutti parole di conforto e
condivisione del dolore. «Abbiamo cercato di esprimere i nostri
sentimenti, senza giustificare quello che è successo e tantomeno
file:///C|/Documents%20and%20Settings/enrico/Document...abbandona%20le%20armi,%20ti%20darò%2050000%20euro.txt (2 of 4)22/05/2006 11.48.09
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difendere la memoria di Andrea» spiega la signora Sandra. Una
lettera, però, è ancora nel cassetto. «Avremmo voluto farla avere a
Daniela Zaniboni, ancora in ospedale - sottolinea -, ma ci siamo
trovati di fronte a un muro insormontabile». Diversi in tentativi di
avvicinare la logopedista quarantenne, costretta su una sedia a
rotelle per una lesione alla spina dorsale. In una lettera
consegnata al «Corriere» i Calderini le rivolgono un appello.
«Avremmo voluto esprimerle di persona la nostra partecipazione alle
sue sofferenze - scrivono - ma non siamo riusciti ad avere neanche
notizie sulle sue condizioni di salute». Una preoccupazione
quotidiana come il tormento di sapere che «non ci sono parole
sufficienti per riparare a quanto è successo e che non esiste una
ragione per tanto strazio». Non da meno la difficoltà di «guardare
negli occhi chi ha sofferto e soffre per mano di una persona da noi
tanto amata». Difficoltà che, però, non impedirà loro di
incontrarla: «Faremo di tutto pur di riuscirci». Gra. Mot. «Dovrò
vivere su una carrozzella Non è il momento degli incontri» La
logopedista rimasta paralizzata nella sparatoria: pago errori
commessi da altri «Incontrare i Calderini? Un' emozione troppo
forte. Ora mi devo concentrare per imparare a vivere su una sedia a
rotelle». Niguarda, reparto riabilitazione. Daniela Zaniboni, 41
anni, logopedista, rischia di restare per sempre su una carrozzella.
Il 5 maggio scorso un colpo di pistola l' ha ferita a un braccio, un
secondo le ha attraversato un polmone, scheggiato la spina dorsale,
e si è fermato dall' altra parte del busto: è il proiettile che l'
ha condannata alla paralisi. Almeno per il momento. «In questi due
mesi sono migliorata - spiega -, ma finora nessun medico mi ha
assicurato che recupererò l' uso delle gambe». Si sente la più
penalizzata delle vittime della strage di via Carcano. «Sono quella
che sta peggio di tutti, la mia prospettiva di vita è cambiata, pago
per errori commessi da altri, gente che non conosco, gente che non
ha mai saputo niente di me». Due mesi fa, per caso, la sua esistenza
rimane impigliata nella rete di una sparatoria. Il tempo si ferma e
si ritrova in ospedale. «Dovrò restarci ancora parecchi mesi, ma non
so bene quanto. I progressi sono lenti: ho trascorso un lungo
periodo a letto, ora mi posso spostare sulla sedia a rotelle.
Purtroppo devo essere accudita per il 60 per cento. E faccio
riabilitazione: mi sta insegnando a diventare autonoma». E' l'
impegno prioritario. Poi c' è quello sul fronte della prevenzione.
«Oggi a Palazzo Marino partecipo alla presentazione di un disegno di
legge per rendere più restrittive le norme sul porto d' armi sottolinea Daniela -, lo portano avanti i Verdi, ma l' avrei fatto
per chiunque: la mia speranza è che nessun altro finisca sulla
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carrozzella». Così l' incontro con i Calderini resta l' ultima delle
sue preoccupazioni. «So che hanno cercato di vedermi, ma adesso
vorrei pensare solo a me». Grazia Maria Mottola [email protected]
LA TRAGEDIA Il 5 maggio scorso Andrea Calderini uccise a colpi di
pistola la moglie Helietta Scalori e una vicina di casa I FERITI
Dopo l' omicidio, Calderini continuò a sparare sui passanti, ferendo
tre persone di cui due in maniera grave L' IRRUZIONE Dopo ore, i
Nocs riuscirono ad entrare nell' appartamento di via Carcano: l'
uomo si era sparato un colpo in bocca PROBLEMI PSICHICI Calderini
era conosciuto come «il matto». Da tempo terrorizzava il vicinato
con il suo comportamento violento LE ARMI Nonostante fosse in cura
da un neurologo, Calderini era in possesso di un regolare porto d'
armi
Mottola Grazia Maria, Guastella Giuseppe
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lunedì, 15 dicembre, 2003
VARIE
029
«Processate i due medici dello sparatore di Milano»
MILANO - Chiesto il rinvio a giudizio per i due medici che permisero
di detenere una pistola ad Andrea Calderini, che prima di suicidarsi
uccise la moglie, una vicina e ferì gravemente tre passanti.
