Casola e tiella

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Casola e tiella
Casöla, tiella, cassoulet: mangiare il contenitore
“Come va, caro Mario?"
“Bene, e Lei?”
“Stasera ho mangiato poco poco, mi spazzolerei una bella tiella”
“Eh? Vuole masticare una teglia? Guardi che poi finisce all’ospedale”.
Equivoco nella comunicazione: Mario, portiere di albergo a Lugano, è di origine pugliese, anzi
tarantina e, per fare lo spiritoso, volevo dire che avrei compensato una cena balorda con un buon
piatto delle sue parti, riso, patate, pomodori e cozze al forno, la tiella, che prende il suo nome dal
recipiente in cui si prepara. Di qui l’ammonimento a non divorare padelle.
Mangiare un buon piatto, bere un bicchiere non vogliono dire certo mandare giù ceramica o vetro, ma
invece mangiare il contenuto del piatto, bere quello del bicchiere.
Questa sostituzione di parole collegate da sfumature di significato, che si chiama metonìmia, sta
all’origine dei molti nomi di cibi che vengono indicati con quello dei recipienti di cottura, da mettere in
tavola. “L’uomo è ciò che mangia” sentenziava Feuerbach, celebre filosofo.
Qualche esempio: la casöla lombarda, verza e maiale, il cassoulet e il pot-au-feu francesi, l’olla
podrida spagnola, carni lesse con verdure, riprendono il nome della casseruola di cottura; la paella
iberica quello della padella; le tante terrine dei francesi e i due diversi ramequin svizzeri al formaggio,
uno romando, l’altro germanico, dai rispettivi contenitori da forno. Metonìmia, bel parolone della
retorica: in fondo è un fatto più banale e consueto che non il suo nome difficile.
Desiderare il cibo è un sentimento, forse il più elementare; ne parla tanto la psicoanalisi di Sigmund
Freud: il seno della mamma, la pappa buona, la torta della nonna, la famosa madeleine di Proust e
via dicendo.
Nelle attività emotive più spontanee, il sogno e il lapsus, si fa avanti l’inconscio, la cantina, la parte
sommersa della coscienza; e l’inconscio, gran burlone, ci manda messaggi, non sempre educati, di
pura vitalità biologica; insomma, siamo in fondo solo animali di rango superiore, o almeno così
crediamo anche se il mio gatto di sicuro non è d’accordo. Per rendere più inoffensivi questi brutali
sentimenti che affiorano la coscienza fa uso di uno strumento, proprio la metonìmia, e così opera le
sue sostituzioni di significati.
Che c’entra tutto questo con paella, ramequin e cassoeula? La fame allo stato puro, l’istinto di
sopravvivenza: “Ho una fame tremenda, mi ingoio la padella”.
L’uomo è ciò che mangia, appunto.
Faliscan
Testo pubblicato in Svizzera nel numero di marzo del periodico "La borsa della spesa", fuori confine
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