Recensione Avvenire
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Recensione Avvenire
Domenica 1 maggio 2016 ANNO XLIX n° 103 1,50 € VI Domenica di Pasqua Festa del Lavoro Opportunità di acquisto in edicola: Avvenire + Luoghi dell’Infinito 4,20 € Quotidiano di ispirazione cattolica Il 1° maggio/1 Renzi: nuovi patti per rilanciare il Mezzogiorno SERVIZI ALLE PAGINE Il 1° maggio/2 Furlan: necessaria una politica intera non solo i decimali COMMENTO 6E7 A PAGINA w w w. a v v e n i r e . i t Palermo «Uniti nell’antimafia» Richiamo comune ricordando La Torre SERVIZI 2 A PAGINA Il mensile Luoghi dell’Infinito in edicola da martedì «Piero, luce e grazia nella sua pittura» 8 EDITORIALE Il fatto. Nella città martire siriana si combatte senza tregua, non sono IL LAVORO, I SUOI NON-LUOGHI, IL VALORE risparmiati ospedali né luoghi di culto. Ieri strage presso una moschea L'UMANA RICCHEZZA Aleppo, ferita per il mondo LUIGINO BRUNI U na grande utopia del nostro capitalismo è la costruzione di una società dove non ci sia più bisogno del lavoro umano. C’è sempre stata un’anima dell’economia che ha sognato imprese e mercati "perfetti" al punto da poter fare a meno degli esseri umani. Gestire e controllare uomini e donne è molto più difficile che gestire docili macchine e ubbidienti algoritmi. Le persone concrete attraversano crisi, protestano, entrano in conflitto tra di loro, fanno sempre cose diverse da quelle che dovrebbero fare secondo i mansionari, spesso le fanno migliori. Perché siamosemplicemente liberi, esseri spirituali, e quindi sempre eccedenti rispetto ai compiti, ai contratti, agli incentivi. Il mercato veramente perfetto sarebbe allora quel sistema di tecniche, controlli, incentivi, strumenti, finalmente capace di garantire la massima efficienza e la massima produzione di ricchezza, riducendo fino ad eliminare la presenza umana dalle nuove città della nuova economia. Oggi, grazie ai traguardi straordinari raggiunti dall’automazione e dalla digitalizzazione, quell’antica utopia rischia seriamente di avverarsi. Se, infatti, guardiamo bene al clima che si respira dentro le grandi imprese, ci possiamo accorgere che l’obiettivo che si cela dietro la retorica di una certa cultura manageriale (che afferma esattamente l’opposto) è la standardizzazione, la prevedibilità e la formattazione dei comportamenti dei lavoratori, per depotenziarne quella carica di libertà che non può rientrare nella razionalità della tecnica. Si vorrebbero prestazioni lavorative senza i lavoratori, lavoro senza persone, estraendo dall’azione umana solo la sua componente perfettamente orientata agli obiettivi della proprietà. Ridotta alla sua essenza più nuda, è questa la natura della sempre più sofisticata ideologia dell’incentivo, che è la nuova religione del capitalismo postmoderno. Ma quando il lavoro viene ridotto a tecnica e prestazione, quando le organizzazioni diventano così razionali da "costruire" lavoratori che imitano la logica delle macchine, non resta più nulla di quell’attività antropologica primaria che è il lavoro umano, e del suo mistero. E se gli uomini e le donne perdono la loro capacità di lavorare perdono molto, troppo, quasi tutto della loro dignità, del loro essere stati fatti "poco meno di Elohim" (Salmo 8). La realizzazione dell’utopia del lavoro-senza-umani sarebbe allora soltanto l’attualizzazione della perfetta disumanizzazione della vita in comune. E per continuare a vivere, saremmo costretti ad emigrare in massa verso altri terre e altri pianeti dove sia ancora possibile lavorare veramente. I NOSTRI TEMI Analisi La corsa al petrolio un ostacolo alla Libia riunificata GIORGIO FERRARI Bruciano le bandiere italiane a Derna nel corso di una manifestazione contro i continui raid aerei, mentre cresce la tensione fra Tripoli e Tobruk, con una paradossale inversione di ruoli: il governo di unità nazionale frena l’offensiva contro il Daesh pur di non consentire a quello di Tobruk di intestarsi la vittoria. A PAGINA 3 La Giornata La storia chiederà conto a chi non fa SUSAN