Georgescu-Roegen e la decrescita - Omero

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Georgescu-Roegen e la decrescita - Omero
Un “eroe della discesa”. Nicholas Georgescu-Roegen e la decrescita
“Dobbiamo elaborare una economia della sopravvivenza, anzi
della speranza, la teoria di un’economia globale basata sulla
giustizia, che consenta l’equa distribuzione delle ricchezze della
Terra fra i suoi abitanti, attuali e futuri.”
(dal “manifesto” per una economia umana, ottobre 1973)
Il decimo anniversario della scomparsa di Nicholas Georgescu-Roegen, il grande
economista rumeno teorico della bioeconomia, è passato nella più totale dimenticanza da
parte di tutta la stampa e delle stesse corporazioni accademiche degli economisti. Come la sua
morte, del resto, avvenuta il 30 ottobre 1994 negli Usa, a Nashville nel Tennessee. Il liberale e
democratico mondo intellettuale dell’occidente, così pronto a schierarsi a difesa del dissenso
nei paesi del socialismo reale, si è rivelato ugualmente pervaso da un pensiero unico, in
questo caso quello neoliberista, e propenso a rinchiudere dietro una cortina di silenzio i propri
dissidenti. In maniera certamente più “civilizzata”, senza ricorrere a trattamenti psichiatrici:
relegando Georgescu-Roegen in una piccola università di provincia, negandogli ostinatamente
il premio Nobel, cacciandolo dalla prestigiosa American Economic Association, che pure nel
1972 l’aveva onorato del titolo di “Distinguished Fellow”, cancellando la memoria della sua
vita e della sua morte.
Pensando alla sua figura, e al filo rosso che ha caratterizzato i suoi studi e le sue attività
di economista e di intellettuale, la “decrescita”, come conseguenza inevitabile dei limiti
imposti all’umanità dalle leggi della natura e come strada necessaria per la sopravvivenza e
l’uguaglianza, viene un richiamo immediato alle pagine che alla crescita, come metafora di
fondo dell’ideologia occidentale, ha dedicato James Hillman nella sua opera Kinds of Power.
Come Hillman, Georgescu-Roegen ci invita a “ coltivare il potere di fermarsi ed entrare in
noi stessi per andare in fondo ai problemi; diventare “eroi della discesa, maestri della
maturità “, persone che sanno “reggere la tristezza e restare fermi nelle situazioni difficili” 1.
Come gli eroi leggendari del mondo antico, da questa sua discesa nel mondo infero per
apprendere valori altri rispetto a quelli dominanti che lo circondavano alla luce del sole,
anch’egli è ritornato con uno sguardo più cupo capace di vedere in un tempo oscuro.
Nicholas Georgescu-Roegen era nato nel 1906 a Costanza, sul Mar Nero, da una modesta
famiglia rumena. Dopo aver studiato matematica e statistica a Parigi, lavora con Schumpeter
negli Usa e torna poi in Romania come professore universitario. Lascia la Romania nel 1948 e
con la famiglia si trasferisce definitivamente negli Usa, alla Vanderbilt University di
Nashville, dove insegnerà economia fino al 1976 e poi resterà fino alla morte come
professore emerito. Membro importante della American Economic Association, diviene
celebre nel 1971, quando pubblica il fondamentale studio The Entropy Law and the Economic
Process 2, che contiene una critica radicale dell’industrialismo e del dogma della crescita
economica. Considerato da tutti difficile, ma anche una vera e propria “miniera di idee”3,
questo libro non è mai stato tradotto in italiano. Le implicazioni pratiche delle sue tesi
1
J. Hillman, Kinds of Power, 1995, trad.ital. Il potere, Milano, Rizzoli, 2002
2
N. Georgescu-Roegen, The Entropy Law and the Economic Process, Cambridge-MA, Harvard University
Press, 1971.
3
G.Nebbia, Nicholas Georgescu-Roegen (1906-1994), in „CNS“, 2002
1
eterodosse sono poi espresse in particolare nel suo più celebre articolo iconoclasta L’énergie
et les mythes économiques 4, che darà il titolo anche al suo ultimo libro 5.
