Cass 20 marzo 2007

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Cass 20 marzo 2007
Cassazione penale, VI sezione, sentenza 20 marzo 2007
(c.c. 1 febbraio 2007)
(omissis)
Fatto
1. L'avv. (CP), nella qualità di difensore di fiducia di (PM) e del legale rappresentante della
(MG) s.p.a., presenta ricorso per cassazione avverso l'ordinanza in data 17.5.2006 del
Tribunale di Enna che, pronunciandosi nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento da
parte della Corte di Cassazione, ha accolto l'appello proposto dal Procuratore della
Repubblica di Enna avverso l'ordinanza del GIP presso il Tribunale di Enna del 20.4.2005 ed
ha ordinato il sequestro preventivo sino alla concorrenza di euro 370.008,21 di somme di
denaro depositate sui conti correnti.
2. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione di cui all'art. 606 comma 1, lett. b)
c.p.p. (inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di
cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale) per violazione del principio di
legalità.
In premessa la difesa richiama il dettato dell'art. 2 del decreto legislativo n. 231 del 2001 sulla
responsabilità amministrativa degli enti, norma che prevede che l'ente non può essere ritenuto
responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione
a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in
vigore prima della commissione del fatto.
Tanto premesso la difesa osserva che la condotta costituente reato attribuita all'amministratore
unico della (MG) s.p.a., sig. (PM) è stata integralmente posta in essere prima del 9.4.2001
(data in cui è stato emesso il D.M. n. 97775 con cui sono stati autorizzati i contributi richiesti
ex lege n. 488 del 1992) e che, quindi, essa si è integralmente realizzata in un momento
antecedente al 3.7.2001, data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 231 del 2001.
In particolare, secondo la difesa, l'ottenimento del titolo costitutivo del credito da parte del
Ministero delle attività produttive ha determinato la commissione del "fatto" mentre il
successivo versamento delle somme costituisce un post-factum ininfluente ai fini della
individuazione del tempus commissi delicti; ed a nulla rileva che il reato di truffa contestato
all'amministratore possa dirsi consumato solo con il conseguimento dell'ingiusto profitto,
avvenuto in epoca successiva.
Il tema, inoltre, non è stato affrontato dal Tribunale determinando anche un vizio di mancanza
di motivazione.
3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione di cui all'art. 606, comma 1, lett.
e) c.p.p. (mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione) in ordine alla
sussistenza del fumus commissi delicti con riferimento agli indizi di colpevolezza.
Secondo la difesa, se deve individuarsi un profitto conseguente al reato esso deve essere posto
in stretta relazione alle condotte che integrano il reato medesimo e quindi dovrà essere
ragguagliato alle attività economicamente rilevanti contestate ai punti 4, 5, e 6 del capo di
imputazione in merito alle quali il sig. (M) ha reso interrogatorio dinanzi al GIP, precisando i
termini del suo operato relativamente alla richiesta di finanziamento oggetto del
procedimento.
Inoltre, negli atti del pubblico ministero (richiesta ed appello) manca anche l'indicazione dei
gravi indizi di colpevolezza relativi alla responsabilità dell'ente in quanto non è stato indicato
il rapporto tra l'attività dell'amministratore ed il doloso vantaggio dell'ente.
E poiché è da escludere una responsabilità oggettiva dell'ente, ove si voglia ipotizzare una sua
responsabilità ai fini della misura cautelare occorre individuare i gravi indizi di colpevolezza
in base ai quali è possibile ipotizzare la mancata adozione di un modello organizzativo idoneo
ad evitare ipotetiche attività illecite.
4. Nel terzo motivo di ricorso ci si duole, ancora, della violazione di cui all'art. 606, comma 1,
lett. b) c.p.p. (inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme
giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale) per la illegittimità
della richiesta di sequestro di denaro formulata dal pubblico ministero.
Premesso che la confisca per equivalente è subordinata alla impossibilità di apprendere i beni
costituenti il profitto del reato la difesa osserva che nel caso in esame tali beni, acquistati con
il denaro ottenuto con le condotte previste dai punti 4, 5 e 6 del capo di imputazione sono stati
individuati ed inventariati dalla Guardia di Finanza ed avrebbero potuto e dovuto essere
sottoposti a sequestro preventivo, senza possibilità di sequestro di somme di denaro.