DABBOUS Piovono bombe sui panifici, sugli acquedotti, sugli ospedali, sulle ambulanze, sui caschi bianchi che scavano tra le macerie. Piovono bombe a Est e si sparano razzi a Ovest. Le scuole nelle zone ribelli sono rimaste chiuse, nelle zone controllate dal governo a chiudere sono stati i luoghi di culto. Il dramma di Aleppo, centro del conflitto siriano, non conosce fine. Ieri altra strage a colpi di mortaio. SERVIZI ALLE PAGINE 16 E 17 ANDREA RICCARDI Migranti. Naufragio nel Mediterraneo. Berlino e altri 5: sospendere Schengen Più volte, dal 2014, abbiamo lanciato un appello per Aleppo: per salvare la città, costituire attorno ad essa una zona di non combattimento, soccorrere la popolazione. Gli appelli, nonostante il sostegno di tanti uomini e donne di buona volontà, sono caduti nel vuoto tra i combattenti sul terreno e nella comunità internazionale. Si sarebbe potuta creare una “città aperta”, preservando un ambiente unico dal punto di vista storico e umano. Non è successo niente. Non interessava fermare tanta distruzione. Così Aleppo è stata demolita pezzo dopo pezzo, mentre la sua gente era sottoposta a un logorante assedio e alla brutalità della guerra. E la follia continua. Molti dispersi in mare Confini ancora sbarrati Caivano, bimba uccisa Nuova tragedia nel Mediterraneo: un gommone è affondato in acque libiche, 26 migranti salvati da una petroliera italiana, decine i dispersi in mare. Intanto, la Germania e altri cinque Paesi dell’Unione europea – cioè Francia, Austria, Belgio, Danimarca e Svezia – intendono prolungare di altri sei mesi a partire dal 13 maggio i controlli di frontiera reintrodotti nello spazio Schengen. A PAGINA 17 Nega l’accusato Mattarella: severa inchiesta L’uomo accusato di avere violentato e ucciso la piccola Fortuna nega tutto. Indagate due donne per falso. Ancora omertà a Caivano. PRIMOPIANO continua a pagina 2 A PAGINA 5 CHIANESE urora TEMPI DI GRAZIA Il caso Il velo femminile tra modernità e integralismo SISTI A PAGINA M 23 Musica Rinasce oggi il suono antico del serpentone BELTRAMI A PAGINA 26 Formula1 Monza in bilico Imola è pronta Oggi Gp in Russia LONGHI A PAGINA 27 aurizio Patriciello è un prete innamorato. Si capisce dal modo in cui parla della sua gente e dall’ora del giorno in cui il pensiero di lei si fa più intenso: quando al tramonto, chiusa la porta della chiesa, spegne le luci e si ritira. L’ora della nostalgia dei naviganti che "’ntenerisce il core" - come recita Dante - è quella in cui il prezzo dell’amare si fa più sentire. Insieme abitano in un angolo di Campania fedele, buono e disgraziato. In chiesa, alla Messa delle dieci, la predica, la fanno i bambini e sono bravissimi a capire le letture. «Non capiscono, però, perché centinaia di persone debbano possedere la maggior parte delle ricchezze, rapinando ai Rosanna Virgili poveri il pane da mangiare». Qui si comincia presto a tribolare con le domande cui non è facile trovare una risposta, col passare degli anni. Diventati adulti, quei bambini lasciano l’altare per ritirarsi agli ultimi posti e restare ad ascoltare, senza più il coraggio di aprir bocca. Pensano che domani sarà Lunedì e pochi di loro andranno al lavoro. Qualcuno teme e trema di cedere alla tentazione di entrare nel giro del disonesto guadagno, pur che sia! Maurizio guarda tutti i loro volti e intanto la giornata avanza. «Si è fatto veramente tardi. Meglio andare a letto. Meno male che il cuore non si addormenta mai». © RIPRODUZIONE RISERVATA A PAGINA 11 «8xmille», una firma per sostenere missioni concrete LAURA DELSERE Da 27 anni è l’appuntamento delle parrocchie italiane con l’8xmille. Oggi, domenica 1° maggio, le comunità danno vita in modi differenti e originali alla Giornata nazionale di sensibilizzazione alla firma. Gli incaricati per il Sovvenire faranno conoscere le opere di carità e pastorale realizzate grazie al contributo di tutti i fedeli italiani. A PAGINA 20 Ultime notizie dell’uomo Ma se vuole crescere una società sente l’urgenza del dialogo FABRICE HADJADJ Una brava donna mi ha fatto di