Dissidente della scienza economica dell’occidente, Georgescu-Roegen tenta con la sua
bioeconomia di fondare scientificamente una conciliazione tra economia, ecologia, biologia e
termodinamica. La scienza economica non può prescindere dalla fisica e dalla leggi naturali,
ed in particolare dal secondo principio della termodinamica: alla fine di ogni processo la
qualità dell’energia tende sempre a degradarsi. I processi produttivi però non impoveriscono
soltanto la disponibilità futura di energia, ma anche quella dei beni naturali utilizzati, poiché
ogni produzione di merci genera una quantità ancora più grande di scorie. Soltanto una scelta
politica che si fondi sulla bioeconomia può dar vita ad un sistema economico che tenga
costantemente conto delle risorse naturali consumate e delle scorie prodotte, evitando o
rallentando l’aumento dell’entropia del pianeta.
Negli stessi anni in cui Georgescu-Roegen lanciava la sua proposta di bioeconomia, in
alcune parti del mondo scientifico internazionale si diffondeva la consapevolezza della
necessità di porre un limite alla crescita della pressione produttiva ed antropica
sull’ecosistema terrestre. La crescita economica incontrollata nell’occidente del secondo
dopoguerra, la decolonizzazione vincente nelle risaie del Vietnam contro le tecnologie del
napalm, l’aumento della popolazione nei paesi del sud del mondo6, e da lì a poco la crisi
petrolifera, esigevano un ripensamento globale dei problemi economici, demografici ed
ambientali. Su invito del Club di Roma, che raccoglieva personalità del mondo scientifico,
economico e industriale, il System Dynamics Group del Massachusetts Institute of
Technology (MIT) produceva all’inizio del 1972 un rapporto sui “limiti dello sviluppo”7. Con
l’impiego delle nuove opportunità offerte dai calcolatori elettronici, il gruppo statunitense
simulava in un modello matematico globale le interazioni tra popolazione, economia ed
ambiente, cercando di definire i limiti fisici imposti dall’ecosistema terrestre alla crescita
economica e demografica. Si diffondeva quindi l’idea della necessità di una società
“stazionaria”, che ponesse una prospettiva di “crescita zero” alla crescente moltiplicazione del
genere umano e alla sua attività materiale sul pianeta.
Di fronte a queste ipotesi, la posizione di Georgescu-Roegen si muove in una direzione
di maggiore radicalità: per sopravvivere sul pianeta Terra, che ha dimensioni e risorse
limitate, la produzione e l’uso di beni materiali non solo non possono continuare a crescere, e
4
N.Georgescu-Roegen, L’énergie et les mythes économiques, in “Southern Economic Journal”, gennaio 1975.
5
N.Georgescu-Roegen, Energy and Economic Myths: Institutional and Analytical Economic Essays, New York,
Pergamon , 1976. Il libro è stato tradotto anche in italiano: Energia e miti economici, Torino, Bollati Boringhieri,
1998.La conoscenza in Italia del pensiero e dell’opera di Georgescu-Roegen si deve in particolare all’attività di
due docenti universitari di Modena e Bologna, Mauro Bonaiuti e Stefano Zamagni (M.Bonaiuti, La teoria
bioeconomica. La nuova economia di Nicholas Georgescu-Roegen, Roma, Carocci, 2001; S.Zamagni,
Georgescu-Roegen, I fondamenti della teoria del consumatore, Etas 1979; ID. Il non profit come economia
civile, Bologna, Il Mulino, 1998) oltre a quella più “militante” legata a Giorgio Nebbia e al nascente
ambientalismo italiano.
6
Il mondo uscito dalla seconda guerra mondiale conteneva poco più di 2 miliardi di persone, nel 1970 si
avvicinava ai 4 miliardi. In particolare era aumentata la popolazione dei paesi del “Terzo Mondo”, e l’occidente
diventava, e per la prima volta avvertiva di essere, demograficamente sempre più piccolo.
7
AA.VV., I limiti dello sviluppo, Arnoldo Mondatori Editore, Milano, 1972. In realtà nel titolo inglese figurava
il termine “crescita”, anziché sviluppo, a dimostrazione che la confusione tra i due termini, ancora oggi non
risolta, ha una lunga storia, nonostante la distinzione tra crescita e sviluppo stabilita in passato dall'economista
François Perroux, distinzione sulla quale si fonda l'economia dello sviluppo negli anni '50 e '60 (François
Perroux, L'Economie du XX siècle, Puf, Parigi, 1961)
.
