Pitidda, la “povera” frittella dolce Zafferana luogo dell`anima

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Pitidda, la “povera” frittella dolce Zafferana luogo dell`anima
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Sapori di Sicilia
Pitidda, la “povera” frittella dolce
Nei ricordi della mia infanzia fanno spicco dei piatti molto
semplici ma estremamente appetitosi. Uno dei miei preferiti era costituito dalle “pitidda”, ricavate da quel che restava
del pane in pasta ben lievitato che – con l’ aggiunta di un pò
di olio d’ oliva – acquisiva la friabilità necessaria per fare
delle soavi frittelle. Ricordo ancora le mani della mamma
impegnate velocemente a elaborare dei tondini di impasto,
che poi si friggevano nell’ olio o nello strutto e si sgocciolavano sulla carta assorbente. Ancora calde e fragranti le
“pitidda” si trasferivano nel piatto di servizio e s’ irroravano
con tiepido miele o, a volte, con zucchero fuso allo stadio
della grande bolla, che si cospargeva di cannella rigorosamente pestata nel mortaio. L’ aggiunta di un pò di scorza di
limone o di arancia grattugiata, completava spesso i piccoli,
rustici capolavori. L’ assalto era immediato e, come succedeva spesso con queste ricette antiche, in pochi istanti le
frittelline erano divorate, per la gioia di bambini, amiche,
amici. La ricetta è facile e veloce e, ancora oggi, se mi capita
di proporla, mi si richiede chissà qual è il segreto celato nella
semplicissima preparazione... Ma le frittelle, nella cucina
catanese, sono innumerevoli; specialmente quelle derivate
dalla cucina cosiddetta povera, che utilizza i prodotti disponibili nella fattoria, i più sani, i più genuini. Basta un ciuffetto
di verdure di campo (cavolicelli, borragine, biete selvatiche...)
sbollentate e, con l’ aggiunta di un uovo sbattuto, un pò di
caciocavallo o di pecorino grattugiato, ecco scaturire una
cascata di polpettine dorate e allettanti. Per i pranzi di magro, un mucchietto di bianchetti o di alici spinate e tritate, l’
uovo che lega il composto, un cucchiaio di farina e il gioco
è fatto. Protagonista la purea di patate, nascono profumate
crocchette arricchite spesso anche con resti di carni tritate
(pollo, tacchino, bollito), prezzemolo e altri aromi. E che
dire del “maccu frittu” ricavato dai resti di pasta, finocchietto
e purea di fave, delle sarde a “beccaficu”, nel cui ripieno
trovano posto persino le uvette, i pinoli, i capperi? E ancora,
nella cucina dolce, le “crispelle di riso” ispirate dalla cucina
dei Benedettini, i “nidi di scuma” in cui i veri protagonisti
sono i “capelli d’ angelo”, leggeri e delicati come una “schiuma”. L’ elenco è lungo e potrebbe continuare: ne riparleremo.
Eleonora Consoli
Ingredienti
- 250 grammi di farina
- un panetto di lievito (o 10 grammi di lievito di birra)
- 1 cucchiaino di zucchero
- 100 grammi di miele
- scorza di limone o di arancia non trattati
- cannella, tritata grossolanamente
- mezzo bicchiere di olio extravergine d’oliva
(o 150 grammi di strutto)
- sale
Con la farina, due cucchiai di olio, lo zucchero, il lievito naturale (o il lievito di birra sciolto precedentemente con un po’
d’acqua tiepida), preparare una pasta liscia e omogenea. Porre la pasta a lievitare per un paio d’ore in luogo tiepido, coperta,
quindi prelevarne dei quantitativi della grossezza di una pallina di ping-pong e spianarli grossolanamente. Riscaldare, in una
padella, l’olio (o lo strutto) e friggervi le “pitidda”, rigirandole perché si dorino da ambo i lati. Scolarle, man mano, e porle su
un foglio di carta paglia, per eliminare il grasso in esubero. Sistemarle sul piatto di portata e irrorarle con il miele fuso,
profumato alla cannella o alla scorza di limone o di arancia.
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Libri in Vetrina
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ni, con i loro corsi e ricorsi storici senza senso: “Guardiano mio malgrado di questo parco estremo, di queste terre eterne di queste
querce e palme, di questi asfodeli e datteri, di
questi fringuelli assorti, pantere fresche e lupi
e iene e cani e cigni, di questi scogli e rupi e
nubi e isole assonnate…osservare indifferente il cavallo che si accoppia con la vacca e il
toro assaggiare le giumente\ slanciarsi senza
fiato o voglia per prati e fiumi e valli, nascondersi fra stelle\ guizzanti e non sapere…non
conoscere il respiro dell’ofide scalfito.”
Domenico Trischitta
Carmelo Panebianco, Giardino celeste,
Salvatore Sciascia editore, euro 10,00
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Catania PROVINCIA Euromediterranea
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Zafferana luogo dell’anima
La poesia di Ezra Pound passa anche per
Zafferana Etnea, ma anche il fatale gallismo
di Brancati, e i bisogni di riposo mentale e
fisico per ignari villeggianti, che a malapena
avvertono la presenza del gigante nero di lava.
Carmelo Panebianco ci vive in questo villaggio che risente degli umori più reconditi del
vulcano, ne avverte la presenza mitologica, ne
fa un luogo dell’anima, universale; come
avrebbe potuto fare un romantico,
puntualizza il critico Giorgio Ficara.
Panebianco, con i suoi tratti orientali, è il
poeta di Zafferana, della sua sublimazione
senza tempo, dello scorrere inevitabile degli
accadimenti naturali, e dei fatti degli uomi-
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