recente una confidenza: «Dialogare, va bene; ma devo ammettere che mi riesce meglio con Pepette che col mio vicino». Preciso che Pepette è un barboncino nano femmina, di colore albicocca e toelettatura "alla leone" e questo fatto conferisce alla precedente affermazione una profondità particolare. A PAGINA 24 23 Domenica 1 Maggio 2016 anzitutto “Luoghi dell’Infinito”, sul numero di maggio CULTURA, RELIGIONI, TEMPO LIBERO, SPETTACOLI, SPORT uno speciale dedicato a Piero della Francesca iero il magnifico, il misterioso, Piero architetto, avanguardista, primitivo. La ricchezza inesauribile della pittura di Piero della Francesca ha dato adito a una miriade di interpretazioni. La fortuna del pittore di Sansepolcro, di cui quest’anno ricorre il sesto centenario della nascita, accomuna Rinascimento e Novecento. Alla sua pittura di luce e di Grazia è dedicato lo speciale del nuovo numero di “Luoghi dell’Infinito”, mensile di cultura, arte e itinerari, in edicola con “Avvenire” da martedì 3 maggio. L’editoriale dello scultore e poeta Massimo Lippi evoca la “santità” del colore e delle P E forme di Piero della Francesca. Antonio Paolucci tratteggiare invece il suo ritratto di Piero. Franco Cardini affresca lo scenario storico su cui si muove l’artista, il Quattrocento italiano. Piero è stato anche un grande matematico e autore di opere di valore scientifico sulla rappresentazione prospettica: lo racconta Saverio Hernandez. Elena Pontiggia si sofferma sul ruolo avuto dall’arte pierfrancescana nella costruzione del Novecento. Paolo Simoncelli accompagna infine in una lunga passeggiata tra le bellezze di Forlì, città che ospita nei Musei San Domenico una mostra dedicata al “mito” di Piero. L Z E V I R O DONNE, I DIRITTI CONQUISTATI PASQUALE MAFFEO significativo che una donna e non un uomo abbia finalmente posto mano a una ricognizione estesa a investire cinque secoli di storia italiana, dilatata su orizzonti europei e nordamericani, per identificare coordinare e omologare in un discorso accusatorio le tracce di sofferenze e riscatti che le donne più avvertite e coltivate hanno lasciato indelebili lungo frontiere di impegno umano rivendicando in faccia al mondo la dignità e il diritto di produrre apporti e contributi civili che il malinteso maschile aveva rifiutati già nell’ipotesi che potessero esserci: è Alessia Lirosi con la sua puntuale documentata e organica ricostruzione Libere di sapere (Edizioni di storia e letteratura, pagine 320, euro 18,00). Il sottotitolo, “Il diritto delle donne all’istruzione”, apre allo spirito moderno che lucidamente e giustamente rivendica il ruolo di piena dignità che il talento femminile deve acquisire e svolgere sia in ambito domestico sia in ambito pubblico, con parità di diritti e di doveri, in una coniugazione collaborativa che la storia dominata dal potere maschile aveva troppo a lungo ignorata. Sia detto subito, a illuminare di verità redentiva l’ascesa, che Dio aveva sancito in Cristo e nelle donne che lo seguirono e lo amarono con purezza di cuore la necessità unitaria del vivere insieme, proprio come Adamo non poteva vivere senza la sua costola divenuta Eva. Anche se Niccolò Machiavelli sosteneva: «E tutte le donne hanno alla fine poco cervello; e come ne è una che sappi dire due parole, e’ se ne predica, perché in tra di ciechi chi vi ha un occhio è signore (La mandragola, atto terzo, scena nona). Ma a smentire il fiorentino proprio nel suo tempo vi furono l’umanista veronese Isotta Nogarola (14181466) e Cassandra Fedele, donna tra le più colte del primo Rinascimento (1465-1558), mentre in Inghilterra la figlia di Tommaso Moro, Margaret Roper, scriveva opere in latino. Ma la pedagogia voleva allora la donna in casa o in monastero. Perché la penna è più potente della spada. Poi un decreto del Concilio tridentino impose ai parroci di insegnare un catechismo che interpretasse il volere di Dio. Così, a partire dal Cinquecento, fu richiesta la capacità di lettura per le monache coriste. Il continuo sforzo per garantire l’alfabetizzazione di