.
2
non basta neanche che diventino stazionari, devono invece diminuire. Secondo lo studioso
rumeno, uno stock di risorse limitate si esaurisce inesorabilmente anche se il loro consumo
cessa di crescere e quindi non è sufficiente neanche la proposta del Club di Roma. Neanche
l’energia solare riuscirà a risolvere i nostri problemi, perché la sua cattura con macchine
umane richiede un impiego di materiali, e quindi di energia, che può superare la quantità di
energia prodotta dalle “macchine solari”. Come conseguenza inevitabile dei limiti imposti
dalle leggi della natura, ci si deve porre l’obiettivo della “decrescita”8. Un messaggio
pessimista, quasi disperato. Georgescu-Roegen non lascia molte speranze alla salvezza umana
futura, ma se non si cambiano le attuali regole economiche e non si torna indietro, una
catastrofe dovuta alla scarsità di risorse naturali arriverà non tra secoli, ma tra decenni.
Questo pessimismo cosmico di Georgescu-Roegen trovava il suo canto della Ginestra
nell’ottobre 1973, in un “manifesto” redatto insieme a Kenneth Boulding e Herman Daly, e
firmato poi da oltre 200 economisti fra cui Kenneth Arrow, Robert Heilbroner, Ernst
Schumacher, David Pearce, Ignacy Sachs, Bertrand de Jouvenel9. Come si può vedere, dietro
questo manifesto si ritrovano i nomi che in quegli anni e nei decenni successivi porteranno
contributi fondamentali nel campo dei rapporti tra economia ed ambiente, dei movimenti
pacifisti e antinucleari, delle elaborazioni concrete sul concetto di sviluppo sostenibile10.
Pervaso da un forte afflato sociale, il manifesto, che riportiamo in appendice, presenta ancora
oggi significativi elementi di attualità, con una precoce capacità di individuare gli attuali nodi
strutturali del rapporto tra nord e sud del mondo, con la necessità più volte riaffermata di
trovare una soluzione al problema della sopravvivenza dell’umanità all’interno di un percorso
di giustizia sociale e di pace.
La grande fioritura di interessi e di studi sui rapporti tra economia ed ambiente negli anni
’70 e nei primi anni ’80, che rifletteva un finale di partita ancora incerto e prospettive
“plurali” di soluzione politica, come dimostra ad esempio il Rapporto Brandt, si irrigidisce
negli ultimi decenni in un pensiero unico neoliberista che legittima scientificamente a livello
politico una globalizzazione basata sulla libertà totale di circolazione accordata ai capitali
finanziari. Questa libertà doveva assicurare un impiego ottimale delle risorse in tutti i paesi, e
tutte le popolazioni ne avrebbero tratto vantaggio in termini di sviluppo economico, a
condizione che accettassero di aprire le proprie frontiere e di inserirsi nel mercato mondiale.
Al tempo stesso, la comunità internazionale, l’Onu in primo luogo, prende coscienza
dell’impatto crescente dello sviluppo economico sugli ecosistemi: inquinamento dell’aria e
dell’acqua, degradazione dei suoli, desertificazione, riduzione di risorse non rinnovabili,
diminuzione delle diversità biologiche, cambiamenti climatici. E’ in questo contesto che si
impone il concetto di sviluppo sostenibile, che avrebbe dovuto assicurare lo sviluppo dei più
poveri del pianeta e la salvaguardia degli equilibri ecologici.
Il concetto di sviluppo sostenibile si diffonde e acquista concretezza all’interno di questa
nuova realtà, e ne subisce tutti i condizionamenti, rivelandosi spesso come un puro fiore
all’occhiello di politiche incapaci di affrontare alla radice la dimensione globale dei rapporti
8
N.Georgescu-Roegen, Demain la décroissance, Lausanne et Paris, Ed. Pierre-Marcel Favre, 1979 ; nuova
edizione con un titolo diverso : La décroissance. Entropie, écologie, économie, Sang de la Terre, Paris 1995 (ora
anche disponibile in edizione elettronica all’indirizzo : su Internet).