Mercoledì, davanti al gip Guido Salvini, sarà affrontata l' udienza
preliminare. Calderini aveva già dato dimostrazione di notevole
aggressività e di squilibrio mentale. Lo psichiatra Massimiliano
Dieci è accusato per aver sottoscritto il certificato, attestando
falsamente di essere medico di fiducia e escludendo che Calderini
soffrisse di turbe psichiche e facesse uso di psicofarmaci. Il
medico militare Fortunato Calabrò, invece, avrebbe rilasciato la
licenza per il porto d' armi basandosi su quel certificato
inadeguato e in buona parte falso perché compilato dallo stesso
Calderini.
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giovedì, 13 maggio, 2004
MEDICINA HANDICAPPATI
024
«Io, paralizzata dal cecchino, senza più lavoro per le barriere»
Milano: ferita nella sparatoria del folle, con la carrozzella non
può tornare nel suo ufficio di logopedista
MILANO - I primi due proiettili, un anno fa, glieli sparò giù dal
balcone un pazzo cui la burocrazia aveva assegnato senza problemi un
porto d' armi: e quelli sono i proiettili che l' hanno paralizzata
dal torace in giù. Dopodiché, per continuare a spararle addosso, è
scesa in campo la burocrazia in persona. Pallottole fatte di carte,
inerzie, impedimenti «di cui al comma» e così via. Ma precise quanto
basta per far sì che Daniela Zaniboni, 42 anni, a sei mesi dal
giorno in cui ha lasciato l' ospedale sulla sedia a rotelle che l'
accompagnerà tutta la vita si trovi nella seguente situazione: a) è
tuttora prigioniera delle barriere architettoniche dell'
appartamento in cui abita, con un contratto d' affitto ormai
scaduto, senza che né il Comune né altri siano riusciti a
trovargliene un altro adeguato; b) giusto questa mattina dovrebbe
tornare al suo lavoro di logopedista, alle dipendenze del medesimo
ospedale dove è stata ricoverata per mesi, ma il suo stesso
ambulatorio le resta di fatto inaccessibile; c) non ha ancora visto
un soldo di risarcimento da nessuno. Così come le altre vittime del
famoso pazzo con la pistola. Il pazzo si chiamava Andrea Calderini:
giovane rampollo di ricca famiglia il quale, con la pistola
regolarmente concessagli malgrado una fila di violenze pregresse, il
5 maggio dell' anno scorso fa fuori una vicina, la moglie, spara dal
balcone a tre passanti poi si ammazza. Il più grave tra i feriti paralizzata per sempre - è appunto lei, Daniela Zaniboni. Che è quel
che si dice una «donna di carattere». Solo una volta, lo scorso
novembre, ha espresso pubblicamente la sua ansia. Quando fu dimessa
dall' ospedale Niguarda per tornare nella suo appartamento al terzo
piano in via Zuccoli, dietro i binari della stazione Centrale: «In
carrozzella non riesco a entrarci...». «Troveremo una soluzione», si
impegnò il Comune. Un gradino fra la strada e il portone, altri
quattro per arrivare all' ascensore: l' Inail ci ha messo un
marchingegno che però richiede una seconda persona ad azionarlo. Per
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entrare e uscire dall' ascensore è la stessa cosa. Il bagno di casa
è un percorso a ostacoli. Posizione in graduatoria per avere un
alloggio, fino allo scorso novembre: duecentocinquantesima. «Il
Comune però - riconosce oggi Daniela - in effetti si è mosso:
purtroppo in modo non risolutivo». Nel senso che una casa senza
barriere gliela aveva trovata: in pieno centro, corso Garibaldi. Il
problema è che Daniela, per l' anagrafe, è una single: e «per
regolamento» non può avere più di un bilocale. Peccato che per
vivere, a causa della sua invalidità, abbia invece bisogno come l'
aria delle due amiche che vivono con lei e che da un anno l'
assistono in tutto: «Non voglio passare per ingrata - si scusa quasi
- ma in quella casa proprio non ci stiamo... ho dovuto rinunciarvi».