base in Europa e in America del Nord fu la risposta ai mutamenti economici e sociali che stavano trasformando il secolo. Quell’adozione significò ridurre la criminalità e il disordine, incrementare la produttività economica, instaurare un senso di moralità. In tale scenario evolutivo, nel 1864 Anna Maria Mozzoni pubblicò La donna e i suoi rapporti sociali, nella quale chiedeva istruzione, lavoro, vita in città, espressione di opinioni che contassero non meno di quelle maschili. Ma l’Ottocento continuava a sostenere che per missione la donna fosse destinata a essere madre sorella e sposa. Solo nel 1874 le donne italiane furono ammesse a frequentare corsi universitari. Tra il 1877 e il 1900 si contarono 257 lauree conseguite da donne, tra esse Maria Montessori, in medicina. Nondimeno, la battaglia non era vinta. Nel 1901, su cento donne, sessantadue erano ancora analfabete. Durante il ventennio fascista venne esaltata la figura della donnamassaia prolifica da una parte e la figura dell’uomo-soldato dall’altra. Solo nel 1948 si ebbe la “Dichiarazione universale dei diritti umani”: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza». Notevole fu poi la “Convenzione contro ogni forma di discriminazione” nell’istruzione adottata dalla Conferenza generale dell’Unesco nel 1960 ed entrata in vigore nel 1965. La prima Conferenza mondiale sulle donne ebbe luogo a Città del Messico nel 1975: lo spirito che la orientava è rintracciabile in un proverbio africano: «Educare un ragazzo significa educare una persona, educare una ragazza significa educare una nazione». È © RIPRODUZIONE RISERVATA VELO Tra modernità e integralismo ROSSANA SISTI l 6 giugno 2015 un fotografo immortala l’esplosione di felicità di una giovane donna siriana nell’atto di sfilarsi dalla testa il velo nero integrale a bordo di un pick-up in fuga dai territori occupati dal Califfato. E non è la sola; le telecamere documentano altre donne arrivate nella zona curda attorno a Kobane, che con urla di gioia si strappano il velo integrale e lo gettano nella polvere, mettendo in mostra visi raggianti e abiti dai colori sgargianti. Per i social network quella è diventata “l’immagine della libertà”. Ed è stato facile per molti leggere in quel gesto di rifiuto del velo, il coraggio della ribellione delle donne islamiche, vittime di un sistema di sottomissione al potere maschile. Ma la questione velo non è così semplice – né può essere ridotta a un problema di pura emancipazione femminile –, lo dimostra il dibattito che si è riacceso dopo gli attacchi terroristici di Parigi e di Bruxelles e che in molti casi ha fatto del capo coperto delle donne il simbolo della minaccia islamica alla sicurezza e ai valori dell’Occidente. Ci voleva la sensibilità e il sapere di una storica come Giulia Galeotti per portar fuori il tema del velo sul capo delle donne dalle pastoie dell’ideologia e dello scontro. Per riarticolarlo in una analisi degli innumerevoli “significati di un copricapo femminile” – sottotitolo del suo saggio Il velo (Edizioni Dehoniane; pagine 228; euro 16,50) – in diversi contesti religiosi e sociali. Una lettura di ampio respiro che guarda al di là dell’immagine di una femminilità schiacciata e incapace di emanciparsi. Perché, ricorda Giulia Galeotti, la storia delle donne velate «è insieme una storia di costume, prassi, spiritualità, fede, identità personale e collettiva» e deve te- I Il caso In un saggio di Giulia Galeotti i molteplici significati del copricapo femminile nella storia: un simbolo di appartenenza ma anche di emancipazione e libertà ner conto «del complesso significato che il velo ha assunto nella vita delle credenti, siano esse ebree, cristiane o musulmane». È su questo terreno che si approda a un primo punto fermo: «la prescrizione del velo femminile non è costitutiva delle religioni monoteiste». Non lo è per l’ebraismo, dove è invece vincolante che sia il capo dell’uomo a dover essere coperto – con il tradizionale zuccotto, la kippah – durante le preghiere o lo studio dei testi sacri, in segno di