9
Il “manifesto” fu presentato alla riunione annuale del dicembre1973 dell’American Economic Association
(American Economic Review, 64, (2), p. 447 e 449-450 (maggio 1974). La traduzione italiana fu fatta circolare
nel novembre 1973 nel corso della riunione annuale della Società Italiana degli Economisti, a Roma, e, firmata
tra gli altri da Gianni Cannata, Pietro Dohrn e Giorgio Nebbia.
10
In particolare, su quello straordinario studioso che è stato Kenneth Ewert Boulding,, con una vita per molti
aspetti simile a quella di Georgescu-Roegen, si veda il sito internet a lui dedicato:
http://csfColorado.edu/Authors/Boulding.
3
tra economia ed ambiente. La crescita, che insieme al progresso tecnologico avrebbe dovuto
permettere di produrre una maggiore quantità di beni utilizzando minori quantità di materia e
di energia, non riesce ad avere effetti benefici sull’ambiente. Il consumo assoluto di numerose
risorse strategiche continua infatti ad aumentare, poiché sebbene migliori l’efficienza
energetica, ancor di più aumenta il consumo totale di energia, che deve soddisfare un livello
sempre crescente dei consumi Le disuguaglianze tra paesi arricchiti e paesi impoveriti
aumentano vistosamente: lo scarto tra il 20% dei più impoveriti e il 20% dei più arricchiti era
da 1 a 30 nel 1960 mentre oggi è da 1 a 80., Favorito dalle politiche della Banca Mondiale e
del Fondo Monetario Internazionale, il debito esterno, ed in particolare il pagamento del
servizio del debito, strangola le economie del sud del mondo, provocando un circolo perverso
di sfruttamento accelerato delle risorse e di degrado ambientale. All’interno stesso dei paesi
arricchiti aumentano le disuguaglianze sociali e la precarietà dell’occupazione, che non
vengono surrogate neppure con un miglioramento della qualità della vita.
Nasce da questa nuova realtà un rinnovato interesse per la parola d’ordine di Nicholas
Georgescu-Roegen, la “decrescita”, come progetto di una economia sostenibile che produca
realmente beni utilizzando meno materia e meno energia. Ciò non significa e non può portare
a credere, come hanno fatto alcuni superficiali interpreti di Georgescu-Roegen, che questo
implichi una riduzione della produzione mondiale o persino una diminuzione del benessere
delle persone. Secondo i sostenitori di questa prospettiva, si tratta piuttosto di cominciare a
pensare e a realizzare una revisione profonda delle preferenze di consumo e del modo di
concepire la produzione del valore economico11, a partire ad esempio dalla produzione di
armi. Si ritiene necessaria una trasformazione profonda dell’immaginario economico e
produttivo, che permetta lo spostamento della domanda di produzione da beni tradizionali ad
elevato impatto ecologico, verso beni di economia civile, di economia “umana”, verso la
produzione di “beni relazionali”12, che soddisfano la domanda di qualità della vita e
permettono di garantire, attraverso servizi alla persona, di assistenza, culturali,
un’uguaglianza di diritti dei cittadini.
La prospettiva della decrescita non può d’altra parte essere applicata in maniera rigida:
ai paesi impoveriti che hanno necessità di avviare la crescita per soddisfare i loro bisogni
essenziali, ed ai paesi arricchiti, dove comunque l’economia neoliberista impone attualmente
una certa decrescita, soprattutto quella di beni e servizi sociali13 come trasporti pubblici,
sanità, scuola, aiuto agli anziani. Il dibattito va quindi allargato ed approfondito, introducendo
elementi di coesione e non di conflitto con i paesi del sud del mondo, Come contributo a
questo dibattito, e come ulteriore elemento di considerazione, vorrei segnalare l’importanza
che può assumere la questione dei beni comuni, l’acqua, l’energia, la biodiversità dei
territori, insieme all’altra del debito storico ed ecologico che i paesi del nord hanno contratto e
continuano ad accrescere con i paesi del sud del mondo.
In ambito italiano, dove il dibattito su sviluppo sostenibile e decrescita è ancora molto
limitato e povero di contributi, potremmo intanto cercare di rintracciare i nostri “eroi della
discesa”, riprendendo idee e contributi che abbiamo trascurato o sottovalutato. Penso a quanto
ci viene dalla tradizione comunista italiana, in particolare il discorso dell’Eliseo di Enrico
Berlinguer, nel 1977, che affronta inascoltato e travisato, con parole cariche di futuro, il
11
S. Latouche, La società della decrescita, Le Monde diplomatique/Il Manifesto, novembre 2003.
12
M. Bonaiuti, Obiettivo decrescita, Bologna, Editrice Missionaria Italiana, 2004 .
13
J.-M. Harribey, Sviluppo e crescita non sono necessariamente appaiati, Le Monde diplomatique/ Il
Manifesto, luglio 2004.