Non solo il Comune ma anche alcuni privati, il mese scorso, si erano
messi attorno a un tavolo in cerca di una soluzione: che però,
finora, non è ancora saltata fuori. Giusto oggi, nel frattempo,
Daniela dovrebbe rientrare al suo lavoro di logopedista per l'
ospedale Niguarda. Dovrebbe. Perché anche l' ambulatorio di
otofoniatria infantile, al primo piano di via Ragusa, ora le è
sostanzialmente precluso. È vero, le hanno predisposto un lungo
percorso che, da un edificio adiacente, le consente fisicamente di
arrivarci: ma, una volta lì, la sua stanza degli esami audiometrici
è incompatibile con la sua carrozzella. «L' ufficio tecnico del
Niguarda - dice - ha sintetizzato da mesi in poche cartelle le
modifiche che basterebbero a risolvere il problema. Anche il mio
legale ha sollecitato la direzione a provvedere: finora però senza
risposta». Il risultato è che Daniela al lavoro può anche «andarci»:
peccato solo che non possa svolgerlo. La domanda ulteriore è: chi
paga per una vita ridotta così? La risposta è in due parole: finora
nessuno. La famiglia di Andrea Calderini ha formalmente «rinunciato
a ereditare» qualsiasi cosa lasciata da lui: chiamandosi così fuori,
per legge, anche da ogni obbligo di risarcimento. Un curatore ha
venduto la Porsche, la Ferrari, la casa, nonché una collezione di
orologi da centomila euro dell' omicida: ma il gruzzolo messo
insieme, per varie ragioni burocratiche, non può essere ancora
toccato. A giugno inizierà il processo ai due medici che
«autorizzarono» Calderini al porto d' armi: che purtroppo non sono
comunque assicurati. L' unica cosa sicura allo stato è la polizza
attivata tempo fa dalla Regione Lombardia per le «vittime di fatti
criminali», e che riconosce a Daniela il diritto a 80 mila euro: ma
anche questa pratica, come tutte, ha un suo iter. Che in un anno non
si è ancora compiuto. Paolo Foschini 5 MAGGIO LA STRAGE Andrea
Calderini, 31 anni, in preda ad una crisi uccide la moglie e spara
sui passanti, a Milano, in zona Fiera: una vicina resta uccisa, tre
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i feriti 6 MAGGIO LA DIAGNOSI Tra i feriti c' è Daniela Zaniboni, 42
anni, logopedista, colpita a una spalla e alla schiena. Si profila
subito la possibilità di una gravissima paralisi 11 LUGLIO IN
CARROZZINA La donna esce per la prima volta dall' ospedale: è in
carrozzina. Partecipa alla presentazione di un disegno di legge sul
porto d' armi 9 OTTOBRE LA CASA Il Comune le assegna una casa
popolare senza barriere architettoniche, dove muoversi in
carrozzina. Ma l' assegnazione resta sulla carta 13 MAGGIO IL LAVORO
A un anno dalla tragedia, la donna riprende il suo posto all'
ospedale Niguarda: ma le barriere architettoniche le impediscono di
lavorare I REGOLAMENTI LA CASA L' ampiezza della casa comunale da
assegnare ai disabili viene definita a partire dallo stato di
famiglia: i single hanno diritto a 40 metri quadrati. I problemi
nascono quando i disabili non sono autosufficienti e debbono vivere
con qualcuno accanto: l' alloggio da «single» risulta allora troppo
piccolo, ma il regolamento non prevede eccezioni IL LAVORO Spesso
vengono realizzate quelle strutture minime che consentono al
disabile di arrivare fino al suo posto di lavoro, ma che non lo
mettono nelle condizioni di svolgere appieno la sua professione
Foschini Paolo
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sabato, 9 aprile, 2005
VARIE
020
Sparatoria di Milano Medici condannati
I CERTIFICATI PER LE ARMI
MILANO - Condannati i due medici che fornirono i certificati per la
licenza d' armi ad Andrea Calderini, nel 2003 che uccise due persone
e ferì tre passanti prima di suicidarsi. Lo psichiatra Massimiliano
Dieci e il tenente colonnello medico Fortunato Calabrò sono stati
ritenuti responsabili di avere firmato i nulla-osta senza rispettare
i criteri previsti. Hanno ottenuto la condizionale a patto di pagare
750 mila euro alle parti civili.
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