rispetto per la divinità. Benché la Bibbia sia piena di racconti di donne velate e benché le donne ortodosse usino copricapo, cappellini e persino parrucche o l’inconfondibile tichel, il fazzoletto legato sulla nuca, non c’è un obbligo al femminile. Coprirsi è piuttosto segno di pudore e modestia. Il velo, dopo secoli di imposizioni, oggi non è più un obbligo neppure per le donne cristiane. Da storica Giulia Galeotti ricostruisce la ritualità del dono del velo alla monaca il giorno della consacrazione. Segno della verginità della sposa esclusiva di Cristo, sottratta così allo sguardo di altri possibili pretendenti e restituita al solo sguardo di Dio. «Una specie di clausura nella clausura – come spiega la madre benedettina Anna Maria Canopi, fondatrice dell’abbazia Mater Ecclesiae sull’Isola di San Giulio del lago d’Orta – poiché anche all’interno del monastero la monaca ha u- no stile di vita e un modo di relazionarsi con le altre claustrali molto riservato». Consuetudine che non ha niente di opprimente: per quel suo essere sigillo della purezza, del pudore, dell’umiltà, della generosità e dell’intensità «con cui la claustrale fa dono di sé a Dio per tutti, rimanendo nascosta, per essere del tutto gratuita», il velo è amato e portato devotamente. Acconciato in modo diverso da ogni ordine, scelto nel colore e nel tessuto a indicarne l’appartenenza, il grado gerarchico, la funzione e il momento della giornata, ha attraversato secoli arrivando al radicale giro di boa del Concilio Vaticano II che, nel rivalorizzare gli aspetti spirituali essenziali della vita delle comunità monastiche, ha semplificato gli aspetti esteriori. Tanto che oggi, mentre le vesti e i colori si sono moltiplicati, il velo non è più obbligatorio, neppure per le donne laiche per le quali fino al Concilio valeva la norma canonica del capo coperto. E se sopravvive nelle funzioni è in segno di devozione e rispetto. Del resto nel nostro Paese il fazzoletto, il foulard, il velo per le spose, per il lutto o come elemento di seduzione, ha accompagnato nei secoli infinite generazioni di donne, del popolo e dell’aristocrazia. Così come il velo femminile fa parte della tradizione araba ancor prima della nascita dell’islam. Ma, mentre in seguito al Concilio il velo cristiano si è e- mancipato sul piano simbolico e normativo, ricorda la storica, e mentre anche nella Chiesa la condizione femminile sta lentamente cambiando, nel mondo islamico questo passaggio stenta a decollare. Addentrandosi tra le contrapposte interpretazioni di alcuni passaggi del Corano a proposito dell’obbligo di coprirsi la testa, analizzando il significato e il ruolo della hijab – il grande foulard che nasconde il capo e il collo ma lascia libero il viso – Galeotti cita autorevoli studiosi ed eruditi per spiegare che il velo non ha mai rappresentato «un dogma nell’islam, un’obbligazione giuridica o un simbolo religioso, anche se oggi lo si vuole far passare come tale». Invenzione del XIV secolo, come segno distintivo e di riconoscimento dell’identità musulmana, al tempo dell’invasione di Bagdad dei mongoli di Gengis Khan, il velo ha rappresentato una reazione difensiva e di controllo di una comunità costretta a misurarsi con l’esterno. Particolare da cui bisogna ripartire per capire i tanti e diversi motivi che spingono oggi le donne a velarsi nei loro Paesi e in Occidente. Questione di devozione, bisogno di visibilità e simboli di appartenenza, desiderio di tranquillità o scatto d’orgoglio? Imposizione o libera scelta, atto di sottomissione o ribellione agli standard occidentali? Integralismo o modernità? Certamente un ventaglio di opzioni a più sfumature in cui la fiera adesione al simbolo dell’islam, magari in risposta alle difficoltà di integrazione in Occidente, sembra prevalere rispetto all’espressione di sottomissione che diamo per scontata. Una scelta diversamente motivata ma consapevole, rispetto a quella che abbiamo pensato fosse l’unica via del velo: nascondere, separare, schiacciare, rendere invisibile… © RIPRODUZIONE RISERVATA