4
problema dell’”austerità”14 E penso ancora a quanto ci viene dalla tradizione ambientalista, in
particolare i contributi di Alex Langer, ugualmente mai ripresi in modo significativo dal
movimento verde italiano15 .
Marco Della Pina, Università di Pisa
[email protected]
Per una economia umana
N
el corso della sua evoluzione la casa comune, il pianeta Terra, si avvicina a una crisi
dal cui superamento dipende la sopravvivenza dell’uomo, crisi la cui portata appare
esaminando l’aumento della popolazione, l’incontrollata crescita industriale e il
deterioramento ambientale con le conseguenti minacce di carestie, di guerra e di un collasso
biologico.
L’attuale tendenza nell’evoluzione del pianeta non dipende soltanto da leggi inesorabili
della natura, ma è una conseguenza delle deliberate azioni esercitate dall’uomo sulla natura
stessa. L’uomo ha tracciato, nel corso della storia, il suo destino attraverso decisioni di cui è
responsabile; ha cambiato il corso del suo destino con altre deliberate decisioni, attuate con la
sua volontà. A questo punto deve cominciare ad elaborare una nuova visione del mondo.
Come economisti abbiamo il compito di descrivere e analizzare i processi economici così
come li osserviamo nella realtà. Peraltro nel corso degli ultimi due secoli gli economisti sono
stati portati sempre più spesso non solo a misurare, analizzare e teorizzare la realtà
economica, ma anche a consigliare, pianificare e prendere parte attiva nelle decisioni
politiche: il potere e quindi la responsabilità degli economisti sono perciò diventati
grandissimi.
Nel passato la produzione di merci è stata considerata un fatto positivo e solo di recente
sono apparsi evidenti i costi che essa comporta. La produzione sottrae materie prime ed
energia dalle loro riserve naturali di dimensioni finite; i rifiuti dei processi invadono il nostro
ecosistema, la cui capacità di ricevere e assimilare tali rifiuti è anch’essa finita.
14
“…Ma una trasformazione rivoluzionaria può essere avviata nelle condizioni attuali solo se sa affrontare i
problemi nuovi posti all'occidente dal moto di liberazione dei popoli del Terzo mondo. E ciò, secondo noi
comunisti, comporta per l'occidente, e soprattutto per il nostro paese, due conseguenze fondamentali: aprirsi ad
una piena comprensione delle ragioni di sviluppo e di giustizia di questi paesi e instaurare con essi una politica di
cooperazione su basi di uguaglianza; abbandonare l'illusione che sia possibile perpetuare un tipo di sviluppo
fondato su quella artificiosa espansione dei consumi individuali che è fonte di sprechi, di parassitismi, di
privilegi, di dissipazione delle risorse, di dissesto finanziario.” (E.Berlinguer, Discorso al Teatro Eliseo di Roma,
1977)
15
“…Accettare oggi la positiva necessità di una contrazione di quel "troppo" e di una ragionevole e graduale decrescita, e rilanciare, di fronte alla gravissima crisi, un'idea positiva di austerità come stile di vita compatibile
con un benessere durevole e sostenibile, sarà possibile solo a patto che essa venga vissuta non come
diminuzione, bensì come arricchimento di vitalità e di autodeterminazione.” (A. Langer, L’intuizione
dell’austerità, 1992)
5
La crescita ha rappresentato finora per gli economisti l’indice con cui misurare il
benessere nazionale e sociale, ma ora appare che l’aumento dell’industrializzazione in zone
già congestionate
può continuare soltanto per poco: l’attuale aumento della produzione compromette la
possibilità di produrre in futuro e ha luogo a spese dell’ambiente naturale che è delicato e
sempre più in pericolo.
La constatazione che il sistema in cui viviamo ha dimensioni finite e che i consumi di
energia comportano costi crescenti impone delle decisioni morali nelle varie fasi del processo
economico, nella pianificazione, nello sviluppo e nella produzione.
