Dura la vita, Paolino…

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Dura la vita, Paolino…
EDITORIALE
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RIALE
Di Massimo Vallini
Dura la vita, Paolino…
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Finché sei un
atleta
vincente va tutto bene,
puoi anche contare sulla
“mafia” che
governa
il gruppo. Ma se sei un
dirigente sportivo che
non vince più, la sorte
si accanisce
opo gli straordinari successi della carriera agonistica, la vita
del dirigente sportivo non è tutta rose e fiori. Anche se sei
chiamato a fare il ct della Nazionale azzurra. Professionista
dal 1997 al 2008, Paolo Bettini è stato campione olimpico su strada ai
Giochi di Atene 2004 e campione del mondo di specialità nel 2006 e nel 2007, argento
nel 2001. Il suo anno migliore fu il 2003, quando vinse Milano-Sanremo, Giro del
Mediterraneo, Hew Cyclassics e la Clásica de San Sebastián. In carriera ha vinto per tre
volte consecutive la Coppa del mondo (2002-2003-2004), unico ciclista a essere riuscito
nell’impresa.
Ha vinto tanto, Paolino, in azzurro e in prima persona. Dal 2010, nebbia
fitta. E ce ne dispiace. Perché ha avuto anche idee buone, come i raduni o
la fiducia nei giovani. Ma forse è stato un po’ vittima del momento. Dopo
il quarto posto di Pippo Pozzato a Melbourne 2010, è successo che la Federciclismo gli
ha imposto di non convocare corridori che avevano riportato squalifiche per doping e
ha dovuto rinunciare ad Alessandro Petacchi che a Copenhagen avrebbe potuto dire la
sua. Almeno partecipare alla volata… E il nostro movimento, in questo momento storico,
manca di un campione che possa solo sfiorare le qualità di Bettini.
Qualche segnale che le cose non stavano girando benissimo al ct era già
arrivato. A cominciare dall’ammaraggio di fortuna con l’ultraleggero a fine agosto. Poi,
appena prima di Copenhagen, quei due milioni da restituire all’Agenzia delle entrate per
chiudere il processo per evasione. E, infine, la squadra britannica che improvvisamente
passa da 3 a 8 componenti e porta in carrozza Mark Cavendish al titolo iridato… con
Bennati imbambolato e chiuso prima dello sprint.
Insomma, quando le cose non girano, non girano. E sì che Bettini ha
sempre affrontato a viso aperto ogni problema, uscendone rafforzato:
la malasorte, le disgrazie, i percorsi difficili, i rivali ostici, le atmosfere ostili (ricordate il
Mondiale a Stoccarda?). Finché sei un atleta vincente va tutto bene, puoi anche contare
sulla “mafia” che governa il gruppo. Ma se sei un dirigente sportivo che non vince più,
la sorte si accanisce. O forse sono i “poteri forti” ad accanirsi? Adesso ci mancava
giusto l’accusa di abuso d’ufficio, nell’ambito di un’inchiesta della procura padovana, per aver avvertito di controlli antidoping un atleta. Bettini si
è detto allibito: «Nell’ambito delle mie funzioni di commissario tecnico e in accordo con
la federazione ho avvertito tutti i corridori del controllo a tutela della salute per evitare che
alcuni di loro giungessero in ritardo per gli esami. Lo faccio sempre». La Federazione ha
puntualmente confermato: «È specifico compito del commissario tecnico, nell’ambito delle
funzioni e nel rispetto delle direttive federali, secondo protocolli approvati dalla Federazione stessa, avvertire gli atleti di detti accertamenti medici. La Federazione auspica che non
vi siano strumentalizzazioni legate a quanto sopra citato, in rispetto dell’alta professionalità e dell’immagine in primis di Paolo Bettini e dell’intera Fci che fa della lotta al doping
uno degli elementi imprescindibili della propria attività in generale nonché dell’intero
movimento ciclistico».
Si era detto pronto a togliere il disturbo, Bettini, ma Renato Di Rocco l’ha
già confermato. Ha una bella gatta da pelare, forse più d’una. Ma il carattere giusto per riuscire. Intanto dovrebbe cercare di insegnare ai suoi
come farsi rispettare dal gruppo.
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