Diritto
1. Il collegio premete che il Tribunale di Enna ha pronunciato l'ordinanza impugnata a seguito
dell'annullamento con rinvio, disposto dalla sentenza della Corte di Cassazione del 22.3.2006,
della ordinanza dell'11.5.2005 dello stesso Tribunale.
Con quest'ultima ordinanza il Tribunale aveva rigettato l'appello proposto dal pubblico
ministero avverso l'ordinanza con cui il GIP di Enna aveva respinto la richiesta di sequestro
preventivo delle somme depositate sui conti correnti bancari intestati alla (FM) s.n.c., oggi
(MG) s.p.a., sino alla concorrenza della somma di euro 370.008,21 e, in caso di in incapienza,
il sequestro delle quote sociali sino alla concorrenza della medesima somma.
2. Tanto premesso il collegio ricorda che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte
(cfr. Cass. III, n. 8527 del 19.8.1993 e succ. conf.), il giudice di rinvio ha sempre l'obbligo di
uniformarsi alla decisione sui punti di diritto indicati dal giudice di legittimità e su tali punti
nessuna delle parti ha facoltà di ulteriori impugnazioni (persino nel caso che, successivamente
alla sentenza di annullamento, la giurisprudenza di legittimità, anche nella sua più alta sede, le
Sezioni unite, abbia modificato l'interpretazione delle norme che devono essere applicate).
3. Nel caso in esame la citata sentenza della II sezione della Corte di cassazione del 22.3.2006
ha affermato che "una volta accertata la concreta percezione da parte della società di un
finanziamento illecito, per un dato importo, non può ritenersi illegittimo il sequestro sol
perché manca la prova di una diretta relazione tra le somme depositate nei conti correnti della
società e il profitto illecito della truffa, consistente proprio in un indebito finanziamento per
una somma di pari importo a quello di cui si chiede il sequestro" ed ha poi soggiunto che "una
volta accertata la disponibilità del finanziamento illecito non si coglie dalla motivazione del
provvedimento quale elemento indiziario ulteriore dovesse essere acquisito per dimostrare
una relazione diretta tra le somme di denaro di cui si chiede il sequestro e il profitto del reato
di truffa".
A tale principio il Tribunale di Enna si è pienamente e correttamente uniformato nella
ordinanza impugnata non ravvisando negli atti di indagine elementi ostativi alla confisca dei
beni e disponendo il sequestro delle somme di denaro nella disponibilità della società
sottoposta alle indagini.
Ne consegue che le questioni poste e le censure prospettate nel secondo e terzo motivo del
ricorso non colgono nel segno perché appaiono formulate senza tenere conto né delle
peculiarità del giudizio di rinvio a seguito di annullamento, che deve svolgersi nei binari
tracciati dalla pronuncia di annullamento, né dal principio di diritto enunciato dalla II sezione
di questa Corte, principio che mirano apertamente a rimettere in discussione con
argomentazioni di cui il giudice di legittimità ha già dimostrato l'infondatezza.
4. In ordine al primo motivo di ricorso il collegio osserva poi che l'art. 2 del D.lvo n. 231 del
2001 nello stabilire che "l'ente non può essere rinvenuto responsabile per un fatto costituente
reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non
sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto"
va linearmente interpretato come regola di irretroattività della legge penale, naturale
corollario del principio di legalità "nulla poena, nullum crimen sine praevia lege poenali".
La norma, dunque, anche quando nella sua parte finale parla di "commissione del fatto" fa
sempre riferimento ad un "fatto costituente reato" ed al momento della sua consumazione e
non autorizza la distinzione operata dal ricorrente tra un fatto naturalisticamente inteso (nel
caso di specie l'ottenimento del titolo costitutivo del credito da parte del Ministero delle
attività produttive, asseritamente anteriore all'entrata in vigore del D.lvo n. 231/2001) ed il
reato di truffa (la cui consumazione è posteriore all'entrata in vigore della legge in questione).
5. Il ricorso va pertanto respinto ed i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese
processuali.
(omissis)