Che fare? Quali sono gli effettivi costi, a lungo termine, della produzione di merci e chi
finirà per pagarli? Che cosa è veramente nell’interesse non solo attuale dell’uomo, ma
nell’interesse dell’uomo come specie vivente destinata a continuare? La chiara formulazione,
secondo il punto di vista dell’economista, delle alternative possibili è un compito non soltanto
analitico, ma etico e gli economisti devono accettare le implicazioni etiche del loro lavoro.
Noi invitiamo i colleghi economisti ad assumere un loro ruolo nella gestione del nostro
pianeta e ad unirsi, per assicurare la sopravvivenza umana, agli sforzi degli altri scienziati e
pianificatori, anzi di tutte le donne e gli uomini che operano in qualsiasi campo del pensiero e
del lavoro. La scienza dell’economia, come altri settori di indagine che si propongono la
precisione e l’obiettività, ha avuto la tendenza, nell’ultimo secolo, ad isolarsi gradualmente
dagli altri campi, ma oggi non è più possibile che gli economisti lavorino isolati con qualche
speranza di successo.
Dobbiamo inventare una nuova economia il cui scopo sia la gestione delle risorse e il
controllo razionale del progresso e delle applicazioni della tecnica, per servire i reali bisogni
umani, invece che l’aumento dei profitti o del prestigio nazionale o le crudeltà della guerra.
Dobbiamo elaborare una economia della sopravvivenza, anzi della speranza, la teoria di
un’economia globale basata sulla giustizia, che consenta l’equa distribuzione delle ricchezze
della Terra fra i suoi abitanti, attuali e futuri.
E’ ormai evidente che non possiamo più considerare le economie nazionali come
separate, isolate dal più vasto sistema globale. Come economisti, oltre a misurare e descrivere
le complesse interrelazioni fra grandezze economiche, possiamo indicare delle nuove priorità
che superino gli stretti interessi delle sovranità nazionali e che servano invece gli interessi
della comunità mondiale.
Dobbiamo sostituire all’ideale della crescita, che è servito come surrogato della giusta
distribuzione del benessere, una visione più umana in cui produzione e consumo siano
subordinati ai fini della sopravvivenza e della giustizia.
Attualmente una minoranza della popolazione della Terra dispone della maggior parte
delle risorse naturali e della produzione mondiale. Le economie industriali devono collaborare
con le economie in via di sviluppo per correggere gli squilibri rinunciando alla concorrenza
ideologica o imperialista e allo sfruttamento dei popoli che dicono di voler aiutare. Per
realizzare una giusta distribuzione del benessere nel mondo, i popoli dei paesi industrializzati
devono abbandonare quello che oggi sembra un diritto irrinunciabile, cioè l’uso incontrollato
delle risorse naturali, e noi economisti abbiamo la responsabilità di orientare i valori umani
verso questo fine. Le situazioni storiche o geografiche non possono essere più invocate come
giustificazione dell’ingiustizia.
Gli economisti hanno quindi di fronte un compito nuovo e difficile. Molti guardano alle
attuali tendenze di aumento della popolazione, di impoverimento delle risorse naturali, di
6
aumento delle tensioni sociali, e si scoraggiano. Noi dobbiamo rifiutare questa posizione e
abbiamo l’obbligo
morale di elaborare una nuova visione del mondo, di tracciare la strada verso la sopravvivenza
anche se il territorio da attraversare è pieno di trappole e di ostacoli.
Attualmente l’uomo possiede le risorse economiche e tecnologiche non solo per salvare
se stesso per il futuro, ma anche per realizzare, per sé e per tutti i suoi discendenti, un mondo
in cui sia possibile vivere con dignità, speranza e benessere. Per ottenere questo scopo deve
però prendere delle decisioni e subito. Noi invitiamo i nostri colleghi economisti a collaborare
perché lo sviluppo corrisponda ai reali bisogni dell’uomo: saremo forse divisi nei particolari
del metodo da seguire e delle politiche da adottare, ma dobbiamo essere uniti nel desiderio di
raggiungere l’obiettivo della sopravvivenza e della giustizia.
Nicholas Georgescu-Roegen, Kenneth Boulding, Herman Daly
Ottobre 1973
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